Agronomia Urbana – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Fri, 09 Aug 2024 14:28:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Il caso dell’urbanistica di genere //www.agronomoforestale.eu/index.php/urbanistica-verde-genere/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=urbanistica-verde-genere //www.agronomoforestale.eu/index.php/urbanistica-verde-genere/#respond Fri, 30 Aug 2024 06:51:57 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68549 Come si progetta una città inclusiva? E, nello specifico, è pensabile lavorare affinché ci sia un’inclusività legata al genere?
Finalmente, anche a livello politico e non solo per le persone comuni, sta emergendo la necessità di far crescere la qualità della vita nelle città, rendendole accoglienti per tutti i bisogni e per tutte le tipologie di cittadini. In questo senso, come dottori agronomi e dottori forestali che si occupano di progettare gli spazi verdi, abbiamo proposto numerose best practice che hanno dimostrato inventiva e raggiunto apprezzabili successi.

Al lavoro da 40 anni
Dagli anni Ottanta, la Facoltà di Agraria di Bologna ha introdotto la paesaggistica dei parchi e giardini nel percorso di formazione dei dottori agronomi e forestali. Sono passati circa 40 anni, ma in questi decenni come professionisti abbiamo ottenuto meno visibilità di quanto meritiamo nelle attività di progettazione dello spazio urbano della città.

Si tratta di attività che, partendo dalle conoscenze tecniche, quando applicate con competenza definiscono un indirizzo politico, di guida alla pianificazione urbana delle città. Anche se sottotraccia, però, in questi quattro decenni abbiamo saputo passare da una progettazione a piccola scala dei giardini a quella di area vasta a livello territoriale.

La prossima sfida

Progettare una “città verde” inclusiva e rispettosa del genere è la prossima sfida che ci vede protagonisti.

Le città, infatti, vivono solo se offrono spazi pubblici, quali giardini, parchi, alberate stradali, piazze (ricche di vegetazione), che permettono di essere fruiti in tutta sicurezza da tutti, anche dalle fasce più fragili. Accanto alle conoscenze tecniche, più che necessarie, deve esserci l’analisi di come le cittadine e i cittadini, donne, uomini, anziani, bambine e bambini vivono la città, di come si spostano, di come creano e intessono relazioni. Ne consegue un legame forte tra la progettazione delle infrastrutture verdi e il tema viabilità e mobilità pedonale e ciclabile all’interno e all’esterno degli spazi verdi pubblici.

Le donne, per esempio, se da un lato utilizzano maggiormente lo spazio urbano pubblico, dall’altro risultano particolarmente attente alla sicurezza dei luoghi. Ecco che queste due semplici constatazioni possono, anzi devono, diventare un driver nella realizzazione delle infrastrutture verdi urbane a misura di tutti.

Dato statistici e analisi di contesto

Quando si parla di urbanistica di genere, si parla di un approccio alla pianificazione urbana che deve tenere conto delle differenze nello sviluppo e gestione degli spazi aperti urbani, con scelte tecniche che portino a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne.

Sono numerosi gli studi fatti in tante città europee, come Barcellona, Oslo, Vienna, Stoccolma, ma anche italiane, come Milano e Bologna che, partendo da dati statistici raccolti tramite interviste e questionari e dall’analisi del contesto hanno portato allo sviluppo di progetti urbanistici che contribuiscono a ridurre le diseguaglianze, con una particolare attenzione alla sicurezza delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

Questi studi hanno migliorato la comprensione di come le donne si muovono nelle città, quali spazi attraversano nella quotidianità e quali elementi le fanno sentire maggiormente sicure. La conseguenza di questi studi è che si può progettare spazi verdi offrendo soddisfazione a bisogni specifici e facendo crescerne la fruizione.

Mobilità

Le donne e gli uomini si muovono nelle città in modo differente. Sono ancora una volta i dati (Bloomberg NEF) che ci indicano come molte città europee stanno lavorando per modificare la mobilità e i trasporti, per avere città meno inquinate e ridurre il traffico, ma anche per renderle più inclusive e attente alla mobilità di genere.

Mentre gli uomini si muovono maggiormente in auto e in modo lineare, lungo le arterie stradali principali, la mobilità al femminile è meno diretta: le donne usano più spesso i mezzi pubblici o la bicicletta e camminano più spesso, attraversano la città per tratti spesso più brevi, più frequenti nella giornata e con un maggior numero di soste. Uno dei motivi è che le donne, oltre al lavoro, si spostano per portare i bambini e le bambine a scuola, per riprenderli, per fare la spesa, per andare al parco, e quindi hanno esigenze più complesse.

Già oggi, città come Parigi hanno sposato il concetto della “città dei 15 minuti”, a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici per muoversi nella città. E se Parigi, così come le città citate prima, ragionano su percorsi ciclopedonali che attraversano la città, le nostre città italiane spesso medio/piccole possono davvero lavorare su un ridisegno della mobilità dolce a favore della uguaglianza di genere. Una città che si muove avendo a cuore le esigenze delle donne, è una città che pensa alle esigenze di tutti.

La qualità urbanistica con gli spazi verdi

Per un’urbanistica inclusiva, in una città dove si vive e si “respira” bene, si deve pianificare, progettare e prendersi cura degli spazi verdi, dai piccoli giardini ai grandi parchi, dalle strade alberate, alle piazze urbane.
Le piazze devono cambiare volto, avere un’alta presenza di vegetazione e spazi interconnessi che si sviluppino in una rete ecologica continua, integrata con percorsi ciclopedonali che conducono ai luoghi di socialità, di lavoro, delle scuole, delle aree commerciali, realizzando un tessuto urbano armonioso.

Dottori agronomi e dottori forestali, nella progettazione degli spazi verdi, sanno scegliere correttamente le specie maggiormente idonee al contesto: ci sono alberi in grado di fare ombra e di sopportare periodi lunghi di siccità, anche invernale; oppure piante a crescita rapida, se dobbiamo progettare spazi dove non abbiamo vegetazione e dove le isole di calore sono elementi di malessere per le persone; ci sono alberi in grado di sopportare le piogge intense, le così dette “bombe d’acqua”. Senza trascurare i progetti di depavimentazione a favore dell’inserimento di vegetazione e drenaggi urbani o rain garden.

Ora però serve un passaggio di scala della progettazione, dal singolo giardino o parco a quella urbana della intera città. L’obiettivo finale deve portare a realizzare città verdi, continue quasi che, se le vedessimo dall’alto, sparirebbero visivamente le aree edificate e la viabilità diventerebbe una trama continua di un mantello verde.
Ecco che la nuova scala di progettazione deve confrontarsi con la distribuzione nello spazio delle masse di alberi, arbusti, prati, aree di sosta, aree ludiche e sportive e con il loro disegno.

Sicurezza di genere

Non è sufficiente che gli spazi verdi siano connessi tra loro. Per incrementarne l’uso è necessario avere luoghi vissuti nella loro pienezza, che devono essere percepiti come sicuri a tutte le ore del giorno e della notte.

Ne consegue che, soddisfando la richiesta di sicurezza e di inclusione dello spazio pubblico manifestato dalle donne, si fa crescere il senso di sicurezza in tutta la cittadinanza, al di là del genere e della fascia di età. E sì avvia un effetto virtuoso sullo spazio pubblico, che diventa vitale e si trasforma in luogo della collettività, accrescendo l’attrattività, che origina una maggiore sicurezza, che ne incentiva ulteriormente l’utilizzo.

Per questo motivo, affrontare la sicurezza di genere nei progetti urbani pubblici che includono i parchi, le piazze, i giardini richiede un approccio olistico.

Nella progettazione bisogna immaginare luoghi sempre illuminati, anche di notte; lungo i percorsi, nelle aree di sosta e gioco, si dovrà fare attenzione a massimizzare la visibilità per agevolare la “sorveglianza naturale”.
Questo significa, per i dottori agronomi e dottori forestali, progettare spazi aperti e “trasparenti” che permettano alle persone di essere viste e a loro volta di vedere oltre il luogo di sosta o di percorrenza. Ecco che all’adeguata scelta delle specie e alla distribuzione delle masse arbustive e delle strutture aggiunge una variabile: non basta che siano piante adatte a resistere alle caratteristiche del posto e alle sfide del cambiamento climatico in atto, ma si deve evitare che possano creare luoghi interclusi e bui.

Equità sociale

Una città verde, inclusiva, attenta al genere femminile, agli anziani e ai bambini e alle bambine è anche una città equa, dove il verde diviene motore di armonizzazione sociale.

Le città vanno ridisegnate, portando aree verdi diffuse in tutti i quartieri, poiché la presenza di parchi e giardini, piste ciclopedonali, alberate stradali non siano un privilegio di alcune fasce sociali.

Le parti delle città dove il verde è maggiormente diffuso sono le aree anche più costose come valori immobiliari, e che negli anni hanno creato differenze sociali portando le diverse zone delle città a non dialogare tra loro. Nelle ‘nuove’ città la regola 3-30-300 (3 alberi che si vedono dalla finestra di ogni casa, 30% di copertura arborea in ogni quartiere e non più di 300 m per raggiungere un’area verde dalla propria abitazione) dev’essere ubiquitaria, perché una città verde significa vita e salute.

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Valutazione fitostatica degli alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=valutazione-fitostatica-degli-alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/#respond Fri, 16 Jun 2023 06:34:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68397

Edoardo Raccosta.
Laureato nel settembre del 2022 in Progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio, la sua tesi sperimentale ha avuto l’obiettivo di confrontare diversi approcci strumentali al fine di verificare le condizioni di stabilità e la propensione al cedimento di alberi a cui era stato interrato il colletto.

Il verde urbano fornisce molteplici benefici e servizi ecosistemici alle città e alla popolazione riducendo le emissioni di inquinanti antropici, favorendo l’aggregazione sociale, migliorando la salute mentale, incrementando il valore economico di beni immobili e aumentando la biodiversità presente nell’ecosistema urbano. Nell’attuale scenario di cambiamento climatico, gli effetti della presenza delle piante, per esempio sulla regolazione della temperatura, sull’intercettazione delle acque meteoriche (in particolare nel caso di “bombe d’acqua”) e sulla riduzione della velocità del vento, sono di grande importanza per la vita e il benessere delle persone che vivono negli agglomerati urbani. Tuttavia, si devono creare i presupposti giusti affinché le essenze vegetali presenti nelle nostre città esplichino le loro attività biologiche nel migliore dei modi.

39 alberi, un viale: il caso studio

Figura 1. Ricostruzione schematica dei possibili lavori di livellamento della sede stradale eseguiti sul Viale delle Piagge.

Il caso studio preso in esame è rappresentato dal Viale delle Piagge (Pisa), realizzato in seguito ai lavori di sistemazione del nuovo argine che aveva come scopo primario il contenimento dell’Arno nei periodi di piena. Sul viale sono presenti circa seicento esemplari arborei disposti in un doppio filare a prevalenza di tigli nostrani (Tilia platyphyllos), molti dei quali si ipotizza che siano stati messi a dimora subito dopo il completamento dei lavori dell’argine e quindi del viale, risalente alla seconda metà dell’800. Ad oggi, è uno dei luoghi più frequentati e amati, presentandosi indubbiamente come uno dei “polmoni verdi” della città che necessità però di una gestione attenta affinché questa infrastruttura non si trasformi in una minaccia.
Negli ultimi anni, si stanno verificando diversi casi di crolli dei tigli presenti sul viale, con annessi danni a edifici residenziali; le piante sono state interessate da rotture al colletto o ribaltamenti improvvisi. Osservando attentamente gli alberi a dimora e analizzando le dinamiche dei crolli si è notato l’assenza di contrafforti alla base del fusto (nel genere Tilia si manifestano in modo tipico e naturale, specialmente in piante mature) probabilmente imputabili a lavori di livellamento della sede stradale eseguiti negli scorsi decenni, che hanno apportato nuovo terreno (soprattutto nelle porzioni esterne del viale). Ciò ha determinato il progressivo interramento dei colletti e dei contrafforti delle piante a dimora con conseguenti ristagni idrici, elevata umidità e talvolta asfissia (Figura 1). Tutte condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo di agenti patogeni fungini i quali determinano marciumi radicali estendendosi anche al colletto e compromettendo la stabilità delle essenze arboree.

Figura 2. Prova di trazione controllata in fase di svolgimento.

L’obiettivo di questa tesi di laurea è stato quello di condurre opportune indagini fitostatiche per valutare la stabilità di 39 alberi di un tratto del Viale delle Piagge situati nei filari esterni, molti dei quali non presentano contrafforti a causa, probabilmente, dei lavori di livellamento citati precedentemente. A questo scopo, si è reso necessario stabilire un protocollo standardizzato affinché tutte le analisi strumentali fossero condotte con modalità riproducibili nel medesimo sistema su ogni albero e con l’obiettivo di ottenere risultati uniformi e rappresentativi della problematica.

Un protocollo ad hoc
Il protocollo operativo è stato messo a punto dopo una serie di test adottando diversi approcci strumentali quali tomografo sonico, il dendropenetrometro e la prova di trazione controllata o “pulling test”; quest’ultimo è risultato essere il più idoneo per esaminare la tenuta radicale e l’elasticità delle fibre legnose. Il “pulling test” prevede l’applicazione di un carico controllato (simulazione di una raffica di vento) attraverso un paranco ed un cavo d’acciaio (Figura 2); per la registrazione dei dati utili a formulare una valutazione oggettiva ci si avvale di sensori estremamente sensibili installati sul fusto della pianta in esame (Figura 3). I dati raccolti in campo vengono rielaborati mediante un software dedicato all’interno del quale si inseriscono alcuni parametri come ad esempio l’altezza della pianta, il diametro del fusto, le dimensioni della chioma e la velocità del vento. Quest’ultimo dato, di fondamentale importanza poiché l’intero processo di analisi dei dati si basa su questo specifico carico, è stato ricavato tramite una ricerca storica degli eventi ventosi registrati nei pressi dell’area studio prelevati dalla stazione meteorologica della Regione Toscana.

La valutazione finale di ogni pianta viene fornita mediante l’attribuzione di una Classe di Propensione al Cedimento (CPC) proposte dalla Società Italiana di Arboricoltura che è stabilita, in questo caso, basandosi principalmente sui risultati ottenuti dalle prove di trazione. La classificazione di propensione al cedimento degli alberi è composta da 5 classi, ossia da A a D; una pianta in classe A non presenta al momento dell’indagine difetti significativi tali da ritenere che il fattore di sicurezza dell’albero si sia ridotto. Al contrario, una pianta in classe D ha ormai esaurito il suo fattore di sicurezza e pertanto è previsto l’abbattimento.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il 23% delle piante esaminate ricadono in una CPC estrema per cui è previsto l’abbattimento, il 23% (CPC = C) necessitano di un controllo visivo e strumentale periodico, con cadenza annuale. Infine, il restante 54% risulta avere un elevato grado di stabilità (CPC = A o B). Le piante ricadute nella classe estrema (CPC = D) sono state oggetto di ulteriore approfondimento diagnostico strumentale eseguendo una valutazione qualitativa del legno attraverso il tomografo sonico. Le tomografie effettuate all’apparato radicale e al colletto ove si riteneva necessario e possibile, hanno confermato l’esito ottenuto con le prove di trazione; scarsa capacità di ancoraggio delle radici a seguito di processi di degradazione dell’intero apparato e del colletto.

Figura 3. Sensori impiegati per svolgere la prova di trazione.

In molti casi, gli alberi nelle città sono costretti a vegetare in condizioni estreme, soggetti a continui stress termici, idrici, meccanici e molti altri. Il protocollo messo a punto per questo specifico caso si è rivelato essere attendibile, in grado di uniformare un giudizio finale complessivo e inquadrare al meglio la problematica descritta precedentemente. Questo protocollo operativo potrebbe essere adottato anche al di fuori del contesto specifico per cui è stato formulato; in particolar modo per verificare la stabilità degli alberi in seguito a importati lavori sulla sede stradale o limitrofi alla zolla radicale. Spesso, quando vengono eseguiti degli scavi, si danneggiano o in casi più gravi vengono recise intere porzioni dell’apparato radicale andando a stravolgere e compromettere l’intera stabilità di una pianta. Attraverso questo lavoro di tesi dove si sono sperimentati diversi approcci diagnostici, le prove di trazione si sono rivelate essere lo strumento diagnostico più idoneo per verificare problematiche all’apparato radicale, sia di natura meccanica (danni meccanici) che fitosanitaria (agenti patogeni fungini).

Sitografia e Bibliografia

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Siccità e cambiamento climatico: l’azione dei dottori agronomi e dottori forestali. //www.agronomoforestale.eu/index.php/siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/#respond Tue, 21 Mar 2023 14:37:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68347 Con la fine del mese di febbraio, si è chiuso anche l’inverno meteorologico 2022-2023, l’ennesima stagione ancora piuttosto anomala sia dal punto di vista delle temperature (9° inverno più caldo degli ultimi 66 anni) sia dal punto di vista delle precipitazioni solide e liquidi che hanno fatto registrare un deficit complessivo di circa il 45% rispetto alla norma 1991-2020.
La combinazione autunnale ed invernale di piogge scarse e temperature ben sopra la norma, fa sì che il bilancio idro-climatico sia fra i peggiori degli ultimi 65 anni.

Le ridotte nevicate dell’inverno si sono sommate all’effetto di prolungati periodi di tempo stabile ed eccezionalmente mite: in pratica abbiamo ricevuto solo un terzo della neve rispetto alla media dell’ultimo decennio.
Il fiume Po viene alimentato per il 60% dalla neve caduta in montagna. Quest’anno mancano circa 4 miliardi di metri cubi di quest’acqua. Una condizione che sicuramente condizionerà dunque lo stato di salute dei fiumi del Nord anche nella prossima primavera ed estate.
Siamo purtroppo nella stessa situazione di un anno fa, ma con 12-14 mesi di siccità sulle spalle.

La pioggia non basta
Per quanto riguarda le temperature si segnala un febbraio caldo (anomalia positiva di circa 2°C) che lo colloca al 7° posto tra i più caldi dal 1958.
Le alte temperature della seconda decade del mese, con lo zero termico che si è riportato già oltre i 3000 metri, stanno di fatto sciogliendo la neve caduta su Alpi e Appennini.
Sugli Appennini, in particolare, le nevicate sono state abbondanti nella seconda metà dell’inverno, ma col caldo anomalo si sta già riducendo il volume della neve anche a quote medio-alte.

Il mese di febbraio 2023 ha registrato precipitazioni molto al di sotto della norma climatica 1991-2020, con un deficit medio sostanzialmente che in alcune regioni (Piemonte) ha raggiunto -80%. Ma anche le zone alpine occidentali hanno un deficit medio del 40% grazie alle nevicate soprattutto della fine di febbraio.
Analoga situazione nelle regioni del centro dove i primi giorni del 2023 avevano fatto sperare in un ‘recupero’ grazie alle precipitazioni nevose e piovose, verificatesi soprattutto a gennaio, ma il mese di febbraio ha visto piogge scarse, inferiori alla media, su quasi tutto il territorio.
In particolare, in Toscana si è registrato un deficit pari a circa il -57% (corrispondente a circa 47 mm di pioggia in meno). A ciò si accompagnano le previsioni meteo del Lamma, che parlano per i prossimi tre mesi di precipitazioni nella media e temperature leggermente superiori, una situazione che invita alla prudenza paventando la possibilità di una nuova estate a rischio siccità.
Leggermente migliore appare la situazione al sud.

Le azioni del Governo
Qualche giorno fa si è svolta il primo incontro interministeriale che ha il compito di varare un piano di interventi a breve scadenza e una programmazione a medio-lunga scadenza per gestire l’emergenza siccità.
Alla cabina di regia partecipano i rappresentanti dei ministeri Ambiente, Infrastrutture, Agricoltura, Affari europei e PNRR, Protezione civile.
A quel tavolo, il ministro Musumeci ha portato alcune proposte per interventi a 2-3 anni. Fra questi, incentivi per realizzare laghetti aziendali per supplire alla siccità nei mesi estivi e un piano speciale per la pulizia degli invasi dall’insabbiamento, dai fanghi e dai detriti accumulatisi nel corso degli anni.

Foto di Pat Whelen per pexels

Di fronte al cambiamento climatico
È evidente che siamo ormai di fronte a un’evoluzione climatica che appare inarrestabile e che ci obbliga a considerare tre aspetti essenziali:
● La riduzione delle precipitazioni assolute.
● La concentrazione delle precipitazioni in periodi ristretti e in fenomeni estremi e intensi.
● L’aumento delle temperature medie e di quelle assolute.

I dottori agronomi ed i dottori forestali, da sempre attenti alla gestione dell’equilibrio idrico, sono fortemente preoccupati. Dopo tanti anni e tanti dati, manca una strategia complessiva che, tenendo conto dell’insieme dei cambiamenti in atto, finalizzi le risorse per investimenti funzionali sia alla difesa dagli estremi nivopluviometrici che allo stoccaggio della risorsa idrica per la sua coerente utilizzazione idropotabile e irrigua.

6 proposte
1. Gestire le nostre aree montane e le foreste per impedire la compromissione del ruolo tampone in ottica di bilancio idrico.
Tra i servizi ecosistemici forniti dalle montagne, infatti, in connessione con le aree a valle, le pianure e le aree costiere vi è quello di “serbatoi d’acqua” (water towers). Le montagne forniscono acqua e nutrienti alle pianure, compensando la riduzione delle precipitazioni estive tipica del clima italiano.

2. Un programma pluriennale d’interventi per il ripristino dei laghi artificiali, dei numerosi laghetti collinari e la previsione di nuove realizzazioni per affrontare gli anni a venire.
Già oggi devono essere assunte decisioni tecnico-agronomiche in grado di mitigare la prossima estate siccitosa e torrida che ci aspetta. Dobbiamo però avere anche consapevolezza che senza interventi strutturali tutto quello che la scienza agronomica può suggerirci non sarà sufficiente.

3. Occorre che le autorità di bacino predispongano o aggiornino i loro piani, prevedendo la realizzazione di interventi che consentano di stoccare l’acqua nei diversi territori con l’obiettivo di difendere i territori a valle, garantire un minimo deflusso vitale ai corsi d’acqua durante tutto l’anno e rendere disponibili le risorse idriche per l’irrigazione.

4. Occorre realizzare impianti irrigui innovativi che minimizzino i consumi e massimizzino l’utilità dell’acqua somministrata alle colture, come per la scelta di tecniche colturali e varietà coltivate idonee a questa nuova fase climatica. Da qui, è evidente il ruolo decisivo della consulenza tecnica.

5. Dobbiamo ripensare la gestione del verde urbano, tanto necessario alle nostre città, quanto fragile nella manutenzione.
Partendo dalla scelta delle varietà più resistenti, passando per la progettazione degli spazi di messa a dimora, fino al recupero delle acque piovane diventano snodi cruciali per mantenere verdi le aree urbane anche il periodi siccitosi.

6. Incentivare – se non rendere obbligatorio – lo stoccaggio delle acque piovane per ogni nuova costruzione, domestica e non. Un piccolo intervento, puntuale e diffuso, che consentirebbe di migliorare il bilancio idrico complessivo del territorio.

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Le foreste urbane per la riqualificazione delle città //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/#respond Fri, 17 Mar 2023 12:19:34 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68308 di Renato Ferretti

Le foreste urbane e le infrastrutture verdi all’interno delle città possono giocare un ruolo molto importante per migliorare la qualità della vita. Infatti, come noto da tempo, offrono un’ampia gamma di benefici alla popolazione e svolgono preziosi servizi quali assorbimento della CO2, cattura del particolato e degli inquinanti atmosferici, drenaggio e controllo delle acque meteoriche, contrasto al fenomeno delle isole di calore, incremento della qualità estetica e percettiva, fornitura di aree in cui svolgere attività ricreative.

Numerose città, in tutto il mondo, hanno avviato iniziative molto ambiziose di riforestazione urbana. Tutte accomunate dalla scelta di accrescere la propria dotazione di infrastrutture verdi per rafforzare la coesione sociale e muoversi verso uno sviluppo equo e sostenibile.

Le foreste e gli alberi – secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – se ben gestiti, all’interno e attorno ai centri urbani forniscono habitat, cibo e protezione per numerosi animali e molte specie vegetali. Il che contribuisce anche a salvaguardare e accrescere la biodiversità”.

foto di Lachlan per pexels

Il dipartimento che si occupa delle foreste è impegnato a contrastare la deforestazione perché la questione più importante è assicurare una fonte di sostentamento alle persone che dipendono dalle foreste. – ha aggiunto il capo del dipartimento Fao, Hiroto MistugiQuesto aspetto riguarda tutti gli abitanti delle zone rurali, ma anche gli abitanti delle città perché gli alberi sono fonti d’acqua, migliorano la qualità dell’aria e contribuiscono a un ambiente sano.

Le città sono sempre più insalubri per l’aumento delle emissioni di CO2, di polveri sottili, agenti inquinanti e per l’ormai insopportabile calore estivo.
È provato che i boschi assorbono il 40% delle emissioni ascrivibili all’utilizzo dei combustibili fossili: per questo la forestazione urbana e periurbana deve diventare una priorità nell’agenda internazionale dei governi e delle istituzioni internazionali e locali.
È necessaria una trasformazione radicale del modo di operare per moltiplicare gli spazi verdi e i piccoli parchi, impiantare alberi per formare nuovi corridoi ecologici, realizzare edifici verdi anche in verticale. Tutto questo inciderebbe non solo sulla qualità dell’aria e del clima, ma anche sullo sviluppo economico delle città stesse, favorendo la microagricoltura e la produzione di cibo, per contrastare anche in questo modo i fenomeni di povertà.

Foto di Harrison Haines per pexels

Gli investimenti nel verde urbano sono particolarmente efficaci ed efficienti anche in termini economici perché garantiscono una riduzione di diverse tipologie di spesa, da quelle per il raffreddamento degli edifici a quelle per la manutenzione del territorio e la resilienza idrogeologica. Contrastando l’inquinamento dell’aria, le piante permettono di ridurre le spese per la salute, mentre i parchi pubblici o gli orti comunitari offrono occasioni di incontro e socialità. Si parla di soluzioni naturali (nature-based solutions, nbs) a problemi come il consumo energetico o quello idrico o il riscaldamento delle città.

Per tutto ciò non bastano le risorse del decreto clima e del PNRR: occorre una programmazione pluriennale e una strategia continua nel tempo.

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Gli alberi ed il contesto urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-alberi-ed-il-contesto-urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/#respond Fri, 18 Nov 2022 17:32:59 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68246 Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF

Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.

Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.

L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:

  • nell’apparato radicale ridotto a causa dei lavori effettuati per opere infrastrutturali successive;
  • nelle errate potature che producono chiome disequilibrate, accentuano l’effetto vela ed indeboliscono l’apparato radicale;
  • nell’ineluttabile ciclo di vita che, come per ogni essere vivente, si conclude con la morte che può essere più o meno immediata. Lo stroncamento di rami o addirittura del fusto è come un infarto per un uomo.

La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.

Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.

Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.

Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.

Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.

Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).

Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.

 

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Filiera green, il settore reagisce alla pandemia //www.agronomoforestale.eu/index.php/filiera-green-il-settore-reagisce-alla-pandemia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=filiera-green-il-settore-reagisce-alla-pandemia //www.agronomoforestale.eu/index.php/filiera-green-il-settore-reagisce-alla-pandemia/#respond Wed, 13 Jan 2021 15:07:48 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67954 Le aziende del florovivaismo italiano reagiscono alla crisi economica dovuta alla pandemia e, negli ultimi sei mesi, fanno registrare performance in lento ma costante miglioramento. Sono oltre il 30% quelle con dati economici in aumento (come a settembre, mentre a giugno erano il 18%), il 33% quelle con dati stabili.
Le aspettative per il futuro rimangono però incerte, legate all’evoluzione dell’emergenza in atto. Mentre a settembre, dopo un’estate relativamente tranquilla, l’outlook era migliorato, a dicembre torna ad essere meno positivo.

È questo il quadro che emerge dalla terza e ultima rilevazione del 2020 del Flormart Green City Report, l’osservatorio sulle nuove tendenze del settore realizzato anche in collaborazione con il CONAF.

I dati del Report
Per quanto riguarda le aziende, resta stabile la percentuale di chi dichiara la propria performance in leggero o forte aumento (31%, come a settembre). Le aspettative sono stabili o positive per il 68% del campione, contro il 74% rilevato a settembre.

I problemi che le aziende si trovano attualmente ad affrontare sono prevalentemente legati a imposizioni resesi necessarie dall’emergenza in atto, come restrizioni governative e difficoltà negli spostamenti. C’è però un miglioramento costante nei problemi economici: sono in continuo calo gli indicatori negativi come la riduzione degli ordini (per il 23% del campione a dicembre contro il 35% a settembre), la mancanza di risorse finanziarie (19% a dicembre contro il 26 di settembre), la difficoltà di recupero dei crediti (15% contro il 29% di tre mesi fa) e l’instabilità dei prezzi, che a settembre era visto come un problema dal 18% delle aziende, mentre oggi lo è per il 12%.

L’indagine ha fatto il punto anche sulle ultime tendenze e gli orientamenti tra gli operatori della filiera verde.
Che caratteristiche avrà il verde urbano nei prossimi anni?
Ai primi posti compaiono verde estensivo (forestazione urbana) al 44%, orti e giardini comunitari (37% delle risposte), biodiversità (35%) e giardini e parchi ricreativi (31%). In generale la direzione che sembra emergere è quella verso un utilizzo sociale del verde, che tende a prevalere su altri orientamenti con finalità artistiche o scientifiche.

A livello di interventi nelle aree urbane per i prossimi 3 anni, la riqualificazione e una migliore gestione dell’esistente sono la modalità più citate dai rispondenti (68%). È dunque ancora la valorizzazione dell’esistente a prevalere sulla creazione del nuovo.

Per quanto riguarda il verde residenziale il giardinaggio biologico è indicato dai rispondenti come la tendenza trainante nel settore (47%). La sensibilità per una produzione naturale prevale nettamente rispetto ad altre tendenze quali verde pensile (35%) e orti urbani (31%). Le previsioni per il mercato del verde residenziale vedono al primo posto l’utilizzo alimentare (orti e piante aromatiche sono visti in crescita rispettivamente per il 73% e il 61%), quindi l’impiego pratico (piante da giardino, siepi e vasi) infine quello puramente estetico (piante ornamentali, rampicanti e grasse).

Per quanto riguarda i segmenti di mercato, quelli più promettenti sono legati alla “materia prima” e i suoi utilizzi: le piante e la progettazione e manutenzione del verde (visti stabili o in crescita per 9 operatori su 10). I settori che riguardano macchine e arredo ludico/sportivo sono invece viste in maggior affanno, sebbene l’outlook non sia negativo, ma per lo più stabile.

Il Green new deal che ispira la nuova fase della politica Europea è un’occasione decisiva per far sì che la nuova cultura del paesaggio nata dalla Convenzione Europea del Paesaggio trovi una piena applicazione.” – ha commentato Sabrina Diamanti, presidente CONAF – Questo nuovo corso apre un importante spazio per l’attività vivaistico-ornamentale che dovrà soddisfare una domanda diversificata, particolare, ma, soprattutto nuova: di prodotti ornamentali di semi e pronto effetto idonei per l’impiego nei diversi ambienti e per le diverse funzioni del verde urbano sia pubblico che privato, come del resto ha confermato anche la recente edizione di Flormart City Forum. Nel quale è stato evidenziato come ormai in tutti i campi della progettazione e della rigenerazione urbana il verde assume un rilievo centrale. In questo i Dottori Agronomi ed i Dottori Forestali sono i portatori delle competenze necessarie alla progettazione agronomica ed alle conseguenti cure colturali.

L’indagine, presentata a dicembre 2020, ha coinvolto 239 partecipanti fra gli addetti al settore: produttori, progettisti, agronomi, amministratori e accademici.

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Il florovivaismo ai tempi del Covid-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-florovivaismo-ai-tempi-del-covid-19/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-florovivaismo-ai-tempi-del-covid-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-florovivaismo-ai-tempi-del-covid-19/#respond Wed, 06 May 2020 05:59:45 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67653 di Renato Ferretti, Coordinatore del Dipartimento Paesaggio, pianificazione e progettazione territoriale e del verde

Veniamo da un lungo periodo di crisi della domanda di piante e fiori ed il 2019 e il primo scorcio del 2020 aveva fatto intravedere una possibile crescita stabile del settore con domanda crescente sia del mercato privato che del pubblico.
Le prospettive erano buone anche grazie alle misure contenute nel decreto clima che prevede finanziamenti per 30 milioni di euro per la realizzazione di nuove aree verdi nelle città metropolitane e alla crescente attenzione in generale del sistema pubblico, che vede nell’investimento verde una misura utile a contrastare il cambiamento climatico.
Poi all’improvviso, come un uragano è arrivata la pandemia da Covid-19 e il conseguente lockdown generalizzato in quasi tutti i paesi dell’occidente. Conseguentemente il mercato si è fermato di colpo e ormai si può purtroppo pensare che oltre il 70% del mercato primaverile è andato perso mettendo in grande difficoltà sia finanziaria che logistica tutto il settore.

Dimezzato il fatturato
Abbiamo parlato con alcuni operatori che ci ha confermato, oltre alle difficoltà di consegnare anche le piante già ordinate, quelle connesse alla riscossione di quelle già consegnate per la crisi generalizzata di liquidità. La situazione è sostanzialmente analoga in molti paesi Europei e addirittura in Spagna ci sono previsioni di riduzioni di fatturato su base annua fra il 50% e il 100%.
Il florovivaismo quindi, come altri settori, sta vivendo una crisi senza precedenti. Per i prodotti stagionali la perdita è ormai totale per gli altri si parla di riduzioni che in prospettiva annuale possono arrivare anche oltre il 50%.
È quindi necessario creare le condizioni per una ripresa del settore sia sul piano produttivo ma soprattutto dei consumi ed è per questo che in molti hanno salutato positivamente le novità introdotte dal nuovo DPCM del 26 aprile 2020 che include le nuove misure per il contenimento dell’emergenza Covid-19 nella cosiddetta “fase due”.

Cosa dice il Decreto
Informazioni di particolare rilevanza per il settore florovivaistico sono contenute proprio negli allegati 1 e 3 del DPCM che confermano e migliorano le possibilità di lavoro di tutta la filiera.
Vediamo infatti confermata e ben indicata la possibilità di esercitare vendita al dettaglio di fiori, piante, semi e fertilizzanti su tutto il territorio nazionale (allegato 1).
Inoltre, dalla lettura dell’allegato 3 emerge nuovamente l’inclusione del codice ATECO 81.3 “Cura e manutenzione del paesaggio (inclusi parchi, giardini e aiuole)” privo del precedente riferimento che escludeva le nuove realizzazioni.
Altro punto sicuramente fondamentale per le aziende del settore è la pubblicazione del nuovo protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro (allegato 6) che contribuirà a guidare le imprese per garantire ambienti di lavoro sicuri. Su questo tema i Dottori Agronomi ed i Dottori Forestali stanno già mettendo in campo tutte le loro competenze professionali per supportare le imprese in questa straordinaria, ma necessaria, attività.
Certamente c’è ancora molto da fare sul piano della ristorazione del danno economico, per il quale non può essere sufficiente una maggiore apertura di credito a breve ma occorre come minimo un orizzonte temporale ventennale e, meglio ancora, una quota parte di contributo a fondo perduto come accadeva in precedenza per le calamità naturali.
Inoltre, il sistema pubblico deve attrezzarsi per poter garantire che le tecniche di prevenzione e controllo siano state tutte attuate, di poterlo certificare e di poter affermare con cognizione di causa e quindi con documentazione che le piante vendute sono state prodotte con tecniche certe e in luoghi ben individuati. Tracciabilità e garanzia di qualità totale del prodotto divengono ormai la discriminante per conservare e acquisire mercati.

Un futuro diverso da passato
Su questi temi occorre avviare un dibattito affinché i fondi Europei della prossima programmazione siano destinati al miglioramento strutturale della produzione, della logistica e dell’insieme della filiera. La situazione è sicuramente molto complessa, ma non esistono altre strade se non quelle della programmazione degli investimenti ora più che mai sostenuti dalle risorse pubbliche.

Di Renato Ferretti – Dottore Agronomo Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione Territoriale e del Verde

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P2 “Pianto piante, pesco pesci” //www.agronomoforestale.eu/index.php/p2-pianto-piante-pesco-pesci/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=p2-pianto-piante-pesco-pesci //www.agronomoforestale.eu/index.php/p2-pianto-piante-pesco-pesci/#respond Thu, 26 Mar 2020 11:27:01 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67574 Avete mai pensato a produrre vegetali allevando pesci o allevare i pesci producendo vegetali? Se la risposta è negativa, allora dovete approfondire il concetto di produzione “acquaponica”, ossia il rapporto di simbiosi tra le due componenti.
Una simbiosi che si esplicita perfettamente nel progetto P2 “Pianto piante, pesco pesci”: un sistema integrato di allevamento che sfrutta le relazioni naturali sinergiche esistenti tra la flora e la fauna con lo scopo di ottenere produzioni di specie ittiche e vegetali commestibili.
L’acquaponica è, quindi, una tecnica agricola molto efficace, che garantisce ottimi risultati, risparmia risorse e rispetta l’ambiente. Comparando i costi, il ritorno dell’investimento per un sistema di acquaponica è inferiore ai 5 anni, mentre una azienda agricola tradizionale richiede minimo 8 anni prima che si possano vedere dei profitti.

Sostenibilità e innovazione
L’agricoltura del futuro sarà orientata da tre grandi vincoli: il risparmio economico e la ricerca di efficienza del processo, la disponibilità (decrescente) di suolo agricolo con una popolazione umana in aumento e l’applicazione dei principi di ecosostenibilità a tutti i sistemi produttivi.
Consci di questo prossimo scenario, è nata l’idea di unire l’acquacoltura (allevamento di specie acquatiche) con la coltivazione idroponica (coltivazione di vegetali fuori suolo) in una relazione di sinergia naturale.
Il risultato? Una produzione a basso impatto ambientale, soprattutto per quanto riguarda le risorse idriche ed energetiche, nel contempo remunerativa ed efficiente, sia per quanto riguarda la produzione di pesci o gamberi che quella dei vegetali commestibili.
Risultati che sono confermati dai dati: diversi studi affermano che in queste condizioni le piante crescono fino al 50% più velocemente; si riduce il consumo di carbonio perché non si usa il suolo e si stima che per ogni 453 gr di pesce prodotto si ottengono da 6 a 11 Kg di verdura. Risultati raggiungibili con una riduzione di oltre il 40% di costi di manodopera.

Acquaponica
Grazie agli studi scientifici iniziati più di trenta anni fa, prima negli Stati Uniti e successivamente in Australia, è possibile allevare pesci e coltivare vegetali commestibili con efficaci sistemi a ricircolo, denominati sistemi acquaponici.
Negli Stati Uniti, Canada, Messico, Germania e Gran Bretagna sono sorti negli ultimi anni diverse aziende che producono con questo sistema. E sempre negli Stati uniti nel 2012 è stata creata una mappa “Plant Hardiness Zone Map” per aiutare gli agricoltori a comprendere quali piante potessero coltivare a secondo delle località geografiche. In Giappone i sistemi acquaponici sono stati addirittura installati nei sotterranei di alcuni grattacieli o in locali adiacenti a ristoranti biologici al fine di fornire cibi freschi a chilometri zero. Altri Paesi come la Cina e la Thailandia, già grandi operatori nel settore dell’acquacoltura, si sono interessati a questo metodo di produzione più ecosostenibile ed efficiente. Nel 2012 negli Emirati Arabi è stato inaugurato il più grande impianto di acquaponica, il “Baniyas Center” (così si chiama l’impianto costituito da due serre principali da 4000 metri quadrati) che è in grado di produrre a regime ben 200 tonnellate di pesce e 300 mila cespi di lattuga ogni anno, contribuendo a ridurre il ricorso all’importazione e fornendo una maggior sicurezza alimentare per la nazione. Inoltre, grazie al modo in cui il sistema ricicla l’acqua, è prevista che quest’ultima rimanga utilizzabile per un anno o più all’interno dei serbatoi senza che vi sia la necessità di sostituirla.
In Italia, solo nell’ultimo decennio è scattato un forte impulso a studiare questi sistemi integrati di allevamento e coltivazione.

Il segreto è il circuito chiuso
P2 è un sistema che presenta una zona di acquacoltura con 4 vasche per l’allevamento dei pesci. L’acqua proveniente da queste vasche, ricca di sostanze nutritive derivate dal metabolismo dei pesci e dai resti di cibo, passa attraverso filtri che trasformano naturalmente i resti organici in elementi fertilizzanti adatti all’assimilazione dalle radici delle piante.
I filtri sono composti da vari materiali (spugne, cannolicchi, carboni attivi, ecc.) e sono inoculati con batteri appositi che trasformano ammoniaca e nitriti in nitrato assimilabile dalle piante. L’azione biochimica dei microrganismi naturali coltivati appositamente rende il sistema di filtrazione istantaneo, simile al filtro degli acquari.
L’acqua trattata è poi convogliata verso i letti di crescita, per irrigare i vegetali senza bisogno di utilizzare terra o concimi di sintesi. I letti di crescita dei vegetali, infatti, sono coltivati fuori suolo e a ciclo chiuso con il meccanismo del “Floating System”, in cui le piante sono poste su supporti galleggianti in vasche impermeabilizzate contenenti la soluzione nutritiva. Coltivare in questo modo offre l’opportunità di ridurre o eliminare gli infestanti, annullare la competizione con altri vegetali e rendere il ciclo molto più produttivo, perché le piantine per metro quadrato saranno in numero superiore rispetto a quelle di campo.
Il ciclo ricomincia quando l’acqua “fitodepurata” ritorna nelle vasche per l’allevamento ittico. Un ciclo chiuso che obbliga con un ulteriore vicolo di sostenibilità: le coltivazioni dovranno essere necessariamente naturali, non potendo utilizzare né antiparassitari né concimi di sintesi, poiché andrebbero a impattare sulla salute dei pesci.

Acqua pura, acqua preziosa
Per dare qualche numero, grazie al continuo ciclo di depurazione delle acque, la riduzione del consumo idrico è stimabile con un risparmio fino all’80-90%, rispetto alla coltivazione tradizionale su suolo.
Considerando che in questo tipo di produzione è necessario disporre di acqua di buona qualità, che non sia contaminata o salina, è facile intuire quanto sia importante avere cura di un bene così prezioso.
Si possono impiegare, infatti, le acque di falda che solitamente sono idonee perché prive di sostanze nocive, così come le acque meteoriche, se raccolte in zone prive di inquinamento atmosferico e che possono essere impiegate previa sterilizzazione con sistema UV.
È anche ammesso l’utilizzo delle acque dell’acquedotto pubblico, anche se è consigliabile una filtrazione osmotica in modo tale da abbassare il contenuto di sali disciolti.

Le specie ideali
P2 è stato pensato per l’allevamento sia di specie ittiche ornamentali come pesci rossi, carpe koi, pesci combattenti, che specie ittiche commestibili come trota, pesce gatto, carpa, pesce persico, anguilla e gamberi di acqua dolce. Mentre le specie vegetali coltivabili sono: lattuga, carota, basilico, sedano, pomodoro, piselli, spinaci, melanzana, peperoncino, fagiolini, fragole, erba cipollina, cetriolo.
La questione è quindi come scegliere il mix più indicato.
La scelta delle specie ittiche è un passaggio delicato per la buona riuscita del progetto, soprattutto nell’ottica di ottimizzare il sistema e ottenere la massima efficienza su entrambe le produzioni.
La prima regola è di orientarsi verso specie che normalmente non hanno bisogno di antibiotici, per mantenere il sistema “naturale”. In secondo luogo, la scelta di specie da “acque calde” semplifica il sistema, poiché qualora si optasse per specie come trote e gamberi servirebbe aggiungere un sistema refrigerante dell’acqua. Impiegando specie più “tolleranti”, invece, le acque delle vasche di coltivazione in serra avranno temperature abbastanza alte ma comunque idonee a quelle specie.
La scelta delle specie vegetali è invece determinata dal mercato, dalla domanda e dal prezzo, poiché la coltivazione in serra consente di soddisfare le richieste tutto l’anno. Volendo fare una considerazione di carattere generale, però, le piante ideali sono quelle da foglia, ma non si escludono anche quelle da frutto.

Senza nulla aggiungere
Questo sistema di coltivazione si presta per la produzione rivolta alla IV gamma: il prodotto presenta un’elevata qualità, intesa come pulizia, cioè assenza di residui di terreno o sabbia, né presenta residui di agrofarmaci, notevolmente ridotti per non dire non assenti.
Per quanto riguarda contenuto in nitrati, carica microbica, caratteristiche organolettiche e nutrizionali, il fatto di poter controllare in modo puntuale le condizioni ambientali e nutrizionali in coltivazione offre buone opportunità di ottimizzare tutti i parametri.
Così come avviene nelle coltivazioni idroponiche in serra, quindi un ambiente “sterile”, si impedisce la proliferazione di insetti fitofagi e organismi patogeni eliminando l’utilizzo di pesticidi, fertilizzanti chimici, diserbanti. Ovviamente nel caso in cui le vasche di coltivazione dei vegetali siano collocate all’aperto, il rischio di attacco di patogeni (non terricoli) è da prendere in considerazione.
In sintesi, l’unico input esterno aggiunto sono gli alimenti delle specie ittiche, che a seconda delle specie allevate, possono essere lo stesso scarto di vegetazione della coltura coltivata.

Poca energia, in piccoli spazi
Due vantaggi ulteriori che caratterizzano questo progetto sono il basso consumo energetico, visto che anche solo un Kw è già sufficiente, e il ridotto spazio necessario, poiché è sufficiente un diametro di 3 metri per le vasche cilindriche per i pesci. Ovviamente il sistema di allevamento è modulabile e si possono inserire più vasche di allevamento proporzionate alle vasche di coltivazione.
Il sistema di riciclo dell’acqua è garantito da pompe e ossigenatori, che possono essere alimentati attraverso un impianto fotovoltaico a isola che assicura la quasi totalità di energia elettrica necessaria, rendendo il sistema energeticamente passivo.

Cibo in città
Il vantaggio conclusivo di produrre con l’acquaponica è che si può produrre cibo in città. Progettando con attenzione la disposizione delle vasche, sia per i pesci che per i vegetali, il sistema è realizzabile in aree dismesse o capannoni, e salire in altezza fino a diventare una vertical farm. E, sfruttando il fattore prossimità ai luoghi destinati alla commercializzazione, la produzione può ridurre i costi economici e ambientali legati al trasporto.
Oltre che preservare suolo fertile, in piena concordanza con gli obiettivi di Agenda2030.

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Microgreens: giovani e teneri ortaggi //www.agronomoforestale.eu/index.php/microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi //www.agronomoforestale.eu/index.php/microgreens-giovani-e-teneri-ortaggi/#comments Tue, 25 Feb 2020 06:05:48 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67498 Questo articolo racconta il progetto vincitore del 1° premio 2020 “Dottore agronomo e dottore forestale, progettista del cibo sostenibile”.

1° PREMIO
Nome vincitore: Veetaste Urban Agriculture
Titolo: “Coltivazione indoor di microortaggi

Descrizione progetto: Urban vertical farm è un progetto per coltivare alimenti innovativi di elevata qualità. Coltivando piccole piante si soddisfa la richiesta di alimenti crudi della nouvelle vague culinaria, con prodotti che impiegano il 90% in meno di acqua, non hanno bisogno di agrofarmaci né di fertilizzanti.
Motivazioneper avere coniugato il mondo della ricerca, le richieste del mercato e le esigenze di sostenibilità ambientale

 

Piccoli, nutrienti, gustosi e belli. I microortaggi, consumati principalmente come alimenti crudi, rappresentano un nuovo prodotto dell’orticoltura.
Da un punto di vista di mercato, essi rappresentano una nicchia alimentare in espansione, in cui l’Europa può candidarsi a diventare l’area con la maggiore quota di mercato grazie al crescente progresso tecnologico dell’agricoltura continentale.
Non solo, coltivare microortaggi offre benefici sia per il consumatore (le maggiori qualità organolettiche del prodotto), che per il coltivatore che può valorizzare le caratteristiche produttive e i bassi costi di impianto, ottenibili grazie a un sistema di coltivazione indoor e in “miniatura”.

Conosciamo i microgreen
L’insieme dei micro ortaggi, o microgreen in inglese, racchiude tutte quelle piantine commestibili di specie orticole, specie erbacee ed erbe aromatiche, raccolte e consumate allo stadio di foglie cotiledonari.
Si tratta di un prodotto diverso dai più noti germogli poiché, considerando la fase vegetativa, il ciclo di crescita è più lungo (circa 7-30 giorni a seconda della specie), così che la parte commestibile è composta dallo stelo, dalle foglie cotiledonari e, per alcune specie, dalle prime vere foglie emergenti.

Quali specie sono più vocate?
Non esistono piante vocate a diventare microortaggi ma, un aspetto che li rende sicuramente interessanti, è quello di utilizzare specie che siano il più possibile colorate (dal verde, al rosso, al giallo e con venature) e, magari, che abbiano forme e dimensioni diverse. Tutte queste particolarità riescono oltremodo ad abbellire il piatto di chi le utilizza ai fini estetici.
È importante, però, ricordare di controllare sempre la commestibilità delle piante utilizzate allo stadio di micro ortaggio, per esempio alcune specie di ortaggii della famiglia delle solanacee, in questo stadio, posseggono un elevato contenuto di solanina e risultano quindi non commestibili.

Piccoli ma superfood
In Italia, il prodotto è conosciuto e utilizzato unicamente nella cucina gourmet per esaltare la “bellezza” del piatto. In realtà queste piccole piantine sanno essere un ingrediente innovativo e speciale, capace di esaltare i piatti al di là dell’estetica, aggiungendo gusto (i microortaggi arricchiscono le pietanze con sapori inconfondibili, dal dolce al salato, passando per lo speziato e il piccante) e soprattutto incrementando il profilo nutrizionale.
Confrontandoli con gli ortaggi giunti a maturazione completa, i microgreen si sono guadagnati l’appellativo di super food o di alimenti funzionali per il maggiore contenuto di minerali (Ca, Mg, Fe, Mn, Zn, Se, Mo), di vitamine e dei loro precursori (α-tocoferolo/vitamina E, β-carotene/pro-vitamina A, acido ascorbico/ vitamina C e fillochinone/itamina K1) e di sostanze bioattive quali antiossidanti fenolici, antociani, glucosinolati e carotenoidi.
In una recente ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Agroambientali e Territoriali dell’Università di Bari, i composti bioattivi nei microortaggi di Brassica sono risultati più ricchi di antiossidanti fenolici e con maggiori quantità di α-tocoferolo e carotenoidi rispetto alle verdure mature. Broccoli e lattuga (Lactuca sativa L. Group crispa, cultivar ‘Bionda da taglio’) hanno mostrato le maggiori quantità di vitamina E, mentre le Asteraceae hanno presentato i più alti livelli di carotenoidi.
A puro titolo esemplificativo si possono confrontare i valori delle vitamine C, E, e K di un microcavolo rosso rispetto all’ortaggio adulto giunto all’epoca di maturazione, arrivando a concludere che sono rispettivamente più elevate di 6 volte (vitamina C), 400 volte (vitamina E), 60 volte (vitamina K). Da ciò può facilmente discendere che è sufficiente l’assunzione di quantità notevolmente inferiori di prodotto per avere le dosi giornaliere raccomandate di queste tre vitamine. Per completare l’esempio, prendendo un adulto di peso medio, basterebbero 15g di microravanello per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina E, 41g di microcavolo rosso per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina C e 17g di amaranto per soddisfare la dose giornaliera raccomandata di vitamina K.

Produrre in città
Da oltre 10 anni il prof. Despommier propone le Vertical Farm quale soluzione per garantire cibo a tutti, partendo dall’osservazione dei dati stimati dall’ONU che riguardano la crescita della popolazione mondiale che si stima raggiungerà i 9 miliardi di abitanti nel 2050. Secondo lo studioso questa è l’unica via per ovviare al problema della riduzione superficie agricola utile (SAU): circa l’80% dei terreni disponibili per l’agricoltura sono già stati usati, mentre il restante 20% non sarà sufficiente per soddisfare una popolazione con tale trend di crescita.

Attraverso le Vertical Farm, quindi, diventa possibile reinserire all’interno delle città quella parte produttiva che ha subìto un processo di esilio progressivo: negli anni le città si sono trasformate in centri di servizi escludendo totalmente la produzione alimentare dal disegno urbanistico. Un sistema di colture che può essere realizzato in qualsiasi tipo di edificio, riuscendo a produrre a km 0, in un ambiente pressoché sterile e lontano dalle fonti di contaminazione, così da controllare l’impiego di agrofarmaci e fertilizzanti e conseguentemente eliminare la loro dispersione in ambiente.
Ecco che il ridotto consumo di energia, di spazio, di acqua e il non impiego di alcuna sostanza chimica di sintesi, rendono i microgreen un cibo altamente sostenibile e con una ridotta impronta ambientale, se confrontato con i prodotti dell’agricoltura tradizionale, a parità di quantità di apporti nutrizionali.

Un progetto innovativo e sostenibile
Il progetto che ha dato vita alla Veetaste Urban Agriculture, la prima fattoria verticale a Bari, nasce nel 2017 con l’intenzione di inserirsi nel mercato nazionale del settore, che al momento è dominato dai produttori olandesi.
All’interno di un piccolo spazio chiuso di circa 30mq, la “Urban Vertical Farm” è composta da scaffalature, luci a led a bassissimo consumo energetico, un impianto di condizionamento, ventilazione e deumidificazione, un sistema di controllo a distanza per la temperatura e l’umidità.
Sulle scaffalature sono disposti i letti di coltivazione delle plantule, che crescono su torba e fibra di cocco “bio” per poi essere distribuite unitamente al loro letto di crescita, in modo che il taglio avvenga poco prima dell’utilizzo finale.
La coltivazione indoor offre il vantaggio di impiegare circa il 90% in meno di acqua per l’irrigazione, rispetto a una coltura tradizionale, e il sistema “controllato” consente di non usare agrofarmaci o erbicidi sulle colture, ottenendo un prodotto non semplicemente biologico ma senza tracce di inquinanti al suo interno.
L’innovatività di questo progetto è valorizzata dalla progettazione dell’impianto, con spazi estremamente ridotti ma studiati per ottimizzare produttività e cicli di coltivazione. Gli spazi fisici sono stati compressi fino a consentire la coltivazione di oltre 60 varietà e rispettando i loro cicli di crescita ridotta. A questo aspetto dello studio si è poi aggiunta la scelta della composizione dei substrati, la modalità di irrigazione, l’altezza delle scaffalature pensata per ottimizzare l’insolazione delle prime foglioline cotiledonari, il sistema di illuminazione, il packaging, l’alternanza della luce e del buio nella fase di germinazione: tutte variabili che, unitamente alle prove, hanno permesso di creare un prodotto di altissima qualità.

Il futuro del progetto
Il progetto ha la forza di essere altamente replicabile e soprattutto di poter essere realizzato con un uso limitato di risorse. Il know-how acquisito sarà utilizzato per potersi affacciare su altri mercati e su nuove forme di collaborazione nazionale e internazionale, per poter espandere la rete delle Vertical Farm.
I microortaggi non sostituiranno mai i loro fratelli maggiori, gli ortaggi tradizionali, ma sapranno affiancarsi a essi nei piatti, per renderli ancora più salutari, nutrienti, gustosi e belli.

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IPM ESSEN2020: tra cambiamenti climatici e sostenibilità //www.agronomoforestale.eu/index.php/ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita //www.agronomoforestale.eu/index.php/ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita/#respond Mon, 17 Feb 2020 06:01:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67512

Renato Ferretti, Consigliere nazionale – Dipartimento Paesaggio, pianificazione e progettazione territoriale e del verde

La 38° Fiera internazionale IPM ESSEN ha registrato un buon successo ed una crescente internazionalità. Nei quattro giorni in fiera: dal 28 al 31 gennaio, ci sono stati 1.538 espositori provenienti da 46 paesi che hanno presentato i loro prodotti e servizi innovativi dalle piante, alle tecnologie, alla floristica e al giardino.
La IPM di Essen è stata ancora una volta il luogo di incontro più importante del settore verde mondiale. Oltre 54.000 (nel 2019: 52.800) visitatori da oltre 100 paesi hanno ottenuto informazioni sulle tendenze e hanno fatto ordini per la prossima stagione, e la percentuale di visitatori stranieri ha superato il 40%, rispetto al 38% del 2019.
Più che mai, i cambiamenti climatici e la sostenibilità sono stati gli argomenti dominanti alla fiera leader mondiale per l’orticoltura.
In totale, i tedeschi hanno speso 8,9 miliardi di euro in fiori e piante l’anno scorso – un + 2,7% rispetto all’anno precedente e il valore più alto dal 2011. Nell’ambito di IPM ESSEN 2020, la Central Horticultural Association (ZVG) ha annunciato che la spesa procapite è passata da 105 a 108 euro.

Nel contesto della discussione sul clima, l’orticoltura ha guadagnato enormi competenze con un umore positivo nelle sale della fiera. All’IPM ESSEN 2020, il settore verde ha dimostrato il suo spirito innovativo e le sue prestazioni ambientali in un modo impressionante“, ha riassunto Oliver P. Kuhrt, CEO di Messe Essen.
I consumatori stanno diventando sempre più consapevoli dell’importanza di vivere nel verde, allo stesso tempo, le piante sono sempre di più prodotti per uno stile di vita moderno. In un mondo in rapido movimento e digitale, il giardino sta diventando un’oasi di benessere.

Foto: Alex Muchnik/©MESSE ESSEN GmbH

Il verde urbano pensa al clima
Il ministro federale dell’agricoltura, Julia Klöckner, che ha aperto ufficialmente IPM ESSEN, ha trovato parole di elogio per il settore: “L’orticoltura in Germania mostra un alto grado di innovazione e le imprese trovano e occupano nicchie in questo modo. Rispondono alle domande sul futuro, per esempio quando si tratta di più protezione delle risorse o del clima.”
Già nel 2019, gli espositori hanno affermato che i temi della sostenibilità e del clima con il cambiamento in corso eserciteranno significative influenze sul futuro del settore. Non importa se imballaggio ecologico, nuove varietà resistenti al clima, la promozione della biodiversità, il verde per la pulizia dell’aria, fioriere con serbatoi d’acqua integrati oppure i sostituti della torba. L’orticoltura internazionale ha mostrato il suo potere innovativo in una forma significativa. Anche nell’area tecnologica, l’accento è stato posto sulla produzione ad alta efficienza energetica, alle procedure e tecnologie digitali pioneristiche.

I Comuni pensano in verde
Chiunque desideri la biodiversità non può ignorare l’orticoltura“, il presidente di ZVG, Jürgen Mertz, ha sottolineato nel suo discorso di apertura “Questa è una grande opportunità per il settore.
Mertz guarda all’alto potenziale per quanto riguarda il consumo non privato, poiché i comuni si trovano ad affrontare la sfida di rendere le città più verdi. Qui, le gamme di piante legnose utilizzabili per il contrasto al cambiamento climatico, per mitigare gli effetti negativi dell’inquinamento sono particolarmente richieste.
Lettura della situazione confermata sia dal grande bisogno di informazioni in merito che dalla vivace partecipazione al seminario dal titolo “Organizzazione della sostenibilità nel comune”.
Il ruolo centrale della pianificazione territoriale è emerso con forza durante la visita della fiera, dove sono state presentate le caratteristiche degli alberi nell’ambito dell’evento organizzato dalla fondazione THE GREEN CITY e la Federazione di vivai tedeschi, svolta nel quadro delle attività dell’UE con il progetto intitolato “Città verdi per un’Europa sostenibile”.

Foto: Alex Muchnik / © MESSE ESSEN GmbH

Le proposte dalla Francia
Il Paese partner del 2020, la Francia, ha mostrato la diversità dell’orticoltura francese. La Francia supporta anche il progetto sostenibile della comunità degli stati.
Alla IPM sono state presentate dai florovivaisti francesi tutte le specialità vegetali prodotte dal Paese come rose, alberi da frutto, rododendri, camelie, ortensie, ciclamini, crisantemi, lavanda, alstroemeria e dalie.
VAL’HOR, l’associazione commerciale ombrello dell’orticoltura francese, si sente onorato di essere stato il paese partner di IPM ESSEN 2020. Questa collaborazione è stata una fantastica opportunità per presentare i nostri produttori, il loro senso di qualità e innovazione, nonché il nostro French Touch” – ha detto alla fiera leader nel mondo del florovivaismo Mikaël Mercier, presidente di VAL’HOR.



28-01-2020/EssenFoto: Alex Muchnik / © MESSE ESSEN GmbH

Florovivaismo di domani
Per l’edizione di IPM ESSEN 2021, il Messico prevede di presentarsi come Paese partner della fiera.
IPM Discovery Center ha presentato Heroes of the Green Sector “Dobbiamo essere di nuovo orgogliosi di ciò che facciamo.”
Nel Centro d’innovazione IPM nel padiglione 7, il talent scout Romeo Sommers ha mostrato le presentazioni nel “Garden Center of the Future” che sono stati orientati alle ultime tendenze e hanno tenuto conto dei risultati relativi ai comportamenti d’acquisto. Oltre a temi come servizi online e valore aggiunto da nuove varietà, l’attenzione è stata focalizzata sui sistemi di riciclaggio innovativi e alla sostenibilità dell’intero ciclo di vita dei prodotti florovivaistici.

Green City: luogo di incontro delle associazioni verdi
Il padiglione 1A è stato nuovamente trasformato nella Città Verde. Il Centro ha offerto consulenza su tutte le questioni orticole come la protezione delle piante e il passaporto delle piante, il Teaching Show ha evidenziato il cambiamento nel settore verde e la Innovation Showcase ha presentato le novità vegetali più innovative.

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