Editoriale – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Mon, 08 Apr 2024 15:21:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 L’agricoltura e la politica agricola comune (PAC) //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/#comments Tue, 02 Apr 2024 07:55:03 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68503 L’agricoltura è stata fortemente influenzata dalla politica agricola comune (PAC). Fin dagli anni ’60 del secolo scorso ci sono stati forti impatti sia delle politiche di mercato, con il ritiro dei prodotti eccedentari, sia con le misure strutturali. Buona parte delle serre del pesciatino, della riviera ligure e di molte zone d’Italia, furono realizzate con i primi programmi strutturali del FEOGA (Fondo Europeo Orientamento e Garanzia in Agricoltura).

Renato Ferretti, Vicepresidente CONAF

LE ORIGINI DELLA PAC

Con la sigla PAC si intende la raccolta che unifica le leggi dell’Unione europea in materia di agricoltura.
Creata nel 1962, fin dai primi vagiti dai sei paesi fondatori della Comunità Europea, è la più antica politica dell’Unione ancora in vigore.

Il suo obiettivo è quello di fornire alimenti a prezzi accessibili e di elevata qualità, garantire un tenore di vita equo agli agricoltori e dare sostegno alle zone rurali, tutelare le risorse naturali e rispettare l’ambiente.

Con oltre 386 miliardi di euro stanziati per il quinquennio 2023-2027 rappresenta la voce più corposa, circa 1/3 del totale, del bilancio unionale.

LE NOVITÀ DELLA PAC

La PAC 2023/2027 è un insieme di regole in materia ambientale, climatica e di salute e benessere delle piante e degli animali, che gli agricoltori sono tenuti ad accettare per accedere al sostegno pubblico.

Tale componente della PAC è ormai universalmente conosciuta con il termine “condizionalità” che dal 2023 è diventata più severa e rigorosa, cambiando nome in “condizionalità rafforzata”, in ossequio alla più radicata sensibilità ambientale che pervade l’Unione Europea, spalmata su tutto il territorio senza sforzi di specificazione.

L’asse portante è sempre il regime dei pagamenti diretti, che assorbe poco meno del 60% della spesa pubblica della PAC. Questa rimane una modalità disequilibrata rispetto ai reali fabbisogni, specie dell’agricoltura italiana marginale, ma determinante per la vita di vaste aree del paese. Tutto ciò nonostante l’intervento riformatore abbia impresso due nuove tendenze:

  • una orientata verso la sostenibilità, con l’introduzione del cosiddetto regime ecologico
  • una rivolta verso il principio dell’equità nell’utilizzo delle risorse finanziarie di cui per ora non si vedono effetti.

 

Vi è poi un pacchetto di interventi settoriali, che vede la conferma dell’approccio tradizionale per produzioni quali l’ortofrutta, il vino, l’olio d’oliva e le olive da tavola e, infine, l’apicoltura, cui si aggiunge una spruzzatina di novità, con la possibilità concessa agli Stati membri di attivare interventi settoriali per produzioni diverse da quelle menzionate. Per finanziare i nuovi interventi settoriali, lo Stato membro può utilizzare fino al 5% della dotazione annuale per i pagamenti diretti. Per l’Italia ciò implica un gettito massimo di 180 milioni di euro per anno.

 

Infine, c’è la politica di sviluppo rurale che presenta, in questo ciclo di programmazione, la sostanziale novità di prevedere solo otto interventi generali, i quali sostituiscono la moltitudine delle misure e delle sotto misure della precedente programmazione. In aggiunta, vi è la novità del contenimento al minimo delle regole stabilite a livello europeo. Infatti, la devoluzione delle competenze, comporta l’affidamento alle autorità nazionali di decisioni su aspetti fino ad oggi formulate nei regolamenti europei, come ad esempio i beneficiari, la tipologia di spese ammissibili, l’impostazione degli interventi, l’allocazione delle risorse finanziarie, la definizione dei requisiti e delle condizioni di accesso ai contributi pubblici, la calibrazione degli interventi in funzione dei fabbisogni del territorio.

MOLTE AGRICOLTURE

L’impatto della politica agricola comune (PAC) è cresciuto negli anni, in quanto ormai non c’è attività del settore agricolo che non abbia un riferimento normativo di carattere europeo, sia che si tratti di finanziamenti che di norme regolamentari. Il problema, sia nell’uno che nell’altro caso, è che le norme sono ispirate a una omogenea tipologia di agricoltura e di territorio (sicuramente prevalente, ma non esclusiva) e male si adattano ad agricolture e territori complessi come la maggior parte di quelli italiani, ma potremmo dire di tutta l’area mediterranea.

La PAC, nata per superare le disparità socio-economiche territoriali e settoriali utilizzando l’erogazione dei contributi, si è tradotta in una erogazione massiva in base alle dimensioni aziendali.

In oltre 50 anni, così, la PAC non ha prodotto gli effetti desiderati. Anzi, ha approfondito il divario fra agricolture forti e quelle più deboli, fra territori senza limitazioni e territori marginali.

Il perché è rintracciabile nell’essere stata concepita a senso unico, senza essere articolata e differenziata nelle diverse regioni, senza una reale programmazione nei e con i territori, anche con importanti responsabilità nazionali e regionali.

 

IL CASO OLIVICOLO

La dimensione media delle aziende olivicole collinari toscane è di due ettari, qui occorre fare quasi tutto manualmente.

L’Unione Europea concede un contributo di circa 300 euro a ettaro: quindi 600 euro complessivi, di cui un centinaio sono necessari per fare la domanda e, quindi, rimangono circa 500 euro.

Lo stesso contributo ad ettaro viene concesso ad un ipotetico olivicoltore di pianura che, magari, dispone di 100 ettari olivati e interamente meccanizzati. Credo sia evidente che l’impatto del contributo pubblico non è lo stesso. A ciò dobbiamo aggiungere che l’olivicoltura delle colline contribuisce a mantenere le caratteristiche del paesaggio e a salvaguardare l’equilibrio idrogeologico: ma di tutto questo la PAC non si preoccupa.

 

Non possiamo certamente pensare che l’olivicoltura di collina possa essere commercialmente competitiva con l’olivicoltura-prato presente in crescenti aree di pianura in Spagna e in Italia: basta fare un giro a Massaciuccoli e si vedrà l’olivicoltura di collina abbandonata e il proliferare di oliveti specializzati nelle zone di bonifica che farebbero rabbrividire i padri dell’olivicoltura di qualità.

Quindi, se vogliamo mantenere l’olivicoltura e l’insieme dell’agricoltura in tutti i territori occorre che la PAC (leggasi Unione Europea) conosca le diversità fra gli stessi ed applichi gli strumenti finanziari e regolamentari in modo più aderente alle necessità dei diversi territori.

 

AGRICOLTURA VS AMBIENTE

I continui eventi meteorici estremi hanno reso evidente a tutti il cambiamento climatico in atto, alimentando la sensibilità dei cittadini europei verso i temi ambientali.

La PAC ha fatto propri, anche se in linea generale e in maniera troppo generica, i principi e gli obiettivi della Strategia Farm to Fork e della Strategia sulla Biodiversità, entrambe generate dal Green Deal, prevedendo un cambio di paradigma, rafforzando la condizionalità e introducendo gli eco-schemi. Si chiede di fatto agli agricoltori e agli allevatori un ulteriore passo in avanti nel rispetto dell’ambiente, delle acque, degli agro-ecosistemi, degli animali, del clima e del cibo, declinando una serie di parametri di carattere fisico sostanzialmente analoghi in tutta l’Unione Europea.

Il Green Deal non può essere solo una serie di indicatori fisici, ma deve essere uno strumento capace di valorizzare le esternalità prodotte dalle produzioni cerealicolo-foraggere, dall’olivicoltura nelle colline centro-meridionali italiane e dalla zootecnia delle aree marginali, dalla viticoltura cosiddetta eroica.

Valorizzare le esternalità vuol dire dare un valore, che difficilmente il mercato pagherà, a tutti quei servizi che un’agricoltura qualitativamente produttiva eroga in queste aree.

Vuol dire compensare realmente le differenze tecnico-agronomiche e conseguentemente i livelli produttivi che si possono raggiungere nelle aree più difficili, rispetto alle fertili pianure. Nelle fertili pianure la PAC deve incentivare la diversificazione produttiva, valorizzare le rotazioni colturali per la rigenerazione dei suoli e la conservazione della sostanza organica.

È questa l’essenza del Green Deal che, per essere attuato cercando di essere economicamente efficienti, non può non precedere un’organizzazione delle produzioni a livello comprensoriale con specializzazioni all’interno delle aziende e con una zootecnia di territorio e non più solo aziendale.

È questa l’unica strada per cercare di mantenere insieme la conservazione della fertilità del suolo, le produzioni agro zootecniche e l’ambiente.

 

LA PAC OLTRE LA PAC

Poche settimane fa abbiamo visto che l’imposizione delle teoriche fasce tampone, non coltivate, in aree ad agricoltura fortemente industrializzata come la pianura padana e le pianure del centro Europa è stato uno dei motivi che hanno scatenato le cosiddette “proteste dei trattori”.

Questo episodio evidenzia come le politiche green non pianificate né declinate sulle specifiche esigenze conducano alla sterile ed errata contrapposizione agricoltura vs ambiente.

La retromarcia della politica europea, presa in contropiede dalle proteste, però, non può essere la risposta. È una pura illusione pensare che il futuro della PAC consista nel semplice aggiustamento di qualche misura e nel ritoccare in senso meno ambientalista alcune misure di carattere ecologico, legate alla “condizionalità rafforzata”. La PAC deve essere lo strumento con cui si riporta a livello di territorio, l’economia circolare che era l’essenza del podere e della fattoria.

Non possiamo pensare di contrastare il cambiamento climatico se non cambiamo alcuni paradigmi fondanti dell’agricoltura industrializzata, ossia lo spostamento per esempio di risorse foraggere a chilometri di distanza da dove vengono prodotte, per nutrire animali allevati in stalle di grandi dimensioni che a loro volta producono enormi quantità di letame e liquami di difficile utilizzazione in loco. Questo di fatto impoverisce le aree di produzione del foraggio e probabilmente causa problemi ambientali a quelle circostanti le stalle.

Sono questi i temi che occorre affrontare con il nuovo periodo di programmazione comunitaria. Una programmazione che deve essere reale e, aggiungo, con un’attenta pianificazione territoriale improntata al ripristino della natura come la legge recentemente approvata dal Parlamento Europeo vuole.

Per fare tutto questo è indubbio che occorre un sistema pubblico all’altezza della sfida, tecnicamente preparato e capace di interloquire con le imprese e gli imprenditori in maniera trasparente e, magari, con minori barriere informatiche, non senza informatica!

VINCERE LA SFIDA

La sfida decisiva insita nella nuova PAC è legata al salto di qualità della pubblica amministrazione in termini di capacità operative, approccio e metodo di lavoro.

Il passaggio dalla conformità delle attività, alle prestazioni delle stesse, dal rispetto rigoroso delle regole e procedure fissate a Bruxelles verso un intervento strategico delle autorità nazionali e regionali nella fase di impostazione e di attuazione degli interventi, esige una risposta coerente da parte delle istituzioni centrali e territoriali. Ecco che la pubblica amministrazione dovrà acquisire nuove capacità e competenze modificando il consolidato modello di lavoro che si è affermato da almeno tre decenni a questa parte.

 

In quest’ottica, il caso della nuova politica di sviluppo rurale rappresenta il paradigma di riferimento, che dimostra in modo inequivocabile il passaggio dalla conformità al risultato.

Nel concreto, le istituzioni nazionali hanno la possibilità, con il nuovo ciclo di programmazione della PAC, di concentrare le risorse su specifici settori produttivi e su determinati territori. Inoltre, possono scegliere con ampia autonomia gli interventi da attivare, fatto salvo l’obbligo di inserire nel programma quelli di natura ambientale. Possono, infine, orientare gli interventi e le risorse solo verso determinati beneficiari e specifici approcci produttivi; oppure scegliere opzioni a geometria variabile, con l’esclusione di certi settori o determinate categorie di beneficiari in funzione del contesto considerato.

 

Dall’esame dei documenti e delle azioni intraprese risulta però evidente che, in termini di nuovo approccio alla programmazione e di ampia discrezionalità decisionale, in Italia le potenzialità non siano state adeguatamente espresse e, alla fine, siamo tornati a percorrere le esperienze del passato, con la classica divisione delle competenze tra Ministero da una parte e Regioni e Province autonome dall’altra.

 

IMPRENDITORI AGRICOLI

In questo discorso c’è un aspetto che viene comunemente trascurato: in un’agricoltura moderna, gli agricoltori non sono semplici produttori di cibo, ma sono dei veri e propri imprenditori, seppure con caratteristiche peculiari. Ne deriva che, l’altro elemento fondamentale della PAC per l’attuazione coerente e a misura di territorio, sono gli imprenditori e le imprese agricole, a prescindere dalle dimensioni.

 

La prima criticità che balza all’occhio, partendo da questa riflessione è che l’attuale PAC nasce in uno scenario economico diverso a quello in cui viene ad attuarsi, caratterizzato da un alto tasso d’inflazione, dal rialzo dei tassi di sconto e dalla perdita del potere di acquisto delle famiglie medie italiane. Tutti elementi che incidono sui consumi e di conseguenza sulle vendite delle aziende agricole, causando una generale crisi delle stesse.

A questo disallineamento tra il momento dell’ideazione delle politiche e la loro attuazione, si aggiunge anche la scarsa tradizione del mondo agricolo a leggersi come realtà imprenditoriale oltre che economica.

Nel mondo agricolo del XXI secolo occorrono, infatti, degli imprenditori agricoli che non aspettino il finanziamento pubblico per decidere quali investimenti fare, ma che siano in grado di programmare e adeguare la propria attività in funzione dei cambiamenti. Imprenditori agricoli che, con una maggiore capacità associativa, sappiano condizionare i cambiamenti e non solo di subirli, orientando il rapporto con il consumatore finale e con la grande distribuzione.

La risposta alla crisi attuale, sia produttiva che dei consumi, sta nello sviluppare un’agricoltura consapevole. Consapevole dei limiti che la specializzazione estrema comporta, consapevole della necessità di fare ricorso a tutti i mezzi tecnici disponibili, della necessità di maneggiare strumenti finanziari e di marketing e, pure, dell’importanza del supporto di tecnici, intesi come partner capaci di accompagnare l’impresa agricola verso la sostenibilità, sia essa ambientale che economica.

 

UNA NUOVA POLITICA AGRICOLA COMUNE

Siamo convinti che sia possibile avere una politica agricola comune che tenga conto delle differenze agronomiche e territoriali, che possa dare vera attuazione al Green Deal senza contrapposizioni fra posizioni ambientaliste e produttivistiche, che stimoli azioni reali di rigenerazione della fertilità dei suoli, di riduzione degli input esterni al processo produttivo in una reale economia agricola circolare.

 

L’obiettivo è chiaro e l’esperienza di cinquant’anni di PAC può aiutare a migliorare le criticità: ora starà alla nuova classe politica che uscirà dalle urne alle prossime elezioni europee farsi carico di vincere una delle sfide più probanti per i prossimi decenni.

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Green Deal e PAC, come cambia e quanto sarà importante il ruolo degli agronomi? //www.agronomoforestale.eu/index.php/green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi //www.agronomoforestale.eu/index.php/green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi/#comments Tue, 20 Feb 2024 15:28:32 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68498 La politica agricola comune deve riappropriarsi della funzione di stimolo ed indirizzo, recuperando la capacità di programmazione delle attività di comparto.
In questi decenni, attraverso l’erogazione di sussidi slegati dall’esigenza produttiva, si è creata un’agricoltura dipendente dai fondi pubblici, privandola di approccio imprenditoriale. Non è più proponibile una politica agricola che eroghi contributi economici per non produrre.

Questo ha originato uno scenario caratterizzato da aziende sull’orlo della sussistenza, incapaci di progettare il proprio futuro o di adattarsi alle tendenze in atto (di mercato, climatici, globali, ecc.).
Diventa quindi urgente che la politica si riappropri della funzione di indirizzo, dandosi obiettivi di medio e lungo periodo e predisponendo gli strumenti necessari al raggiungimento di questi. Politiche che devono tendere a mantenere ed elevare la qualità dei nostri prodotti agricoli Made in Italy.

Il supporto agli agricoltori deve tornare ad avere la funzione di stimolo all’innovazione delle imprese agricole, per poter affrontate le sfide derivanti dai cambiamenti climatici, attraverso la riprogettazione aziendale e la valutazione di una eventuale sostituzione delle colture con l’applicazione di tecniche innovative.
Al di là dei tecnicismi, le recenti modifiche normative ai centri di assistenza agricola indicano un indirizzo di retroguardia, che offre all’imprenditore agricolo, che spesso è titolare di azienda individuale o familiare, un’assistenza da ufficio, anziché un incentivo alla programmazione e pianificazione tecnica ed imprenditoriale della propria azienda.
Dobbiamo, invece, ridare voce alla consulenza tecnica di competenza per riprendere la funzione di condizionamento dei processi produttivi.
Credere nella scienza, nella ricerca, nella sperimentazione tecnica comprovata e avere sempre la consapevolezza di quello che può dare.

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Pubblicato il nuovo rapporto dell’IPCC //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-nuovo-rapporto-dellipcc/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-nuovo-rapporto-dellipcc //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-nuovo-rapporto-dellipcc/#respond Tue, 21 Mar 2023 08:11:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68337 Nulla di nuovo, ma non per questo meno rilevante: occorre trasformare con urgenza i sistemi agroalimentari per adattarli al cambiamento climatico e ridurre le emissioni di gas serra.
Il “Sesto rapporto di valutazione” (Climate Change 2023: Synthesis Report AR6) dell’IPCC, conferma che le attività umane, principalmente attraverso le emissioni di gas serra, hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale.

Il Rapporto dell’IPCC è sostanzialmente una conferma dei dati e delle conclusioni già note. Questo, però, deve essere un invito a proseguire sulla strada intrapresa, accelerando il passo.” – Sabrina Diamanti, Presidente CONAF – “Come ordine degli agronomi e dei forestali stiamo lavorando da diversi lustri in questa direzione, consapevoli del ruolo del settore primario che può contribuire alle politiche di riduzione delle emissioni e adottare strategie di adattamento. Anche nel recente Congresso nazionale di Firenze, questi temi sono stati al centro delle discussioni perché siamo consapevoli che, per fare della corretta gestione di acqua, suolo, foreste, biodiversità, serve un’agricoltura moderna, servono competenze aggiornate, occorre portare in campo innovazione tecnica e tecnologica e fare progettazione di sistemi sostenibili.”

Cammino a tappe forzate
Per mantenere il riscaldamento entro +1,5 gradi sono necessarie riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas a effetto serra in tutti i settori.
E per farlo, gli scienziati indicano le tappe forzate: entro il 2030 ridurre le emissioni della metà, per arrivare allo zero nel 2050. Nello specifico, le emissioni di CO2 vanno tagliate mediamente rispetto ai livelli del 2019 del 48% nel 2030, del 65% nel 2035, dell’80% nel 2040 e del 99% nel 2050.
Con un allarmante monito: se il percorso attuale non verrà corretto, siamo sulla buona strada per registare un riscaldamento medio globale da +3,2 gradi al 2100.

Il ruolo dell’agricoltura
Il 22% delle emissioni globali di gas serra proviene da agricoltura, da silvicoltura e dall’uso del suolo.

L’agricoltura e la sicurezza alimentare sono già minacciate dal cambiamento climatico, in particolare nei piccoli stati insulari in via di sviluppo, nei Paesi meno sviluppati e nei Paesi privi di aree coltivabili, con ripercussioni sui mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori, dei pastori, delle popolazioni che dipendono dalle foreste, dei pescatori, delle popolazioni indigene e delle donne“, ha dichiarato il Direttore Generale Aggiunto della FAO Maria Helena Semedo. – “Il rapporto mostra come l’agricoltura possa essere centrale nell’azione per il clima. Essa è già impattata dal cambiamento climatico e il suo adattamento è urgente per garantire la sicurezza alimentare e la nutrizione senza lasciare indietro nessuno.

Che strada prendere
Esistono già diverse soluzioni in campo agricolo, silvicolturale e nell’utilizzo del suolo che offrono benefici di adattamento e mitigazione e, nel breve termine, potrebbero essere incrementati in vaste parti del Pianeta.
Gli scienziati dell’IPCC sottolineano, ad esempio, che la conservazione, il miglioramento della gestione e il ripristino delle foreste e di altri ecosistemi offrono la maggiore opportunità di contrastare i danni economici causati dai disastri legati al clima.
Oppure esistono esempi di adattamento efficaci. Nessuna novità, per chi è del settore, ma è bene ribadirlo: si può agire sul miglioramento delle colture, sull’irrigazione e lo stoccaggio dell’acqua, si deve preservare l’umidità del suolo, si deve aumentare l’agroforestazione, diversificare le colture a livello aziendale e curare il paesaggio agendo in modo sostenibile nel territorio.

Summary of the Working Group III contribution to the Intergovernmental Panel on Climate Change Sixth Assessment Report (AR6)

Climate change mitigation options in agrifood systems

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Le nuove competenze che l’agricoltura 4.0 richiede //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-nuove-competenze-che-lagricoltura-4-0-richiede/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-nuove-competenze-che-lagricoltura-4-0-richiede //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-nuove-competenze-che-lagricoltura-4-0-richiede/#respond Tue, 18 May 2021 15:17:57 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68114

Agricoltura di precisione, agricoltura verticale, agricoltura 4.0. Le competenze di un professionista devono riguardare anche le nuove tecnologie e la conoscenza di nuovi modelli di produzione.
In che modo l’Ordine sta affrontando l’evolversi della situazione?

La nostra è una professione che evolve assieme al contesto in cui andiamo a operare. Diventa, perciò, fondamentale l’aggiornamento, che ci rende capaci di innovare, che ci avvicina alle nuove tecnologie e le trasforma in alleati della nostra capacità professionale.
Noi restiamo i tecnici che si sporcano le mani e i piedi, ma davanti alla scelta se lavorare in maniera tradizionale o lavorare implementando innovazioni e nuove tecnologie, la strada è tracciata dall’attuale sistema sociale-economico, che mette fuori mercato chi ha paura di cambiare. Certamente il cambiamento va accompagnato e la sfida è proprio quella di abbinare tradizione e cambiamento, per non perdere i nostri paesaggi, la nostra cultura, il nostro cibo.
Per affrontare questa sfida, abbiamo un grosso vantaggio: la nostra categoria nasce come poliedrica e trasversale, perché siamo formati ad avere apertura mentale fin dall’università, il che ci aiuta a capire qual è la proposta che meglio si adatta all’ambiente. Questo però significa anche che il singolo professionista deve essere disposto ad aggiornarsi con continuità e a seguire l’innovazione tecnologica, naturalmente accompagnato dagli ordini che hanno il ruolo di vedetta e pungolo.
Per questo motivo stiamo investendo molte energie in eventi e formazione in cui si parla di innovazione, di cambiamenti climatici, di nuove tecnologie, di ricerca scientifica. E, contemporaneamente, stiamo collaborando con soggetti esterni all’ordine, ma che possono integrare il nostro punto di vista e darci una visione complessa del mondo.

Il cambiamento va accompagnato e la sfida è proprio quella di abbinare tradizione e cambiamento, per non perdere i nostri paesaggi, la nostra cultura, il nostro cibo.

L’Ordine ha intrapreso un dialogo con le Università per la formazione dei futuri agronomi?
Nel panorama consulenziale, la figura dell’agronomo e del forestale si distingue per la preparazione universitaria di base che, poi, è mantenuta aggiornata nel corso della carriera.
Per questo motivo, le relazioni tra ordine e mondo dell’università sono strette e continue, e si sviluppano su più livelli: c’è il dialogo istituzionale con la Conferenza AG.R.A.R.I.A., poi ci sono gli accordi, le convenzioni e le partnership fra i singoli ordini territoriali e le facoltà di riferimento, per concludersi con il confronto diretto con il singolo docente, che spesso è anche un collega, che offre la propria esperienza per consentirci di mantenere una visione aggiornata sul mondo della ricerca, dell’insegnamento superiore e sulle necessità degli studenti.
Parallelamente, c’è il legame tra l’Ordine e le Accademie scientifiche. Non sono università, ma sono istituzioni che raccolgono i più importanti studiosi e scienziati del mondo agricolo e forestale italiano. Il rinnovo del protocollo di intesa tra l’Accademia dei Georgofili e il CONAF, per fare l’esempio più recente, guarda all’agricoltura nel momento in cui le è richiesto di compiere un passo decisivo nella transizione verso un’economia climaticamente neutra e digitalizzata, nel segno della sostenibilità e dell’equità sociale.
In un mondo che evolve, perciò, la collaborazione tra l’Ordine e le Accademie e le Università diventa determinante per connettere il sapere scientifico all’applicazione in campo delle innovazioni tecnologiche disponibili.

Cosa sta facendo o cosa ha intenzione di fare l’Ordine per supportare i propri iscritti?
Dobbiamo, anzi vogliamo, accompagnare i colleghi in un percorso formativo che li aiuti a essere professionisti in grado di gestire, pianificare, progettare, per trovare soluzioni alle sfide che ci pone davanti il cambiamento, non solo climatico ma anche socio-economico, che stiamo vivendo.
In particolar modo, ci siamo posti di stare a fianco dei più giovani, che vivranno un contesto sociale ed economico molto difficile, e delle donne, che al momento sono ancora poco rappresentante nella categoria: dei circa 20.000 dottori agronomi e dottori forestali solo il 20% è costituito da donne e solo il 19% ha meno di 40 anni.

Evoluzione dell’età anagrafica degli iscritti all’ordine degli agronomi e forestali

Questi obiettivi, uniti alle relazioni con il mondo scientifico e universitario, sono dirette ad arginare una criticità che si è venuta a creare negli ultimi vent’anni: si è ridotta l’interconnessione tra il mondo della università e il mondo del lavoro delle professioni. C’è stata la proliferazione di corsi di laurea che hanno creato percorsi di studio spesso non coerenti con le competenze professionali necessarie alle professioni a cui danno sbocco.
Per questo motivo, in aggiunta al dialogo con il singolo ateneo, per colmare il vuoto creatosi, il CONAF ha proposto una riformulazione del percorso formativo superiore. L’evoluzione dei percorsi universitari con la definizione delle lauree professionalizzanti (Decreto Ministeriale n. 446 del 12-08-2020) e il nuovo disegno di legge sulle lauree abilitanti, ci impone una riflessione sul professionista del futuro, sul professionista che stiamo preparando.
Riteniamo fondamentale, infatti, che i corsi accademici, per restare al passo con le necessità di un mondo globalizzato, siano imperniati sugli indirizzi di scienze agrarie sostenibili, scienze forestali sostenibili, scienze agroalimentari sostenibili, scienze zootecniche sostenibili.
In questo modo, la formazione dei professionisti sarà capace di coprire tutte le attività professionali connesse con l’esercizio dell’agricoltura, della silvicoltura, del mondo rurale, del settore agroalimentare e zootecnico, considerate sia negli aspetti produttivistici, che per la multifunzionalità e, soprattutto, con un forte indirizzo allo sviluppo sostenibile.

Quali sono le Università italiane che si sono maggiormente adeguate alle nuove esigenze in agricoltura?
Il coinvolgimento del CONAF da parte di AISSA e della Conferenza di AGRARIA ci ha mostrato un panorama complesso e variegato, volto ad un obiettivo comune: accompagnare l’evoluzione della professione del dottore agronomo e dottore forestale. L’ascolto da parte delle università del mondo dei professionisti aiuta in questo percorso, anche se non è obiettivo facile né immediato.
Dovendo però fare una sintesi, possiamo dire che la risposta è positiva sull’intero territorio nazionale.

A gennaio 2021, solamente 36 Società Tra Professionisti risultavano iscritte all’albo dei dottori agronomie dottori forestali, mostrando una scarsa aggregazione e una limitata organizzazione in studi strutturati.

Davanti alla necessità di dover occuparsi di nuove tecnologie, l’agronomo potrebbe aver bisogno di altre figure professionali con le quali collaborare (ingegneri, informatici, ecc.)?
Da tempo, l’Ordine sostiene l’importanza di collaborare, anche attraverso società tra professionisti. Fondamentale integrare competenze diverse e punti di vista distanti, così da offrire una consulenza che abbia una visione complessa della realtà.
A gennaio 2021, solamente 36 Società Tra Professionisti risultavano iscritte all’albo dei dottori agronomie dottori forestali, mostrando una scarsa aggregazione e una limitata organizzazione in studi strutturati. Sicuramente occorre approfondire e valutare eventuali criticità.
Noi riteniamo che l’orientamento allo sviluppo sostenibile, alla multifunzionalità, all’innovazione tecnologica abbiano fatto valere l’essenzialità della professione del dottore agronomo e del dottore forestale. Questo però non è sempre sufficiente, perché le singole prestazioni professionali, in diversa misura, hanno subito modificazioni nelle metodologie, approcci, strumenti e relazioni con il cliente rendendo le capacità del singolo, prese singolarmente, meno efficaci.
Per questo motivo, tra le 13 proposte migliorative al PNRR che abbiamo presentato, il CONAF ha chiesto un fondo dedicato a incentivare la digitalizzazione e innovazione degli studi professionali e l’aggregazione in STP e Reti. Solo così si potrà favorire la multidisciplinarietà necessaria per gestire progettazioni di sistemi complessi e affrontare problemi articolati.

Articolo pubblicato su Agrifoglie, numero di maggio 2021

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Il Recovery Plan //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-recovery-plan/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-recovery-plan //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-recovery-plan/#comments Mon, 15 Feb 2021 16:49:24 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68007 Di Renato Ferretti

L’obiettivo del Recovery Plan di ridare nuovo slancio all’economia e ai territori del Paese non può prescindere da una riforma organica del sistema Stato finalizzato alla riorganizzazione delle funzioni fra i diversi livelli istituzionali allocandole nel livello più idoneo a svolgerle e dotandolo delle necessarie risorse finanziarie.
Contestualmente occorre ridare piena funzionalità alle strutture pubbliche perché siano di supporto reale al funzionamento delle attività sociali, economiche e territoriali. Occorre che ci sia una reale semplificazione del complesso normativo e delle procedure amministrative che le attuano.
I professionisti iscritti agli ordini possono essere un punto di riferimento per le pubbliche amministrazioni in quanto garanti della qualità tecnica dei progetti e delle attività che vengono svolte anche attraverso una coerente informatizzazione e digitalizzazione delle procedure e delle attività.

Infrastrutturare il territorio
Occorre un piano per infrastrutturare il territorio orientato allo sviluppo della mobilità lenta e a basso o nullo impatto ambientale, al miglioramento dei servizi eco-sistemici del territorio che garantisca anche un adeguato assetto idrogeologico.
Per la difesa del suolo sono fondamentali le reti idrauliche agrarie e forestali, gli interventi di ripristino delle sistemazioni idraulico-forestali nonché una adeguata progettazione dei sistemi agroforestali sostenibili e ambientalmente compatibili, che costituiscono l’elemento fondante di una moderna ruralità. Con una vera politica d’innovazione e di servizi per le aree interne e marginali ridando vera vita ai borghi anche attraverso una legislazione che favorisca la multifunzionalità delle imprese agricole, artigianali, industriali e del terziario.

Occorre un piano per infrastrutturare il territorio orientato allo sviluppo della mobilità lenta ed a basso o nullo impatto ambientale – © Markus Spiske

Per le aree urbane è necessaria una riqualificazione dei tessuti degradati ed un reale sviluppo del verde funzionale sia alla ricreazione dei cittadini che alla fornitura di servizi eco-sistemici per l’intera comunità.

Riforma della P.A.
Nell’ambito della riforma della P.A. e del rinnovo delle dotazioni organiche (o del fabbisogno di personale) è necessario che all’interno delle strutture dei vari enti trovino adeguato spazio tutte le competenze professionali valorizzandole nelle varie funzioni con reale spirito meritocratico: dall’agricoltura alla sanità!

© Alexander Schimmeck

Un’unica lettura del territorio
Infine, occorre un nuovo corso della pianificazione territoriale che riorganizzi e renda organici i vari strumenti settoriali affinchè ci sia un’unica lettura del territorio finalizzata alla creazione delle migliori condizioni di vita secondo i principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. In questo quadro deve essere allocata una innovativa politica di tutela e conservazione delle risorse naturali che superi la contraddizione fra tutela ed uso e valorizzi pienamente tutte le tecnologie dolci come la bioedilizia, l’agricoltura biologica, ecc. In questo contesto deve essere visto il tema dell’acqua sia in termini di difesa dagli eccessi dovuti ai sempre più frequenti eventi estremi che in termini di risorsa da conservare per i periodi di scarsità. Anche qui occorre una gestione pianificata e diffusa sul territorio che coinvolga i cittadini in prima persona stimolati da una gestione pubblica finalizzata alla fornitura del bene e non all’utile d’esercizio.

Ecco perché i Dottori Agronomi ed i Dottori Forestali ritengono necessario andare nella direzione esattamene opposta alla sostanziale riduzione delle risorse del Recovery Plan per la politica forestale, il rilancio dell’agricoltura e una politica di rigenerazione ispirata al verde delle città, che sono emerse in questi giorni.
Le importanti risorse del Recovery Plan debbono essere orientate ad un reale rinnovamento del nostro Paese che non può prescindere dalla riforma del sistema Stato come erogatore di servizi e regolatore delle relazioni sociali ed economiche, in grado di supportare cittadini, professionisti ed imprese nelle loro attività.
Per quanto riguarda le infrastrutture non può essere sufficiente l’elenco delle opere da finanziare ma occorre un piano strategico ispirato alla sostenibilità affinché siano di supporto ad una vera economia verde a 360 gradi.
Proprio per questo oltre ai prioritari interventi sul sistema sanitario, vogliamo chiarezza sugli interventi di riqualificazione ambientale, di mobilità sostenibile e di rigenerazione urbana e territoriale che non possono prescindere dalla pianificazione territoriale e dal ruolo centrale dell’agricoltura e delle foreste: sono questi i temi che la nostra Presidente sottoporrà ai Parlamentari.

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4 proposte per l’attuazione del Recovery and Resilience Facility (RRF) //www.agronomoforestale.eu/index.php/4-proposte-per-lattuazione-del-recovery-and-resilience-facility-rrf/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=4-proposte-per-lattuazione-del-recovery-and-resilience-facility-rrf //www.agronomoforestale.eu/index.php/4-proposte-per-lattuazione-del-recovery-and-resilience-facility-rrf/#respond Wed, 07 Oct 2020 15:05:35 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67929 di Renato Ferretti, direttore di AF Online

I documenti prodotti dalla Commissione per indirizzare l’uso della RRF (Bozza di Regolamento, Guida per i Piani di ripresa e resilienza, Strategia annuale per lo sviluppo sostenibile 2021) rendono chiaro che bisogna partire non tanto dai progetti, quanto dalle strategie che, unendo investimenti e riforme, identifichino obiettivi motivati, espressi in termini di risultati attesi, cadenzati e monitorati nel tempo.

I documenti mettono un forte accento sulle condizioni istituzionali e di contesto necessarie per fare accadere davvero quanto viene programmato e confermano che la Commissione sarà assai più presente che in passato nell’accompagnare e valutare tutto ciò.

In questo contesto, per ridare nuovo slancio all’economia ed ai territori del Paese, i dottori agronomi e dottori forestali ritengono prioritariamente necessario intervenire sui seguenti aspetti:

  1. Una riforma organica del sistema Stato finalizzato alla riorganizzazione delle funzioni fra i diversi livelli istituzionali allocandole nel livello più idoneo a svolgerle e dotandolo delle necessarie risorse finanziarie.
    Contestualmente occorre ridare piena funzionalità alle strutture pubbliche perché siano di supporto reale al funzionamento delle attività sociali, economiche e territoriali.
    Occorre che ci sia una reale semplificazione del complesso normativo e delle procedure amministrative che le attuano. In questo senso i professionisti iscritti agli ordini possono essere un punto di appoggio per le pubbliche amministrazioni in quanto garanti della qualità tecnica dei progetti e delle attività che vengono svolte anche attraverso una coerente informatizzazione e digitalizzazione delle procedure e delle attività.
  2. Una riforma del sistema fiscale che dia conto della proporzionalità delle aliquote e delle detrazioni ammissibili, rendendo il sistema omogeneo e paragonabile fra le diverse categorie e all’interno di ogni singola categoria. Eliminando le evidenti sperequazioni e l’infinità di bonus settoriali a favore di una detrazione fiscale organica per gli investimenti.
  3. Un piano per fornire il territorio di infrastrutture che siano orientate allo sviluppo della mobilità lenta e a basso o nullo impatto ambientale, al miglioramento dei servizi eco-sistemici del territorio che garantisca anche un adeguato assetto idrogeologico. Su quest’ultimo punto i dottori agronomi ed i dottori forestali possono concorrere professionalmente con la progettazione delle reti idrauliche agrarie e forestali, degli interventi di ripristino delle sistemazioni idraulico-forestali nonché con una adeguata progettazione dei sistemi agroforestali sostenibili ed ambientalmente compatibili.
    Per le aree urbane un reale sviluppo del verde funzionale sia alla ricreazione dei cittadini che alla fornitura di servizi eco-sistemici per l’intera comunità. Tutto ciò in linea con quanto emerso anche al Congresso di Matera del 2019.
  4. Nell’ambito della riforma della P.A. e del rinnovo delle dotazioni organiche è necessario che all’interno delle strutture tecniche dei vari enti trovino adeguato spazio i dottori agronomi ed i dottori forestali che in funzione dell’ordinamento professionale vigente sono i professionisti deputati a svolgere funzioni decisive e ormai necessarie per rispondere positivamente alle domande che uno sviluppo sostenibile e di qualità ci richiede.

Il Consiglio Nazionale con la guida della Presidente e il coordinamento della Vicepresidente e del Consigliere Gianluca Buemi sta predisponendo un documento organico che nei prossimi giorni verrà presentato al Governo come contributo alla formazione del Piano Nazionale da presentare all’Unione Europea.

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I dottori agronomi e i dottori forestali per il rilancio qualitativo dell’Italia //www.agronomoforestale.eu/index.php/i-dottori-agronomi-e-i-dottori-forestali-per-il-rilancio-qualitativo-dellitalia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=i-dottori-agronomi-e-i-dottori-forestali-per-il-rilancio-qualitativo-dellitalia //www.agronomoforestale.eu/index.php/i-dottori-agronomi-e-i-dottori-forestali-per-il-rilancio-qualitativo-dellitalia/#respond Wed, 01 Jul 2020 14:27:06 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67835 di Renato Ferretti, direttore AF Online

La ripresa economica successiva all’emergenza sanitaria necessita di incisivi interventi di semplificazione normativa e procedurale in tutti i comparti.
È indispensabile, innanzi tutto, una semplificazione del quadro giuridico nel quale operano imprese e cittadini. Fare impresa e lavorare in Italia è troppo complicato: l’oscurità, la frammentazione e la mobilità di regole che cambiano troppo spesso nel tempo e nello spazio sono uno dei principali ostacoli allo sviluppo del Paese, perché impediscono agli operatori, a tutti i livelli, di assumere e pianificare scelte consapevoli per sé e per le organizzazioni di cui fanno parte.

Le professioni, e per le nostre competenze i dottori agronomi e i dottori forestali, debbono diventare l’interlocutore imprescindibile del Governo, delle Regioni e del sistema degli Enti Locali. Dobbiamo essere la controparte con cui parlare per la semplificazione delle norme e delle regole che gravano sui cittadini, sul mondo del lavoro e delle imprese.
In tal senso, i professionisti devono essere intesi come il naturale anello di congiunzione tra l’individuo e la collettività, tra l’impresa e lo Stato: è il professionista che accompagna l’imprenditore, il commerciante, l’artigiano, il lavoratore autonomo, e, in genere, ogni privato cittadino nei momenti più significativi della propria attività economica e sociale.

Nell’attuale situazione di emergenza, proprio i professionisti potrebbero assumere un nuovo ruolo di intervento in quei settori dove il loro sapere può essere un vantaggio reale sia per i cittadini sia per le istituzioni. In particolare, nel delineare un ‘codice della pandemia’, sarebbe opportuno dedicare un’apposita riflessione all’individuazione di funzioni che la pubblica amministrazione potrebbe utilmente delegare ai professionisti, in attuazione del principio di sussidiarietà a favore dei privati cittadini e dello Stato.
Grazie alla conoscenza dei rispettivi contesti operativi, e grazie alle competenze accumulate con la formazione e l’esperienza del “saper fare”, oltre che del “sapere”, i professionisti sono già oggi portatori di serie proposte che possono significativamente accompagnare la auspicata Rinascita del Paese. Sussidiarietà e competenza possono essere le chiavi di volta di un disegno riformatore volto alla semplificazione, e sostenuto dalle professioni su molteplici versanti.

Per quanto riguarda i territori, occorre finalmente investire sui paesaggi identitari, sul patrimonio agroalimentare-zootecnico e selvicolturale, oltre che sul capitale naturale e culturale. Ciò rappresenta un’opportunità per aprire spazi occupazionali e di innovazione, conservando sempre un’ottica di sostenibilità e tutela delle risorse disponibili.
Su queste funzioni i dottori agronomi e i dottori forestali sono da sempre portatori di competenze, conoscenze e innovazione Tutto questo può essere attuato attraverso l’ammodernamento delle leggi sui parchi (legge quadro sui parchi nazionali n. 394/91) e sulla montagna (legge n. 97/1994) e accelerando sul decreto legislativo sui servizi ecosistemici (Delega al Governo per l’introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali).
Inoltre, gli obiettivi di incremento della qualità degli spazi pubblici (attraverso azioni di rigenerazione urbana), delle prestazioni energetiche (attraverso la promozione di protocolli prestazionali), della sicurezza sismica e di quella idrogeologica (con una attenta conoscenza del territorio, per la quale non si può prescindere dalle specifiche competenze dei dottori agronomi e i dottori forestali) devono entrare nell’azione ordinaria e costante degli enti territoriali e dello Stato.
Si tratta di un ambito di straordinarie opportunità, con costi che vengono annullati dai risparmi conseguenti e con effetti rilevanti in termini di riduzione dell’inquinamento, di miglioramento della qualità della vita, di una maggiore sicurezza, di rivalutazione del patrimonio territoriale complessivo. Va promossa l’idea del consumo di suolo a “saldo zero” come motore per la rigenerazione urbana. In tale ambito, occorre valorizzare i territori agricolo-forestali, riconoscendo nella produzione agricola non un’attività antitetica alla città, ma un aspetto integrato e funzionale alla vita delle città stesse.

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Ripensare il credito agrario per disegnare l’agricoltura del futuro //www.agronomoforestale.eu/index.php/ripensare-il-credito-agrario-per-disegnare-lagricoltura-del-futuro/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ripensare-il-credito-agrario-per-disegnare-lagricoltura-del-futuro //www.agronomoforestale.eu/index.php/ripensare-il-credito-agrario-per-disegnare-lagricoltura-del-futuro/#respond Fri, 08 May 2020 13:39:34 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67730 Di Gianluca Buemi – Coordinatore del Dipartimento di Economia ed Estimo CONAF

Ripensare il credito agrario per disegnare l’agricoltura del futuro

Le condizioni finanziarie di molte aziende agricole sono critiche e tale circostanza risale senza dubbio a periodi ampiamente antecedenti l’attuale emergenza sanitaria.
L’assenza di una gestione finanziaria strutturata ha troppo spesso indotto il mondo agricolo a ricorrere a strumenti di credito che non sono risultati adeguati al perseguimento degli obiettivi economici aziendali e come tali incapaci di offrire il supporto necessario per un concreto sostegno finanziario alle imprese agricole. Il più delle volte le operazioni creditizie attivate dagli imprenditori evolvono a circostanze di sofferenza, con tutto quanto ne consegue.

Un problema di linguaggi
Essenzialmente si possono ricondurre le motivazioni di questo quadro operativo all’eccessivo indebitamento dell’imprenditore con forme di finanziamento a breve e medio termine e alla scarsa conoscenza da parte del mondo bancario delle dinamiche di composizione del reddito delle imprese agricole.
Seppur negli ultimi anni alcuni istituti di credito stiano ripristinando strutture interne specializzate nel credito agrario, la despecializzazione a cui abbiamo assistito nel passato ha certo giocato un ruolo fondamentale nel delineare l’attuale scenario. Del resto, non è stato semplice per il mondo bancario far “girare” i propri applicativi quando il richiedente che si presentava allo sportello era un’impresa agricola.
Il motivo principale di tale disallineamento è stato di natura “linguistica”: nella maggior parte dei casi l’azienda agricola si presentava sotto forma di ditta individuale e quindi senza frnire alla banca i bilanci “civilistici” da leggere e confrontare con benchmark (modalità operativa tipica della banca per analizzare i dati e concedere o meno il credito).
L’assenza di condivisione di un univoco linguaggio operativo impresa/banca ha determinato l’incapacità per l’imprenditore di offrire informazioni e dati univocamente riconosciuti dalla banca (traducendo in breve: stato patrimoniale, costi di gestione, utili di esercizio, posizione finanziaria netta, ecc.).

Lo tsunami sul comparto agricolo
L’emergenza di questi mesi, pertanto, arriva come uno tsunami a impattare un mondo già finanziariamente fragile, nel quale si assiste a settori con perdite a doppia cifra (p.es. florovivaismo) e per i quali il ricorso al credito agrario risulta indispensabile per mettere in sicurezza le imprese.
In un simile momento di crisi economica, mai visto dal secondo dopoguerra, le criticità evidenziate possono divenire letali per le imprese agricole. Oggi, ancor più che nel recente passato, è necessario ridare al credito agrario l’importanza che in passato ha avuto per il sostegno e lo stimolo imprenditoriale del settore primario.
Seppure sia pienamente condivisa la necessità di garantire liquidità al settore (e laddove ancora presente, preservarne l’esistenza), non sembra che i provvedimenti governativi sin qui apparsi (cfr. DL Liquidità) possano essere realmente efficaci ed efficienti come tutti si attendono.
Abbiamo visto che si sta previlegiando molto la forma della garanzia da parte dello Stato e sicuramente le banche deliberano più facilmente di fronte a garanzie a prima richiesta, che possono essere escusse immediatamente in caso di insolvenza (tutelando al contempo il patrimonio dell’azienda e del titolare e/o della sua famiglia). Ma tale circostanza non fa venire meno i problemi predetti connessi alla conoscenza dell’azienda agricola e dei suoi dati economici. Circostanza questa ancora più acuita oggi in quanto, di norma, non interviene il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese che opera attraverso Mediocredito centrale bensì Ismea, istituto specializzato nel settore, che negli ultimi giorni ha lanciato una serie di azioni “finanziarie” in favore delle imprese agricole.

Progettare il futuro
Se da un lato è condivisibile la necessità di mettere in sicurezza il sistema agricolo nell’immediato, dall’altro è necessario evitare di spostare di solo qualche mese/anno il fallimento delle imprese o, peggio, che si guardi più alla “tranquillità” delle banche piuttosto che a quella del mondo agricolo.
Del resto, la stessa Banca d’Italia ha evidenziato che “i debiti assistiti da garanzie pubbliche accesi per far fronte alla crisi da Covid-19 non saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria, aumentando quindi la leva finanziaria delle imprese e la loro vulnerabilità” .
Per tali motivi, il CONAF, su iniziativa del Dipartimento di Economia ed Estimo e del Tavolo di Estimo ha proposto alcuni emendamenti al Decreto-Legge 23/2020 c.d. “Liquidità” in corso di conversione.
Punto primo di tale riflessione è data dal fatto che le aziende devono poter usufruire della garanzia anche dopo la fase di preammortamento (si spera coincidente con il superamento della fase emergenziale) rinegoziando le operazioni; tale possibilità deve essere contemplata già ora (emendamento all’art. 13 – comma 1 lett. e).
Infatti, operazioni strutturate a 6 anni pongono in forte dubbio la loro sostenibilità nel tempo. Si pensi che un affidamento di 800.000 euro al tasso dello 0,50% porta ad una rata mensile, finito il preammortamento, di circa 13.500 euro pari ad 162.000 euro annuali: un’enormità per moltissime imprese se confrontata con l’attuale redditività della maggior parte delle attività agricole.
Risulta quindi assolutamente auspicabile allungare la durata delle operazioni (almeno 20 anni, oltre a 2 anni di preammortamento) perché queste risultino sostenibili rispetto ai risultati economici delle aziende agricole, peraltro già in forte affanno (emendamento all’art. 13 – comma 14).
Inoltre, per quanto riguarda la tempistica di evasione delle richieste di finanziamento e concessione delle garanzie, almeno per Ismea, i tempi di intervento si allungano di norma non per questioni legate all’attività di tale istituto ma per la farraginosità delle procedure interne delle banche, dovuta anche alla mancanza di esperti di credito agrario.
Sono infatti gli istituti di credito che tra contrattualistica e verifica delle compliance, necessitano di tempi “biblici” per applicare le nuove normative: queste tempistiche sono incompatibili con il dinamismo connesso all’imprenditoria attuale, ancor più in una fase emergenziale (emendamento all’art. 13 – comma 1 lett. m).
In questo contesto, come più volte è stato fatto rilevare anche in periodi non emergenziali, i dottori agronomi e dottori forestali possono assumere un ruolo decisivo per l’efficientamento del sistema. Questa figura professionalizzata e specialistica per il mondo agricolo ha le capacità per svolgere il ruolo di unica figura professionale capace di far dialogare “due mondi” (impresa agricola/banca) risultati profondamente distanti tra loro ed assumere il ruolo di “interprete” tra il linguaggio economico-finanziario bancario e quello tecnico/operativo delle imprese agricole.

Riformare il credito agrario
Su queste basi si può dare concretamente avvio ad una riforma strutturale del credito agrario e attivare un dialogo costruttivo e reciprocamente utile (win/win) tra mondo agricolo e mondo bancario.
La predisposizione di un bilancio universalmente valido (munito di un visto di conformità analogo a quello emesso dai dottori commercialisti) può essere effettuata da dottori agronomi e dottori forestali qualificati e specializzati nell’ambito operativo dell’economia agraria e questo può costituire una chiave di volta strutturale per l’accesso al credito bancario da parte delle imprese agricole oltre che un’occasione straordinaria per finalizzare gli investimenti di transizione delle aziende agricole verso modelli innovativi, sostenibili e digitali (emendamento all’art. 13 – inserito comma 15).
Senza volere scomodare la legge 152/1992 che attribuisce ai dottori agronomi e dottori forestali specifiche competenze in materia di contabilità di imprese agrarie, zootecniche e forestali e delle industrie per l’utilizzazione, la trasformazione e la commercializzazione dei relativi prodotti, possiamo senz’altro affermare che la nostra preparazione di base, la conoscenza tecnica ed economica delle aziende agricole, la familiarità con gli strumenti contabili e di analisi dei risultati economici delle imprese agricole, ci rendono una straordinaria opportunità per imprenditori e banche al fine di attivare e rendere efficiente ed efficace il credito, uno strumento fondamentale per la vita economica del settore e di tutto il Paese.

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Pianificare il cambiamento che sarà //www.agronomoforestale.eu/index.php/pianificare-il-cambiamento-che-sara/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=pianificare-il-cambiamento-che-sara //www.agronomoforestale.eu/index.php/pianificare-il-cambiamento-che-sara/#respond Mon, 30 Mar 2020 08:48:35 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67593 Sono due mesi che il Consiglio dei Ministri ha decretato lo stato di emergenza per il rischio sanitario dovuto al diffondersi del nuovo coronavirus.
In queste settimane abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini, il nostro stile di vita, le nostre priorità. Alcuni hanno perso parenti, amici e “stiamo perdendo un capitale di affetti, di esperienze e di conoscenze”.
Il percorso per tornare alla normalità è ancora lungo, ma è nelle difficoltà che si svela la vera forza

In quanto Dottori Agronomi e Dottori Forestali, la nostra professione fornisce “un servizio essenziale e indifferibile”, fatto riconosciuto nel DPCM del 22 marzo 2020. Come Ordine lo abbiamo ricordato a gran voce al Presidente Conte: non per futili campanilismi, ma per fornire al nostro Paese un sostegno continuo nel momento del bisogno, per affiancare le aziende agricole e zootecniche e per non interrompere la produzione di cibo sano e sicuro durante tutta la filiera.
Come CONAF stiamo lavorando su più fronti: insieme a RPT e CUP per portare avanti le istanze comuni a tutti i professionisti d’Italia, con un messaggio corale che non può rimanere inascoltato. In questo momento difficile abbiamo scoperto un’unità d’intenti, confrontandoci, grazie alle teleconferenze, molto più spesso di quanto non abbiamo fatto in passato, imparando a conoscere le difficoltà che si nascondono dietro ad ogni professione, e stringendoci in un grande abbraccio attorno alle professioni sanitarie.
Oltre questo, stiamo interloquendo in maniera diretta con i ministeri per approfondire tematiche di interesse esclusivo, a sostegno dei colleghi che svolgono attività specifiche.

Sono azioni necessarie a gestire l’oggi di questa situazione emergenziale, ma non possono bastare. Così abbiamo deciso, come Consiglio nazionale dell’Ordine, di lavorare guardando al futuro.
Non possiamo limitarci ad affrontare la quotidianità in attesa che tutto torni come prima, ma dobbiamo utilizzare questo momento per pianificare il cambiamento che sarà, e sarà radicale: per citare la Presidente Ursula von der Leyen, dobbiamo “trasformare il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare, per rendere più sano il nostro stile di vita e più innovative le nostre imprese [….] Siamo determinati a fare sì che questa strategia abbia successo per il bene del pianeta e delle sue forme di vita – per il patrimonio naturale europeo, la biodiversità, le nostre foreste e i nostri mari. Mostrando al resto del mondo la nostra capacità di essere sostenibili e competitivi”.
Ci faremo promotori presso il Governo per l’istituzione di un fondo per lo sviluppo professionale sostenibile, per essere interlocutori nella realizzazione del Green Deal, affinché possano concretizzarsi le proposte della Politica di Coesione 2021-2027. Dobbiamo essere tra i principali attori di questo percorso in cui si parla di ambiente e digitalizzazione, come abbiamo discusso al XVII Congresso e successivamente scritto con il programma della “Carta di Matera” strutturata per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda2030.

Voglio chiudere con un pensiero per gli amici lombardi, che stanno affrontando un dramma umano con sobrietà e compostezza encomiabili, e con un ringraziamento a tutti voi colleghi, che con il vostro impegno contribuite e sostenere il nostro Paese in questo delicato momento.
Mi appello al vostro senso di responsabilità per portare avanti il vostro lavoro adottando tutte le misure di sicurezza previste, per la salvaguardia vostra e degli altri.

#agrofor2030 #restiamouniti #restiamoacasa

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#AGROFOR2030: THE GLOBAL GOALS //www.agronomoforestale.eu/index.php/agrofor2030-the-global-goals/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agrofor2030-the-global-goals //www.agronomoforestale.eu/index.php/agrofor2030-the-global-goals/#respond Mon, 11 Nov 2019 06:44:08 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67428

Sabrina Diamanti, Presidente CONAF

Come sapete, la popolazione mondiale sta crescendo di circa 80 milioni di individui l’anno, il tasso di urbanizzazione globale, oggi, è al 55% della popolazione mondiale, secondo le proiezioni dovrebbe aumentare al 68% entro il 2050, la qualità della vita media auspicabilmente migliorerà.
Ciò significa che crescerà il bisogno di cibo, ma anche il fabbisogno di acqua, di energia, di fibre tessili, di materie prime per l’industria chimica e così via. Tutto in un contesto mondiale che sta affrontando cambiamenti sociali, economici, ambientali.
In questo scenario, gli attori del settore primario dovranno diventare protagonisti per garantire a tutti l’accesso a ciò di cui si avrà bisogno, e dovremo farlo in modo sostenibile: mantenendo la fertilità dei suoli, preservando la biodiversità, riducendo gli inquinamenti di aria e acqua.
Parte da questa riflessione la scelta tematica di questo XVII congresso, legato a doppio filo con gli obiettivi di sostenibilità di Agenda2030 dell’ONU.
Sono obiettivi che, lo sappiamo bene, andranno a impattare sulle comunità in cui lavoriamo, sui territori in cui operiamo e faranno mutare anche la nostra professione.
La decisione di realizzare un piano d’azione da qui al 2030 per la categoria è quindi una scelta necessaria per restare al passo con le sfide che ci troveremo ad affrontare.

TRASVERSALITÀ E COLLABORAZIONE
È del tutto evidente che queste sfide non impattano unicamente sulla nostra categoria, ma possono essere portate a compimento solo con la collaborazione fra le diverse componenti della società civile: con le istituzioni, con gli albi professionali a noi contigui, con il mondo universitario e della ricerca, coinvolgendo i cittadini.
Tessendo relazioni, quindi.
Relazioni.
Si è parlato spesso di relazioni, in questi anni, durante il passato consiglio di cui ero componente e in questi mesi della nuova consiliatura.
Molti di voi avranno già sentito questa parola fare capolino nei discorsi istituzionali, ma ritengo sia giusto ribadirla perché non ha esaurito la spinta e poiché guida tutt’ora le politiche dell’Ordine.
Un concetto che ho il piacere di ripetere particolarmente oggi, quando lo scorgere gli ospiti presenti – che ringrazio ancora per essere fra noi – ci ricorda l’importanza di collaborare.
Non è un caso, infatti, che nell’immaginare i lavori di questo Congresso, abbiamo scelto e voluto la presenza di ospiti che non appartenessero esclusivamente all’Ordine ma rappresentassero le molte idee con cui ogni giorno interfacciamo la nostra professionalità.
L’Ordine non può accontentarsi di essere autoreferenziale.
Lo sappiamo bene e abbiamo attuato questa visione durante quest’anno di lavoro, consolidando i rapporti con le altre professioni, che soprattutto attraverso la RPT sono diventate interlocutori affidabili e frequenti con cui condividere problematiche e obiettivi trasversali.
Lo abbiamo fatto e lo facciamo con gli interventi su tematiche complesse, come la PAC o il PAN, in cui le nostre posizioni si integrano con quelle di molti portatori di interesse e necessitano di essere condivise da un panel più ampio rispetto al nostro ordine.

Quando penso al PAN, per esempio, mi riferisco alla nostra posizione sull’obbligo di prescrizione degli agrofarmaci: è una richiesta sostenuta da quest’ordine ma che guarda a un traguardo molto più ampio poiché mira alla salvaguardia della salute dei cittadini, dell’ambiente e della biodiversità.
Una proposta che porta in sé un tale beneficio collettivo da oltrepassare le posizioni settoriali, e per questo è lecito attendersi che diventi una scelta adottata e sostenuta da tutti gli attori coinvolti nella discussione.

Un discorso analogo si può fare per la discussione sulla nuova PAC, che lega indissolubilmente la nostra professione a Bruxelles, in primis con la rappresentanza del CEDIA, fondamentale presidio della categoria in quella sede e che ringrazio per la presenza fra noi.
Come dicevo, la politica agricola impatta su molti aspetti e su molti attori, sociali ed economici, sia in Italia che a livello internazionale. Questa complessità è un elemento positivo perché ci obbliga al confronto con i molti soggetti che stanno al nostro fianco. A noi sta il portare al tavolo la nostra esperienza per evitare il ripetersi delle difficoltà che ha mostrato la PAC, dalle farraginosità burocratiche all’inefficacia dimostrata di alcuni strumenti e meccanismi.
Bastano questi due esempi, ma potrei parlare della difesa del territorio o della vivibilità nei centri urbani, della gestione forestale nei prossimi anni, per comprendere che dobbiamo affrontare problemi complessi in cui la singola istituzione non basta, e nemmeno noi, nonostante la nostra capacità di visione d’insieme, possiamo camminare da soli.

POLIEDRICI, NON ONNISCENTI
La nostra capacità professionale ci rende poliedrici. È una qualità che rivendichiamo con forza e che rappresenta la nostra carta vincente. Le nostre competenze ci consentono di spaziare su diversi territori, di progettare, di pianificare e di avere uno sguardo a lungo termine.
Noi ci prendiamo cura della componente biotica, integrandola con quella abiotica.
Noi cerchiamo sempre, quotidianamente, la sostenibilità sapendo che le scelte fatte dovranno trovare un equilibrio con la vita umana.
È una caratteristica bellissima, che emerge con tutta la sua forza nelle nostre attività quotidiane e nelle esperienze che racconteremo in questi giorni. Perfettamente adatte per dare un contributo fattivo agli obiettivi di questo Congresso.

Quello che però non deve accadere è che la nostra poliedridicità sia confusa con l’onniscienza.
Il nostro valore aggiunto è la capacità di visione d’insieme e quella deve restare il punto di forza della categoria.
Per questo motivo molti degli sforzi fatti in questi mesi, e che proseguiranno durante l’intero mandato, sono volti a favorire e incrementare l’associazione fra colleghi e il lavoro multidisciplinare, seppure nel rispetto delle competenze assegnateci: perché questo richiede oggi il mondo del lavoro ed è anche la strada maestra per incrementare il reddito dei nostri professionisti.

Naturalmente sono ben consapevole che le idee poi devono venire a patti con la quotidianità e, sotto questo aspetto, l’Ordine sta cercando di essere più vicino agli iscritti.
Quello che immagino è che questo percorso sia un cammino collettivo, in cui l’Ordine non sia un Moloch burocratico che impone sanzioni e misure coercitive, ma che rappresenti un collettivo di professionisti che sanno collaborare.
Sotto questo aspetto, i consigli precedenti hanno fatto molto, ma molto resta ancora da fare.
La formazione, l’assicurazione e tutti gli altri adempimenti devono essere visti come opportunità, non come obblighi e su questo stiamo lavorando e lavoreremo a lungo per rimuovere gli ostacoli, laddove esistono, che si frappongono fra iscritti, Ordini e Federazioni.
Essere semplici e accessibili diventa l’obiettivo per essere inclusivi.
Ed è ciò che faremo.

IDENTITÀ E APPARTENENZA
Quello che mi immagino è un Ordine scelto da ogni iscritto perché spinto dal desiderio di manifestare il proprio senso di appartenenza.
Guardando ai numerosi iscritti a questo Congresso, sicuramente uno dei più partecipati, seppure in una città bellissima ma non semplice da raggiungere, ci conferma che siamo un Ordine vivo, i cui iscritti sono partecipi alla vita ordinistica e sono consapevoli delle innumerevoli sfide che ci si pongono di fronte.

Quello che dobbiamo, anzi che faremo nei prossimi mesi è diventare attraenti verso i giovani, parlare ai nuovi iscritti, a quelli che si stanno laureando e si laureeranno diventando i colleghi di domani.
Gli uomini e le donne che oggi stanno affrontando un cambiamento, ma dovranno essere in grado di viverlo e non subirlo, diventando preda di facili slogan. E il ruolo dell’istruzione di ogni livello e grado, ma ancor più dell’università è proprio quello di contribuire a raggiungere questo risultato, formando colleghi che un domani potranno esercitare o meno la libera professione, ma che sicuramente dovranno avere competenze e sensibilità che solo con uno stretto rapporto tra il mondo della professione e l’università si potranno ottenere.
Essere semplici e vicini, però è solo una pre-condizione, necessaria ma non sufficiente.
Quello che dobbiamo fare è acquisire una forte identità, sapere chi siamo e presentarci sempre come un unico corpo.
Questo perché, con un’identità definita, risulterà più semplice collocarci all’interno di una rete di relazioni: se so chi sono non avrò più il timore dell’altro, né che possa sottrarmi spazio, ma dialogherò ben sapendo cosa posso dare, cosa posso ricevere e quali opportunità possono nascere dalla collaborazione.

L’ho detto e lo ribadisco, anche in questa conclusione.
I tempi che abbiamo davanti ci propongono problematiche complesse in cui solo con un approccio multidisciplinare e multi-attoriale si possono raggiungere i traguardi. Lo vediamo a partire dai 4 temi in discussione in questo Congresso.
È una sfida ambiziosa? Certamente. Ma sono altrettanto consapevole che i dottori agronomi e i dottori forestali che mi onoro di rappresentare sapranno essere protagonisti in Italia e nel mondo per far sì che i principi enunciati non restino utopia ma si trasformino in realtà.
Buon lavoro a tutti noi.

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