Agroalimentare – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Wed, 22 May 2024 10:11:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Le produzioni vegetali e il ruolo dei dottori agronomi e dei dottori forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/#respond Sat, 01 Jun 2024 07:41:25 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68524 Le produzioni vegetali rappresentano un settore fondamentale dell’agricoltura, che comprende la coltivazione di piante per il consumo umano, animale e per altri usi industriali. Queste produzioni includono colture come cereali, legumi, frutta, verdura, piante da olio, piante da fibra e colture speciali come quelle officinali e aromatiche.

Esse influenzano:

  • sicurezza alimentare: forniscono cibo, garantendo l’accesso a una dieta equilibrata e nutriente
  • economia rurale: creano opportunità di lavoro e reddito nelle aree rurali, contribuendo allo sviluppo economico e sociale delle comunità agricole
  • ambiente: le pratiche agricole sostenibili, promosse dai dottori agronomi e dai dottori forestali, aiutano a conservare le risorse naturali, ridurre l’impatto ambientale e combattere il cambiamento climatico.

7 aree di competenza dei dottori agronomi e dottori forestali
Agronomi e forestali svolgono un ruolo cruciale nelle produzioni vegetali, promuovendo pratiche agricole che sono sostenibili, efficienti e sicure. La loro competenza contribuisce a migliorare la produttività agricola, la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale, garantendo benefici a lungo termine per l’economia e la società.

1. analisi del suolo e del territorio:

  • valutazione della fertilità: eseguono analisi del suolo per determinare i nutrienti disponibili e raccomandano interventi per migliorare la fertilità del terreno.
  • gestione del suolo: consigliano pratiche per prevenire l’erosione, migliorare la struttura del suolo e aumentare la capacità di ritenzione idrica.

2. pianificazione delle colture:

  • scelta delle colture: aiutano nella selezione delle colture più adatte alle condizioni climatiche e pedologiche del territorio.
  • rotazione delle colture: pianificano rotazioni colturali per migliorare la salute del suolo e ridurre l’incidenza di parassiti e malattie.

3. gestione delle risorse idriche:

  • irrigazione efficiente: progettano e implementano sistemi di irrigazione che ottimizzano l’uso dell’acqua, come l’irrigazione a goccia.
  • conservazione dell’acqua: promuovono tecniche di agricoltura conservativa per mantenere l’umidità del suolo e ridurre il fabbisogno idrico.

4. controllo delle malattie e dei parassiti:

  • gestione integrata dei parassiti (IPM): implementano strategie per il controllo dei parassiti che combinano metodi biologici, fisici e chimici in modo sostenibile.
  • uso di prodotti fitofarmaci: raccomandano l’uso responsabile e mirato di fitofarmaci per ridurre l’impatto ambientale e garantire la sicurezza alimentare.

5. miglioramento genetico e selezione delle varietà:

  • sviluppo di nuove varietà: collaborano con istituti di ricerca per sviluppare e introdurre varietà di piante più resistenti alle malattie, con maggiore resa e adattabilità a diverse condizioni climatiche.
  • conservazione delle risorse genetiche: promuovono la conservazione delle varietà locali e delle specie tradizionali per mantenere la biodiversità agricola.

6. sostenibilità e innovazione:

  • agricoltura di precisione: utilizzano tecnologie avanzate come i droni, i sensori e i sistemi GIS per monitorare e gestire le colture in modo preciso e sostenibile.
  • pratiche sostenibili: promuovono pratiche agricole sostenibili come l’agricoltura biologica e la conservazione delle risorse naturali.

7. formazione e consulenza:

  • supporto agli agricoltori: forniscono consulenza tecnica agli impresari agricoli su pratiche di coltivazione, gestione delle risorse e strategie di mercato.
  • educazione e sensibilizzazione: organizzano corsi di formazione e campagne di sensibilizzazione per diffondere conoscenze e innovazioni nel settore agricolo.

 

Il peso dell’agricoltura nell’economia italiana
Il settore agricolo e agroalimentare in Italia ha un ruolo significativo nell’economia nazionale. Nel 2023, il comparto agroalimentare rappresentava circa il 15% del PIL italiano, con il settore agricolo da solo che contribuiva per circa il 2%.

1,1 milioni di aziende agricole
L’Italia conta circa 1,1 milioni di aziende agricole, che coprono indicativamente 12,6 milioni di ettari della superficie agricola del paese.

50% di terreni agricoli
Oltre il 50% della superficie totale adibita a uso agricolo è montuosa o soggetta a vincoli naturali.

53% di popolazione rurale
Il 53% della popolazione italiana vive in zone rurali o intermedie e il settore agricolo e forestale costituiscono fattori economici importanti.

Il valore aggiunto complessivo della filiera agroalimentare nel 2022 ha raggiunto i 64 miliardi di euro, di cui 37,4 miliardi derivanti dalla produzione agricola e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. Se si considera anche la distribuzione e la ristorazione, il peso del settore agroalimentare sul PIL sale al 7,7%, e includendo i servizi di trasporto, logistica e intermediazione necessari per portare i prodotti dal campo alla tavola, la stima supera il 15,2%.
L’Italia è un leader nella produzione di vari prodotti agricoli in Europa. Ad esempio, detiene una quota del 37% nella produzione di vino e del 33% nella produzione di olio d’oliva nell’UE. È anche un importante produttore di frutta, coprendo il 18% della produzione dell’UE.

 

Nonostante la rilevanza del settore, l’agricoltura italiana affronta diverse sfide strutturali, tra cui la frammentazione delle aziende agricole, la scarsa presenza di giovani imprenditori e problemi di accesso alla terra, con valori fondiari molto elevati rispetto ad altri Paesi europei.
Inoltre, il settore deve affrontare le incertezze climatiche e la volatilità dei prezzi, che influenzano negativamente la produzione e il valore aggiunto.

Produzione agricola per settore
Quando si parla di valore della produzione agricola si sommano i valori dei prodotti agricoli e quelli zootecnici, escludendo la produzione di servizi in agricoltura.
Circa la metà del valore della produzione complessiva in UE proviene dalle colture, tra le quali gli ortaggi, le piante orticole e i cereali erano le colture più pregiate, circa due quinti da animali e da prodotti di origine animale. Di questi ultimi, la maggior parte del valore è frutto dal solo da latte e dall’allevamento suinicolo.
I contributi e la quota di prodotti animali e vegetali differiscono notevolmente da uno Stato membro all’altro e tra di essi, riflettendo le differenze nei volumi prodotti, nei prezzi percepiti, nonché nel mix di colture coltivate, animali allevati e prodotti animali raccolti.

Produzione agricola per settore in Italia.
Valore della produzione ai prezzi base nel 2023 (milioni di euro)

La suddivisione della produzione agricola

 

La suddivisione della produzione vegetale

 

Le percentuali della produzione zootecnica nazionale

Fonte: EUROSTAT

In conclusione
I dottori agronomi e i dottori forestali hanno una visione olistica e competenze multidisciplinari essenziali per affrontare sfide ambientali ed agricole del nostro tempo.
Attraverso l’integrazione di diverse competenze e la collaborazione con altri professionisti, essi sono dei team leader in grado di sviluppare e promuovere pratiche agricole e forestali sostenibili, contribuendo alla tutela dell’ambiente e alla produzione efficiente e sicura alimentare.

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L’agricoltura e la politica agricola comune (PAC) //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/#comments Tue, 02 Apr 2024 07:55:03 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68503 L’agricoltura è stata fortemente influenzata dalla politica agricola comune (PAC). Fin dagli anni ’60 del secolo scorso ci sono stati forti impatti sia delle politiche di mercato, con il ritiro dei prodotti eccedentari, sia con le misure strutturali. Buona parte delle serre del pesciatino, della riviera ligure e di molte zone d’Italia, furono realizzate con i primi programmi strutturali del FEOGA (Fondo Europeo Orientamento e Garanzia in Agricoltura).

Renato Ferretti, Vicepresidente CONAF

LE ORIGINI DELLA PAC

Con la sigla PAC si intende la raccolta che unifica le leggi dell’Unione europea in materia di agricoltura.
Creata nel 1962, fin dai primi vagiti dai sei paesi fondatori della Comunità Europea, è la più antica politica dell’Unione ancora in vigore.

Il suo obiettivo è quello di fornire alimenti a prezzi accessibili e di elevata qualità, garantire un tenore di vita equo agli agricoltori e dare sostegno alle zone rurali, tutelare le risorse naturali e rispettare l’ambiente.

Con oltre 386 miliardi di euro stanziati per il quinquennio 2023-2027 rappresenta la voce più corposa, circa 1/3 del totale, del bilancio unionale.

LE NOVITÀ DELLA PAC

La PAC 2023/2027 è un insieme di regole in materia ambientale, climatica e di salute e benessere delle piante e degli animali, che gli agricoltori sono tenuti ad accettare per accedere al sostegno pubblico.

Tale componente della PAC è ormai universalmente conosciuta con il termine “condizionalità” che dal 2023 è diventata più severa e rigorosa, cambiando nome in “condizionalità rafforzata”, in ossequio alla più radicata sensibilità ambientale che pervade l’Unione Europea, spalmata su tutto il territorio senza sforzi di specificazione.

L’asse portante è sempre il regime dei pagamenti diretti, che assorbe poco meno del 60% della spesa pubblica della PAC. Questa rimane una modalità disequilibrata rispetto ai reali fabbisogni, specie dell’agricoltura italiana marginale, ma determinante per la vita di vaste aree del paese. Tutto ciò nonostante l’intervento riformatore abbia impresso due nuove tendenze:

  • una orientata verso la sostenibilità, con l’introduzione del cosiddetto regime ecologico
  • una rivolta verso il principio dell’equità nell’utilizzo delle risorse finanziarie di cui per ora non si vedono effetti.

 

Vi è poi un pacchetto di interventi settoriali, che vede la conferma dell’approccio tradizionale per produzioni quali l’ortofrutta, il vino, l’olio d’oliva e le olive da tavola e, infine, l’apicoltura, cui si aggiunge una spruzzatina di novità, con la possibilità concessa agli Stati membri di attivare interventi settoriali per produzioni diverse da quelle menzionate. Per finanziare i nuovi interventi settoriali, lo Stato membro può utilizzare fino al 5% della dotazione annuale per i pagamenti diretti. Per l’Italia ciò implica un gettito massimo di 180 milioni di euro per anno.

 

Infine, c’è la politica di sviluppo rurale che presenta, in questo ciclo di programmazione, la sostanziale novità di prevedere solo otto interventi generali, i quali sostituiscono la moltitudine delle misure e delle sotto misure della precedente programmazione. In aggiunta, vi è la novità del contenimento al minimo delle regole stabilite a livello europeo. Infatti, la devoluzione delle competenze, comporta l’affidamento alle autorità nazionali di decisioni su aspetti fino ad oggi formulate nei regolamenti europei, come ad esempio i beneficiari, la tipologia di spese ammissibili, l’impostazione degli interventi, l’allocazione delle risorse finanziarie, la definizione dei requisiti e delle condizioni di accesso ai contributi pubblici, la calibrazione degli interventi in funzione dei fabbisogni del territorio.

MOLTE AGRICOLTURE

L’impatto della politica agricola comune (PAC) è cresciuto negli anni, in quanto ormai non c’è attività del settore agricolo che non abbia un riferimento normativo di carattere europeo, sia che si tratti di finanziamenti che di norme regolamentari. Il problema, sia nell’uno che nell’altro caso, è che le norme sono ispirate a una omogenea tipologia di agricoltura e di territorio (sicuramente prevalente, ma non esclusiva) e male si adattano ad agricolture e territori complessi come la maggior parte di quelli italiani, ma potremmo dire di tutta l’area mediterranea.

La PAC, nata per superare le disparità socio-economiche territoriali e settoriali utilizzando l’erogazione dei contributi, si è tradotta in una erogazione massiva in base alle dimensioni aziendali.

In oltre 50 anni, così, la PAC non ha prodotto gli effetti desiderati. Anzi, ha approfondito il divario fra agricolture forti e quelle più deboli, fra territori senza limitazioni e territori marginali.

Il perché è rintracciabile nell’essere stata concepita a senso unico, senza essere articolata e differenziata nelle diverse regioni, senza una reale programmazione nei e con i territori, anche con importanti responsabilità nazionali e regionali.

 

IL CASO OLIVICOLO

La dimensione media delle aziende olivicole collinari toscane è di due ettari, qui occorre fare quasi tutto manualmente.

L’Unione Europea concede un contributo di circa 300 euro a ettaro: quindi 600 euro complessivi, di cui un centinaio sono necessari per fare la domanda e, quindi, rimangono circa 500 euro.

Lo stesso contributo ad ettaro viene concesso ad un ipotetico olivicoltore di pianura che, magari, dispone di 100 ettari olivati e interamente meccanizzati. Credo sia evidente che l’impatto del contributo pubblico non è lo stesso. A ciò dobbiamo aggiungere che l’olivicoltura delle colline contribuisce a mantenere le caratteristiche del paesaggio e a salvaguardare l’equilibrio idrogeologico: ma di tutto questo la PAC non si preoccupa.

 

Non possiamo certamente pensare che l’olivicoltura di collina possa essere commercialmente competitiva con l’olivicoltura-prato presente in crescenti aree di pianura in Spagna e in Italia: basta fare un giro a Massaciuccoli e si vedrà l’olivicoltura di collina abbandonata e il proliferare di oliveti specializzati nelle zone di bonifica che farebbero rabbrividire i padri dell’olivicoltura di qualità.

Quindi, se vogliamo mantenere l’olivicoltura e l’insieme dell’agricoltura in tutti i territori occorre che la PAC (leggasi Unione Europea) conosca le diversità fra gli stessi ed applichi gli strumenti finanziari e regolamentari in modo più aderente alle necessità dei diversi territori.

 

AGRICOLTURA VS AMBIENTE

I continui eventi meteorici estremi hanno reso evidente a tutti il cambiamento climatico in atto, alimentando la sensibilità dei cittadini europei verso i temi ambientali.

La PAC ha fatto propri, anche se in linea generale e in maniera troppo generica, i principi e gli obiettivi della Strategia Farm to Fork e della Strategia sulla Biodiversità, entrambe generate dal Green Deal, prevedendo un cambio di paradigma, rafforzando la condizionalità e introducendo gli eco-schemi. Si chiede di fatto agli agricoltori e agli allevatori un ulteriore passo in avanti nel rispetto dell’ambiente, delle acque, degli agro-ecosistemi, degli animali, del clima e del cibo, declinando una serie di parametri di carattere fisico sostanzialmente analoghi in tutta l’Unione Europea.

Il Green Deal non può essere solo una serie di indicatori fisici, ma deve essere uno strumento capace di valorizzare le esternalità prodotte dalle produzioni cerealicolo-foraggere, dall’olivicoltura nelle colline centro-meridionali italiane e dalla zootecnia delle aree marginali, dalla viticoltura cosiddetta eroica.

Valorizzare le esternalità vuol dire dare un valore, che difficilmente il mercato pagherà, a tutti quei servizi che un’agricoltura qualitativamente produttiva eroga in queste aree.

Vuol dire compensare realmente le differenze tecnico-agronomiche e conseguentemente i livelli produttivi che si possono raggiungere nelle aree più difficili, rispetto alle fertili pianure. Nelle fertili pianure la PAC deve incentivare la diversificazione produttiva, valorizzare le rotazioni colturali per la rigenerazione dei suoli e la conservazione della sostanza organica.

È questa l’essenza del Green Deal che, per essere attuato cercando di essere economicamente efficienti, non può non precedere un’organizzazione delle produzioni a livello comprensoriale con specializzazioni all’interno delle aziende e con una zootecnia di territorio e non più solo aziendale.

È questa l’unica strada per cercare di mantenere insieme la conservazione della fertilità del suolo, le produzioni agro zootecniche e l’ambiente.

 

LA PAC OLTRE LA PAC

Poche settimane fa abbiamo visto che l’imposizione delle teoriche fasce tampone, non coltivate, in aree ad agricoltura fortemente industrializzata come la pianura padana e le pianure del centro Europa è stato uno dei motivi che hanno scatenato le cosiddette “proteste dei trattori”.

Questo episodio evidenzia come le politiche green non pianificate né declinate sulle specifiche esigenze conducano alla sterile ed errata contrapposizione agricoltura vs ambiente.

La retromarcia della politica europea, presa in contropiede dalle proteste, però, non può essere la risposta. È una pura illusione pensare che il futuro della PAC consista nel semplice aggiustamento di qualche misura e nel ritoccare in senso meno ambientalista alcune misure di carattere ecologico, legate alla “condizionalità rafforzata”. La PAC deve essere lo strumento con cui si riporta a livello di territorio, l’economia circolare che era l’essenza del podere e della fattoria.

Non possiamo pensare di contrastare il cambiamento climatico se non cambiamo alcuni paradigmi fondanti dell’agricoltura industrializzata, ossia lo spostamento per esempio di risorse foraggere a chilometri di distanza da dove vengono prodotte, per nutrire animali allevati in stalle di grandi dimensioni che a loro volta producono enormi quantità di letame e liquami di difficile utilizzazione in loco. Questo di fatto impoverisce le aree di produzione del foraggio e probabilmente causa problemi ambientali a quelle circostanti le stalle.

Sono questi i temi che occorre affrontare con il nuovo periodo di programmazione comunitaria. Una programmazione che deve essere reale e, aggiungo, con un’attenta pianificazione territoriale improntata al ripristino della natura come la legge recentemente approvata dal Parlamento Europeo vuole.

Per fare tutto questo è indubbio che occorre un sistema pubblico all’altezza della sfida, tecnicamente preparato e capace di interloquire con le imprese e gli imprenditori in maniera trasparente e, magari, con minori barriere informatiche, non senza informatica!

VINCERE LA SFIDA

La sfida decisiva insita nella nuova PAC è legata al salto di qualità della pubblica amministrazione in termini di capacità operative, approccio e metodo di lavoro.

Il passaggio dalla conformità delle attività, alle prestazioni delle stesse, dal rispetto rigoroso delle regole e procedure fissate a Bruxelles verso un intervento strategico delle autorità nazionali e regionali nella fase di impostazione e di attuazione degli interventi, esige una risposta coerente da parte delle istituzioni centrali e territoriali. Ecco che la pubblica amministrazione dovrà acquisire nuove capacità e competenze modificando il consolidato modello di lavoro che si è affermato da almeno tre decenni a questa parte.

 

In quest’ottica, il caso della nuova politica di sviluppo rurale rappresenta il paradigma di riferimento, che dimostra in modo inequivocabile il passaggio dalla conformità al risultato.

Nel concreto, le istituzioni nazionali hanno la possibilità, con il nuovo ciclo di programmazione della PAC, di concentrare le risorse su specifici settori produttivi e su determinati territori. Inoltre, possono scegliere con ampia autonomia gli interventi da attivare, fatto salvo l’obbligo di inserire nel programma quelli di natura ambientale. Possono, infine, orientare gli interventi e le risorse solo verso determinati beneficiari e specifici approcci produttivi; oppure scegliere opzioni a geometria variabile, con l’esclusione di certi settori o determinate categorie di beneficiari in funzione del contesto considerato.

 

Dall’esame dei documenti e delle azioni intraprese risulta però evidente che, in termini di nuovo approccio alla programmazione e di ampia discrezionalità decisionale, in Italia le potenzialità non siano state adeguatamente espresse e, alla fine, siamo tornati a percorrere le esperienze del passato, con la classica divisione delle competenze tra Ministero da una parte e Regioni e Province autonome dall’altra.

 

IMPRENDITORI AGRICOLI

In questo discorso c’è un aspetto che viene comunemente trascurato: in un’agricoltura moderna, gli agricoltori non sono semplici produttori di cibo, ma sono dei veri e propri imprenditori, seppure con caratteristiche peculiari. Ne deriva che, l’altro elemento fondamentale della PAC per l’attuazione coerente e a misura di territorio, sono gli imprenditori e le imprese agricole, a prescindere dalle dimensioni.

 

La prima criticità che balza all’occhio, partendo da questa riflessione è che l’attuale PAC nasce in uno scenario economico diverso a quello in cui viene ad attuarsi, caratterizzato da un alto tasso d’inflazione, dal rialzo dei tassi di sconto e dalla perdita del potere di acquisto delle famiglie medie italiane. Tutti elementi che incidono sui consumi e di conseguenza sulle vendite delle aziende agricole, causando una generale crisi delle stesse.

A questo disallineamento tra il momento dell’ideazione delle politiche e la loro attuazione, si aggiunge anche la scarsa tradizione del mondo agricolo a leggersi come realtà imprenditoriale oltre che economica.

Nel mondo agricolo del XXI secolo occorrono, infatti, degli imprenditori agricoli che non aspettino il finanziamento pubblico per decidere quali investimenti fare, ma che siano in grado di programmare e adeguare la propria attività in funzione dei cambiamenti. Imprenditori agricoli che, con una maggiore capacità associativa, sappiano condizionare i cambiamenti e non solo di subirli, orientando il rapporto con il consumatore finale e con la grande distribuzione.

La risposta alla crisi attuale, sia produttiva che dei consumi, sta nello sviluppare un’agricoltura consapevole. Consapevole dei limiti che la specializzazione estrema comporta, consapevole della necessità di fare ricorso a tutti i mezzi tecnici disponibili, della necessità di maneggiare strumenti finanziari e di marketing e, pure, dell’importanza del supporto di tecnici, intesi come partner capaci di accompagnare l’impresa agricola verso la sostenibilità, sia essa ambientale che economica.

 

UNA NUOVA POLITICA AGRICOLA COMUNE

Siamo convinti che sia possibile avere una politica agricola comune che tenga conto delle differenze agronomiche e territoriali, che possa dare vera attuazione al Green Deal senza contrapposizioni fra posizioni ambientaliste e produttivistiche, che stimoli azioni reali di rigenerazione della fertilità dei suoli, di riduzione degli input esterni al processo produttivo in una reale economia agricola circolare.

 

L’obiettivo è chiaro e l’esperienza di cinquant’anni di PAC può aiutare a migliorare le criticità: ora starà alla nuova classe politica che uscirà dalle urne alle prossime elezioni europee farsi carico di vincere una delle sfide più probanti per i prossimi decenni.

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L’andamento dei prezzi in agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/landamento-dei-prezzi-in-agricoltura/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=landamento-dei-prezzi-in-agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/landamento-dei-prezzi-in-agricoltura/#respond Tue, 21 Feb 2023 16:37:24 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68291 Il 2022 è stato un anno difficile, per quanto riguarda i costi sostenuti nella catena di produzione agricola. Alle difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime si sono sommate le criticità legate alla guerra in Ucraina e l’impennata dei costi energetici.
Ma qual è realmente l’impatto subito dal settore? La UE ha provato a fare le prime stime degli effetti subiti nel 2022 che confermano rialzi su praticamente tutte le principali categorie di prodotti, rispetto al 2021.

Tre imputati
Sono tre i principali fattori che hanno determinato l’aumento dei prezzi.

  • Al primo posto, com’era prevedibile, c’è l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. I due Paese hanno destabilizzato il mercato, in quanto grandi esportatori di cereali, grano, mais, semi oleosi (in particolare girasoli) e fertilizzanti.
  • Il secondo fattore è stata la siccità, che ha martoriato l’Italia ma che ha comunque afflitto molte nazioni UE. È piuttosto evidente la riduzione nelle rese delle colture, comprese quelle foraggere come il fieno usato come mangime per il bestiame.
  • La terza causa è legata alle pressioni inflazionistiche, in particolare il costo dell’energia.

Qualche dato
I dati Eurostat indicano che il prezzo medio dei beni agricoli (produzione) nell’UE, nel loro complesso, è aumentato del 24% tra il 2021 e il 2022.
I rincari maggiori si sono registrati per i cereali (+45%), le uova (+43%) e il latte (+31%), anche se tutte le voci sono risultate in crescita a eccezione della frutta (-3%).

Andamento di alcuni indici di prezzo della produzione e degli input; variazione % 2021-2022; prime stime

I prezzi medi dei cereali nel loro complesso (un aggregato che comprende grano, orzo, mais, segale e avena e altri tipi di cereali) sono aumentati in tutti i Paesi dell’UE tra il 2021 e il 2022, con un tasso che va dal +33% in Austria e Paesi Bassi e +34% in Lettonia al +67% in Ungheria e +70% in Finlandia.

Anche i prezzi delle uova sono aumentati in tutti i Paesi dell’UE tra il 2021 e il 2022, con un tasso che va dal +6% del Lussemburgo e dal +7% di Cipro e Grecia al +68% dei Paesi Bassi, al +74% del Belgio e al +76% della Francia.

Dinamica simile per il prezzo medio dei beni e servizi: l’aumento registrato è del 30% rispetto al 2021, con notevoli aumenti di prezzo per i fertilizzanti e gli ammendanti (+87%) e per l’energia e i lubrificanti (+59%).

La siccità ha ridotto la disponibilità di foraggio, contribuendo all’aumento del costo del latte

Siccità, problema anche nel 2023?
La siccità che ha colpito l’UE nel 2022 ha ridotto la disponibilità di erba fresca per l’alimentazione delle vacche da latte.
Nel 2022 si sono registrati aumenti del prezzo del latte in tutti i Paesi dell’UE, da un relativamente limitato +3% a Cipro (dove il latte di capra è un prodotto chiave) e +9% a Malta fino a punte di circa +50% in Belgio, Lituania, Ungheria e Lettonia.

Queste informazioni provengono dai dati sull’agricoltura pubblicati da Eurostat

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Il grano e la guerra //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-grano-e-la-guerra/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-grano-e-la-guerra //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-grano-e-la-guerra/#respond Tue, 06 Dec 2022 14:22:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68257 Di Aldo Sisto, dottore agronomo

La guerra in Ucraina ci ripropone in toni molto preoccupanti il tema della sicurezza alimentare nel mondo.
Nel 2021 il numero delle persone che hanno sofferto la fame è salito ad oltre 828 milioni, circa 46 milioni in più rispetto al 2020. La pandemia ha poi contribuito ad esasperare ulteriormente il problema . Da quanto emerge da un rapporto delle Nazioni Unite il mondo si sta allontanando dall’obbiettivo di sconfiggere la fame e la malnutrizione entro il 2030. Questa guerra ha messo in evidenza che determinati problemi di approvvigionamento, sia energetico che alimentare, vanno visti sempre nell’ottica di una concreta condivisione delle difficoltà che possono nascere e coinvolgere tutti gli Stati della comunità internazionale. L’obbiettivo dovrebbe dunque essere quello di evitare che le crisi si abbattano drammaticamente sulle popolazioni economicamente più fragili e soprattutto frustrate anche dai mutamenti climatici. Ieri, ancora una volta, Papa Francesco è intervenuto per evidenziare che dietro a questa III° guerra mondiale ci sono gli “ interessi dei commercianti d’armi e degli imperi deboli che cercano i conflitti per sentirsi forti”. Purtroppo Putin sta seguendo ancora questa logica perversa. Facendosi forte sul suo attuale primato sulle risorse energetiche e cerealicole, ha cercato di conquistare le fertili terre Ucraine per consolidare questo primato. Oggi la Russia è attualmente il primo esportatore mondiale di grano, e Russia ed Ucraina sono i maggiori esportatori di mais e frumento nel continente Africano e nei Paesi più poveri del mondo.

Dipendenza dalle importazioni di grano, importatori netti 2021%

Questi problemi vanno dunque affrontati sul piano internazionale,abbandonando politiche di tipo autarchico e favorendo quelle di condivisione . In quest’ottica di cooperazione bisogna dunque ridare all’agricoltura ed ai trattati commerciali di pertinenza , a mio modesto giudizio, il ruolo centrale che le compete , poiché questo settore ha di fatto in mano la sicurezza alimentare .
Bisogna prendere atto che la mancanza di sicurezza alimentare, non disgiunta dalla sicurezza sugli approvvigionamenti idrici e la sicurezza sanitaria, sono oggi la causa di tensioni sociali, guerre e di conseguenza di migrazioni.

Russia ed Ucraina giocano un ruolo importantissimo a livello mondiale

(tab1- fonte dati USDA)

Nella tabella 1 leggiamo un breve riassunto delle dimensioni in termini di ettari, produzioni e resa delle due agricolture, russa ed ucraina, messe a confronto considerando le più importanti colture.
Risulta subito evidente l’importanza delle colture cerealicole per entrambi le nazioni. In Russia le colture cerealicole compongono il 72% dei seminativi , in particolare il frumento occupa il 52% di queste superfici; in Ucraina i cereali occupano il 62% dei seminativi, in particolare il mais il 38%. Non dimentichiamo poi le oleaginose che occupano in Russia ed Ucraina rispettivamente il 22% ed il 49% delle superfici oggetto d’indagine

Nella tabella 2 rileviamo l’importanza delle esportazioni di cereali per entrambi gli Stati. La Russia esporterà nella campagna 2022-2023, il 46% delle sue produzioni di frumento e l’ Ucraina il 49 % delle sue produzioni di mais. Nell’anno precedente alla guerra ( 2021/2022) l’ Ucraina aveva esportato il 64% delle sue produzioni di mais

Quest’anno la Russia a seguito di un ottimo raccolto di frumento ( 91 milioni di tonnellate) esporterà circa 42 milioni di tonnellate. Un vero record storico che pongono la Russia al 1° posto nel mondo come Paese esportatore di frumento. (tab 2- tab 3) . L’ Ucraina risulta invece al 4° posto come Paese esportatore di mais ed al 5° posto per il frumento.

(tab3 fonte dati USDA)

 

Nell’ipotesi che la Russia fosse riuscita ad impadronirsi delle fertili terre ucraine, l’incidenza percentuale delle sue produzioni di frumento sarebbero passate a livello mondiale dal 12% al 14% e quelle del mais dal 1% al 4% (tab4)

(tab4 fonte dati USDA)

Inoltre la Russia con l’acquisizione dell’ Ucraina avrebbe visto aumentare il peso delle sue esportazioni a livello mondiale di frumento dal 20% al 25% e le esportazioni di mais dal 2% al 11% .

In questo contesto ricordo che l’ Unione Europea detiene il 17% delle esportazioni mondiali di frumento e l’ 1 % delle esportazioni di mais. Mentre gli Stati Uniti, detengono con il 30% il primato delle esportazioni di mais e il 10% delle esportazioni di frumento (Tab 4)
Nella tab 6 leggiamo le produzioni di frumento e mais di alcune nazioni . La Cina risulta essere il maggior produttore di frumento del mondo e gli Stati Uniti il maggior produttore di mais nonché il 1°esportatore con 54,6 milioni di tonnellate.

(tab6 fonte dati USDA)

Oggi la Russia, a seguito di importanti riforme agrarie iniziate nel 2000, si presenta sullo scenario internazionale come una grande realtà agricola, soprattutto nel comparto dei cereali. Da Paese importatore di cereali negli anni ’90, oggi è divenuto il 1° Paese esportatore di frumento nel mondo. Questa riforma agraria ha consentito alla Federazione Russa di passare da 3 ° esportatore mondiale di cereali con 17,4 milioni di tonnellate nel 2009 , dopo Canada (19,3 milioni di tonn.) e Stati Uniti (21,9 milioni di ton), agli attuali 42 milioni di tonnellate. La forza dell’ agricoltura Russa si sta giocando rimettendo a coltura milioni di ettari ( si ipotizza più di 40 milioni) e le tecniche di coltivazione dedicate principalmente alla coltivazione di frumento. Neanche i cambiamenti climatici sembrano impensierire Putin, infatti una sua dichiarazione dice: “Un aumento di due o tre gradi non sarebbe così male per un Paese del nord come la Russia. Potremmo spendere meno per le pellicce e il raccolto di grano aumenterebbe”.
La produzione di grano e cereali in Russia è dominata dalle grandi imprese agricole , che sono i successori dei precedenti kolkhozy e sovkhozy, e attualmente si sono fuse in enormi “megafarms” , conglomerati aziendali o “agroholding”. E’ proprio attraverso queste grandi imprese agricole che è stato possibile mettere a coltura migliaia di ettari che erano prima incolti o mal coltivati.
Oggi 56 grandi compagnie dominano l’agricoltura russa, con 5 società che controllano il 27% delle terre coltivabili. Una tendenza che, nel complesso, ha prodotto un esito positivo.
L’arrivo delle grandi compagnie ha permesso una modernizzazione delle tecniche colturali e delle strutture di raccolta e commercializzazione
In Russia troviamo aziende come Miratog con 1,047 milioni di ettari, Prodimex e Agrokultura con 865 mila ettari, Agrocomplesso con 660 mila ettari, Rusagro con 637 mila ettari ed altre 10 aziende agricole che nel loro complesso coprono 6 milioni di ettari. Una recente indagine dell’ agenzia di consulenza russa BFEL rivela che nel 2021 66 grandi aziende agricole hanno gestito 15,4 milioni di ettari.
Lo stesso troviamo in Ucraina dove vi sono importanti realtà agricole come Agroprosperis con 430 mila ettari, Astarta 250 mila ettari, UrkLandAgricoltura con 570 mila ettari, MHP con 370 mila ettari, Chicco 550 mila ettari, e molte altre.
Queste aziende oltre alla coltivazione di mais , frumento, soia , girasole e semi oleosi in genere, si occupano anche di allevamenti zootecnici ( bovini,suini,avicoli), stoccaggio e commercializzazione di cereali, trasformazione e vendita di prodotti alimentari.
Dalle dimensioni e dall’ ottima organizzazione aziendale di queste realtà agricole si capisce molto bene l’interesse della Russia ad ampliare il controllo in aree limitrofe, tenendo presente anche il fatto che la Russia non ha mai considerato l’ Ucraina uno Stato sovrano.
Putin ha detto, tra le altre cose, che l’Ucraina «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante» e che è stata sostanzialmente inventata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica all’inizio del Novecento: «L’Ucraina moderna è stata interamente e completamente creata dalla Russia”. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è arrivato a dire che l’Ucraina «non ha il diritto di essere una nazione sovrana».
Al di là delle ragioni ideologiche che fanno da corollario a questa guerra, risultano evidenti le ragioni economiche che sono alla base della tentata conquista russa dei territori ucraini. Dipendenza energetica e dipendenze alimentari sono due temi che tutta la comunità internazionale ha il dovere di riesaminare. Quando poi chi governa ha il pieno controllo delle risorse energetiche ed alimentari di quel paese , la comunità internazionale può essere sottoposta a continui ricatti, come appunto sta succedendo oggi attraverso il metano e i cereali.
L’ Italia ha attualmente scarsissime risorse energetiche mentre d’altra parte ha un ottima agricoltura. L’unico ostacolo sono la limitazione della nostra “risorsa terreno” , per cui è necessario mantenere sempre alto il livello delle nostre produzioni soprattutto nel settore cerealicolo. Questo è possibile attraverso la limitazione del consumo di suolo e dando la possibilità agli agricoltori di accedere ad innovazioni scientifiche che possono incrementare le rese in modo sostenibile. Pensiamo solo alle nostre produzioni medie di mais che grazie al miglioramento genetico sono passate dai 2-3 t/ha degli anni ’50 agli attuali 11-12 t/ha. Lo stesso vale per il frumento che oggi attraverso nuove varietà ed il buon controllo agronomico della coltura supera tranquillamente i 90 ql/ha. Teniamo sempre presente che gli agricoltori assieme agli agronomi sono da sempre le sentinelle delle nostre risorse alimentari e dell’ambiente.

 

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Dal mar Caspio al Mediterraneo //www.agronomoforestale.eu/index.php/dal-mar-caspio-al-mediterraneo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=dal-mar-caspio-al-mediterraneo //www.agronomoforestale.eu/index.php/dal-mar-caspio-al-mediterraneo/#respond Wed, 26 Oct 2022 15:35:21 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68236 Simili dal punto di vista climatico e nella tipologia di colture e con ottimi rapporti. Italia e Azerbaigian non sono mai stati così vicini, parlando di agricoltura.

Nasce sotto questi ottimi auspici la visita della delegazione di tecnici del ministero agricoltura azero, che ha espressamente richiesto di conoscere meglio l’esperienza italiana sui servizi di consulenza, proprio in vista di una loro modernizzazione e riorganizzazione delle politiche agricole.

UNA STUDY VISIT CON LO SGUARDO ALLA SOSTENIBILITÀ

Il primo incontro si è tenuto nella campagna senese, presso lo Studio Zari di Monteroni d’Arbia (SI). Fausta Fabbri, dirigente della Regione Toscana e responsabile dei settori Consulenza, Formazione, Innovazione in Agricoltura ha illustrato le misure del piano di sviluppo rurale che finanziano queste attività.
La collega Rosanna Zari, Presidente di TO.SCA ha raccontato l’esperienza di quest’organismo di consulenza aziendale costituito con lo scopo di svolgere in sinergia la consulenza aziendale alle aziende e composto da 12 tra dottori agronomi e forestali associati in una rete di professionisti.

Lo scopo della rete è quello di offrire un ventaglio di tecnici specializzati in vari settori agricoli e forestali.

A concludere la parte “teorica” sono intervenuti il presidente della Federazione dei dottori agronomi e forestali Lorenzo Vagaggini e la vicepresidente ODAF Siena Monica Coletta, illustrando le peculiarità della professione nell’ambito della consulenza aziendale.

Anche in Italia, con il nuovo PSN, è necessario che dottori agronomi e forestali si organizzino in moderne forme di associazionismo, quali le Reti o le Società tra professionisti. Oggi, offrire consulenza altamente specialistica in un settore come quello agro-forestale, è sempre più complesso e richiede specializzazione e strumentazioni che un singolo professionista difficilmente può mostrare. Se un tempo l’agronomo andava in azienda con la lente per le fitopatologie e un coltellino per gli innesti, oggi è necessario dotarsi delle più moderne tecniche e strumenti anche per la consulenza aziendale.” – Rosanna Zari, dottore agronomo libero professionista

La successiva fase, questa volta dimostrativa, si è svolta ad Asciano per visitare Agriturismo Baccoleno, azienda ad indirizzo cerealicolo che pratica l’agricoltura di precisione utilizzando sistemi satellitari per le operazioni colturali a campo aperto e Agriturismo Casanova, azienda a indirizzo zootecnico con un allevamento di bovini di razza chianina IGP. In questo secondo appuntamento,  insieme al veterinario aziendale è stato mostrato un esempio di consulenza congiunta agronomo-veterinario con l’obiettivo di accompagnare l’imprenditore nell’applicazione delle migliori tecniche per il benessere animale, ma anche nella certificazione delle carni.

La dimostrazione sul campo della consulenza e dell’applicazione delle best practices nel cuore delle Crete Senesi ha fatto conoscere agli ospiti azeri esempi concreti ed elementi di programmazione per incrementare la produttività dei terreni agricoli in un’ottica di agricoltura sostenibile e resilienza ai cambiamenti climatici in corso.

PIANO DI SVILUPPO RURALE

Per gli ospiti azeri, di particolare interesse è stata l’esperienza maturata dai PSR nella programmazione 2007-2013 (M 114) e la programmazione 2014-2020 (M 2).

Nell’ambito del Progetto Twinning è stata già predisposta una possibile misura di sviluppo rurale per supportare i servizi di consulenza in Azerbaijan, articolata in:

– supporto per l’avvio dei servizi di consulenza

– supporto per la formazione dei consulenti

– supporto agli agricoltori per usufruire dei servizi di consulenza.

UNO SCAMBIO BIDIREZIONALE

L’esperienza è sicuramente stata proficua per la delegazione, rimasta piacevolmente soddisfatta della giornata. Anche per gli agronomi e forestali italiani, però, c’è stata una crescita professionale, grazie alla possibilità di confrontarsi con una realtà differente da quella italiana.

Questo primo incontro, infatti, potrebbe essere l’inizio di una serie di appuntamenti internazionali che diano a tutti la possibilità di confrontarsi e conoscere nuove pratiche da attuare nel settore.

 

IL PROGETTO DI SCAMBIO

La study visit della delegazione dell’Azerbaigian si è svolta nell’ambito del progetto Twinning promosso dalla Commissione Europea e sviluppato dal Ministero per le Politiche agricole MIPAAF e dall’Istituto zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche ISZUM in gemellaggio con AXA ossia l’organo tecnico del Ministero dell’agricoltura azero.

 

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La Carbon Footprint dell’olio extra vergine di oliva come strategia di Green Marketing. Un’indagine sui consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/#respond Mon, 22 Mar 2021 17:00:58 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68060 Di Antonio Petracca, vincitore del premio di laurea Massimo Alberti 2021. Dottore Magistrale in Sviluppo Rurale Sostenibile

In un clima di crescente considerazione per la sostenibilità, sono sempre più le iniziative che mirano a sviluppare processi di produzione che portino alla realizzazione di prodotti eco-sostenibili.
Inoltre, se ben sfruttate, queste pratiche possono apportare vantaggi economici, oltre che ambientali, per le aziende che intraprendono questa strada. Tutto sta nel mettere in atto idonee strategie di Green Marketing che hanno come scopo quello di comunicare al consumatore la sostenibilità del proprio prodotto.

Come creare una filiera ecosostenibile
Lo studio, condotto nel 2019 all’interno di un progetto promosso dal PSR Umbria, aveva lo scopo di creare una filiera ecosostenibile nel settore olivicolo-oleario. Le aziende locali umbre coinvolte, utilizzando l’approccio Life Cycle Assessment, avrebbero avuto così le basi necessarie per la certificazione della Carbon Footprint (ISO 14067).
Le esperienze nella Carbon Footprint a livello di filiera sono attualmente molto limitate, nonostante consenta di individuare percorsi e azioni condivise per combattere il cambiamento climatico, dando la possibilità di concorrere alla Green Economy. Infatti, il miglioramento della competitività in questo settore diventa una spinta verso la produzione con minori emissioni e un elemento distintivo sul mercato finale: si possono enfatizzare i risultati indirizzandosi verso i consumatori propensi al Green Consuming.
Partendo da questo assunto, il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio, per permettere di capire le potenzialità di vantaggio economico che questo progetto può apportare alle aziende aderenti.

Il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio

Assorbire CO2 per essere competitivi
Perché prendere in considerazione proprio l’olio extra vergine di oliva? Come dimostrato da molti studi, l’olivo ha una gran capacità nell’assorbire CO2. L’opportunità sta quindi nello sfruttare questa caratteristica peculiare mettendo in risalto la sostenibilità dell’olio extra vergine di oliva, prodotto che riveste un ruolo importantissimo all’interno della nostra dieta alimentare.
Inoltre, il mercato globale dell’olio extra vergine di oliva è in continua crescita e registra un aumento delle produzioni, soprattutto in quei Paesi che hanno visto uno sviluppo dell’olivicoltura di tipo intensivo.
Il settore olivicolo italiano, però, trova non poche difficoltà a competere nel contesto mondiale, prevalentemente per le peculiarità che non ne consentono la competitività sia dal punto di vista della produzione che dal lato dei costi.
Puntare sulla qualità del prodotto e sullo sviluppo di sistemi gestionali in grado di consentire la sostenibilità delle produzioni e l’abbattimento delle emissioni potrebbe essere una delle soluzioni. Le certificazioni ambientali, infatti, possono aiutare a migliorare la competitività del settore e a produrre con un possibile vantaggio commerciale.

Impronta del carbonio
La Carbon Footprint è un parametro introdotto per quantificare la totalità delle emissioni di gas a effetto serra associate direttamente o indirettamente a un prodotto, a un’organizzazione o a un servizio.
Essa rappresenta un indicatore utile a monitorare l’efficacia della politica di gestione ambientale tramite la redazione del cosiddetto “inventario delle emissioni di gas ad effetto serra”. Il punto di forza di questa certificazione sta anche nella facile comprensione ed efficacia dal momento che il consumatore dispone di un valore che indica i kg di CO2 emessi per produrre, nel nostra caso, la bottiglia d’olio.

Misurare l’effetto sul consumatore
La valutazione della risposta del consumatore a un olio extra vergine di oliva con certificazione Carbon Footprint è stata possibile avvalendosi del metodo di analisi dei Choice Experiment (esperimenti di scelta).
Il principio generale di questo metodo è quello di indurre i consumatori a esprimere delle preferenze riguardo a determinati beni e a definire il livello di benessere/utilità che ne ricaverebbero dall’utilizzo. Tutto questo avviene grazie alla creazione di uno scenario di mercato ipotetico, che permette di simulare l’acquisto di beni scegliendo tra più alternative proposte.
Per esprimere il valore economico di un bene in termini di preferenze dei consumatori, il modo più immediato è quello di trasformare la domanda aggregata di quello stesso bene in Disponibilità a Pagare (DaP). La DaP è la quantità massima, ovvero la massima somma, che un soggetto è disposto a pagare per usufruire di un certo servizio, per godere di un determinato bene o per migliorarlo.

La struttura dell’indagine
La ricerca empirica si è basata su un questionario somministrato ai consumatori, articolato in diverse parti (dati socio-demografici, comportamento d’acquisto di olio di oliva, fattori rilevanti nella decisione d’acquisto, esperimento di scelta).
La parte più importante del questionario è quella dell’esperimento di scelta (Choice Experiment), dove l’intervistato viene messo di fronte a diversi profili di olio ottenuti dalla combinazione degli attributi e dei livelli che descrivono il prodotto, scelti nella fase di definizione del disegno sperimentale. In particolare, per questo studio sono stati ottenuti 60 diversi profili di olio. La scelta degli attributi è stata fatta attraverso un’approfondita ricerca in letteratura e attraverso l’organizzazione di focus group con l’obiettivo di mettere in evidenza quelle componenti (attributi) del prodotto che lo caratterizzano e che sono maggiormente rilevanti nei momenti di scelta.
Gli attributi emersi da questa prima fase di analisi sono stati: il formato della bottiglia, l’origine, il canale di vendita, la presenza della certificazione Carbon Footprint e il prezzo di vendita.

I risultati
I risultati ottenuti dalle interviste condotte1, hanno confermato l’ipotesi iniziale dell’indagine, ossia che un olio extra vergine di oliva con certificazione della Carbon Footprint riceverebbe apprezzamenti da parte dei consumatori.
Infatti, dall’analisi econometrica dei dati ottenuti dai Choice Experiment, l’attributo inerente all’impronta del Carbonio ha rinvenuto un coefficiente di significatività elevato, secondo solo a quello dell’attributo della vendita diretta. Questo dato sta a significare che la maggior parte degli intervistati posti d’innanzi ai vari profili di olio sono stati influenzati positivamente nella scelta dalla presenza dell’attributo inerente alla Carbon Footprint.

Successivamente è stata stimata la disponibilità a pagare per gli attributi presi in considerazione nell’analisi, ed è stata riscontrata una DaP di 5,18 euro per la certificazione della Carbon Footprint.
Questo valore rappresenta la somma massima che i consumatori intervistati sarebbero disposti a pagare in più rispetto ad un olio senza questa certificazione. Questo risultato dà ulteriore conferma del fatto il consumatore è disposto a pagare un premium price per un olio a basso impatto di emissioni.

Percentuale di importanza delle informazioni presenti in etichetta rilevate dalle preferenze del campione

Agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto

Sulla base dei dati raccolti, inoltre, sono emersi ulteriori fattori altrettanto rilevanti, quali un’elevata DaP in relazione all’origine del prodotto e al canale di vendita diretta. Ciò trova riscontro nelle conclusioni di altri studi che affermano che il mercato dell’olio di oliva, in particolare l’extra vergine, vede un forte legame del prodotto con la dimensione locale, la quale rappresenta un elemento efficace di creazione di valore per il consumatore.
Alla luce di quanto detto, agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto.

Dare maggior valore al comparto olivicolo
Lo studio condotto in questa tesi di laurea permette di asserire l’importanza di investire sulla sostenibilità, soprattutto in un mercato competitivo come quello dell’olio di extra vergine di oliva.
La certificazione della Carbon Footprint sta dimostrando di avere tutte le carte in regola per dare maggior valore al comparto olivicolo. Tuttavia, data la sua bassa diffusione tra i prodotti agroalimentari, diviene importante rendere famigliare al consumatore questa certificazione attraverso una comunicazione efficace, al fine di evitare una sottostima del suo reale potenziale da parte degli agricoltori.
Queste considerazioni assumono rilevanza particolare per l’olivicoltura italiana, la quale rappresenta in molte regioni, uno dei comparti principali tanto dal punto di vista economico quanto da quello culturale e paesaggistico.

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Life Cycle Assessment delle coltivazioni di ananas in Repubblica Dominicana //www.agronomoforestale.eu/index.php/life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana //www.agronomoforestale.eu/index.php/life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana/#respond Mon, 01 Mar 2021 18:35:13 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68040 di Francesco Leschi, agronomo vincitore del premio di laurea Massimo Alberti 2021

Il settore della frutticoltura tropicale è, a livello globale, tra i settori agricoli più dinamici in termini di crescita e rappresenta un ambito di particolare interesse per la sicurezza alimentare nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo. Nelle aree tropicali, il trend delle produzioni frutticole in aumento negli ultimi anni e le esternalità inquinanti a esso connesse, hanno attirato l’interesse della comunità scientifica internazionale, come evidenziato dagli SDGs dell’agenda ONU 2030.
Tra le regioni leader del settore della frutticoltura tropicale l’America Centrale e i Caraibi occupano certamente un posto di rilievo, e in particolare la Repubblica Dominicana e la sua produzione di ananas (346,2 migliaia di tonnellate nel 2019 secondo dati FAO), che rappresenta la seconda frutta tropicale per importanza dopo la banana.

©Francesco Leschi . Repubblica Dominicana, 2019

La collaborazione tra l’Ambasciata Dominicana a Roma e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università degli Studi di Bologna ha consentito di realizzare un periodo di ricerca in Repubblica Dominicana nel periodo settembre – dicembre 2019, per indagare il ciclo di vita della produzione di ananas e le problematiche connesse alla sostenibilità di tale produzione.
Il complesso tema della sostenibilità nelle sue diverse dimensioni è stato affrontato basandosi sul supporto teorico del Life Cycle Thinking, facendo specifico riferimento a metodologie estimative quali: Life Cycle Assessment (LCA) ed Environmental Life Cycle Costing (E-LCC), consentendo di formulare una stima della sostenibilità economica ed ambientale delle diverse fasi del ciclo di vita della produzione di ananas.
Il metodo applicato si basa su un’analisi accurata di tutto il processo di vita della coltura in campo “dalla culla alla tomba”, attribuendo a ciascuna fase che concorre alla creazione del valore nella filiera produttiva dell’ananas, i relativi input ed output.
Grazie al supporto tecnico e logistico dell’imprenditore italiano Fabio Giuntoli, con esperienza trentennale nel settore ananas nel Paese, e il sostegno dell’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo è stata realizzata la raccolta dei dati in campo relativamente all’ultimo trimestre del 2019, individuando come ambito di rilevazione due gruppi di aziende agricole opportunamente selezionate tra le province di Cevicos e Monte Plata. Queste sono state individuate a seguito di un’analisi della distribuzione geografica delle produzioni di ananas nel Paese, estrapolando sette aziende divise in due gruppi omogenei su base regionale e dello sviluppo tecnologico aziendale, rappresentative dell’intero settore ananasicolo dominicano.

La ricerca condotta ha portato all’individuazione dei maggiori hotspot di impatto ambientale ed economico nella produzione di ananas, fornendo un interessante supporto di carattere quantitativo per l’impostazione di un modello produttivo sostenibile.
L’applicazione metodologica è stata condotta distinguendo in tre macrofasi l’intero ciclo di coltivazione dell’ananas:
• semina
• produzione
• raccolta

ciascuna della quale è stata singolarmente oggetto di analisi d’impatto attraverso l’impiego del software SimaPro.

Le categorie d’impatto prese in esame ai fini dell’analisi LCA includono: Climate change, Freshwater eutrophication, Human toxicity cancer e Fossil resource scarcity, selezionate in termini di rilevanza nel contesto scientifico e locale. Per ciascuno dei suddetti indicatori la stima ha rilevato come l’indice di maggior impatto sia determinato dalla macrofase di produzione e, in particolare, dall’uso di composti agrochimici, largamente usati in queste tipologie di piantagioni intensive.
Il confronto dei valori ottenuti dalla ricerca (utilizzando come unità funzionale le porzioni di frutta ottenibili in un ettaro di produzione) con quelli desunti da altri studi reperibili in letteratura, ha consentito di evidenziare come il settore ananasicolo in Repubblica Dominicana realizzi delle performance meno impattanti in termini di emissioni di CO2eq rispetto ad altri contesti mondiali fortemente competitivi, come il Costa Rica.
Di seguito è proposto un grafico riassuntivo, parte di una più ampia analisi dei risultati, dell’incidenza percentuale per ciascuna categoria d’impatto delle fasi di produzione del frutto.

©Francesco Leschi . 2020

Interesse scientifico dei risultati ottenuti
L’approccio estimativo utilizzato nell’analisi rappresenta un modello innovativo nello studio delle coltivazioni agricole tropicali, determinando un contributo particolarmente valido per lo sviluppo di politiche agricole mirate al conseguimento di performance economicamente competitive e sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale. La Life Cycle Assessment e la Environmental Life Cycle Costing presentate nell’elaborato di tesi sono interamente realizzate a partire da dati primari, ovvero raccolti direttamente in campo, con un calcolo accurato di ogni singolo input e output, riferito a ciascuna macro fase di sviluppo della coltivazione di ananas. In particolare, si rileva come la ricerca sul campo abbia permesso di collezionare una mole di dati numerici in riferimento all’uso di agrochimici per la nutrizione e la difesa delle piante, tale da rendere questa LCA un unicum per la letteratura esistente sul tema.

©Francesco Leschi . Repubblica Dominicana, 2019

Possibili ulteriori sviluppi per la ricerca
Il lavoro di tesi, poiché frutto della ricerca e dell’elaborazione condotta direttamente in Repubblica Dominicana, fornisce un ampio set d’informazioni di carattere qualitativo e quantitativo, riferite in modo peculiare alla fase di coltivazione in campo dell’ananas, che costituisce il principale step della value chain del prodotto “frutta fresca” o “trasformato”, distribuito ai consumatori in tutto il mondo.
Un ulteriore ampliamento della ricerca potrebbe consentire di prendere in esame anche dati relativi alla fase di commercializzazione e di esportazione del prodotto fresco verso le mete tradizionali di Europa e Stati Uniti d’America, consentendo in tal modo di adottare compiutamente l’approccio olistico proprio del Life Cycle Thinking, estendendo l’analisi all’intero ciclo di vita del prodotto.
Lo svolgimento del presente lavoro ha permesso di ottenere un quadro dettagliato della produzione ananasicola, approfondendo aspetti ad oggi scarsamente conosciuti; la disponibilità di tali dati potrebbe costituire anche un utile strumento di carattere operativo, a supporto di eventuali interventi politico – normativi legati alla promozione dello sviluppo delle zone rurali della Repubblica Dominicana incentrati sulla coltivazione dell’ananas.
In questa direzione si sta già muovendo un team di ricerca dell’Università di Bologna (DISTAL UniBo), che avvalendosi dei dati quantitativi elaborati nella presente tesi, sta attualmente portando avanti un progetto di ricerca “Analisi del ciclo di vita (LCA) come strumento di supporto per le politiche alimentari e ambientali: il caso della filiera dell’ananas in Repubblica Dominicana”, al fine di offrire al Ministero dell’Agricoltura della Repubblica Dominicana un valido tool kit da cui attingere per intraprendere riforme agricole basate su dati estimativi originati dalla teoria del Life Cycle Thinking.

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L’agronomo 4.0 e la digitalizzazione dell’impresa agroalimentare al tempo del COVID-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagronomo-4-0-e-la-digitalizzazione-dellimpresa-agroalimentare-al-tempo-del-covid-19/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lagronomo-4-0-e-la-digitalizzazione-dellimpresa-agroalimentare-al-tempo-del-covid-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagronomo-4-0-e-la-digitalizzazione-dellimpresa-agroalimentare-al-tempo-del-covid-19/#respond Tue, 09 Jun 2020 14:50:10 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67768 di Calogero Romano

Come possono le PMI agroalimentari italiane difendere le proprie posizioni commerciali sui mercati nazionali e internazionali? Quali approcci bisogna applicare per contenere gli effetti recessivi del COVID-19 sulle imprese agroalimentari?

Una possibile risposta si può trovare nell’esperienza maturata nell’ambito del progetto “PILOT”, che prevede l’applicazione di sistemi di business intelligence1 a un’aggregazione informale di imprese agricole e di trasformazione2 che condividono i valori del rispetto dell’ambiente e realizzano prodotti complementari, biologici (quindi sostenibili) e tracciabili.

Le difficoltà di proporsi al mercato
La commercializzazione del prodotto è una delle problematiche che attanagliano da sempre le PMI del settore agroalimentare.
La vendita Business to Consumers-B2C (Azienda –> Consumatore finale), quale il mercato del contadino, risolve solo in parte i problemi di commercializzazione dei prodotti, a meno che la produzione dell’impresa agroalimentare non sia particolarmente ridotta.
In particolare nelle zone rurali, lì dove il mercato locale è debole e la popolazione in riduzione, per sostenere i processi di creazione del valore è quanto meno auspicabile che la piccola azienda si rivolga ai canali di distribuzione (mercato Business to Business-B2B = Azienda –>Azienda/Rivenditore).
Quanto sopra descritto non è il frutto di una valutazione soggettiva e parziale, riconducibile alle microrealtà imprenditoriali delle zone rurali, ma è un fenomeno di portata ben più ampia che caratterizza le imprese del comparto a livello europeo.
Infatti, se consideriamo i risultati di un’indagine statistica condotta su 468 imprese del settore agroalimentare in Austria, Belgio, Francia, Grecia, Italia, Norvegia, Repubblica Ceca, Spagna, Turchia e Ungheria , emerge un quadro del comparto agroalimentare poco rassicurante: le PMI europee denunciano, in generale, gravi carenze sul marketing operativo e in particolare sull’organizzazione dei canali commerciali, sulla programmazione delle azioni promozionali e una scarsa capacità di agire come price maker (Planning and Implementation nel grafico). A queste carenze, si aggiunge anche l’inadeguatezza dei controlli dei risultati raggiunti (Control and Evaluation), attività divenuta ormai obbligatoria in Italia per tutte le imprese, in seguito al D. Lgs 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza).

Questo potrebbe spiegare il motivo per cui le imprese agricole hanno maggiori difficoltà nel raggiungere un equilibrio di natura economica: in Italia il 29,7% delle imprese agricole, quasi 1 azienda agricola su 3, è in perdita rispetto al dato medio che si attesta al 23,6%..

Trasformazione digitale
Il progetto PILOT intende dare una soluzione ai problemi citati e propone di organizzare le PMI attorno a una figura ancora più evoluta dell’agronomo e del forestale: l’agronomo 4.0.
In questa struttura organizzativa ibrida, le conoscenze, le intuizioni e le relazioni dell’imprenditore agroalimentare vengono tradotte, con l’ausilio dell’agronomo e del forestale, in produzioni sostenibili (non solo a livello ambientale ma anche sotto i profili economico-finanziario) e quindi in programmi, procedure e strumentazioni digitali innovative più efficaci ed efficienti3.
Agronomo 4.0 è una figura professionale in grado di assistere l’impresa non solo nella “progettazione di sistemi di produzione di cibo produttivi, sostenibili, resilienti e trasparenti attraverso l’agricoltura di precisione e o lo sviluppo tecnologico”, ma anche in funzione della loro “commerciabilità” e di una loro sostenibilità economico-finanziaria, condizioni senza le quali non può esistere nessuna impresa.
Le aziende coinvolte in PILOT producono cibi salubri, sostenibili, resilienti e trasparenti e sono state digitalizzate per implementare una politica commerciale che consente loro di dialogare con il mercato nazionale e internazionale, sostenendo i processi di commercializzazione nel rispetto delle condizioni di equilibrio economico e finanziario, così come richiesto dall’art. 375 del D. Lgs 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza)4.
Siamo nell’attuale fase di “trasformazione digitale” delle imprese (De Luca, 2017), periodo in cui gli imprenditori, il management e i responsabili marketing e commerciali utilizzano informazioni ottenute in seguito alle attività di business intelligence5.
Il digitale favorisce la crescita d’impresa, la tecnologia mette a disposizione strumenti di business intelligence, ossia strumenti di gestione in grado di raccogliere, manipolare e analizzare grandi quantità di dati in maniera del tutto istantanea.
Un uso appropriato della tecnologia permette di ottenere vantaggi competitivi che non derivano esclusivamente dal tipo di prodotto o servizio che viene offerto; il processo di digitalizzazione, soprattutto delle piccole imprese, può portare a un cambiamento del tutto positivo del modello di business.
Inoltre, l’utilizzo di strumenti tecnologicamente avanzati, permette una gestione efficace delle vendite, della clientela e di conseguenza, un aumento del profitto aziendale; il digitale, è un valido sostegno per lo sviluppo delle piccole e medie imprese.
Nello specifico, il dottore agronomo e forestale che riesce a domare le nuove tecnologie informatiche, potrà conquistare nuovi spazi di mercato assistendo l’azienda agricola oltre che dal punto di vista agronomico anche dal punto di vista commerciale e strategico, accompagnandola nelle scelte di marketing mix (prodotto, prezzo, distribuzione e promozione) e nelle trattative sia a livello nazionale che internazionale, cosa che con il digitale si può sviluppare direttamente anche dallo studio del professionista.

La valutazione dei risultati
Le tesi di laurea e le ricerche svolte sul campo dai laureandi di due università italiane (UNIMORE di Modena e Reggio Emilia6 e Insubria di Varese7) hanno indagato il business intelligence software MPHIM+, utilizzato anche nell’Incubatore d’impresa attivato dal Dipartimento SAAF dell’Università di Palermo (UNIPA) nel 2017 . I risultati di queste indagini hanno comparato la situazione ex-ante ed ex-post delle imprese che hanno adottato il sistema ibrido riprodotto nel progetto PILOT8 , che può essere così sintetizzata:

Situazione ex-ante

  • marketing operativo inesistente o incompleto;
  • assenza di politiche di discriminazione dei prezzi sul canale;9
  • assenza delle attività di controllo e bassa marginalità.

Situazione ex-post

Con il sistema ibrido e il digitale le imprese sono riuscite a differenziare i prezzi per canale vendita senza perdere di vista la redditività aziendale, valutando le commissioni massime da poter applicare in caso di ricorso alla forza vendita indiretta.

La riconoscibilità del ruolo del dottore agronomo e dottore forestale nel progetto PILOT
La consulenza per la scelta dei programmi colturali e di allevamento, per l’impiego delle migliori tecniche di coltivazione dei terreni agrari e forestali e per l’ottimizzazione del reddito nella gestione aziendale, rappresenta una tra le principali competenze professionali dell’agronomo e del forestale.
Le norme sull’ordinamento della professione che facciano parte delle competenze professionali della categoria “la statistica, le ricerche di mercato, il marketing, le attività relative alla cooperazione agricolo-forestale, alla industria di trasformazione dei prodotti agricoli, zootecnici e forestali ed alla loro commercializzazione, anche organizzata in associazioni di produttori, in cooperative e in consorzi”.
Si tratta della competenza professionale più aderente all’idea di “consulenza aziendale” voluta dall’Unione Europea per dare concreta attuazione alle strategie di sviluppo del settore agro-alimentare, attraverso un’azione di stimolo della competitività che possa permettere agli agricoltori, ai giovani agricoltori, ai silvicoltori, alle PMI operanti nelle aree rurali di migliorare la gestione sostenibile, la performance economica e ambientale delle loro aziende.
Il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale assumerà pertanto, una connotazione sempre più strategica all’interno della PMI agroalimentare italiana, favorendo il passaggio dall’impresa monocratica a una organizzazione ibrida nella quale l’imprenditore, attraverso l’assistenza del professionista, può contare su un valido supporto in relazione alle scelte che potranno decretare il successo o l’insuccesso dell’iniziativa economia.

Foto di Elevate

Il progetto PILOT al tempo del COVID-19: da progetto “pilota” a “covid business center” per le imprese agroalimentari.
Non posso ignorare in quest’articolo, gli eventi connessi all’emergenza pandemica che ha travolto l’Italia e il mondo intero, obbligandoci ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica senza pari, almeno a memoria d’uomo.
I recenti fatti hanno dimostrato che le aziende capaci di contenere gli effetti della recessione da COVID-19 sono state quelle in grado di mettere in campo risposte immediate e spesso anche radicali.
Tra le aziende aderenti al PILOT, si segnalano le seguenti azioni di contrasto alla recessione da COVID-19:

  • l’azienda agricola Famiglia Ferraro s.s. dedita alla coltivazione di grano duro antico per la successiva trasformazione in farina, ha ingegnerizzato una nuova combinazione di marketing mix per un produttore di biscotti che opera sui mercati internazionali e un nuovo blend per i panifici;
  • il produttore di birra artigianale “Agrifarm Incaria”, che opera sul canale hotel, restaurant e catering (Ho.Re.Ca), tra i settori maggiormente colpiti dalla recessione anche in seguito al periodo di lockdown, ha implementato un sito e-commerce per raggiungere direttamente il consumatore finale;
  • l’azienda agricola Romano, altra impresa aderente al PILOT, anch’essa operante, anche se in misura non prevalente, sul canale Ho.Re.Ca, ha messo in esecuzione un sito e-commerce B2C per contenere la riduzione delle vendite sul cliente “ristorante”.
    Questo è stato possibile grazie all’utilizzo del digitale che ha permesso di reingegnerizzare in maniera rapida ed efficace il modello di business delle imprese aderenti al PILOT, ottimizzando al contempo le risorse disponibili.

A dimostrazione dell’estrema attualità del progetto PILOT, si cita il recente protocollo d’intesa tra il Dipartimento SAAF dell’Università di Palermo10, MPHIM+, la società Progetti e Finanzia Italia Srl e gli ordini Provinciali dei Dottori Agronomi e Forestali delle Provincie di Agrigento, Caltanissetta, Palermo e Trapani, per l’attivazione di un incubatore d’impresa denominato ESCUBE+ COVID-19 sorretto da un team di assistenza alle PMI del comparto agroalimentare, composto dai laureandi e dai Dottori Agronomi e Dottori Forestali, in grado di prestare assistenza a 20 aziende del settore agroalimentare.
L’obiettivo del progetto è quello di sostenere e facilitare nelle aziende aderenti l’adozione di nuovi modelli di business in grado di fronteggiare lo shock di domanda causata dalla recessione da COVID-19, assicurando la continuità aziendale.
In ultima analisi, è utile sottolineare, alla luce dei recenti risvolti dell’economia nazionale, quanto sia importante completare il percorso iniziato da CONAF in Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati appena un anno fa, con la richiesta di inserimento della figura professionale dei dottori agronomi e dottori forestali negli albi e nei registri per la gestione delle aziende in crisi, in modo che si possa dare il nostro contributo anche in materia di risk management e soprattutto nelle imprese agroalimentari, in questo momento particolarmente delicato per il nostro paese.

  • l’azienda agricola Famiglia Ferraro s.s. dedita alla coltivazione di grano duro antico per la successiva trasformazione in farina, ha ingegnerizzato una nuova combinazione di marketing mix per un produttore di biscotti che opera sui mercati internazionali e un nuovo blend per i panifici;
  • il produttore di birra artigianale “Agrifarm Incaria”, che opera sul canale hotel, restaurant e catering (Ho.Re.Ca), tra i settori maggiormente colpiti dalla recessione anche in seguito al periodo di lockdown, ha implementato un sito e-commerce per raggiungere direttamente il consumatore finale;
  • l’azienda agricola Romano, altra impresa aderente al PILOT, anch’essa operante, anche se in misura non prevalente, sul canale Ho.Re.Ca, ha messo in esecuzione un sito e-commerce B2C per contenere la riduzione delle vendite sul cliente “ristorante”.
    Questo è stato possibile grazie all’utilizzo del digitale che ha permesso di reingegnerizzare in maniera rapida ed efficace il modello di business delle imprese aderenti al PILOT, ottimizzando al contempo le risorse disponibili.
A dimostrazione dell’estrema attualità del progetto PILOT, si cita il recente protocollo d’intesa tra il Dipartimento SAAF dell’Università di Palermo , MPHIM+, la società Progetti e Finanzia Italia Srl e gli ordini Provinciali dei Dottori Agronomi e Forestali delle Provincie di Agrigento, Caltanissetta, Palermo e Trapani, per l’attivazione di un incubatore d’impresa denominato ESCUBE+ COVID-19 sorretto da un team di assistenza alle PMI del comparto agroalimentare, composto dai laureandi e dai Dottori Agronomi e Dottori Forestali, in grado di prestare assistenza a 20 aziende del settore agroalimentare.
L’obiettivo del progetto è quello di sostenere e facilitare nelle aziende aderenti l’adozione di nuovi modelli di business in grado di fronteggiare lo shock di domanda causata dalla recessione da COVID-19, assicurando la continuità aziendale.
In ultima analisi, è utile sottolineare, alla luce dei recenti risvolti dell’economia nazionale, quanto sia importante completare il percorso iniziato da CONAF in Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati appena un anno fa, con la richiesta di inserimento della figura professionale dei dottori agronomi e dottori forestali negli albi e nei registri per la gestione delle aziende in crisi, in modo che si possa dare il nostro contributo anche in materia di risk management e soprattutto nelle imprese agroalimentari, in questo momento particolarmente delicato per il nostro paese. ]]>
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Innovazione attraverso la chimica: prospettive per la produzione olearia //www.agronomoforestale.eu/index.php/innovazione-attraverso-la-chimica-prospettive-per-la-produzione-olearia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=innovazione-attraverso-la-chimica-prospettive-per-la-produzione-olearia //www.agronomoforestale.eu/index.php/innovazione-attraverso-la-chimica-prospettive-per-la-produzione-olearia/#respond Sun, 31 May 2020 10:59:39 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67752 di Giulia Vicario, PhD student, Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore S. Anna

Il mondo agroalimentare è strettamente legato a quello della chimica. Il recente sviluppo di metodiche e protocolli analitici offre molte prospettive per vari settori, incluso quello dell’olivicoltura. L’utilizzo di tecniche sempre più avanzate e accurate permette di valorizzare prodotti tipici del territorio italiano (come l’olio extravergine di oliva) e contribuisce a fornire strumenti per migliorare la produzione, specialmente in termini qualitativi.

L’articolo sintetizza i risultati della Laurea magistrale in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti, Università di Pisa
Vicario G. Near UV-Vis and NMR spectroscopic analysis of Tuscan extra-virgin olive oils .


La chimica dell’olio
L’olio extra-vergine d’oliva (EVOO) è un alimento ampiamente utilizzato e conosciuto in tutto il mondo per sue proprietà organolettiche e benefiche per la salute. La qualità complessiva dell’olio è strettamente legata alla composizione chimica. L’elevato contenuto in acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e la presenza di specifiche componenti minori sono infatti le peculiarità di questo prodotto.
Tra le componenti minori, i pigmenti conferiscono la tipica colorazione dell’olio d’oliva, variabile dal verde al giallo-arancio: le clorofille (A e B) e le feofitine (A e B, derivate dalle rispettive clorofille) sono responsabili del colore verde, ben evidente alla frangitura, mentre i carotenoidi (principalmente luteina e β-carotene) sono responsabili delle tonalità giallo-arancio. Gli stessi carotenoidi sono importanti antiossidanti e il β-carotene è anche precursore della vitamina A, fondamentale per la vista e per la prevenzione di patologie neurodegenerative. Nonostante nelle analisi sensoriali ufficiali non si consideri il colore dell’olio, è noto che la scelta dei consumatori è influenzata da questo parametro. Non solo, anche la durabilità del prodotto dipende dal contenuto iniziale di pigmenti.
Il tipico aroma dell’olio, soprattutto le note gustative di amaro e piccante, dipendono invece dalla componente fenolica, tra cui i secoiridoidi. Oleuropeina e ligstroside sono secoiridoidi presenti nell’oliva che al momento della frangitura vengono convertiti in secoiridoidi strutturalmente più semplici come i rispettivi agliconi, oleocantale e oleacina (appartenenti anch’essi alla medesima famiglia di composti), responsabili delle note gustative di certi oli. Negli ultimi anni, i secoiridoidi dell’olio sono stati oggetto di particolari attenzioni nel mondo della ricerca in quanto molecole biologicamente attive. Per esempio, l’oleocantale è stato riconosciuto come un antinfiammatorio non steroideo (simile all’ibuprofene nel meccanismo di azione) importante nella prevenzione di patologie croniche, come quelle cardiovascolari, e di alcune tipologie di cancro.

L’origine della qualità
I fattori che influenzano la qualità finale dell’olio d’oliva possono essere molti, inerenti sia alla produzione della materia prima (olive), sia al processo tecnologico di trasformazione.
In merito alla produzione primaria, fattori determinanti sono:
• la cultivar di olivo,
• l’area geografica,
• la presenza di infestazioni,
• le pratiche agronomiche (fertilizzazione del suolo, irrigazione),
• il periodo di raccolta
• il metodo di raccolta.

Considerata pertanto l’alta variabilità del territorio ove è diffusa la coltura dell’olivo, l’analisi approfondita di oli extravergini di oliva di elevata qualità è di fondamentale importanza. Il ruolo della cultivar di olivo è ormai ben noto nel mondo scientifico: l’espressione di particolari enzimi coinvolti nella degradazione di pigmenti o composti fenolici è strettamente dipendente dal genotipo. L’epoca di raccolta, unitamente ai fattori climatici che caratterizzano le varie aree geografiche ove è localizzata la coltura dell’olivo, è ugualmente determinante per la qualità del prodotto finito. La degradazione dei pigmenti responsabili del verde (principalmente clorofille) è tanto più pronunciata tanto più si procede nella maturazione. La presenza della mosca può invece compromettere la qualità in termini di composti fenolici, con diminuzione nel contenuto di agliconi dell’oleuropeina e del ligstroside.

Foto di pau_noia0–603982

Tecniche innovative per caratterizzare l’olio
L’utilizzo di tecniche innovative, come la spettrofotometria vicino ultravioletto-visibile (UV-Vis) e la spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), permette una più ampia e dettagliata caratterizzazione dell’olio.
Il funzionamento dell’analisi UV-Vis è piuttosto intuitivo: quando una molecola è irradiata con una radiazione in un certo intervallo di lunghezza d’onda λ (nel caso della spettrofotometria UV-Vis tra 100 e 720 nm), gli elettroni passano dallo stato fondamentale allo stato eccitato in un processo detto assorbimento. L’assorbimento è direttamente proporzionale alla concentrazione di molecole presenti nel campione e quindi è semplice calcolarne la quantità presente.
Questa tecnica è utilizzata comunemente per la valutazione del quantitativo di dieni e trieni coniugati (molecole derivanti dall’ossidazione degli acidi grassi) nell’olio d’oliva che assorbono a specifiche lunghezze d’onda, rispettivamente a 232 e 270 nm.
Attraverso un approccio innovativo basato sulla deconvoluzione degli spettri UV-Vis degli oli (tra 390 e 720 nm), è inoltre possibile quantificare il contenuto in pigmenti (clorofille, carotenoidi e derivati). Poiché questa misura è ottenuta mediante un sistema rapido e, soprattutto, non distruttivo, è possibile acquisire gli spettri più volte nel tempo per valutare l’evoluzione del contenuto in pigmenti in condizioni di conservazione controllate.
Le basi teoriche della spettroscopia NMR sono, invece, molto più complesse: il segnale registrato deriva infatti dall’interazione di atomi specifici (come idrogeno, 1H, e carbonio, 13C, ampiamente diffusi in natura) con la radiazione in presenza di un campo magnetico.
In una molecola, ogni atomo non si trova isolato, ma legato ad altri atomi, più o meno simili: la differenza dell’intorno chimico permette di distinguere un segnale NMR derivante dall’atomo di una molecola da quello derivante da un altro atomo, o da una molecola differente. L’analisi 1H NMR può essere eseguita sia su campioni di olio tal quali, sia su specifici estratti. L’analisi degli estratti è molto informativa e permette di quantificare alcuni composti fenolici (oleacina, oleocantale, agliconi dell’oleuropeina e del ligstroside).

Foto di Hans–2

I risultati della ricerca
Queste tecniche sono state impiegate nella caratterizzazione di alcuni oli toscani ottenuti nello stesso frantoio, nelle medesime condizioni e ugualmente sono stati conservati, pertanto le differenze riscontrate dipendono da fattori inerenti alla materia prima.
Essendo le olive appartenenti alla medesima cultivar (Frantoio) e alla stessa stagione produttiva, i fattori che possono avere influenzato le differenze e la qualità sono legati al territorio (altitudine degli oliveti), alla presenza di infestazioni (per esempio la mosca dell’olivo) e all’epoca di raccolta. Durante la maturazione, infatti, il contenuto in pigmenti ed in fenoli diminuisce progressivamente e le proporzioni tra i diversi componenti possono cambiare.
Nello studio condotto è stato osservato che il posticipare l’epoca di raccolta, ossia avere elevati indici di pigmentazione delle olive, può garantire una resa adeguata (sostanza grassa nelle olive tra il 20-30%), ma comporta una riduzione nel contenuto totale in pigmenti ottenendo prodotti meno stabili nel tempo e qualitativamente inferiori in termini nutrizionali. Inoltre, ripetendo la misura è stato osservato che il contenuto in pigmenti diminuisce progressivamente, nonostante le corrette condizioni di conservazione (temperatura controllata e assenza di luce).
Nello studio svolto, la quantificazione attraverso metodologie tradizionale dei fenoli totali e l’analisi sensoriale degli EVOO è stata affiancata all’analisi NMR. Nonostante i campioni analizzati provenissero da un’area geografica limitata, sono state osservate differenze non solo nel contenuto in fenoli totali, ma anche nella proporzione delle specifiche componenti (soprattutto oleocantale e agliconi totali). Queste differenze sono osservabili anche nel profilo sensoriale, con un maggior grado di amaro e piccantezza negli oli aventi un quantitativo maggiore di fenoli totali e, nello specifico, di agliconi. Inoltre, l’olio che mostra un elevato contenuto in fenoli mostra anche un più elevato contenuto in pigmenti totali suggerendo che prodotti qualitativamente migliori sono generalmente più ricchi in componenti minori.
In conclusione, i risultati ottenuti con l’impiego di tecniche innovative hanno dimostrato che è possibile rivelare differenze significative anche tra oli aventi una storia molto simile, sia in termini geografici, sia in termini di processo tecnologico. Risultati che permettono di ricondurre tali differenze a fattori inerenti la natura e la gestione dell’oliveto.
Una serie di informazioni che potrebbero tradursi in campo, indirizzando il processo produttivo, grazie anche ai tempi relativamente brevi e ai costi contenuti (soprattutto considerando per l’analisi dei pigmenti) per ottenerle.
Con un ampliamento del numero di campioni analizzati e la valutazione dei medesimi parametri in diverse annate, si potrebbero anche generare modelli di previsione del profilo chimico e sensoriale dell’olio in base alla gestione dell’oliveto in termini di pratiche agronomiche (come l’irrigazione) e all’epoca di raccolta, parametro che sembra cruciale nella determinazione del contenuto in componenti minori. I risultati ottenuti sono preliminari ma dimostrano come l’unione di più aree scientifiche, quella dell’agronomia, delle tecnologie alimentari e della chimica, possa essere estremamente importante per la messa a punto di nuove metodiche ed il loro successivo trasferimento tecnologico. Allo stesso modo, è cruciale la sinergia costante di contesti diversi, quello accademico e quello produttivo, soprattutto per lo studio degli effetti delle condizioni reali di campo.


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Microgreens: giovani e teneri ortaggi //www.agronomoforestale.eu/index.php/microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi //www.agronomoforestale.eu/index.php/microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi/#comments Tue, 25 Feb 2020 06:05:48 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67498 Questo articolo racconta il progetto vincitore del 1° premio 2020 “Dottore agronomo e dottore forestale, progettista del cibo sostenibile”.

1° PREMIO
Nome vincitore: Veetaste Urban Agriculture
Titolo: “Coltivazione indoor di microortaggi

Descrizione progetto: Urban vertical farm è un progetto per coltivare alimenti innovativi di elevata qualità. Coltivando piccole piante si soddisfa la richiesta di alimenti crudi della nouvelle vague culinaria, con prodotti che impiegano il 90% in meno di acqua, non hanno bisogno di agrofarmaci né di fertilizzanti.
Motivazioneper avere coniugato il mondo della ricerca, le richieste del mercato e le esigenze di sostenibilità ambientale

 

Piccoli, nutrienti, gustosi e belli. I microortaggi, consumati principalmente come alimenti crudi, rappresentano un nuovo prodotto dell’orticoltura.
Da un punto di vista di mercato, essi rappresentano una nicchia alimentare in espansione, in cui l’Europa può candidarsi a diventare l’area con la maggiore quota di mercato grazie al crescente progresso tecnologico dell’agricoltura continentale.
Non solo, coltivare microortaggi offre benefici sia per il consumatore (le maggiori qualità organolettiche del prodotto), che per il coltivatore che può valorizzare le caratteristiche produttive e i bassi costi di impianto, ottenibili grazie a un sistema di coltivazione indoor e in “miniatura”.

Conosciamo i microgreen
L’insieme dei micro ortaggi, o microgreen in inglese, racchiude tutte quelle piantine commestibili di specie orticole, specie erbacee ed erbe aromatiche, raccolte e consumate allo stadio di foglie cotiledonari.
Si tratta di un prodotto diverso dai più noti germogli poiché, considerando la fase vegetativa, il ciclo di crescita è più lungo (circa 7-30 giorni a seconda della specie), così che la parte commestibile è composta dallo stelo, dalle foglie cotiledonari e, per alcune specie, dalle prime vere foglie emergenti.

Quali specie sono più vocate?
Non esistono piante vocate a diventare microortaggi ma, un aspetto che li rende sicuramente interessanti, è quello di utilizzare specie che siano il più possibile colorate (dal verde, al rosso, al giallo e con venature) e, magari, che abbiano forme e dimensioni diverse. Tutte queste particolarità riescono oltremodo ad abbellire il piatto di chi le utilizza ai fini estetici.
È importante, però, ricordare di controllare sempre la commestibilità delle piante utilizzate allo stadio di micro ortaggio, per esempio alcune specie di ortaggii della famiglia delle solanacee, in questo stadio, posseggono un elevato contenuto di solanina e risultano quindi non commestibili.

Piccoli ma superfood
In Italia, il prodotto è conosciuto e utilizzato unicamente nella cucina gourmet per esaltare la “bellezza” del piatto. In realtà queste piccole piantine sanno essere un ingrediente innovativo e speciale, capace di esaltare i piatti al di là dell’estetica, aggiungendo gusto (i microortaggi arricchiscono le pietanze con sapori inconfondibili, dal dolce al salato, passando per lo speziato e il piccante) e soprattutto incrementando il profilo nutrizionale.
Confrontandoli con gli ortaggi giunti a maturazione completa, i microgreen si sono guadagnati l’appellativo di super food o di alimenti funzionali per il maggiore contenuto di minerali (Ca, Mg, Fe, Mn, Zn, Se, Mo), di vitamine e dei loro precursori (α-tocoferolo/vitamina E, β-carotene/pro-vitamina A, acido ascorbico/ vitamina C e fillochinone/itamina K1) e di sostanze bioattive quali antiossidanti fenolici, antociani, glucosinolati e carotenoidi.
In una recente ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Agroambientali e Territoriali dell’Università di Bari, i composti bioattivi nei microortaggi di Brassica sono risultati più ricchi di antiossidanti fenolici e con maggiori quantità di α-tocoferolo e carotenoidi rispetto alle verdure mature. Broccoli e lattuga (Lactuca sativa L. Group crispa, cultivar ‘Bionda da taglio’) hanno mostrato le maggiori quantità di vitamina E, mentre le Asteraceae hanno presentato i più alti livelli di carotenoidi.
A puro titolo esemplificativo si possono confrontare i valori delle vitamine C, E, e K di un microcavolo rosso rispetto all’ortaggio adulto giunto all’epoca di maturazione, arrivando a concludere che sono rispettivamente più elevate di 6 volte (vitamina C), 400 volte (vitamina E), 60 volte (vitamina K). Da ciò può facilmente discendere che è sufficiente l’assunzione di quantità notevolmente inferiori di prodotto per avere le dosi giornaliere raccomandate di queste tre vitamine. Per completare l’esempio, prendendo un adulto di peso medio, basterebbero 15g di microravanello per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina E, 41g di microcavolo rosso per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina C e 17g di amaranto per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina K.

Produrre in città
Da oltre 10 anni il prof. Despommier propone le Vertical Farm quale soluzione per garantire cibo a tutti, partendo dall’osservazione dei dati stimati dall’ONU che riguardano la crescita della popolazione mondiale che si stima raggiungerà i 9 miliardi di abitanti nel 2050. Secondo lo studioso questa è l’unica via per ovviare al problema della riduzione superficie agricola utile (SAU): circa l’80% dei terreni disponibili per l’agricoltura sono già stati usati, mentre il restante 20% non sarà sufficiente per soddisfare una popolazione con tale trend di crescita.

Attraverso le Vertical Farm, quindi, diventa possibile reinserire all’interno delle città quella parte produttiva che ha subìto un processo di esilio progressivo: negli anni le città si sono trasformate in centri di servizi escludendo totalmente la produzione alimentare dal disegno urbanistico. Un sistema di colture che può essere realizzato in qualsiasi tipo di edificio, riuscendo a produrre a km 0, in un ambiente pressoché sterile e lontano dalle fonti di contaminazione, così da controllare l’impiego di agrofarmaci e fertilizzanti e conseguentemente eliminare la loro dispersione in ambiente.
Ecco che il ridotto consumo di energia, di spazio, di acqua e il non impiego di alcuna sostanza chimica di sintesi, rendono i microgreen un cibo altamente sostenibile e con una ridotta impronta ambientale, se confrontato con i prodotti dell’agricoltura tradizionale, a parità di quantità di apporti nutrizionali.

Un progetto innovativo e sostenibile
Il progetto che ha dato vita alla Veetaste Urban Agriculture, la prima fattoria verticale a Bari, nasce nel 2017 con l’intenzione di inserirsi nel mercato nazionale del settore, che al momento è dominato dai produttori olandesi.
All’interno di un piccolo spazio chiuso di circa 30mq, la “Urban Vertical Farm” è composta da scaffalature, luci a led a bassissimo consumo energetico, un impianto di condizionamento, ventilazione e deumidificazione, un sistema di controllo a distanza per la temperatura e l’umidità.
Sulle scaffalature sono disposti i letti di coltivazione delle plantule, che crescono su torba e fibra di cocco “bio” per poi essere distribuite unitamente al loro letto di crescita, in modo che il taglio avvenga poco prima dell’utilizzo finale.
La coltivazione indoor offre il vantaggio di impiegare circa il 90% in meno di acqua per l’irrigazione, rispetto a una coltura tradizionale, e il sistema “controllato” consente di non usare agrofarmaci o erbicidi sulle colture, ottenendo un prodotto non semplicemente biologico ma senza tracce di inquinanti al suo interno.
L’innovatività di questo progetto è valorizzata dalla progettazione dell’impianto, con spazi estremamente ridotti ma studiati per ottimizzare produttività e cicli di coltivazione. Gli spazi fisici sono stati compressi fino a consentire la coltivazione di oltre 60 varietà e rispettando i loro cicli di crescita ridotta. A questo aspetto dello studio si è poi aggiunta la scelta della composizione dei substrati, la modalità di irrigazione, l’altezza delle scaffalature pensata per ottimizzare l’insolazione delle prime foglioline cotiledonari, il sistema di illuminazione, il packaging, l’alternanza della luce e del buio nella fase di germinazione: tutte variabili che, unitamente alle prove, hanno permesso di creare un prodotto di altissima qualità.

Il futuro del progetto
Il progetto ha la forza di essere altamente replicabile e soprattutto di poter essere realizzato con un uso limitato di risorse. Il know-how acquisito sarà utilizzato per potersi affacciare su altri mercati e su nuove forme di collaborazione nazionale e internazionale, per poter espandere la rete delle Vertical Farm.
I microortaggi non sostituiranno mai i loro fratelli maggiori, gli ortaggi tradizionali, ma sapranno affiancarsi a essi nei piatti, per renderli ancora più salutari, nutrienti, gustosi e belli.

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