Fitoiatria – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Wed, 22 May 2024 10:11:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Le produzioni vegetali e il ruolo dei dottori agronomi e dei dottori forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/#respond Sat, 01 Jun 2024 07:41:25 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68524 Le produzioni vegetali rappresentano un settore fondamentale dell’agricoltura, che comprende la coltivazione di piante per il consumo umano, animale e per altri usi industriali. Queste produzioni includono colture come cereali, legumi, frutta, verdura, piante da olio, piante da fibra e colture speciali come quelle officinali e aromatiche.

Esse influenzano:

  • sicurezza alimentare: forniscono cibo, garantendo l’accesso a una dieta equilibrata e nutriente
  • economia rurale: creano opportunità di lavoro e reddito nelle aree rurali, contribuendo allo sviluppo economico e sociale delle comunità agricole
  • ambiente: le pratiche agricole sostenibili, promosse dai dottori agronomi e dai dottori forestali, aiutano a conservare le risorse naturali, ridurre l’impatto ambientale e combattere il cambiamento climatico.

7 aree di competenza dei dottori agronomi e dottori forestali
Agronomi e forestali svolgono un ruolo cruciale nelle produzioni vegetali, promuovendo pratiche agricole che sono sostenibili, efficienti e sicure. La loro competenza contribuisce a migliorare la produttività agricola, la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale, garantendo benefici a lungo termine per l’economia e la società.

1. analisi del suolo e del territorio:

  • valutazione della fertilità: eseguono analisi del suolo per determinare i nutrienti disponibili e raccomandano interventi per migliorare la fertilità del terreno.
  • gestione del suolo: consigliano pratiche per prevenire l’erosione, migliorare la struttura del suolo e aumentare la capacità di ritenzione idrica.

2. pianificazione delle colture:

  • scelta delle colture: aiutano nella selezione delle colture più adatte alle condizioni climatiche e pedologiche del territorio.
  • rotazione delle colture: pianificano rotazioni colturali per migliorare la salute del suolo e ridurre l’incidenza di parassiti e malattie.

3. gestione delle risorse idriche:

  • irrigazione efficiente: progettano e implementano sistemi di irrigazione che ottimizzano l’uso dell’acqua, come l’irrigazione a goccia.
  • conservazione dell’acqua: promuovono tecniche di agricoltura conservativa per mantenere l’umidità del suolo e ridurre il fabbisogno idrico.

4. controllo delle malattie e dei parassiti:

  • gestione integrata dei parassiti (IPM): implementano strategie per il controllo dei parassiti che combinano metodi biologici, fisici e chimici in modo sostenibile.
  • uso di prodotti fitofarmaci: raccomandano l’uso responsabile e mirato di fitofarmaci per ridurre l’impatto ambientale e garantire la sicurezza alimentare.

5. miglioramento genetico e selezione delle varietà:

  • sviluppo di nuove varietà: collaborano con istituti di ricerca per sviluppare e introdurre varietà di piante più resistenti alle malattie, con maggiore resa e adattabilità a diverse condizioni climatiche.
  • conservazione delle risorse genetiche: promuovono la conservazione delle varietà locali e delle specie tradizionali per mantenere la biodiversità agricola.

6. sostenibilità e innovazione:

  • agricoltura di precisione: utilizzano tecnologie avanzate come i droni, i sensori e i sistemi GIS per monitorare e gestire le colture in modo preciso e sostenibile.
  • pratiche sostenibili: promuovono pratiche agricole sostenibili come l’agricoltura biologica e la conservazione delle risorse naturali.

7. formazione e consulenza:

  • supporto agli agricoltori: forniscono consulenza tecnica agli impresari agricoli su pratiche di coltivazione, gestione delle risorse e strategie di mercato.
  • educazione e sensibilizzazione: organizzano corsi di formazione e campagne di sensibilizzazione per diffondere conoscenze e innovazioni nel settore agricolo.

 

Il peso dell’agricoltura nell’economia italiana
Il settore agricolo e agroalimentare in Italia ha un ruolo significativo nell’economia nazionale. Nel 2023, il comparto agroalimentare rappresentava circa il 15% del PIL italiano, con il settore agricolo da solo che contribuiva per circa il 2%.

1,1 milioni di aziende agricole
L’Italia conta circa 1,1 milioni di aziende agricole, che coprono indicativamente 12,6 milioni di ettari della superficie agricola del paese.

50% di terreni agricoli
Oltre il 50% della superficie totale adibita a uso agricolo è montuosa o soggetta a vincoli naturali.

53% di popolazione rurale
Il 53% della popolazione italiana vive in zone rurali o intermedie e il settore agricolo e forestale costituiscono fattori economici importanti.

Il valore aggiunto complessivo della filiera agroalimentare nel 2022 ha raggiunto i 64 miliardi di euro, di cui 37,4 miliardi derivanti dalla produzione agricola e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. Se si considera anche la distribuzione e la ristorazione, il peso del settore agroalimentare sul PIL sale al 7,7%, e includendo i servizi di trasporto, logistica e intermediazione necessari per portare i prodotti dal campo alla tavola, la stima supera il 15,2%.
L’Italia è un leader nella produzione di vari prodotti agricoli in Europa. Ad esempio, detiene una quota del 37% nella produzione di vino e del 33% nella produzione di olio d’oliva nell’UE. È anche un importante produttore di frutta, coprendo il 18% della produzione dell’UE.

 

Nonostante la rilevanza del settore, l’agricoltura italiana affronta diverse sfide strutturali, tra cui la frammentazione delle aziende agricole, la scarsa presenza di giovani imprenditori e problemi di accesso alla terra, con valori fondiari molto elevati rispetto ad altri Paesi europei.
Inoltre, il settore deve affrontare le incertezze climatiche e la volatilità dei prezzi, che influenzano negativamente la produzione e il valore aggiunto.

Produzione agricola per settore
Quando si parla di valore della produzione agricola si sommano i valori dei prodotti agricoli e quelli zootecnici, escludendo la produzione di servizi in agricoltura.
Circa la metà del valore della produzione complessiva in UE proviene dalle colture, tra le quali gli ortaggi, le piante orticole e i cereali erano le colture più pregiate, circa due quinti da animali e da prodotti di origine animale. Di questi ultimi, la maggior parte del valore è frutto dal solo da latte e dall’allevamento suinicolo.
I contributi e la quota di prodotti animali e vegetali differiscono notevolmente da uno Stato membro all’altro e tra di essi, riflettendo le differenze nei volumi prodotti, nei prezzi percepiti, nonché nel mix di colture coltivate, animali allevati e prodotti animali raccolti.

Produzione agricola per settore in Italia.
Valore della produzione ai prezzi base nel 2023 (milioni di euro)

La suddivisione della produzione agricola

 

La suddivisione della produzione vegetale

 

Le percentuali della produzione zootecnica nazionale

Fonte: EUROSTAT

In conclusione
I dottori agronomi e i dottori forestali hanno una visione olistica e competenze multidisciplinari essenziali per affrontare sfide ambientali ed agricole del nostro tempo.
Attraverso l’integrazione di diverse competenze e la collaborazione con altri professionisti, essi sono dei team leader in grado di sviluppare e promuovere pratiche agricole e forestali sostenibili, contribuendo alla tutela dell’ambiente e alla produzione efficiente e sicura alimentare.

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Valutazione fitostatica degli alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=valutazione-fitostatica-degli-alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/#respond Fri, 16 Jun 2023 06:34:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68397

Edoardo Raccosta.
Laureato nel settembre del 2022 in Progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio, la sua tesi sperimentale ha avuto l’obiettivo di confrontare diversi approcci strumentali al fine di verificare le condizioni di stabilità e la propensione al cedimento di alberi a cui era stato interrato il colletto.

Il verde urbano fornisce molteplici benefici e servizi ecosistemici alle città e alla popolazione riducendo le emissioni di inquinanti antropici, favorendo l’aggregazione sociale, migliorando la salute mentale, incrementando il valore economico di beni immobili e aumentando la biodiversità presente nell’ecosistema urbano. Nell’attuale scenario di cambiamento climatico, gli effetti della presenza delle piante, per esempio sulla regolazione della temperatura, sull’intercettazione delle acque meteoriche (in particolare nel caso di “bombe d’acqua”) e sulla riduzione della velocità del vento, sono di grande importanza per la vita e il benessere delle persone che vivono negli agglomerati urbani. Tuttavia, si devono creare i presupposti giusti affinché le essenze vegetali presenti nelle nostre città esplichino le loro attività biologiche nel migliore dei modi.

39 alberi, un viale: il caso studio

Figura 1. Ricostruzione schematica dei possibili lavori di livellamento della sede stradale eseguiti sul Viale delle Piagge.

Il caso studio preso in esame è rappresentato dal Viale delle Piagge (Pisa), realizzato in seguito ai lavori di sistemazione del nuovo argine che aveva come scopo primario il contenimento dell’Arno nei periodi di piena. Sul viale sono presenti circa seicento esemplari arborei disposti in un doppio filare a prevalenza di tigli nostrani (Tilia platyphyllos), molti dei quali si ipotizza che siano stati messi a dimora subito dopo il completamento dei lavori dell’argine e quindi del viale, risalente alla seconda metà dell’800. Ad oggi, è uno dei luoghi più frequentati e amati, presentandosi indubbiamente come uno dei “polmoni verdi” della città che necessità però di una gestione attenta affinché questa infrastruttura non si trasformi in una minaccia.
Negli ultimi anni, si stanno verificando diversi casi di crolli dei tigli presenti sul viale, con annessi danni a edifici residenziali; le piante sono state interessate da rotture al colletto o ribaltamenti improvvisi. Osservando attentamente gli alberi a dimora e analizzando le dinamiche dei crolli si è notato l’assenza di contrafforti alla base del fusto (nel genere Tilia si manifestano in modo tipico e naturale, specialmente in piante mature) probabilmente imputabili a lavori di livellamento della sede stradale eseguiti negli scorsi decenni, che hanno apportato nuovo terreno (soprattutto nelle porzioni esterne del viale). Ciò ha determinato il progressivo interramento dei colletti e dei contrafforti delle piante a dimora con conseguenti ristagni idrici, elevata umidità e talvolta asfissia (Figura 1). Tutte condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo di agenti patogeni fungini i quali determinano marciumi radicali estendendosi anche al colletto e compromettendo la stabilità delle essenze arboree.

Figura 2. Prova di trazione controllata in fase di svolgimento.

L’obiettivo di questa tesi di laurea è stato quello di condurre opportune indagini fitostatiche per valutare la stabilità di 39 alberi di un tratto del Viale delle Piagge situati nei filari esterni, molti dei quali non presentano contrafforti a causa, probabilmente, dei lavori di livellamento citati precedentemente. A questo scopo, si è reso necessario stabilire un protocollo standardizzato affinché tutte le analisi strumentali fossero condotte con modalità riproducibili nel medesimo sistema su ogni albero e con l’obiettivo di ottenere risultati uniformi e rappresentativi della problematica.

Un protocollo ad hoc
Il protocollo operativo è stato messo a punto dopo una serie di test adottando diversi approcci strumentali quali tomografo sonico, il dendropenetrometro e la prova di trazione controllata o “pulling test”; quest’ultimo è risultato essere il più idoneo per esaminare la tenuta radicale e l’elasticità delle fibre legnose. Il “pulling test” prevede l’applicazione di un carico controllato (simulazione di una raffica di vento) attraverso un paranco ed un cavo d’acciaio (Figura 2); per la registrazione dei dati utili a formulare una valutazione oggettiva ci si avvale di sensori estremamente sensibili installati sul fusto della pianta in esame (Figura 3). I dati raccolti in campo vengono rielaborati mediante un software dedicato all’interno del quale si inseriscono alcuni parametri come ad esempio l’altezza della pianta, il diametro del fusto, le dimensioni della chioma e la velocità del vento. Quest’ultimo dato, di fondamentale importanza poiché l’intero processo di analisi dei dati si basa su questo specifico carico, è stato ricavato tramite una ricerca storica degli eventi ventosi registrati nei pressi dell’area studio prelevati dalla stazione meteorologica della Regione Toscana.

La valutazione finale di ogni pianta viene fornita mediante l’attribuzione di una Classe di Propensione al Cedimento (CPC) proposte dalla Società Italiana di Arboricoltura che è stabilita, in questo caso, basandosi principalmente sui risultati ottenuti dalle prove di trazione. La classificazione di propensione al cedimento degli alberi è composta da 5 classi, ossia da A a D; una pianta in classe A non presenta al momento dell’indagine difetti significativi tali da ritenere che il fattore di sicurezza dell’albero si sia ridotto. Al contrario, una pianta in classe D ha ormai esaurito il suo fattore di sicurezza e pertanto è previsto l’abbattimento.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il 23% delle piante esaminate ricadono in una CPC estrema per cui è previsto l’abbattimento, il 23% (CPC = C) necessitano di un controllo visivo e strumentale periodico, con cadenza annuale. Infine, il restante 54% risulta avere un elevato grado di stabilità (CPC = A o B). Le piante ricadute nella classe estrema (CPC = D) sono state oggetto di ulteriore approfondimento diagnostico strumentale eseguendo una valutazione qualitativa del legno attraverso il tomografo sonico. Le tomografie effettuate all’apparato radicale e al colletto ove si riteneva necessario e possibile, hanno confermato l’esito ottenuto con le prove di trazione; scarsa capacità di ancoraggio delle radici a seguito di processi di degradazione dell’intero apparato e del colletto.

Figura 3. Sensori impiegati per svolgere la prova di trazione.

In molti casi, gli alberi nelle città sono costretti a vegetare in condizioni estreme, soggetti a continui stress termici, idrici, meccanici e molti altri. Il protocollo messo a punto per questo specifico caso si è rivelato essere attendibile, in grado di uniformare un giudizio finale complessivo e inquadrare al meglio la problematica descritta precedentemente. Questo protocollo operativo potrebbe essere adottato anche al di fuori del contesto specifico per cui è stato formulato; in particolar modo per verificare la stabilità degli alberi in seguito a importati lavori sulla sede stradale o limitrofi alla zolla radicale. Spesso, quando vengono eseguiti degli scavi, si danneggiano o in casi più gravi vengono recise intere porzioni dell’apparato radicale andando a stravolgere e compromettere l’intera stabilità di una pianta. Attraverso questo lavoro di tesi dove si sono sperimentati diversi approcci diagnostici, le prove di trazione si sono rivelate essere lo strumento diagnostico più idoneo per verificare problematiche all’apparato radicale, sia di natura meccanica (danni meccanici) che fitosanitaria (agenti patogeni fungini).

Sitografia e Bibliografia

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Vicenda Xylella fastidiosa: una questione irrisolta //www.agronomoforestale.eu/index.php/vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta //www.agronomoforestale.eu/index.php/vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta/#respond Thu, 02 Apr 2020 11:01:46 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67609 L’olivicoltura pugliese ha dato segni di una decisa ripresa produttiva nel 2019. Dalla stima Ismea dello scorso novembre, si registra un incremento del 164,9% rispetto al 2018 (193.650 tonnellate contro le 73.108 della campagna del 2018 1). I dati non valgono per il Salento dove si osservano perdite decisamente importanti: si calcola un calo del 90-95% perché risultano produttive solo le piante di Leccino, il 5% degli ulivi. La causa è nota (quasi scontata): Xylella fastidiosa.

La diffusione della fitopatia causata dal batterio Xylella f., secondo i dati comunicati durante la seconda Conferenza Europea sul patogeno (ottobre 2019, Ajaccio), ha danneggiato circa 6,5 milioni di piante per un totale di almeno 53.800 ettari di oliveti (elaborazione relativa al 2017). La superficie regionale investita a olivo è di 375 mila ettari, ossia il 25% del suolo agricolo. La delimitazione esatta della zona infetta è stata modificata l’ultima volta dalla decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) 927/2018 che definisce l’intera provincia di Lecce e di Brindisi, molti comuni in provincia di Taranto e il comune di Locorotondo (Bari)2 come aree dove il batterio non è più eradicabile.
La vicenda che ruota attorno all’emergenza Xylella f. appare come un susseguirsi di atti normativi, europei, nazionali e regionali, che dichiarano il progressivo aggravarsi della situazione, all’interno di un’inarrestabile diatriba scientifica, politica, sociologica e anche culturale.

3 fasi per gestire il rischio fitosanitario
L’esame del rischio fitosanitario è un procedimento che si rivela sempre più necessario all’interno dell’Unione Europea. La globalizzazione e l’intensificazione dei commerci internazionali hanno aumentato il rischio di ingresso e diffusione di organismi nocivi in Paesi dove prima non erano conosciuti. Spesso essi si adattano facilmente al nuovo habitat distruggendo la flora locale.
Nel momento in cui si registra la loro presenza, l’Unione Europea ha disposto delle procedure per garantirne il controllo, il contenimento e/o l’eradicazione (dir. (CE)2000/29, reg. (UE)2016/2031).
L’esame della situazione generata dalla presenza degli organismi nocivi per i vegetali e i loro prodotti si basa sul procedimento di valutazione del rischio fitosanitario che comprende tre fasi:

  1. risk assessment, esame dal punto di vista scientifico svolto dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), nello specifico dal Gruppo di esperti per la salute delle piante che utilizza precisi metodi per redigere un parere scientifico ed è spesso coadiuvato anche da enti scientifici statali;
  2. risk management, in cui la Commissione Europea decide, sulla base dei risultati scientifici, come gestire la diffusione dell’organismo cercando di eradicarlo, facendo anche un calcolo degli interessi e dei benefici (si rivela necessario talvolta applicare il principio di precauzione);
  3. risk communication, fase che permea le altre due, indipendenti l’una dall’altra ma connesse tra loro, per assicurare che ogni azione sia effettuata sulla base della precisa conoscenza del problema e che tutti i soggetti interessati ne siano informati.

Il caso della diffusione della Xylella Fastidiosa è utile per comprendere questo procedimento. Le difficoltà presentatisi durante la gestione di questa fitopatia sono derivate per lo più da una sfiducia negli esperti scientifici e nelle autorità – europee, statali e regionali – causata da una comunicazione poco precisa, grossolana, scettica e intrisa da uno storytelling semplice e convincente.
Le misure imposte dall’Unione Europea sono state spesso ostacolate e l’espandersi della fitopatia ha costretto il loro irrigidimento (dec. es. (UE)2015/789).
Inizialmente le lacune scientifiche non hanno agevolato il controllo di Xylella fastidiosa e il susseguirsi di atti normativi è anche indice dell’aggiornamento continuo delle numerose ricerche.

Breve cronistoria degli interventi del legislatore
Le difficoltà che si sono frapposte in questi ormai 7 anni hanno inevitabilmente allontanato la possibilità di risoluzione definitiva del problema3. Il quadro normativo di riferimento è stata la direttiva (CE) 29/2000, oggi sostituita dal regolamento (UE) 2031/2016 (in vigore dal 14.12.2019).
Il 29 ottobre 2013 la Regione Puglia ha emanato il primo atto determinante le misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e la eradicazione del batterio da quarantena e ha suddiviso una porzione del territorio leccese in quattro zone, in base alla presenza dell’organismo nocivo.
A partire dal 2015, la decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) n.789/2015 (e s.m.i.)4 definisce ed aggiorna i limiti delle aree interessate dalla fitopatia.
Sono individuate una zona infetta (come sopra citato ex dec. es. (UE) n.927/2018) e una zona cuscinetto (larga da 1 a 5 km dal confine con quella infetta – art.4). All’interno delle zone delimitate, l’art.6, par.2 impone di svellere – dopo appropriati trattamenti fitosanitari, art.6, par.4 – non solo la pianta infetta ma anche tutte le piante che si trovano nei 100 m attorno ad essa e potenzialmente ospiti del batterio (indipendentemente dal loro stato di salute)5, notoriamente infette e che presentano sintomi della possibile infezione o sospette contagiate (salva l’eccezione per le piante ospiti di importante valore storico prevista al par.2bis). L’art.7 invece indica specifiche misure di contenimento ad hoc per la zona infetta, secondo le quali è possibile abbattere solo la pianta contagiata (previ idonei trattamenti fitosanitari -art.7, par.4), effettuando successivamente analisi sui vegetali ospiti nei 100 m circostanti. L’eradicazione avviene sulla base di monitoraggi annuali svolti almeno nei siti di produzione e di raccolta o spedizione di vegetali, in prossimità di piante dal valore sociale, culturale o scientifico e nei 20 km dal confine con la zona cuscinetto (art.7, par.7).
La ricostituzione economico-paesaggistica delle aree infette è incentivata grazie alla possibilità di reimpiantare olivi nei siti dov’è assicurata la protezione contro gli insetti vettori del batterio, nonché nelle zone in cui si attuano misure di contenimento, tranne nella fascia di 20 km a ridosso della zona cuscinetto (art.5)6 . Devono essere predilette varietà resistenti o tolleranti; attualmente sono concesse Leccino e FS17®, in attesa di risultati ulteriori da test in corso (compresa la tecnica del sovrainnesto per salvare gli alberi monumentali).
Le rigide disposizioni della decisione in questione hanno fatto discutere, divenendo oggetto di alcuni ricorsi amministrativi, uno dei quali giunto sino in Corte di Giustizia Europea. La sentenza tranchant del 9 giugno 2016 ha confermato l’idoneità delle misure di eradicazione, necessarie, appropriate e proporzionate per assicurare un elevato livello di protezione fitosanitaria sulla base dei dati scientifici noti7.

La condanna dell’Europa
Nonostante la loro applicazione a livello nazionale nel decreto MIPAAF del 13 febbraio 2018, n.4999, più conosciuto come Decreto Martina, declinate a livello regionale, secondo l’ultimo intervento legislativo, dalla determinazione della Giunta Regionale del 24 ottobre 2018, n.1890 e dalla determinazione del Dirigente Sezione Osservatorio Fitosanitario del 23 novembre 2018, n.727, l’Italia è stata condannata dai giudici di Lussemburgo il 5 settembre 2019 a causa dei ritardi nell’esecuzione di monitoraggi e operazioni di eradicazione nella zona di contenimento, favorendo così la diffusione della fitopatia8. La Corte di Giustizia ha basato il giudizio sui dati ottenuti dall’audit condotto tra maggio e giugno 2018 dalla Commissione9 secondo la quale solo il 10,7% delle oltre 3000 piante risultate positive nel 2017 erano state rimosse al momento dell’ispezione europea. Si segnalano anche i monitoraggi effettuati in periodi sbagliati, conclusi proprio nel momento in cui la sputacchina (Philaenus Spumarius, vettore principale della Xylella f.) inizia a volare sugli alberi, infettandoli. Lo stesso report sottolinea che più del 90% dei casi positivi individuati nella campagna del 2016 è stato rinvenuto in prossimità di piante infette rilevate nel corso del 2015 ed estirpate con gravi ritardi.

I punti deboli della gestione della malattia
La sentenza ha evidenziato i maggiori punti deboli della gestione della malattia. Il MIPAAF ha cercato di snellire e velocizzare le procedure di eradicazione degli olivi infetti attraverso l’emissione del Decreto Emergenze (D.L. 29 marzo 2019, n.27), convertito con L. n.44 del 21 maggio 2019, secondo la quale le misure emergenziali, compreso l’abbattimento, saranno effettuate in deroga a ogni disposizione vigente e ogni eventuale vincolo10. La norma vale anche per gli olivi monumentali, salva l’eccezione in cui, malgrado la loro prossimità ad una pianta malata e l’estirpazione necessaria di un dato areale, non risultino infetti11. Inoltre, le eradicazioni volontarie potranno essere condotte (nella zona infetta tranne nella zona di contenimento) per 7 anni dalla comunicazione alla Regione, in deroga ai divieti imposti dal decreto luogotenenziale n.475/1945, a ogni altro eventuale vincolo ed alla sussistenza di VAS e VIA12.
È stata attuata dunque una sorta di liberalizzazione delle operazioni di abbattimento ma, ci si deve assicurare che esse vengano effettuate “immediatamente” (ex art.6, par.2, dec. es. (UE) n.789/2015), non trasformando ancora una volta il ritardo in uno strumento utile al contagio.
Due problemi strutturali hanno favorito il diffondersi di Xylella f. e complicano le attività di controllo degli ispettori (senza contare quelli legati ai monitoraggi): l’abbandono degli oliveti e la frammentazione fondiaria. Si calcola che l’85% del totale della superficie agricola utile (SAU) della provincia di Lecce corrisponda ad aziende i cui terreni sono pari al massimo a due ettari. Molte proprietà sono a conduzione familiare, parte di residenze estive o appartengono a coltivatori anziani non più interessati alla coltivazione. Sono necessari quindi concreti programmi che incentivino e contribuiscano al recupero dei terreni attraverso forme di accorpamento fondiario, rilancio della filiera, eventuale riconversione della coltura e diversificazione dell’economia grazie ad attività (agro)turistiche13. In questo senso, il Protocollo di Intesa tra la Regione, il MIPAAF e il MiBACT14 semplifica il reimpianto nelle zone infette , svincolandolo dall’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza e delle Commissioni Paesaggistiche.
Il 6 marzo 2020, in rilevante ritardo, è stato finalmente firmato il decreto attuativo dell’art. 8 quater del D.L. n.27/2019, che istituisce un fondo di 300 mln di euro per la realizzazione del “Piano strategico per la rigenerazione olivicola della Puglia” per il rilancio delle zone infette15, che si affiancherà alle misure previste dal PSR 2014-2020.

La percezione del rischio
Queste strategie tuttavia saranno poco efficaci se non si interviene parallelamente anche sugli aspetti comunicativi e culturali. Sin dal 2013 la vicenda è stata oggetto di contrastanti interpretazioni, che hanno inevitabilmente mutato la percezione del rischio (ma anche del pericolo16) ed indebolito la fiducia nei confronti degli esperti (raggiungendo l’apice nel 2015 con il decreto di sequestro preventivo d’urgenza e la denuncia di 9 di essi, più il Commissario delegato Silletti, archiviato il 3 maggio 2019). Il valore, sia economico, sia culturale, ricoperto dall’olivo all’interno del tessuto sociale pugliese ha fatto sì che tutti si sentissero in dovere di manifestare il proprio pensiero, dando vita a numerosi movimenti e associazioni contrari alla gestione istituzionale della fitopatia17. I canali istituzionali non paiono dunque sufficienti ad arginare fake news, teorie complottiste e correnti alternative che hanno generato una sorta di cesura sociale ed incentivato il mancato rispetto delle misure.
Considerati gli ingenti danni che Xylella f. sta causando all’olivicoltura pugliese e italiana (un terzo delle olive in Italia è prodotto in Puglia), rinvii e mancanza di una linea comune sono ingiustificabili, a maggior ragione dopo 7 anni dall’insorgere dell’emergenza (oggi difficilmente ancora definibile tale). La sovrapposizione di più profili (economico, ambientale, fitosanitario, politico, giuridico, sociale) ha complicato la risoluzione della vicenda, tanto da rendere oggi ineredicabile il batterio e da costringere ad una faticosa convivenza.

Lo studio originale
La gestione del rischio fitosanitario nel diritto agroalimentare europeo ed italiano: il caso Xylella
Trento Law and Technology, Research Group – Student Paper n. 44

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Il bosco ceduo nell’Appennino modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/#respond Mon, 04 Nov 2019 07:18:37 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67370 Alla luce del Regolamento Forestale della Regione Emilia Romagna n.3 del 1 ° agosto 2018

PREMESSA
La gestione boschiva nell’Appennino modenese (comuni di Frassinoro e Montefiorino) è stata oggetto di una tesi di laurea presso il dipartimento di Scienze della Vita, Agraria, Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie e degli Alimenti, Unimore, discussa il 17 luglio 2019 relatrice la Prof.ssa Cristina Bignami, primo correlatore: Dott. Pietro Natale Capitani (già Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Modena), secondo correlatore: Dott. Claudio Cavazza, della Regione Emilia Romagna, laureando: Cesare Magnavacca.

INTRODUZIONE
È ampiamente condivisa l’idea che l’agricoltura collinare e montana abbia perseguito nel passato l’obiettivo di destinare alle colture agricole i terreni migliori, relegando i boschi alle aree più impervie; così il bosco, che fino ai primi del ‘900 era un elemento basilare nella economia agricola, ha perso sempre più importanza. Due esempi su tutti:

  • l’abbandono del ceduo, in quanto il legno ha subito una forte concorrenza da parte di altri combustibili più economici e di più facile approvvigionamento; la rinuncia della ceduazione avviene anche in nome di un ripristino della naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico.
  • l’abbandono del castagneto da frutto, che per secoli ha contribuito a soddisfare le esigenze economiche della popolazione montana, ma che ora più raramente è seguito e curato[1].

I dati raccolti ai fini della tesi, grazie alla collaborazione della Regione Emilia Romagna- Servizio Aree protette, Foreste e Sviluppo della Montagna e del sub-ambito montano dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico, sono relativi alle richieste di autorizzazione al taglio presentate nel periodo 2008-2019; la loro interpretazione porta a concludere che, tuttavia, in certi ambiti montani, il taglio a ceduo è ancora attivo e che è sviluppata la coltura del castagno, soprattutto di qualità.

 

ASPETTI GEOGRAFICI, CLIMATICI GEOLOGICI E PEDOLOGICI

La valle del Dragone dal castello di Montefiorino (riproduzione privata)

Le caratteristiche dei comuni presi in considerazione sono le seguenti.

Il comune di Montefiorino ha una estensione di 45,35 km2, presenta una escursione altimetrica di 886 m, s.l.m.,  fra una quota minima di 324 m e una massima di 1210 m, con il paese a circa 797 m.
Il comune di Frassinoro ha una estensione di 95,93 km2, presenta una escursione altimetrica di 1206 m, s.l.m., estendendosi fra una quota minima di 502 m e massima di 1708 m, con il paese a circa 1.131 m[2].
Entrambi i comuni sono situati nella valle del Dragone, che scorre per oltre 30 chilometri lungo la dorsale appenninica fino a raggiungere il Dolo; il Dragone prende origine dai numerosi torrenti e corsi d’acqua che scendono dal crinale in prossimità del Passo delle Radici che segna il confine tra l’Emilia e la Toscana.

Il clima è continentale per la temperatura con inverni freddi ed estati fresche. Le piogge hanno una distribuzione di tipo mediterraneo con precipitazioni più intense in primavera e autunno.

I terreni sono prevalentemente argillo-marnosi nelle zone più basse e arenaceo-marnosi in quelle più a monte; essi presentano in generale condizioni di instabilità dei versanti e un’accentuata suscettibilità all’erosione superficiale.

I suoli variano da profondi a superficiali, a tessitura media, calcarei, moderatamente alcalini. Per quanto riguarda lo scheletro possono variare da scarsamente a molto ciottolosi negli orizzonti profondi.

Afferenti ai comuni considerati vi sono alcune zone particolari dal punto di vista ambientale: tre siti di Natura 2000, che rappresentano aree protette con gestione forestale normata secondo un particolare articolo del Regolamento Forestale regionale n.3 del 1° agosto 2018[3] (che nel seguito chiameremo nuova normativa per distinguerla dalle “Prescrizione di massima e di Polizia Forestale”[4], in vigore nel 2008 e che chiameremo nel seguito vecchia normativa).

Ceduo matricinato (riproduzione privata)

Natura 2000[5] è un sistema organizzato in rete di aree (siti e zone) destinate alla conservazione della biodiversità. Questa rete è presente su tutto il territorio dell’Unione Europea ed è rivolta alla tutela di ambienti quali foreste, zone umide, ambienti rocciosi e delle specie animali e vegetali in essi viventi.

La Regione Emilia Romagna si occupa della gestione complessiva del sistema territoriale delle aree protette e dei 158 siti della rete Natura 2000, che ricoprono una superfice complessiva di circa 270.000 ettari. Provvede ad esse per conto del Ministero per l’Ambiente e della Commissione Europea.

 


METODOLOGIA E RACCOLTA DATI

Faggeta in riconversione ad alto fusto (riproduzione privata)

Per la raccolta dati è stata svolta un’analisi di archivio, con l’esame delle richieste di taglio depositate presso il comune di Montefiorino per entrambi i comuni. Le “richieste di utilizzazione” del bosco ceduo sono presenti in formato cartaceo, dal 2008 al 2015, in formato digitale dal 2016 al 2019.
Nel comune di Frassinoro è stata effettuata un’ulteriore analisi per le zone SIC e ZPS.

Nei dati raccolti si è deciso di semplificare la specie arborea prevalente della superficie destinata all’esbosco, secondo la seguente classificazione: Faggio, Castagno, Quercia, Abete (comprendente abete bianco e abete rosso), misto latifoglie[6].
Quest’ultimo è caratterizzato da una molteplicità di specie che condividono la stessa area boschiva e diverse a seconda della fascia altimetrica.
Il misto latifoglie a Montefiorino è costituito da: quercia, castagno, faggio, ciliegio selvatico, pioppo, robinia mentre quello a Frassinoro è costituito da: faggio, frassino, quercia, acero, olmo e ciliegio selvatico.

 

ANALISI DATI

Le richieste di autorizzazione di cui si è tenuto conto sono state quelle complete in ogni loro voce significativa per la ricerca (quindi per esempio superficie interessata, specie arborea, età dell’ultimo taglio,…); si sono quindi esaminate 620 richieste di taglio per il Comune di Montefiorino, e 975 richieste per il Comune di Frassinoro (comprendenti 119 domande nelle aree protette).

Fig.1 – Numero di richieste per comune

Dal grafico di Fig.1 si evince che le zone protette di Natura 2000, per le quali la nuova normativa prevede un articolo a parte3, pur sottoposte a vincoli maggiori quali il divieto di taglio di piante vive con diametro superiore a 1 m e l’aumento della turnazione dei boschi di faggio e di castagno puri, non limitano le risorse forestali. Le numerose domande, soprattutto fatte da ditte forestali mostrano che anche la selvicoltura di quelle zone può essere sviluppata.

Fig.2 – Superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato

L’istogramma di Fig.2 indica la superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato. Si può osservare una tendenza alla decrescita più accentuata nel comune di Montefiorino, il cui territorio presenta nel complesso una minore vocazione forestale rispetto al territorio di Frassinoro.

 

 

 

Fig. 3 e 4 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 Le coppie di diagrammi a torta di Fig.3 e 4 e Fig.5 e Fig.6 riportano numero e percentuale dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).
Come si vede c’è un’ampia sovrapposizione del richiedente privato con l’uso domestico perché l’uso della legna da ardere come combustibile per il riscaldamento è ancora attuale.

 

Fig. 5 e 6 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 

Si vede inoltre che il mercato del legname è più fiorente a Frassinoro confermando quanto precedentemente affermato a proposito di vocazione forestale dei territori dei due comuni.

Fig.7 – Numero di domande vs superfice di taglio

 

 

Dal grafico di Fig.7 che riporta il numero di domande versus la superfice di taglio si ricava che in entrambi i comuni il massimo numero di domande si ha per superficie fra 1 e 2 ha. La nuova normativa prevede l’esenzione da autorizzazione ad autorizzazione per i tagli ad uso non commerciale su superficie minore di 1500 m2, quindi la coda estrema di questo istogramma è dovuta a dichiarazione antecedenti l’agosto 2018.

 

Fig.8 e 9 – Variazione nel tempo per le diverse specie arboree

I grafici di Fig.8 e Fig.9 riportano la variazione nel tempo per le diverse specie arboree delle superfici boschive per le quali è stata chiesta autorizzazione al taglio nei due comuni.

Il modello mostra un andamento pseudo periodico per le varie specie, con una tendenza netta alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino.

Fig.10 e 11 – Andamento pseudo periodico per le varie specie

Per quasi tutte le specie esaminate singolarmente si osserva una dispersione dei dati che non consente di evidenziare significative tendenze nelle variazioni delle superfici a taglio, nei dodici anni presi in esame.
Fanno eccezione la tendenza alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino e le oscillazioni attorno a un valore costante per il faggio a Frassinoro (Fig. 11), ciò indica che sono più utilizzate le varietà di legname con un maggior valore commerciale e contenuto energetico per unità di peso.

 

Fig.12 – Tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019

 

Premesso che sia la vecchia che la nuova normativa incoraggiavano l’estensione e il recupero dei castagneti da frutto, il grafico di Fig. 12 illustra le tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019 poiché nelle precedenti domande di taglio non era specificata le tipologie di intervento. Da questo grafico si deduce che c’è stato, nei primi due anni, un incremento della superficie del castagneto da frutto, essendo gli interventi di ripulitura indicatori di un’attività di gestione finalizzata al ripristino della produzione di castagne. Negli anni 2018 e 2019 invece non ci sono state domande di ripulitura, ma solo per ceduo matricinato.
Nel comune di Montefiorino la castanicoltura ha avuto un calo produttivo più evidente rispetto a Frassinoro poiché le varietà coltivate erano principalmente di castagne destinate alla produzione di farina: queste cultivar sono state via via abbandonate a causa della non economicità delle operazioni colturali e dell’isolamento di alcuni castagneti dalla rete viaria, oltre che dal calo di consumo della farina di castagne, prodotto la cui richiesta è in ripresa solo negli anni più recenti. La riconversione dei castagneti è un investimento che pochi operatori sono disposti a fare, a causa dall’entità economica dell’investimento e del periodo di ritorno.

Si sono quindi trasformati castagneti, già destinati a produzione di castagne da farina, in ceduo per ricavarne un profitto. Se la coltivazione dei castagneti fosse stata di pregio, come quella dei marroni, probabilmente l’abbandono di alcune zone sarebbe stato meno accentuato.   Il ceduo derivante dai castagneti abbandonati riesce comunque a spuntare un buon prezzo nel mercato, grazie alle caratteristiche del legname: il legno è infatti richiesto in parte per la paleria, in parte per le costruzioni, piuttosto che come legna da ardere.

Non è stato possibile fare un grafico analogo per il comune di Frassinoro perché non sono registrate richieste di taglio negli ultimi anni; nella fascia bassa del suddetto comune sono presenti castagneti da frutto, ma sono per la gran parte coltivati, oppure non sono qualificabili come “abbandonati da molto tempo”: né con la vecchia, né con la nuova normativa gli interventi manutentivi sui castagneti devono essere dichiarati. Se ne deduce che a Frassinoro, principalmente nella frazione Fontanaluccia, in val Dolo, è rimasta una locale filiera di produttori e commercianti dei frutti e che questo commercio, basato su produzioni di buon pregio, consente un reddito sostenibile alle parti.

I grafici di Fig.13 e Fig.14 sono box plot che illustrano l’età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento nel Comune di Frassinoro per faggio, quercia e misto latifoglie.

Fig.13 e 14 – Età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento

Il grafico a baffi del faggio nel 2008/2009 indica una età minima di taglio di 10 anni, il primo quartile è a 30 anni, cioè un 25% dei tagli è effettuato fra i 10 e 30 anni; la mediana è 40 anni e il terzo quartile a 50 anni; quindi complessivamente il 50 % dei tagli è compreso fra i 30 e i 50 anni; un’ulteriore 25% dei tagli ha età fino a 80 anni.  Entrambi i valori estremi erano fuori dalla vecchia normativa sull’età di taglio di un ceduo semplice.

Se si guarda i box plot degli ultimi due anni invece si vede come l’età minima sia di 30 anni, che coincide con il primo quartile, cioè un 25% dei boschi è tagliato a 30 anni; la mediana e il terzo quartile coincidono nei 40 anni quindi un 50% dei tagli avviene fra 30 e 40 anni, mentre un ulteriore 25% dei boschi presenta un’età età di taglio attorno ai 50 anni. Quindi si osserva un maggior rispetto dell’età minima di taglio del ceduo semplice e la volontà di evitare che il bosco possa ritenersi ceduo invecchiato, che potrebbe essere riconvertito in ceduo semplice ma previa autorizzazione (non bastando la comunicazione).

Stessa osservazione vale per la quercia e il misto latifoglie, dove però i punti singoli indicano casi sporadici di tagli effettuati in età estreme.

 

CONCLUSIONI

L’abbandono per lungo tempo del regime a ceduo non danneggia di per sé il bosco, non ne provoca la scomparsa e può essere utile per ripristinare la naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico, ma ne altera la tipologia colturale portando il ceduo a trasformarsi in una struttura forestale meno interessante dal punto di vista antropico;  non solo, lasciare a se stessi i processi di “rinaturalizzazione” di questi boschi può costituire un vantaggio dal punto di vista naturalistico, ma in taluni casi si possono innescare processi di degradazione del suolo, specialmente in quelle zone con elevato rischio di fenomeni franosi.

Infine due ultime osservazioni.

Oltre agli interventi degli enti pubblici, la Regione Emilia Romagna promuove la formazione di Consorzi Forestali, costituiti da privati, per la gestione e la conservazione del bosco nell’Appennino Modenese; questi nuovi Consorzi vanno ad affiancarsi ad altre forme di governo radicate nel territorio come gli usi civici e le proprietà collettive (lotti comunali e beni frazionali nel comune di Frassinoro). Sono nuove forme di associazione di privati che possono essere finanziati, almeno in parte, dai PSR (Piano di Sviluppo Rurale) specifici per le zone montane.

La tecnica della cippatura, oggi utilizzata principalmente dalle ditte forestali per lo smaltimento in situ dei residui di taglio, potrebbe invece alimentare una nuova filiera della bioenergia montana della quale si intravvedono i primi esempi.

 

 

Bibliografia

  • Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983: A. Alessandrini, C. Bignami, S. Corticelli, L.F. D’Antuono, S. De Polzer, D. Ubaldi, Tavole sinottiche, in F. Corbetta, C. Ferrari, A. Gigli, A. Pirola, T. Romualdi, G.F. Savoia (eds.), Alberi e arbusti dell’Emilia-Romagna, Azienda Regionale delle Foreste della Regione Emilia Romagna, Bologna 1983.
  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Rapporti storici ed attuali tra uomo e boschi in Emilia Romagna, in A.A. V.V. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp.19-28.
  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Come leggere la fisionomia del bosco, in AA. VV. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp. 31-49.

Sitografia

 

 

[1] Cfr. Bagnaresi 1987.

[2] www.comuni-italiani.it/.

[3] Regolamento regionale n.3 del 1° agosto 2018 (Titolo IX, art 64).

[4]  L.R. 4 settembre 1981, n. 30; R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267; R.D.L. 16 maggio 1926, n. 1126.

[5]  //ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/parchi-natura2000/rete-natura-2000/strumenti-di-gestione/misure-specifiche-di-conservazione-piani-di-gestione/misure-specifiche

[6] Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983.

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l ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale all’interno del mondo accademico: il caso del PAN //www.agronomoforestale.eu/index.php/l-ruolo-del-dottore-agronomo-e-del-dottore-forestale-allinterno-del-mondo-accademico-il-caso-del-pan/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=l-ruolo-del-dottore-agronomo-e-del-dottore-forestale-allinterno-del-mondo-accademico-il-caso-del-pan //www.agronomoforestale.eu/index.php/l-ruolo-del-dottore-agronomo-e-del-dottore-forestale-allinterno-del-mondo-accademico-il-caso-del-pan/#respond Tue, 10 Jul 2018 16:03:39 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=66834 Il PAN ha introdotto una figura specializzata: il consulente in fitoiatria. L’Università, nello specifico quella di Palermo, si è prontamente adeguata introducendo un insegnamento specifico per preparare i professionisti di domani.
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IL VANTAGGIO DI ESSERE AGRONOMO: si tratta di una qualifica tecnica al passo con i tempi e che appartiene in modo speciale alla figura del dottore agronomo.

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Allarme nummularia: faggete appenniniche a rischio //www.agronomoforestale.eu/index.php/allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio //www.agronomoforestale.eu/index.php/allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio/#respond Wed, 27 Jun 2018 13:27:50 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=66753 Premessa
A partire dalla primavera 2015 sono state segnalate anche sull’Appennino modenese situazioni diffuse di deperimento del faggio (Fagus sylvatica), caratterizzate dal fenomeno del disseccamento di esemplari, sia isolati che all’interno di boschi cedui o cedui invecchiati.
Rispetto ai consueti disseccamenti, riscontrabili frequentemente anche in passato, nell’ambito delle suddette formazioni boschive, governante più o meno regolarmente, le manifestazioni evidenziate si discostavano significativamente per la frequenza e la sintomatologia del quadro fitopatologico.
Tali osservazioni sono state trasmesse tempestivamente agli Organi preposti alla verifica e monitoraggio di tali fenomeni, senza peraltro riscontrare in generale grande interesse.
Il Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna è poi intervenuto mediante la visita-sopralluogo di un proprio funzionario tecnico (Dottore Agronomo Nicoletta Vai).

A seguito di campionamenti e successiva analisi di laboratorio si è potuta riscontrare la presenza, nel materiale prelevato, di corpi fruttiferi ascrivibili al patogeno Biscogniauxia nummularia; tale accertamento ha peraltro confermato un’ipotesi diagnostica già formulata sulla base del quadro sintomatologico, confrontato con descrizioni consultate in bibliografia e autorevoli pareri ricevuti da studiosi della materia e ricercatori.
Si è poi provveduto a tenere monitorato lo sviluppo e la diffusione del fenomeno nell’ambito dell’areale, mediante sopralluoghi cadenzati nel tempo, circoscritti a determinati siti ed esemplari appositamente individuati.
Le osservazioni ed i dati raccolti dal 2015 al 2018 risultano piuttosto allarmanti, infatti l’aumento esponenziale di individui infetti, è decisamente preoccupante. Si ha motivo di ritenere che in talune realtà, corrispondenti ai siti più a rischio, la situazione possa evolversi negativamente verso un degrado generalizzato di determinate superfici boschive e anche la compromissione di esemplari isolati di pregio.
La presente nota intende mettere in ulteriore risalto tale problematica che appare un rischio concreto per i boschi appenninici, con ripercussioni negative per l’intero territorio.

Descrizione del fungo
Biscogniauxia nummularia è un fungo endofita appartenente alla classe degli ascomiceti e all’ordine Sphaeriales. Come qualsiasi organismo appartenente a tale gruppo si riproduce mediante spore, le quali sono prodotte all’interno di particolari sporangi detti aschi: strutture a forma di clava deputate appunto alla produzione e al rilascio di esse. Questo fungo è frequentemente presente nei fusti di alcune specie arboree come Fagus sylvatica e generalmente non veniva considerato un patogeno primario. Negli ultimi anni tuttavia questo microrganismo ha iniziato a manifestare una patogenicità piuttosto aggressiva, causando cancri alle piante che lo ospitano. I sintomi riscontrabili direttamente su esemplari di Fagus Sylvatica sono abbastanza evidenti ed è possibile una loro descrizione a fini divulgativi. La caratteristica che differenzia l’ordine Sphaeriales dagli altri ordini di Ascomiceti è la formazione del corpo fruttifero che avviene anteriormente alle attrezzature sessuali predisponendo delle cavità dove gli aschi formano una specie di palizzata alla base della medesima. Ciò che caratterizza la famiglia delle Xylariaceae è la presenza di Sferiali a stroma molto consistente, arido e di color scuro fino a carbonaceo. Gli stromi sono extramatricali e possono raggiungere dimensioni notevoli.

Sintomatologia

Le macchie nere di forma rotondeggiante che corrispondono ai corpi fruttiferi del microorganismo

Il nome Nummularia deriva dal latino “nummus” ossia moneta; tale appellativo è stato attribuito al fungo in quanto l’esito dell’attacco sul fusto risulta di grande evidenza ed immediatezza causando delle escoriazioni nere, rotonde a forma di moneta che corrispondono ai rotondeggianti corpi fruttiferi del fungo. L’altro sintomo concretamente riscontrabile durante lo sviluppo del cancro fungino sono delle lunghe venature nere che si propagano lungo l’intero fusto dette anche “strip cankers”, le quali sono le effettive responsabili dei vari disseccamenti.
Infatti, questo microorganismo arriva a formare delle vere e proprie gallerie all’interno del fusto condizionando in tal modo la circolazione delle sostanze nutritive che consentono al vegetale di svolgere le funzioni fisiologiche. I cancri a volte sono mascherati dal tessuto suberificato della corteccia dell’albero che, con i suoi meccanismi di difesa, tenta di contenere i danni. Se si asporta la parte superficiale o callo si può vedere la situazione reale e critica dello stato vegetativo della pianta; ciò si può riscontrare dalla documentazione fotografica di seguito esposta e realizzata in occasione di vari sopralluoghi effettuati recentemente sull’Appennino modenese.

La pianta cerca di arginare il danno: la necrosi dei tessuti interni, con formazione di vere e proprie gallerie che si sviluppano lungo l’intero fusto.

Patogenicità
Questo microrganismo è dapprima presente sul tessuto suberificato dei faggi senza causare danni alla pianta. Nel momento in cui la pianta incomincia ad andare in stress, in particolare quello idrico, il fungo inizia a moltiplicarsi esponenzialmente causando i danni descritti in precedenza ed evidenziati dai sintomi illustrati. Occorre precisare che allo stesso genere Biscogniauxia appartengono altre specie che vivono ed esprimono la loro patogenicità su altre essenze arboree appartenente all’ordine delle Fagales (es. Quercus spp.). Nel caso in esame, dopo accurati sopralluoghi e ricerche, è stato verificato che la malattia interessa sia singoli esemplari che gruppi di piante vicine o anche polloni dei cedui e cedui invecchiati.

Monitoraggio
Questa malattia è stata rilevata in Italia per la prima volta nelle grandi faggete Sicule e Calabresi, da dove poi si è diffusa fino ad arrivare all’appennino tosco-emiliano. In Europa questo patogeno era già presente sia in Russia che in Germania.
Dati raccolti sul Monte Soro (1800m s.l.m) e a Cutò (1600m s.l.m) dal Dipartimento Regionale Azienda Regionale Foreste Demaniali della Sicilia dimostrano che la percentuale maggiore di incidenza si riscontra alle quote altitudinali inferiori, quindi nelle faggete marginali. Sul Monte Soro si è riscontrata un’incidenza della malattia sul 27,2% dei polloni esaminati (452), mentre a Cutò si è rilevato il 42,4% di polloni infetti sui (258) presi in esame.

Esito finale del disseccamento

In data 30/04/2015 è stato effettuato dal sottoscritto un primo sopralluogo sull’Appennino modenese in particolare nell’area di Frassinoro. La situazione è risultata critica, la quantità di alberi ammalati era consistente, anche se presente in particolar modo nei punti in cui le piante erano sottoposte a stress maggiori come a bordo strada o nei punti con abbondante presenza di scheletro nel suolo.

Vari sopralluoghi si sono succeduti nel tempo. Uno dei più recenti è quello effettuato il 23/04/2018; la situazione appare chiara e notevolmente peggiorata. La quantità di alberi ammalati è cresciuta esponenzialmente rispetto all’aprile del 2016 (una delle date dei monitoraggi precedenti). Un altro segnale significativo è rappresentato dalla circostanza che l’altitudine dove sono state riscontrate piante colpite si è innalzata. Si può pertanto ipotizzare che il microrganismo si stia adattando a situazioni diversificate ed appare quasi inevitabile associare la crescita dell’incidenza alle criticità meteorologiche dell’estate 2017.

La pianta è disseccata, il fusto presenta chiaramente i corpi fruttiferi del fungo descritto i quali ricoprono quasi totalmente la parete suberificata (corteccia)

Diversi osservatori ritengono che l’espansione di questa malattia possa essere direttamente correlata al greenhouse effect (effetto serra). Tale fenomeno sembra destinato ad aumentare salvo rivoluzioni drastiche ambientali, per cui appare probabile aspettarsi un peggioramento della situazione.

Diversi autori affermano che in genere le aree più colpite sono quelle sui versanti esposti a sud, sud-est o comunque dove l’insolazione annua è maggiore, vicino alle strade e ai margini della faggeta e dove il suolo è particolarmente roccioso perché l’acqua viene drenata più velocemente e il terreno non riesce a trattenerla. Tale circostanza trova riscontro nelle osservazioni dirette effettuate.

Danni economici e paesaggistici
Da quanto sommariamente esposto scaturisce la considerazione che, qualora tale manifestazione dovesse continuare a diffondersi ai ritmi riscontrati nella zona oggetto di studio, ci si troverebbe di fronte ad una vera e propria calamità naturale con gravi ripercussioni anche sulla filiera locale dell’utilizzazione del bosco. Dal punto di vista ambientale e paesaggistico la situazione potrebbe evolversi verso un degrado generalizzato. Le faggete di questa zona, note per la loro integrità ed il loro vigore, potrebbero venire seriamente compromesse.

Possibili interventi di contenimento
Contro questa avversità che sta colpendo le faggete è possibile, al momento, adottare solo alcuni accorgimenti tecnici. In particolare, si fa riferimento a talune pratiche di gestione del bosco soprattutto al fine di evitare, per quanto possibile la formazione e l’espansione delle cosiddette “chiarie” ovvero le zone scoperte a seguito di tagli non corretti o disseccamenti. Infatti, le chiarie portano: una maggiore insolazione durante il giorno, una diminuzione dell’umidità relativa sottostante al manto fogliare, una minore disponibilità di acqua per le piante ed infine l’acclimatamento del patogeno. Un’altra pratica forestale ai fini di un possibile controllo è l’abbattimento degli esemplari sintomatici in modo da contenere la formazione e diffusione delle spore e quindi la loro moltiplicazione su altri esemplari.

Conclusioni
E’ stato ipotizzato da più parti che Biscogniauxia nummularia possa essere utilizzata come bioindicatore dello stato di salute della faggeta, in riferimento alle condizioni pedoclimatiche dei siti. Tale possibilità può consentire una valutazione speditiva circa le criticità di ampie zone.
Occorre aggiungere che Biscogniauxia nummularia è un microrganismo che si è dimostrato in grado di adattarsi velocemente a vari climi ed habitat. Appare pertanto necessario stimolare interesse ed attenzione istituzionale attorno ad un fenomeno che non è assolutamente da sottovalutare date le caratteristiche descritte.

Bibliografia essenziale
G. MAZZA, N. LUCHI, P. CAPRETTI, Disseccamenti del faggio da Biscogniauxia nummularia nell’Appennino tosco-emiliano.
M. FEDUCCI, G. MAZZA, P. CAPRETTI, Impianti di conifere e latifoglie nuovamente a rischio temperature estive e della siccità.
A. SIDOTI, S. GIGLIONE, Monitoraggio fitosanitario in boschi della Sicilia 2007-2008.
C. URBINATI, G. IORIO, M. ALLEGREZZA, P. D’OTTAVIO, Forestpas 2000.
G. GOIDÀNICH, Manuale di patologia vegetale.

Frassinoro (MO), 07/06/2018

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