Biodiversità e Paesaggio – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Fri, 24 May 2024 12:26:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Ribaltare il paradigma //www.agronomoforestale.eu/index.php/ribaltare-il-paradigma/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ribaltare-il-paradigma //www.agronomoforestale.eu/index.php/ribaltare-il-paradigma/#respond Fri, 24 May 2024 10:25:52 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68537 A ridosso del mare, tra le colline coltivate, le pinete litoranee e la macchia mediterranea, i bianchi mantelli dei bovini maremmani tratteggiano il paesaggio agricolo. Siamo ad Alberese , nella Maremma toscana a sud di Grosseto, dove si trova una delle maggiori aziende in Europa condotte con il metodo dell’agricoltura biologica.

L’azienda agricola prima del parco
Il parco regionale della Maremma nasce nel 1975. Si estende per quasi 9.000 ettari tra il fiume Ombrone fino al paese di Talamone. Un ambiente variegato poiché, all’interno del suo perimetro, si trovano pinete, la costa scoscesa e le dune della spiaggia, le aree di wilderness alternate alle coltivazioni.
In realtà, la storia della produzione agricola nella Tenuta di Alberese nasce ben prima dell’istituzione del Parco, risalendo addirittura alla metà del XIX secolo, quando il Granduca di Toscana, Leopoldo di Lorena, acquistò e ampliò la Tenuta, investendo notevoli risorse finanziarie e umane per migliorare la produttività dell’azienda.

Il parco della Maremma. Foto di Alberto Pastorelli

Si è così creato un territorio in cui l’azione umana, dalle bonifiche alle scelte colturali, finanche alla selezione delle specie di allevamento si è intrecciata con la tutela della biodiversità e la cura degli ecosistemi. Qui, infatti, è visibile l’intervento umano, ideato a scopi produttivi, ma che ha lasciato un’eredità tale – in termini di biodiversità – da diventare la base fondativa per l’istituzione del parco.
Per esempio, i seicento ettari di pineta fra le colline dell’Uccellina e il fiume Ombrone non sono naturali, ma sono stati realizzati dai Lorena come una “piantagione di pini”. L’obiettivo del Granduca era chiaro: produrre pinoli e sfruttare i terreni vicino al mare, poco adatti all’agricoltura e all’epoca ricchi di acquitrini e paludi.

Un parco di origine antropica a vocazione agricola, quindi, che ha attraversato i decenni. Oggi, però, che rapporti ha l’azienda con il parco e le politiche di conservazione? Ne abbiamo parlato con Donatella Ciofani, agronoma e responsabile tecnica della Tenuta di Alberese, azienda di Ente Terre regionali.

Che tipo di azienda siete?
La nostra è un’azienda agro-zootecnica con una produzione diversificata e integrata: facciamo allevamento allo stato brado, abbiamo coltivazione cerealicole e foraggere, in massima parte dedicata all’alimentazione animale, abbiamo un oliveto secolare per la produzione di olio e produciamo anche vino. Poi c’è la componente dei servizi, avendo la gestione della banca del germoplasma che conserva le specie erbacee autoctone iscritte al repertorio della regione Toscana e le coltiva “in situ” e quella del seme dei riproduttori maremmani. Infine, alcuni casolari sono riservati all’ospitalità agrituristica.

Tori maremmani allo stato brado. Foto di Alberto Pastorelli

Che tipo di allevamento fate?
Qui si possono vedere le razze bovina maremmana ed equina maremmana in purezza, entrambe autoctone della Toscana, tutelate nell’ambito delle politiche di conservazione della agro-biodiversità e fortemente adattate al territorio.
Abbiamo oltre 400 bovini per 700 ettari di pascolo, 40 equini di razza maremmana in purezza e in selezione. Gli animali sono allevati in modo estensivo, con un basso indice di capi per ettaro, a ciclo chiuso vacca-vitello.

Rispettate particolari piani di conservazione per il mantenimento della biodiversità?
La nostra è un’azienda inserita in un parco regionale cui si pratica agricoltura biologica, ma è una risposta fuorviante: siamo l’esemplificazione di come possa essere ribaltato questo paradigma.
Ad Alberese non è l’azienda agricola che si è adeguata agli obiettivi di conservazione del parco, ma è la stessa vocazione agricola del territorio ad avere creato l’habitat che oggi si vuole proteggere. Qui l’azione umana, i differenti ecosistemi e la ricca biodiversità sono tessere di un puzzle perfettamente integrate in un unico sistema complesso.

L’accoglienza agrituristica quanto conta nel bilancio dell’azienda?
Anche se geograficamente siamo collocati in un’area a forte vocazione turistica, la nostra resta principalmente un’azienda agro-zootecnica in cui l’attività di accoglienza è complementare alle altre e marginale in valori assoluti.
Ci consente di mantenere attivi i casolari presenti nella tenuta e coprire le spese di manutenzione degli stabili.
Detto questo, per noi, la presenza turistica ha principalmente un valore legato al racconto dell’identità che stiamo preservando: qui si possono vedere figure come i butteri, si possono conoscere le tradizioni del territorio, si possono esplorare ambienti naturali modificati nei secoli dalla presenza umana.

Butteri nellla tenuta di Alberese. Foto di Alberto Pastorelli

Il vostro è un caso scuola, ma è replicabile altrove?
È un’azienda legata a doppio filo con il territorio, per cui non è un modello replicabile pedissequamente. Ma ogni azienda deve esprimere un legame con il territorio, diventandone presidio e mettendo in connessione gli aspetti di agro-biodiversità con la storia dei propri luoghi.
Un ottimo spunto, però, può essere preso dal nostro modello di allevamento zootecnico, per esempio selezionando razze antiche e autoctone. Queste, spesso, sono più resistenti e più adatte a sfruttare le aree marginali, offrendo risposte interessanti in termini economici.

L’allevamento estensivo riesce a essere remunerativo?
Negli anni abbiamo imparato a non trascurare alcun aspetto della filiera zootecnica, così da abbattere i costi superflui e ricavare un sostentamento dal nostro lavoro.
Innanzitutto, grazie all’allevamento brado è molto alto l’indice di benessere per l’animale. Ciò significa che, crescendo specie rustiche – frutto della selezione nei secoli – e ponendole in condizioni ottimali di vita, minimizziamo le spese di cura.
In secondo luogo, abbiamo accorciato la filiera avendo un macello aziendale e una rivendita, fornendo in loco solo poche realtà. Se da un lato non abbiamo i grandi numeri che interessano la grande distribuzione, dall’altro possiamo raccontare meglio il prodotto e troviamo un consumatore più consapevole e disposto a pagare un prodotto di qualità organolettica superiore.
Non solo. Il nostro cliente è consapevole del lavoro che facciamo ed è disposto a pagare un extra per la tutela dell’ambiente e del territorio, per la conservazione della cultura, per il rispetto etologico che questa forma di allevamento offre agli animali e per gli aspetti legati alla salute.

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Agricoltura slegata dal territorio, le vere cause delle alluvioni //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni/#respond Fri, 07 Apr 2023 06:31:31 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68426 I cambiamenti climatici (causati anche dall’agricoltura e dagli allevamenti industriali alimentati con ogm, prodotti distruggendo le foreste primarie) scaricano sempre più acqua sulle terre.
La chiamano agricoltura conservativa, sostenibile, integrata quando vogliono accedere ai fondi europei agro-climatico-ambientali destinati al restauro del territorio e della fertilità, all’agroecologia. Ciò a cui assistiamo, però, è il livello insostenibile di accumulo e bio-accumulo di chimica, con la contemporanea distruzione dell’humus nei terreni.

Per cambiare rotta, è necessaria in primis la revisione del programma agricolo nazionale di Sviluppo Rurale, già bocciato a Bruxelles, poi miracolosamente approvato.
Così come l’intera politica agro-ambientale europea, affinché il sostegno al reddito agricolo vada solo a chi produce in modo agroecologico, ossia ai produttori e agli allevatori biologici. A loro spetta il compito di tornare a produrre letame fertile e non liquame putrido, quello che spappola i terreni e aumenta l’effetto serra.
Più in generale, il sostegno al reddito andrebbe rivolto a chi utilizza le tecniche di agroecologia sinergica e rigenerativa della fertilità dei suoli.

La carenza di humus nel suolo riduce la capacità di assorbimento del terreno

L’humus al centro
L’acqua che abbiamo visto invadere per giorni e settimane i campi e le pianure in Emilia Romagna l’avremmo dovuta far assorbire dai terreni, insieme ai gas serra, incrementando l’humus del suolo. È lui, infatti, la spugna biologica che trattiene acqua e il terreno, è lui che deve essere l’indicatore primario di corretto uso dei fondi pubblici dei programmi di sviluppo rurale regionali e quelli nazionali che offrono un sostegno al reddito degli agricoltori.
Invece, negli ultimi 30 anni, la preziosa sostanza organica dei terreni, che attraverso la fotosintesi e l’equilibrio dei microbi è in grado di trattenere acqua anche 10 volte il proprio peso, si è ulteriormente ridotta.
Oggi l’acqua scorre senza più infiltrarsi nei terreni assassinando il territorio, per decine di migliaia di ettari, invade canali e fiumi troppo velocemente. Fenomeno acuito anche dalla distruzione di siepi secolari, patrimonio di biodiversità tradizionale selezionata dai nostri avi, atte proprio a far evaporare acqua e a farla infiltrare in profondità grazie alle radici.

Siccità e alluvioni, due facce della stessa medaglia
Bisogna immediatamente interrompere l’erogazione di tali fondi a chi usa pesticidi e disseccanti, fertilizzanti chimici e liquami zootecnici. Tutto ciò è incostituzionale e illegale (vedasi le continue relazioni della Corte dei Conti Europea a partire dalla n.3 del 2005 sulla spesa agroambientale).
Abbiamo buttato 30 anni di politiche agro-climatico-ambientali per una falsa agricoltura integrata e un falso benessere animale, politiche basate su pesticidi chimici e mangimi concentrati, liquami e perdita di biodiversità. Abbiamo impoverito i terreni, che ad ogni pioggia perdono fertilità e si erodono: oggi la desertificazione interessa il 30% delle superfici agricole mondiali e nazionali. Siccità e alluvioni diventano così due facce della stessa medaglia.

Ripristinare siepi, alberature, boschetti
Dobbiamo ripristinare siepi, alberature, boschetti e i canali di scolo, basandoci sulle foto aeree degli anni ’50 del secolo scorso, che raffigurano un paesaggio frutto di secoli di saggezza ed esperienza contadina sui territori. Paesaggi che, in pochi decenni, siamo riusciti a devastare grazie alla meccanica e alla chimica.
Dobbiamo sistemare i terrazzamenti persi e le siepi con i salici, sfruttando la loro caratteristica di pompare un metro cubo di acqua al giorno evaporandola verso l’atmosfera. E altrettanto dovremo fare con pioppi e platani lungo le rive dei canali e fiumi, preservando le coltivazioni e lavorazioni a girapoggio lungo le linee di livello e non di massima pendenza.
Occorre, poi, finanziare le coltivazioni di copertura dei terreni, prima di seminare le coltivazioni principali con colture da sovescio come le cover crops e incentivare l’inerbimento nei frutteti, così come previsto dai regolamenti europei.
Tecniche antiche, tutte indirizzate a incrementare l’humus, la fertilità naturale e la biodiversità dei terreni, proteggendoli dalle piogge e dall’erosione.
Infine, come non citare la gestione forestale, che può dare un’ulteriore vantaggio se volta a incrementare i boschi d’alto fusto, preservando il sottobosco, le piante secolari e garantendo produzione di legna da ardere ‘ecologica’.
Infine, dobbiamo sostenere solo la zootecnia biologica, basata sul carico di animali per ettaro alimentabile con le risorse aziendali e comprensoriali.

Un campo irrorato con l’uso di piccoli aeromobili

Convergenza di interessi
Dottori agronomi e dottori forestali, fornendo agli agricoltori l’assistenza tecnica e la formazione agro-ecologica, aiuterebbero a trasformare la situazione da conflittuale a una auspicabile convergenza di interessi.
Un percorso che, naturalmente, non può essere solo tecnico, ma che deve poter utilizzare fondi europei per compensare i maggiori costi delle tecniche biologiche.
I fondi sono facilmente reperibili, considerando il risparmio stimato di almeno 30 miliardi all’anno per danni causati dal dissesto idrogeologico. Somma che cresce ulteriormente se si aggiungono i 50 miliardi all’anno tra pubblico e privati di costi imputabili alle patologie cronico-degenerative e riproduttive, che vedononell’uso dei pesticidi una concausa.

L’auspicio è di fare presto più di un passo in direzione di una riconversione completa dell’Italia al biologico: in fondo bastano appena 15 miliardi se ben spesi.
Un percorso che significherebbe qualità alimentare e salute oltre che l’aumento della resilienza dei territori.

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Crisi climatica, PNACC e ruolo dei dottori agronomi e dottori forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/#respond Fri, 03 Mar 2023 17:56:15 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68299 Di Renato Ferretti

La crisi climatica rappresenta la più grande sfida che l’umanità è costretta ad affrontare in questo secolo e che, per essere vinta, necessita di un netto cambio di passo nelle politiche di mitigazione e di adattamento entro il 2030.

La crisi idrica
Gran parte degli impatti dei cambiamenti climatici sono riconducibili a modifiche del ciclo idrologico e al conseguente aumento dei rischi che ne derivano. Se per esempio guardiamo al trentennio 1991-2020 in media in Italia, vediamo che gli eventi estremi aumentano mentre diminuiscono le precipitazioni.
In particolare, nel Italia del 2020, la precipitazione media totale annua è stata pari a 661 mm, corrispondente a una diminuzione di 132 mm rispetto alla media della decade presa in esame.
La crisi climatica non minaccia solo la disponibilità, ma anche la qualità dell’acqua. La questione si intreccia con la perdita di criosfera, l’insieme di neve, permafrost e ghiacciai.
Meno acqua, poi, porta con sé anche problemi energetici, basti pensare che la produzione idroelettrica dipende anche dall’abbondanza delle precipitazioni.

Addio ai ghiacciai alpini

Flora, fauna e foreste: la perdita dei servizi ecosistemici
Il nostro Paese si affaccia sul Mediterraneo, uno dei mari più sfruttati al mondo che, oltre a essere investito dal problema dell’innalzamento del livello delle acque, sta sperimentando temperature continuamente più elevate grazie a ondate di calore sempre più intense. Tutto ciò porta alla presenza e all’acclimatazione di nuove specie aliene invasive (in generale una delle principali minacce alla biodiversità), con serie conseguenze sul comparto della pesca.
Anche flora e fauna risentono del riscaldamento globale che ne altera ciclo di vita, e conseguentemente la quantità e qualità dei servizi ecosistemici offerti gratuitamente alla popolazione.
Un tema chiave è poi quello delle foreste, soprattutto in un Paese come il nostro che risulta occupato per circa un terzo dai boschi.
Da una maggiore probabilità di incendi al pericolo del “cambio d’uso del suolo”, fino alla disponibilità di acqua. La crisi climatica insieme alla cattiva gestione forestale rischia di mettere sotto pressione preziose funzioni forestali, come quella di protezione dagli eventi estremi.

Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici
Finalmente il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato il 28 dicembre la versione aggiornata del “PNACC”.
Si tratta di uno strumento strategico di particolare rilievo, dato che dovrà fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi climatici e migliorare la capacità di adattamento dei nostri sistemi naturali, sociali ed economici.

La struttura del PNACC è articolata in cinque sezioni:

  • il quadro giuridico di riferimento;
  • il quadro climatico nazionale;
  • impatti dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali;
  • misure e azioni di adattamento;
  • governance dell’adattamento.

Uno degli scopi principali del Piano è, come detto, evitare gli effetti socio-economici negativi derivanti dagli impatti climatici.
Secondo uno studio del 2014 della Commissione europea, nel caso non venissero implementate misure di adattamento, potremmo perdere addirittura 410mila posti di lavoro entro il 2050 in Europa.
Il documento prosegue poi con una distinzione sul tipo di impatti che si dividono tra quelli causati dagli eventi climatici estremi, come per esempio le alluvioni, le frane e i cicloni tropicali, e quelli “a lenta insorgenza”, come l’aumento della temperatura terrestre, l’innalzamento del livello dei mari e della temperatura delle acque e la riduzione delle risorse idriche disponibili.
La grande novità del PNACC risiede proprio nella sua pubblicazione che consente, così, l‘avvio di un iter atteso da troppo tempo.

Prossimi passi
Il documento sarà ora sottoposto a consultazione pubblica, prevista dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas).
Dopo l’approvazione definitiva, con decreto del ministro, si procederà poi all’insediamento dell’Osservatorio nazionale che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano.
Occorre seguire con attenzione le prossime fasi della valutazione perché come abbiamo sottolineato anche al congresso di Firenze è improcrastinabile e urgente intraprendere azioni di contrasto alla crisi climatica, sia per proteggere il benessere di cittadine e cittadini, sia per salvaguardare i nostri ecosistemi e la nostra agricoltura.
I dottori agronomi ed i dottori forestali sono i professionisti che più di altri hanno le competenze per poter intervenire a livello di programmazione. Pianificazione e progettazione degli interventi. È pertanto necessario essere presenti in tutte le occasioni per far sentire la nostra voce e soprattutto evidenziare la nostra competenza professionale in materia.

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Conservazione dinamica del paesaggio alpino //www.agronomoforestale.eu/index.php/conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino //www.agronomoforestale.eu/index.php/conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino/#respond Fri, 17 Feb 2023 11:16:08 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68283 Come si attua la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione del paesaggio nell’area alpina? Un esempio, anzi diversi esempi si possono trovare tra i premi e le menzioni del Premio triennale Giulio Andreolli Fare paesaggio.

Cos’è il premio
Il premio nasce per celebrare le opere, progetti e iniziative realizzati nel territorio alpino e indirizzati alla salvaguardia, alla gestione e alla valorizzazione del paesaggio nell’area alpina.
La Giuria, presieduta dal paesaggista Andreas Kipar e composta da esperti di livello internazionale, ha valutato gli interventi e le iniziative con specifici riferimenti all’innovazione e alla sostenibilità, alla partecipazione e alla sensibilizzazione.

Il dinamismo del paesaggio

Sabrina Diamanti, presidente CONAF

D: Presidente Diamanti, come mai l’ordine degli agronomi e forestali è coinvolto in questo premio dedicato al paesaggio?
Sabrina Diamanti, Presidente CONAF
: Nulla di strano, anzi. Il premio esibisce i valori scritti nella Carta europeo dal paesaggio e nell’articolo 9 della Costituzione, che è incardinato nel nostro codice deontologico. Da sempre agronomi e forestali si occupano di cultura del paesaggio, della sua valorizzazione, della sua gestione

 

D: Siamo giunti alla terza edizione. Cosa ha trovato di nuovo?
R:
Negli anni, il premio ha saputo evolvere, comprendendo che il paesaggio cambia e lo dobbiamo interpretare come un’entità dinamica che va curata, valorizzata e gestita, in particolare per le componenti più naturali.
Un’evoluzione insita nel nome stesso del premio: “Fare paesaggio”. È un concetto che racchiude in sé il fatto che il bene paesaggistico è la risultanza di una costruzione e di un’interazione con l’uomo attraverso i secoli.
Un intervento dinamico, ma che ha saputo coniugare le esigenze di vita con la capacità di conservare i beni, applicando i principi di sostenibilità anche prima che questi venissero esplicitati.

 

D: Cosa significa curare il paesaggio nel XXI secolo?
R:
In questi e nei prossimi anni, i cambiamenti climatici ci obbligheranno a fare i conti con una repentina evoluzione degli scenari, sia per quanto riguarda la messa in sicurezza degli edifici e dei manufatti che per le modifiche alle nicchie ecologiche.
Per questo ho molto apprezzato che il filo conduttore di questo premio sia stato la multidisciplinarietà dei gruppi di progettazione. Si tratta di un approccio moderno, in cui le diverse specializzazioni concorrono verso l’obiettivo comune della sostenibilità e della valorizzazione del paesaggio alpino.”

 

D: Tra cui anche quelle dei dottori agronomi e dottori forestali
R:
Non mi stupisce vedere la presenza di tanti colleghi nei team dei progetti premiati e in quelli partecipanti, inseriti armonicamente tra architetti e paesaggisti per contribuire con le nostre competenze alla salvaguardia di quell’immenso bene che sono le Alpi.
Per fare ottimi progetti servono specializzazioni e competenze sempre aggiornate, ma nel contempo è necessario coniugare i diversi punti di vista per essere capaci di gestire la complessità.
I progetti candidati in questo premio ne sono la dimostrazione, perché funzionano quando hanno saputo mettere a fattor comune le esigenze umane con quelle della natura, mantenendo l’armonia in uno sguardo di insieme.

 

Agronomi e forestali premiati
Il primo posto nella sezione “cultura, educazione e partecipazione” è stato assegnato al progetto “Il Castello di Pergine bene di comunità”, il cui presidente della Fondazione CastelPergine Onlus è il collega Carmelo Anderle, dottore forestale.

 

Progetto “Il Castello di Pergine bene di comunità”

IL PROGETTO
La Fondazione di partecipazione CastelPergine Onlus ha acquisito a fine 2018 il Castello di Pergine in Trentino (I) tramite un’iniziativa comunitaria di attivazione e coinvolgimento di istituzioni, istituti di credito, enti privati, associazioni e alla raccolta di sottoscrizioni (ad oggi 885).
Si tratta di una proprietà che comprende anche le sue pertinenze, due ristoranti e uno storico albergo dislocato in tre torri e nella cosiddetta Ala clesiana: circa 3.800 mq coperti e 17 ettari di proprietà boschive e prative. Un bene dalla presenza fortemente iconica nel paesaggio, di grande rilevanza storico-artistica, centro d’arte e cultura, turismo sostenibile, occupazione, bandiera verde di Legambiente 2022.
La vita che si è dipanata a Castello dopo l’acquisizione – tra lavoro, mostre d’arte, incontri, spettacoli, occasioni di studio e conoscenza – ha motivato aggregazione, costruito nuove relazioni, consolidato e generato collaborazioni. Numerosi sono i personaggi di spicco del panorama nazionale e internazionale che hanno fatto visita e sosta a castello e tanti i visitatori coinvolti nel contesto di diverse iniziative già avviate a partire dal 2019. L’acquisizione partecipata del Castello nel 2018 ha rappresentato un elemento dirompente nella gestione del patrimonio storico-artistico, a partire dalla sua salvaguardia e conservazione. Questo progetto sta contaminando altre realtà a livello nazionale e la Fondazione condivide in modo innovativo il know-how e il progetto di valorizzazione in una logica di rete di esperienze. A partire dalla data di acquisizione del bene, oltre alle numerose iniziative di carattere culturale sono stati realizzati e programmati numerosi interventi di restauro dei beni architettonici e storico artistici che qualificano il complesso monumentale.

 

Menzioni speciale allo studio Amp Architecture & Landscape, in cui lavora il dottore forestale Claudio Maurina, per il progetto di riqualificazione ambientale “Parco del lago Fontana

 

progetto di riqualificazione ambientale “Parco del lago Fontana”

IL PROGETTO
Valorizzazione paesaggistica e qualificazione ecologica di un laghetto alla base delle pendici boscate che delimitano la valle di Non in Trentino (I).
L’intervento intende migliorare la fruibilità del lago Fontana e agisce sull’assetto morfologico e idraulico del bacino, sul quadro naturalistico e sugli elementi destinati alla fruizione del sito. Lo spostamento dell’emissario e l’inserimento di varie specie vegetali migliorano la dinamica lacustre, il percorso panoramico attorno al lago si adatta alla topografia delle sponde, riducendo l’impatto ambientale, mentre i sentieri sensoriali collegano radialmente il lago al bosco. Gli elementi identificativi del luogo (emissari, dossi, punti panoramici etc.) sono messi a sistema attraverso due tipologie di percorso: il percorso panoramico e i sentieri sensoriali. Ciò integra il sito con le comunità che già lo frequentano, grazie alla sua vocazione di crocevia e luogo di incontro tra percorsi di natura e cultura. Il fondale del laghetto è stato riportato ad una profondità adeguata ed è stato spostato l’emissario nel versante sud-est e sistemate le sezioni di bacino al fine di creare una appropriata fascia ecotonale. Sono state messe a dimora specie lacustri e vegetali che stabilizzano l’ecosistema del lago e bilanciano la presenza di specie già presenti. Il percorso offre pendenze quasi sempre costanti e mai superiori all’8% per garantire la fruibilità a diversi tipi di utenza. Incontri e momenti di condivisione con i diversi stakeholders del territorio hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo dell’iter progettuale, scanditi da numerosi incontri con la municipalità nelle sue componenti tecniche, sociali e culturali.

 

Menzioni di qualità assegnata al progetto “Dopo Vaia, la rinascita di un parco” (SOVA-Parco di Levico), il cui curatore è il dottore forestale Maurizio Mezzanotte, dirigente del servizio SOVA.

progetto “Dopo Vaia, la rinascita di un parco” (SOVA-Parco di Levico),

IL PROGETTO
Creato agli inizi del ‘900, il Parco delle Terme di Levico in Trentino (I) è il più importante parco storico della provincia. Nel 2018 il parco è stato colpito pesantemente dalla tempesta Vaia che ha abbattuto più di 200 alberi monumentali. Per riqualificare il parco è stato avviato un percorso di restauro accompagnato da iniziative culturali finalizzate a coinvolgere la collettività nel lungo processo di rinascita. La popolazione ha risposto massicciamente, contribuendo con donazioni e offerte provenienti da tutta Italia e dall’estero che hanno permesso il reimpianto degli alberi seguendo uno specifico progetto paesaggistico. In tale contesto di iniziative è stato bandito un concorso rivolto a progettisti e artisti per raccogliere idee e ipotesi progettuali sul tema “resilienza”. L’invito è stato raccolto da 35 candidati provenienti da tutta Italia e il progetto vincitore è stato realizzato. L’attività di rinascita del parco è proseguita attuando un intenso programma di iniziative che rappresentano una realtà ormai consolidata nel panorama culturale trentino.

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La CITES e lo sguardo di empatia verso i vivaisti //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti/#respond Fri, 10 Feb 2023 17:16:27 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68274 di Luigi Salvatore Arcudi, consulente C.I.T.E.S. Consulting

Il Segretariato della CITES ha pubblicato il primo World Wildlife Trade Report , che fornisce approfondimenti e analisi sul commercio globale di animali e piante regolati da questo trattato internazionale. Il rapporto pilota sul commercio mondiale di specie selvatiche è stato lanciato ufficialmente alla Conferenza mondiale sulla fauna selvatica a Panama il 15 novembre 2022.
La novità interessante è che il Rapporto valorizza il lavoro di quanti propagano artificialmente le piante protette, riconoscendone il contributo a favore della conservazione delle specie e del loro habitat poiché la propagazione artificiale rende ingiustificato il prelievo in natura.

Oggi, gli 8 miliardi di persone sul nostro pianeta consumano nella loro vita quotidiana milioni di prodotti derivati da animali e piante selvatiche, spesso senza essere consapevoli della nostra relazione e interdipendenza con la natura e la sua rete di vita. Mentre la CITES si avvicina al 50° anniversario della sua firma a Washington DC il 3 marzo 1973, è opportuno avere un quadro più chiaro del commercio globale di specie selvatiche regolamentato dalla Convenzione”, afferma Ivonne Higuero, Segretario generale della CITES.

Propagato, non prelevato
Mentre è generalmente vietato il commercio internazionale di circa il 3% di tutte le specie protette dal trattato, vale a dire quelle incluse nell’Appendice I e considerate a rischio di estinzione, il commercio internazionale del resto del 97% delle specie è consentito, a condizione che tutte le specie pertinenti le regole sono rispettate. Queste specie, regolamentate dalla CITES, comprendono, tra le altre, specie ittiche e legnose di alto valore marino. La maggior parte delle quasi 40.000 specie sotto controllo commerciale sono piante.
Il rapporto mostra anche che la percentuale di piante selvatiche in commercio è ulteriormente diminuita negli ultimi dieci anni fino ad appena il 4% in termini di numero di singole piante. In altre parole, la stragrande maggioranza delle piante in commercio viene propagata artificialmente e non è più “selvatica”.

Qualche risultato
Ecco alcuni dei risultati del rapporto pilota:

  • Tra il 2011 e il 2020, circa 3,5 milioni di spedizioni CITES sono state segnalate nel commercio diretto da parte degli esportatori. Ciò ammontava a oltre 1,3 miliardi di singoli organismi di cui 1,26 miliardi di piante e ulteriori 279 milioni di kg di prodotti dichiarati in peso di cui 193 milioni di kg di piante.
  • L’Asia e l’Europa rappresentavano entrambe le principali regioni di esportazione e importazione, con l’Asia che rappresentava il 37% delle transazioni di esportazione e il 31% delle transazioni di importazione, e l’Europa il 34% delle transazioni di esportazione e il 38% delle transazioni di importazione.
  • Asia e Africa sono le regioni che rappresentano la percentuale più alta del valore stimato delle esportazioni globali. Circa la metà del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali di animali nell’elenco CITES proveniva dall’Asia, mentre quasi i due terzi del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali di piante nell’elenco CITES è stato attribuito alle esportazioni dall’Africa.
  • Le entrate annuali generate dal commercio legale globale di animali selvatici (CITES e non CITES) in totale sono state stimate a 220 miliardi di dollari all’anno. In questa analisi, il valore finanziario delle esportazioni globali dirette di specie elencate nella CITES nel periodo 2016-2020 è stato di 9,3 miliardi di dollari per le esportazioni di piante.
  • Tra tutti i prodotti vegetali, circa due terzi (66%) del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali elencate nella CITES è stato attribuito alle esportazioni di legname (6,2 miliardi di USD), con le esportazioni di piante non legnose (3,17 miliardi di USD) che rappresentano il restante terzo (34%) delle esportazioni globali in valore.
  • La maggior parte del commercio ha coinvolto individui (o parti e derivati) che sono stati propagati artificialmente (per piante) Complessivamente, il commercio di individui di origine selvatica rappresentava il 18% di tutto il commercio ed è dominato dalle piante (81% del commercio globale di origine selvatica).

Conclusioni
Il rapporto rivela che gli impatti positivi di un commercio ben gestito di specie elencate nella CITES e commercializzate includono l’aumento e stabilizzazione della popolazione, il mantenimento e la riduzione della pressione sulla popolazione selvatica. Lo studio ha, inoltre, identificato un’ampia varietà di impatti socioeconomici, che vanno da quelli macroeconomici come i contributi al PIL, agli impatti a livello locale come la generazione di reddito, il miglioramento della nutrizione o il rafforzamento dei diritti. Gli impatti della conservazione sono profondamente intrecciati con i benefici socioeconomici che vengono generati, i secondi spesso forniscono l’incentivo per i primi.

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Come nasce il rapporto
Il rapporto è una produzione congiunta che coinvolge un partenariato tra le organizzazioni delle Nazioni Unite e le principali organizzazioni per la conservazione. Tra gli autori troviamo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD), l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e il TRAFFIC.
Il rapporto è ricco di statistiche che coprono le rotte, le dimensioni e i modelli del commercio internazionale legale delle specie elencate nella CITES, insieme ai valori, agli impatti sulla conservazione e ai benefici socioeconomici di questo commercio e ai collegamenti tra legale e illegale commercio. Basandosi su milioni di record, con oltre 1,2 milioni di permessi commerciali CITES rilasciati ogni anno, in oltre 80 pagine, il rapporto esamina una vasta gamma di argomenti commerciali.
È il primo rapporto del suo genere progettato per aiutare governi, organizzazioni, imprese ed enti commerciali a costruire le politiche e le pratiche di conservazione.
Lobiettivo della CITES è che, entro il 2030, tutto il commercio delle specie elencate dovrebbe essere legale, tracciabile e sostenibile.

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Gli alberi ed il contesto urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-alberi-ed-il-contesto-urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/#respond Fri, 18 Nov 2022 17:32:59 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68246 Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF

Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.

Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.

L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:

  • nell’apparato radicale ridotto a causa dei lavori effettuati per opere infrastrutturali successive;
  • nelle errate potature che producono chiome disequilibrate, accentuano l’effetto vela ed indeboliscono l’apparato radicale;
  • nell’ineluttabile ciclo di vita che, come per ogni essere vivente, si conclude con la morte che può essere più o meno immediata. Lo stroncamento di rami o addirittura del fusto è come un infarto per un uomo.

La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.

Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.

Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.

Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.

Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.

Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).

Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.

 

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Il florovivaismo a un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-florovivaismo-a-un-anno-dallinizio-della-pandemia-da-covid-19/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-florovivaismo-a-un-anno-dallinizio-della-pandemia-da-covid-19 //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-florovivaismo-a-un-anno-dallinizio-della-pandemia-da-covid-19/#respond Thu, 08 Apr 2021 13:59:41 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68075 di Renato Ferretti, coordinatore dipartimento Paesaggio, pianificazione e progettazione territoriale e del verde

L’andamento del settore florovivaistico si discosta molto da quell’economia in generale e si diversifica all’interno fra la floricoltura e il vivaismo ornamentale.
Per quanto riguarda l’economia in generale, il 2020 si chiuderà con una caduta del PIL intorno al 13%. Questa crisi assieme a quella del 2008 hanno riportato il PIL procapite sotto i livelli del 1995. La crisi attuale è ancora più grave della precedente, non solo per la sua maggiore intensità, ma anche perché la sua origine è esogena al mondo dell’economia per cui la sua soluzione può venire solo dall’esterno, in particolare con la sconfitta del virus. Ciò ha fatto sì che siano molte le attività che hanno subito – e continuano a subire – drastiche riduzioni dei propri fatturati perché in questa fase sono le stesse regole di mercato a essere state sospese dall’emergenza sanitaria.
Poiché però, superata l’emergenza, le regole di mercato torneranno a operare, è necessario che le attività produttive rimangano vive per essere in grado di riprendere la propria attività.
Per lo specifico dell’agricoltura, i dati disponibili confermano cadute del settore agricolo e agroalimentare meno pesanti di quelle avvertite da altri settori. In generale diciamo intorno all’1%, altrettanto per l’occupazione con dinamiche migliori di quelle del resto dell’economia.

Florovivaismo e vivaismo ornamentale
Per quanto riguarda il florovivaismo siamo di fronte a una situazione che ha visto perdite differenziate perché nel primo periodo di lockdown, soprattutto i prodotti stagionali sono stati irrimediabilmente persi e questo è continuato per i fiori recisi e per le piante fiorite anche successivamente a causa dell’impossibilità di fare cerimonie e del sostanziale annullamento delle ricorrenze. A spingere il settore sono le esportazioni, soprattutto per il settore dei fiori e piante in vaso, e il ritorno alla cura di giardini e balconi per il reciso sul fronte nazionale.
Per quanto riguarda il vivaismo ornamentale le cose, dopo la grande paura del marzo e aprile scorsi, sono piano piano migliorate e nella seconda parte dell’anno è stato quasi interamente recuperato il fatturato perso nella primavera. Le cause sono principalmente tre: il mercato interno, con una domanda proveniente principalmente da garden center; l’attivarsi dei Comuni, grazie alle misure messe in campo per il contrasto al cambiamento climatico da diverse Regioni (Toscana, Emilia, Lombardia, ecc.); il crescere dei mercati esteri con fatturati che alla fine si sono sostanzialmente allineati con quelli del 2019. La domanda estera proviene principalmente dai paesi del Nord Europa (Olanda, Germania, Francia) con calo di quella proveniente dal blocco dell’Europa meridionale, mentre dai paesi dell’Est Europa e Austria la domanda si è mantenuta su livelli del 2019 invece quasi inesistente quella proveniente da Russia e Medio Oriente.

Piccole cactacee ornamentali. Foto di Victoria

In sofferenza gli investimenti di lungo periodo
Dal punto di vista delle richieste del mercato occorre evidenziare che cominciano a scarseggiare le piante di medio-grandi dimensioni che necessitano di un periodo di coltivazione lungo e quindi investimenti prolungati poco compatibili con l’attuale sistema finanziario. Ma in conseguenza della crescente domanda cominciano a mancare anche le giovani piante e le piante forestali. Alcune specie di piante come: Acer campestre, Aceri giapponesi, Pyrus calleriana, Cercis siliquastrum, Albizia julibrissim, Prunus spp., Osmanthus spp., Liriodendron tupulifera e Quercus ilex cominciano a essere delle vere rarità. In generale, le piante più richieste si confermano le sempreverdi, le piante a forma, gli arbusti ornamentali, le rose e le piante da frutto di cui ormai sono in via di esaurimento gli stock.

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Vegetazione riparia e corsi d’acqua vegetati: un mondo da scoprire tra ecologia ed idraulica //www.agronomoforestale.eu/index.php/vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica //www.agronomoforestale.eu/index.php/vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica/#respond Mon, 15 Mar 2021 14:43:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68055 di Giuseppe Francesco Cesare Lama, vincitore del premio Stanca 2021
PhD in Agricultural Hydraulics and Watershed Protection, Sezione di Ingegneria Agraria, Forestale e dei Biosistemi – IAFB, Dipartimento di Agraria, Università degli Studi di Napoli Federico II

Le attuali sfide agro-ambientali legate ai cambiamenti climatici stanno mettendo in luce la crescente necessità di tutelare le risorse idriche in maniera sempre più decisa, soprattutto in zone sensibili del territorio italiano. In particolare, cruciale è il ruolo svolto dai corpi idrici vegetati, in cui convivono ecosistemi acquatici e terrestri, per i quali risulta estremamente utile riuscire a definirne il comportamento sia dal punto di vista ambientale che idrodinamico.
In questo studio vedremo come è possibile trasferire le più innovative tecniche di misura delle caratteristiche ecoidrauliche dal laboratorio a corpi idrici vegetati reali colonizzati da specie riparie allo stato naturale.

Ruolo della vegetazione riparia in ecoidraulica
La scienza che si occupa di analizzare il complesso meccanismo di interazione tra vegetazione riparia e corpo idrico vegetato è definita ecoidraulica, una disciplina che si fonda sui principi dell’ecologia e dell’idraulica fluviale.
Questa definizione include al suo interno alter importati discipline, quali la biologia acquatica, la fluidodinamica, la geomorfologia e l’idrologia.

La vegetazione riparia può presentarsi essenzialmente sotto tre forme, in funzione del rapporto tra l’altezza media delle piante ed il livello idrico all’interno del corso d’acqua.

  1. Quando le piante sono più alte del livello idrico, la vegetazione è detta “emergente”;
  2. se la vegetazione si sviluppa al livello del pelo libero, essa è detta “flottante”;
  3. quando le piante sono più basse del livello idrico, la vegetazione riparia è detta “sommersa”.
Le 3 forme della vegetazione riparia. ©Giuseppe Francesco Cesare Lama

Dal punto di vista della risposta alle condizioni di deflusso, i fusti possono definirsi flessibili o rigidi a seconda se si flettano o meno al passaggio della corrente idrica. Tipicamente, piante giovani si comportano come flessibili, mentre piante mature assumono un comportamento rigido.

Nella gestione della vegetazione riparia in corsi d’acqua vegetati, il classico approccio adoperato dagli enti gestori è stato sempre rivolto alla totale rimozione della stessa lungo l’intero perimetro delle sezioni idriche dei canali.
Questo comporta di sicuro un’elevata capacità di convogliamento per l’intero corpo idrico comportando, di contro, un forte impatto ambientale ed ecologico, basti pensare alle specie acquatiche e terrestri che si sviluppano al loro interno.
È altresì vero che la crescita incontrollata della vegetazione riparia nei canali vegetati da un lato garantisce la totale naturalità dello stesso, giocando a favore dei servizi ecosistemici, ma a spese di una bassissima capacità di deflusso, esponendo il territorio circostante a forti rischi di allagamento.

In questo contesto, è di fondamentale importanza riuscire a definire degli scenari di intervento intermedi, che possano garantire un soddisfacente equilibrio tra le necessità di protezione idraulica del territorio, sia esso agricolo che urbanizzato, e la tutela degli ecosistemi aquatici e terrestri che vivono e popolano il corpo idrico, contribuendo ad accrescerne il valore naturalistico.

L’idrodinamica dei corpi idrici vegetati
In questo studio sono stati presi in considerazione, per la prima volta nella letteratura scientifica, le tecniche e le metodologie di laboratorio utilizzate caratterizzazione dell’interazione idrodinamica tra corrente idrica e vegetazione riparia, all’interno di canali di bonifica reali caratterizzati da presenza massiva di vegetazione riparia. L’attenzione è stata riposta sulla Cannuccia di palude (Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud.), in condizioni di senescenza, avente cioè comportamento rigido. Estremamente diffusa in aree umide e aree depresse dell’intero pianeta, la Cannuccia di palude si sviluppa naturalmente secondo degli stands definiti canneti.

Nello specifico, sono stati condotti degli esperimenti a scala di campo in un canale di bonifica situato all’interno di una rete di bonifica gestita dal consorzio di bonifica 1 Toscana Nord, inserito all’interno del territorio posto sotto la tutela dell’Ente Parco Regionale di Migliarino S. Rossore Massaciuccoli.

Gli esperimenti sono stati volti alla caratterizzazione idrodinamica e vegetazionale del corpo idrico in esame, secondo tre diversi scenari di vegetazione riparia: una condizione di canneti in stato indisturbato, un taglio centrale dei canneti con due corridoi laterali di circa 1 m di vegetazione indisturbato sulle due sponde, e uno scenario di taglio totale dei canneti.

Un confronto tra 3 tipologie di taglio della vegetazione riparia: indisturbata, con taglio centrale e con taglio totale
Un confronto tra 3 tipologie di taglio. ©Giuseppe Francesco Cesare Lama

Il comportamento idrodinamico del corpo idrico in termini di distribuzioni trasversali di velocità media di corrente e principali caratteristiche turbolente è stato analizzato nei tre diversi scenari, nella sezione idrica di monte del corpo idrico attraverso misure del campo 3D di velocità istantanee, effettuate con uno strumento estremamente preciso quale l’acoustic Doppler velocimeter (ADV) in un grigliato composto da tre punti di misura posti a differente altezza lungo cinque verticali, per un totale di 15 punti di misura.

Lo strumento permette di caratterizzare l’intero campo di moto, in modo da poter accoppiare le misure idrodinamiche a misure di caratterizzazione dimensionale dei canneti nella stessa sezione del canale strumentata con l’ADV. All’interno del canale sono stati misurati, nello specifico, il diametro, l’altezza media, e la densità areale delle piante, quest’ultima definita come numero di canne per metro quadro di area di fondo del canale stesso. Per la prima volta a scala reale sono stati anche messi appunto dei modelli di previsione del comportamento idrodinamico dei canali vegetati, basati sul reperimento dei parametri appena menzionati.

Risultati salienti

In particolare, è stato possibile constatare che, nel caso dello scenario di taglio centrale della vegetazione, la capacità di deflusso legata alla distribuzione trasversale di velocità media di portata risulta comparabile, se non strettamente maggiore, della capacità di deflusso riscontrata nel caso di taglio totale e, come era lecito aspettarsi, molto maggiore che nel caso di vegetazione indisturbata. Dalla misura di livello idrico a parità di portata volumetrica circolante nel canale, si evince addirittura un livello idrico minore rispetto al caso do taglio totale, il che comporta anche un maggiore margine di sicurezza in ambito di protezione idraulica dei territori circostanti.

Inoltre, dall’analisi del campo di Energia Cinetica Turbolenta (k) ha messo in evidenza che l’agitazione turbolenta, seppure mantenendosi leggermente minore di quella che si ha nello scenario di taglio totale della vegetazione, lo scenario di taglio centrale dei canneti, consente un’agitazione in 3D molto soddisfacente, quasi dieci volte maggiore di quella relativa al caso di canneto in condizioni indisturbate.

È quindi possibile affermare che la proposta di scenario di gestione della vegetazione ripariale operata attraverso il taglio centrale dei canneti, oltre a fornire una fascia di rispetto di 1 m su ciascuna sponda atta a salvaguardare la qualità ambientale del corpo idrico, riesce a garantire un buon livello di agitazione ed ossigenazione dello stesso, uniti a una riduzione del rischio di allagamento rispetto al caso di canneti in condizioni indisturbate, risultati raggiungibili, cosa da non sottovalutare, attraverso costi di gestione e di forza lavoro minori rispetto al taglio totale dell’intero complesso di canneti all’interno del canale di bonifica.


BIBLIOGRAFIA
Errico, A., Lama, G.F.C., Francalanci, S., Chirico, G.B., Solari L., Preti F. 2019. Flow dynamics and turbulence patterns in a drainage channel colonized by Phragmites australis (common reed) under different scenarios of vegetation management. Ecological Engineering, 133, pp. 39-52.
https://doi:10.1016/j.ecoleng.2019.04.016.

Lama, G.F.C., Chirico, G.B. 2020. Effects of reed beds management on the hydrodynamic behaviour of vegetated open channels. 2020 IEEE International Workshop on Metrology for Agriculture and Forestry (MetroAgriFor), Trento, pp. 149-154.
doi: 10.1109/MetroAgriFor50201.2020.9277622.

Lama, G.F.C., Errico, A., Francalanci, S., Solari, L., Preti, F., Chirico, G.B. 2020. Evaluation of flow resistance models based on field experiments in a partly vegetated reclamation channel. Geosciences, 10(2), 47.
https://doi.org/10.3390/geosciences10020047.

Västilä, K., Järvelä, J. 2014. Modeling the flow resistance of woody vegetation using physically based properties of the foliage and stem. Water Resources Research, 4, 50, pp. 229-245.
https://doi.org/10.1002/2013WR13819.

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Life Cycle Assessment delle coltivazioni di ananas in Repubblica Dominicana //www.agronomoforestale.eu/index.php/life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana //www.agronomoforestale.eu/index.php/life-cycle-assessment-delle-coltivazioni-di-ananas-in-repubblica-dominicana/#respond Mon, 01 Mar 2021 18:35:13 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68040 di Francesco Leschi, agronomo vincitore del premio di laurea Massimo Alberti 2021

Il settore della frutticoltura tropicale è, a livello globale, tra i settori agricoli più dinamici in termini di crescita e rappresenta un ambito di particolare interesse per la sicurezza alimentare nelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo. Nelle aree tropicali, il trend delle produzioni frutticole in aumento negli ultimi anni e le esternalità inquinanti a esso connesse, hanno attirato l’interesse della comunità scientifica internazionale, come evidenziato dagli SDGs dell’agenda ONU 2030.
Tra le regioni leader del settore della frutticoltura tropicale l’America Centrale e i Caraibi occupano certamente un posto di rilievo, e in particolare la Repubblica Dominicana e la sua produzione di ananas (346,2 migliaia di tonnellate nel 2019 secondo dati FAO), che rappresenta la seconda frutta tropicale per importanza dopo la banana.

©Francesco Leschi . Repubblica Dominicana, 2019

La collaborazione tra l’Ambasciata Dominicana a Roma e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università degli Studi di Bologna ha consentito di realizzare un periodo di ricerca in Repubblica Dominicana nel periodo settembre – dicembre 2019, per indagare il ciclo di vita della produzione di ananas e le problematiche connesse alla sostenibilità di tale produzione.
Il complesso tema della sostenibilità nelle sue diverse dimensioni è stato affrontato basandosi sul supporto teorico del Life Cycle Thinking, facendo specifico riferimento a metodologie estimative quali: Life Cycle Assessment (LCA) ed Environmental Life Cycle Costing (E-LCC), consentendo di formulare una stima della sostenibilità economica ed ambientale delle diverse fasi del ciclo di vita della produzione di ananas.
Il metodo applicato si basa su un’analisi accurata di tutto il processo di vita della coltura in campo “dalla culla alla tomba”, attribuendo a ciascuna fase che concorre alla creazione del valore nella filiera produttiva dell’ananas, i relativi input ed output.
Grazie al supporto tecnico e logistico dell’imprenditore italiano Fabio Giuntoli, con esperienza trentennale nel settore ananas nel Paese, e il sostegno dell’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo è stata realizzata la raccolta dei dati in campo relativamente all’ultimo trimestre del 2019, individuando come ambito di rilevazione due gruppi di aziende agricole opportunamente selezionate tra le province di Cevicos e Monte Plata. Queste sono state individuate a seguito di un’analisi della distribuzione geografica delle produzioni di ananas nel Paese, estrapolando sette aziende divise in due gruppi omogenei su base regionale e dello sviluppo tecnologico aziendale, rappresentative dell’intero settore ananasicolo dominicano.

La ricerca condotta ha portato all’individuazione dei maggiori hotspot di impatto ambientale ed economico nella produzione di ananas, fornendo un interessante supporto di carattere quantitativo per l’impostazione di un modello produttivo sostenibile.
L’applicazione metodologica è stata condotta distinguendo in tre macrofasi l’intero ciclo di coltivazione dell’ananas:
• semina
• produzione
• raccolta

ciascuna della quale è stata singolarmente oggetto di analisi d’impatto attraverso l’impiego del software SimaPro.

Le categorie d’impatto prese in esame ai fini dell’analisi LCA includono: Climate change, Freshwater eutrophication, Human toxicity cancer e Fossil resource scarcity, selezionate in termini di rilevanza nel contesto scientifico e locale. Per ciascuno dei suddetti indicatori la stima ha rilevato come l’indice di maggior impatto sia determinato dalla macrofase di produzione e, in particolare, dall’uso di composti agrochimici, largamente usati in queste tipologie di piantagioni intensive.
Il confronto dei valori ottenuti dalla ricerca (utilizzando come unità funzionale le porzioni di frutta ottenibili in un ettaro di produzione) con quelli desunti da altri studi reperibili in letteratura, ha consentito di evidenziare come il settore ananasicolo in Repubblica Dominicana realizzi delle performance meno impattanti in termini di emissioni di CO2eq rispetto ad altri contesti mondiali fortemente competitivi, come il Costa Rica.
Di seguito è proposto un grafico riassuntivo, parte di una più ampia analisi dei risultati, dell’incidenza percentuale per ciascuna categoria d’impatto delle fasi di produzione del frutto.

©Francesco Leschi . 2020

Interesse scientifico dei risultati ottenuti
L’approccio estimativo utilizzato nell’analisi rappresenta un modello innovativo nello studio delle coltivazioni agricole tropicali, determinando un contributo particolarmente valido per lo sviluppo di politiche agricole mirate al conseguimento di performance economicamente competitive e sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale. La Life Cycle Assessment e la Environmental Life Cycle Costing presentate nell’elaborato di tesi sono interamente realizzate a partire da dati primari, ovvero raccolti direttamente in campo, con un calcolo accurato di ogni singolo input e output, riferito a ciascuna macro fase di sviluppo della coltivazione di ananas. In particolare, si rileva come la ricerca sul campo abbia permesso di collezionare una mole di dati numerici in riferimento all’uso di agrochimici per la nutrizione e la difesa delle piante, tale da rendere questa LCA un unicum per la letteratura esistente sul tema.

©Francesco Leschi . Repubblica Dominicana, 2019

Possibili ulteriori sviluppi per la ricerca
Il lavoro di tesi, poiché frutto della ricerca e dell’elaborazione condotta direttamente in Repubblica Dominicana, fornisce un ampio set d’informazioni di carattere qualitativo e quantitativo, riferite in modo peculiare alla fase di coltivazione in campo dell’ananas, che costituisce il principale step della value chain del prodotto “frutta fresca” o “trasformato”, distribuito ai consumatori in tutto il mondo.
Un ulteriore ampliamento della ricerca potrebbe consentire di prendere in esame anche dati relativi alla fase di commercializzazione e di esportazione del prodotto fresco verso le mete tradizionali di Europa e Stati Uniti d’America, consentendo in tal modo di adottare compiutamente l’approccio olistico proprio del Life Cycle Thinking, estendendo l’analisi all’intero ciclo di vita del prodotto.
Lo svolgimento del presente lavoro ha permesso di ottenere un quadro dettagliato della produzione ananasicola, approfondendo aspetti ad oggi scarsamente conosciuti; la disponibilità di tali dati potrebbe costituire anche un utile strumento di carattere operativo, a supporto di eventuali interventi politico – normativi legati alla promozione dello sviluppo delle zone rurali della Repubblica Dominicana incentrati sulla coltivazione dell’ananas.
In questa direzione si sta già muovendo un team di ricerca dell’Università di Bologna (DISTAL UniBo), che avvalendosi dei dati quantitativi elaborati nella presente tesi, sta attualmente portando avanti un progetto di ricerca “Analisi del ciclo di vita (LCA) come strumento di supporto per le politiche alimentari e ambientali: il caso della filiera dell’ananas in Repubblica Dominicana”, al fine di offrire al Ministero dell’Agricoltura della Repubblica Dominicana un valido tool kit da cui attingere per intraprendere riforme agricole basate su dati estimativi originati dalla teoria del Life Cycle Thinking.

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Invasioni biologiche e EICAT //www.agronomoforestale.eu/index.php/invasioni-biologiche-e-eicat/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=invasioni-biologiche-e-eicat //www.agronomoforestale.eu/index.php/invasioni-biologiche-e-eicat/#respond Mon, 02 Nov 2020 16:08:33 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67948

L’Unione Mondiale Conservazione della Natura – IUCN ha sviluppato uno standard globale per classificare la gravità e il tipo di impatti causati da specie aliene invasive, noto come Environmental Impact Classification for Alien Taxa (EICAT).
Il metodo EICAT permette di identificare le specie aliene a maggior impatto, fornendo quindi una base per identificare le priorità di intervento per la prevenzione e la mitigazione degli effetti delle invasioni biologiche.

Scienziati, professionisti della conservazione e responsabili delle politiche sulle potenziali conseguenze delle specie esotiche invasive avranno a loro disposizione uno strumento per attuare di misure di prevenzione e mitigazione.

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