Legno e Foreste – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 08 Aug 2024 13:30:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Quanti alberi si possono tagliare? //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quanti-alberi-si-possono-tagliare //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/#respond Wed, 10 Jan 2024 18:07:44 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68471 In Italia, la copertura forestale è triplicata in poco più di cento anni. Dopo secoli caratterizzati da deforestazione e utilizzo intenso delle risorse forestali più facilmente raggiungibili e sfruttabili – che hanno causato impoverimento dei suoli e diminuzione della biodiversità animale e vegetale – si è assistito a un’inversione di tendenza. Le aree rurali e montane hanno registrato un progressivo abbandono gestionale, favorito dal massiccio sviluppo industriale e urbano e da un forte disinteresse verso le risorse forestali locali.

Negli ultimi decenni, la ricostituzione ed espansione naturale delle foreste è stata accompagnata da una particolare attenzione alla conservazione e alla valorizzazione degli aspetti naturalistici (oltre il 27% delle foreste italiane gode di un particolare regime di tutela naturalistico), alla conservazione del ruolo di protezione dei versanti e regimazione delle acque (circa l’86% delle foreste italiane è sottoposto a vincolo idrogeologico) e alla tutela del paesaggio (il 100% delle foreste italiane è soggetto a vincolo paesaggistico).

Al tempo stesso, l’Italia è uno tra più importanti Paesi al mondo nella trasformazione e lavorazione della materia prima legno ma, come conseguenza delle dinamiche sociali e ambientali degli ultimi decenni, oltre l’80% della materia prima – utilizzata per scopi edilizi e, soprattutto, energetici – proviene dai mercati esteri, con ovvie problematiche in termini di sostenibilità delle filiere locali.
Attualmente l’Italia ha le condizioni, le potenzialità e la responsabilità di gestire questo capitale naturale in modo attivo e partecipato, consapevole delle conseguenze locali e globali, e attento a mantenerne il ruolo multifunzionale. Ma serve trovare nuove vie, adatte al contesto contemporaneo, per gestire le foreste italiane in modo sostenibile e partecipato.

Rimboschimento di larice in Alta Valle Camonica

Valutare i servizi ecosistemici delle foreste
In questo scenario si è recentemente concluso il progetto di ricerca USEFOL – Approcci innovativi per la valutazione della fornitura di servizi ecosistemici in foreste lombarde, che ha dimostrato scientificamente

  • come prevedere la quantità di legno prelevabile in modo sostenibile,
  • come analizzare costi e benefici ambientali del prelievo forestale
  • come calcolare il carbonio immagazzinabile dalle foreste e dai suoli forestali
  • come calcolare le emissioni di gas serra risparmiate utilizzando il legno in sostituzione di materiali e combustibili maggiormente climalteranti.

I territori pilota sono stati l’Alta Val Camonica e l’Alta Valtellina: qui il progetto ha effettuato una previsione relativa ai prossimi 30 anni, ipotizzando diverse scelte di gestione forestale e scenari climatici dai più moderati ai più severi. Le informazioni elaborate sono servite ad aggiornare i documenti di pianificazione forestale con protocolli, strumenti e risultati delle simulazioni effettuate.

Volume (A, C, D) e specie arborea dominante (B, E) nelle aree di applicazione del progetto, alta Valtellina (A, B) e Val Camonica (D, E).


La stima della biomassa legnosa

La biomassa legnosa in Alta Valtellina e Valcamonica è stata stimata grazie a una procedura suddivisa in tre fasi:

  1. rilievo forestale e stima del volume legnoso a terra;
  2. costruzione di un modello di stima “puntuale” calibrato sui dati rilevati a terra e basato sulle misure di altezza delle foreste ottenute con LiDAR satellitare (missione NASA GEDI);
  3. costruzione di un modello di stima “per pixel” per estendere le stime di volume a scala regionale grazie alle variabili spettrali derivate da immagini satellitari Sentinel-2.

Fasi dell’algoritmo per la stima del volume forestale su tutto il territorio analizzato

 

È stato inoltre realizzato un modello di calcolo denominato “WOody biomass and Carbon Assessment” (WOCAS) che quantifica – secondo un approccio “gain-loss” coerente con le Linee Guida dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – le masse di legno (e carbonio) esistenti in ciascuna particella forestale e il loro incremento annuale previsto.

Elementi considerati per calcolare il bilancio del carbonio delle foreste

Effetto previsto della selvicoltura preventive nei confronti del comportamento degli incendi boschivi. Il diradamento degli alberi e la riduzione della vegetazione a terra ostacola la propagazione del fuoco e diminuisce la sua intensità, contribuendo a dissipare più efficacemente il calore.

Quali foreste destinare alla produzione di legno
La definizione delle foreste da destinare alla produzione di legno è stata basata su indicatori capaci di esprimere eventuali limitazioni al prelievo del legno, come il rischio di dissesto idrogeologico, la pendenza, la distanza da strade e piste forestali e la presenza di aree naturali protette.
I possibili prelievi di legno sono stati quantificati ipotizzando diverse ipotesi di gestione forestale, dalla mera applicazione del regolamento forestale regionale a una selvicoltura mirata alla prevenzione dei danni da eventi meteorologici estremi  e alla valorizzazione del legno e dei suoi assortimenti utilizzabili per realizzare prodotti di lunga durata.

Esempio di informazioni disponibili per ciascuna particella in un Piano di Assestamento Forestale.

 

Un secondo modello denominato “FOREstry MAchinery chain selection” (FOREMA) è stato realizzato per ottimizzare la scelta del cantiere di meccanizzazione da allestire per il prelievo del legno (raccolta e trasporto) e calcolarne i costi economici e ambientali.

I benefici climatici
Per quanto riguarda i benefici climatici generati dall’uso del legno, si è valutato l’effetto di sostituzione relativo a edifici residenziali con strutture portanti in legno, anziché in cemento armato e acciaio, in funzione della quantità di legno utilizzato nelle due opzioni costruttive e al Displacement Factor (DF), cioè il rapporto fra le emissioni risparmiate optando per l’opzione costruttiva in legno e la quantità di legno necessaria.

Nel complesso, la sostituzione dei materiali costruttivi corrisponde a un risparmio di emissioni climalteranti nell’ordine delle decine di migliaia di tonnellate di CO2 equivalente. La decarbonizzazione delle filiere fa sì che la sostituzione dei materiali negli edifici che verranno costruiti nel breve termine corrisponda a risparmi maggiori.

Emissioni evitate per grado di sostituzione. La linea rossa rappresenta le emissioni associate agli edifici in cemento.

 

Stime per tutti i territori montani
Per estendere queste stime a tutti i territori montani è stato pubblicato sul sito di progetto un foglio di calcolo utile a valutare gli effetti dei prelievi sul carbonio immagazzinato nei prodotti legnosi e sulla sostituzione di materiali edili e combustibili fossili più emissivi.
I gestori di aree forestali possono inserire i prelievi forestali programmati nella loro area, gli impieghi previsti per il legno prelevato, e stimare il possibile beneficio climatico per il periodo 2020-2050.
La crescita attesa delle foreste e i flussi di carbonio da e verso la foresta sono stati simulati con il Carbon Budget Model del Servizio Forestale Canadese, in funzione degli scenari climatici elaborati dal modello MPI-ESM-LR del Max Planck Institute. Il modello è specificatamente pensato per studiare i flussi di carbonio tra i diversi serbatoi forestali e l’atmosfera e può simulare un’elevata varietà di disturbi e trattamenti. Le variazioni attese di temperatura e precipitazioni hanno influito in modo diretto sulla crescita degli alberi (comportando aumenti della produttività dallo 0 al 3% annuo delle conifere e dal 6 al 16% annuo per il castagno e le altre latifoglie), e in modo indiretto attraverso il loro effetto sull’area percorsa dagli incendi e la mortalità degli alberi a causa della siccità.

Andamento previsto del volume del bosco e de prelievi di abete rosso (boschi disetanei a media fertilità) nell’area di studio in diversi scenari climatici e gestionali

 

La selvicoltura preventiva, che mostra prelievi iniziali minori, diventa invece quella più conveniente verso fine simulazione. A parità di clima, la selvicoltura basata sull’applicazione dei regolamenti oggi in vigore è invece la meno conveniente a fine simulazione, in quanto associata a prelievi troppo intensi e non sostenibili.

Effetto del cambiamento di gestione forestale sui diversi serbatoi di carbonio nel periodo 2020-2050, secondo due scenari climatici e due scenari gestionali. In verde gli accumuli di carbonio nella foresta e nei prodotti legnosi, in blu gli effetti di sostituzione (emissioni evitate utilizzando legno al posto di materiali e combustibili basati su fossile).

 

Il miglior compromesso
Secondo le simulazioni del progetto, il miglior compromesso tra assorbimento di carbonio nella foresta, prevenzione dei danni climatici al bosco e effetti di sostituzione delle emissioni grazie ai prodotti legnosi si ottiene applicando interventi di selvicoltura preventiva e un prelievo di legno solo sul 25% della superficie forestale disponibile.

Per tutti gli operatori del settore, il progetto USEFOL ha prodotto due linee guida innovative per la gestione forestale sostenibile in Italia.
La prima fornisce una guida completa sulla gestione forestale per la mitigazione climatica e sulla generazione e il conteggio di crediti di carbonio, alla luce della recente introduzione del Registro pubblico dei crediti generati su base volontaria dal settore agroforestale nazionale.
Il secondo manuale, invece, fornisce un supporto alla redazione dei piani di approvvigionamento di biomassa legnosa per fini energetici, offrendo una panoramica della gestione e pianificazione forestale sostenibile, delle tecniche di stima della disponibilità di biomasse legnose, della meccanizzazione applicabile e delle condizioni in cui l’utilizzo energetico del legno è climaticamente sostenibile.

Per le scuole
A scopo didattico, il team di progetto ha anche realizzato un opuscolo sulla filiera bosco-legno rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e un video per la primaria e secondaria di primo grado, dal titolo “La scrivania di larice“: un breve viaggio, immaginario ma al tempo stesso reale, lungo una filiera corta e locale bosco-legno-energia, che racconta in modo semplice e immediato la storia che può nascondere un oggetto di legno proveniente da Gestione Forestale Sostenibile.

Uno dei team di progetto al termine di una giornata di misure in bosco

 

USEFOL
È un progetto finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del programma per Progetti di ricerca in campo agricolo e forestale.
È coordinato dal prof. Renzo Motta dell’Università di Torino e con la partnership dell’Università di Milano, FIPER (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili) e Associazione Consorzi Forestali della Lombardia.

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Clima, biodiversità, filiere corte: l’UE contro la deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/#respond Fri, 23 Jun 2023 06:46:46 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68367 La proposta del Regolamento EUDR (è stato approvato in via definitiva dal Parlamento europeo il 19 aprile scorso ed è diventata legge.

Una norma pensata per contrastare l’emergenza climatica e la perdita di biodiversità e che, avviando filiere corte, controllate e virtuose, può diventare un vantaggioso volano per le produzioni nazionali, europee e un’opportunità per le aree interne.

Cos’è EUDR

Il regolamento europeo EUDR nasce con l’intento di impedire che nei Paesi dell’Unione Europea siano commercializzati prodotti che abbiano causato deforestazione o degrado forestale.

Non si parla solo di legname, ma il regolamento comprende anche i prodotti agricoli e di allevamento: cacao, gomma naturale, caffè, olio di palma, mais, soia e pure carne bovina che alimenta l’espansione dei terreni agricoli a discapito delle superfici forestate. E l’elenco europeo include anche i prodotti derivati quali il cuoio o il mobilio, finanche il cioccolato, una serie di derivati dell’olio di palma, la carta e via dicendo.

A partire da fine 2024, quindi, le aziende che vorranno commercializzare i propri prodotti nell’UE dovranno verificare e certificare che né loro né i loro fornitori abbiano provocato deforestazione o degrado delle foreste dopo il 31 dicembre 2020. Con sanzioni rilevanti: quelle che non rispettano le regole di tracciabilità delle catene di fornitura e di trasparenza in materia di sostenibilità potrebbero incorrere in multe pari ad almeno il 4% del loro fatturato annuo nell’UE.

La verifica (la cosiddetta “due diligence”) della catena di approvvigionamento produrrà conseguenze anche sulla produzione nazionale e quella interna all’UE: per molti prodotti, privilegiare l’origine nazionale diventerà la via più semplice ed economica.” – dichiara Marco Bonavia, consigliere CONAF – “Limitando il ragionamento alla filiera del legno, è concreta l’ipotesi di un effetto positivo sulle economie delle aree interne, che potranno valorizzare una materia prima locale anziché tropicale, che con più facilità saprà dimostrare la gestione con criteri rispettosi sia dell’ambiente che delle molteplici funzioni del bosco.”

 

Un problema concreto

Secondo le stime della FAO, tra il 1990 e il 2020 sono scomparsi 420 milioni di ettari di foreste, una superficie più grande dell’UE, che rappresenta circa il 10% del totale delle foreste della Terra. Contemporaneamente, l’Europa è uno dei maggiori importatori di materie prime legate alla deforestazione, tra cui il 50% del caffè mondiale e il 60% di tutto il cacao: due prodotti che, da soli, sono stati responsabili di oltre il 25% della perdita di copertura arborea a livello mondiale nel periodo 2001-2015.

A ciò va aggiunto che, in base a recenti stime su immagini satellitari, quasi 4 milioni di ettari di foresta tropicale sono andati perduti dal 1993 per fare spazio alle piantagioni di gomma nel Sud-Est asiatico. Oggi le foreste colpite sono spesso frammentate e limitate sia nella loro capacità di immagazzinare carbonio e che nella capacità di ospitare popolazioni vitali di specie minacciate, come gli elefanti asiatici e le tigri di Sumatra.

In questo contesto, fa riflettere pensare che i consumi imputabili all’UE sono responsabili di circa il 10% delle perdite di foreste, con l’Italia quale è il secondo maggior consumatore in Europa di prodotti responsabili della distruzione di foreste (36mila ettari di foresta/anno), dietro la Germania con più di 43mila ettari abbattuti ogni anno.

 

Sulle spalle dell’EUTR

Da dieci anni in UE è in vigore il regolamento EUTR (European Union Timber Regulation), che già chiedeva agli operatori di mercato una maggiore consapevolezza sulla questione dei tagli forestali di natura illegale e un loro maggiore impegno nel controllo delle catene di approvvigionamento.

In due lustri, sono stati raggiunti dei risultati positivi, come una diminuzione delle importazioni nell’UE di legname illegale. Ora ci si attende un ulteriore salto qualitativo, con vincoli più stringenti e un perimetro di tutela dei diritti più ampio.

La vera sfida per rendere davvero efficace il nuovo regolamento sarà quella di evitare le criticità evidenziate dall’EUTR.
Secondo le valutazioni di ETIFOR, il testo mostra quadro normativo più chiaro su verifiche e controlli, introducendo livelli minimi per le ispezioni. Inoltre, il parlamento ha ridefinito gli spazi di autonomia dei singoli stati membri, per evitare situazioni di disparità all’interno dell’UE: è stato chiesto che le autorità competenti abbiano risorse sufficienti e che le sanzioni siano proporzionate al danno ambientale causato e al suo valore.

Tra i cambiamenti più innovativi, c’è il coinvolgimento diretto delle agenzie delle dogane degli stati membri, che potranno rilevare eventuali rischi e comunicarli prima che le merci entrino nell’Unione, fino alla possibilità di bloccare o confiscare i prodotti alle frontiere. Inoltre, un nuovo sistema digitale (il cosiddetto “registro”) andrà a semplificare la gestione dei dati (coordinate geografiche e paese di produzione per ciascun prodotto), l’accesso alle informazioni ufficiali, facilitando anche la cooperazione tra autorità doganali e altre istituzioni competenti.

 

Altri punti di vista

I Paesi produttori di olio di palma stanno cercando di reagire, con la Malesia che sta valutando potenziali restrizioni commerciali che rallenterebbero il flusso di prodotti verso l’Europa e rivedrebbero le importazioni dal blocco.

E voci di dissenso vengono dalle associazioni che rappresentano i piccoli agricoltori che coltivano la palma da olio, che rappresentano tra il 35% e il 40% della produzione globale di olio di palma. Per loro, la palma da olio rappresenta la fonte primaria di reddito in un’economia familiare.

Il nuovo regolamento, secondo queste associazioni, rischia di condurre all’esclusione dei piccoli agricoltori dal mercato dell’UE, con il conseguente reindirizzamento delle esportazioni verso Paesi con normative ambientali più deboli, spostando il problema in altre regioni.

C’è il rischio che milioni di piccoli coltivatori di palma da olio vengano esclusi dalla catena di approvvigionamento dell’UE, limitando l’accesso al mercato solo all’olio di palma prodotto dai grandi operatori. Attualmente, i piccoli proprietari sono l’anello più debole della catena di approvvigionamento globale dell’olio di palma, eppure ci si aspetta che siano loro a sostenere gran parte dell’onere di dimostrare che la loro produzione non ha causato deforestazione. Non disponendo di risorse e competenze, devono già affrontare le sfide per conformarsi agli standard di sostenibilità esistenti. L’imposizione di nuovi requisiti di sostenibilità e tracciabilità aggraverebbe ulteriormente la loro esclusione dal mercato dell’UE.” – hanno dichiarato in un documento The Netherlands Oils and Fats Industry (MVO), the Council for Palm Oil Producing Countries (CPOPC) and Solidaridad.

La questione non è solo limitata all’azione di lobbying per evitare dei costi alla filiera. L’industria della palma da olio, nei Paesi produttori, svolge un ruolo fondamentale nel trasformare le condizioni di vita delle comunità rurali, alleviando la povertà grazie alle opportunità di lavoro e migliorando lo sviluppo sociale. In quanto tale, mantenere vitale l’industria della palma da olio può contribuire positivamente al raggiungimento del Green Deal dell’UE, nonché dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e dei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

 

L’iter legislativo

Le tempistiche per l’entrata in vigore dell’EUDR sono ancora lunghe, si ipotizza che il percorso approvativo si completi per l’inizio del 2025. Dopo la decisione di formale adozione da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, infatti, dovranno passare altri 18 mesi.

Da quel momento in poi, il nuovo regolamento andrà a sostituire il vigente regolamento UE sul legno (EUTR).

Sostenibilità, tutela della biodiversità, commercio equo e riduzione delle disparità sono stati temi discussi anche nel Congresso nazionale di Firenze, a ottobre. Alle imprese, infatti, è anche chiesto di verificare che la propria supply chain rispetti la legislazione del Paese di produzione anche in materia di diritti umani e di diritti delle popolazioni indigene.
L’introduzione di questo regolamento è certamente un segnale positivo, seppure si dovranno affrontare diverse criticità.” – Marco Bonavia, consigliere CONAF

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Piani straordinari di rimboschimento o migliore gestione forestale? //www.agronomoforestale.eu/index.php/piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale/#respond Thu, 02 Sep 2021 13:05:20 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68130 In queste ultime settimane l’attenzione del Paese è concentrata sul dilagare di incendi critici in diverse regioni italiane. Abbiamo ascoltato molte dichiarazioni da parte di associazioni, organizzazioni, enti, fino ad arrivare alle più alte cariche istituzionali, riguardanti la lotta agli incendi e la ricostituzione dei boschi percorsi da fuoco. Queste dichiarazioni sono il segnale di un nuovo interesse da parte dei decisori politici che, in una certa misura, segue la maggiore attenzione che l’opinione pubblica mostra verso il nostro capitale naturale, di cui le foreste rappresentano la parte più importante.
Questo legame emotivo, però, non è sufficiente.
Si sta facendo strada la consapevolezza che la lotta agli incendi non si realizza solo con la repressione dei reati, ma con un governo integrato di tutte le cause predisponenti, realizzando un’adeguata prevenzione a tutto tondo, dalla quale dipende anche l’efficacia della attività di estinzione, facendo formazione di tutti gli attori coinvolti unita a corrette campagne di comunicazione rivolte alla cittadinanza.
Così facendo, le ingenti risorse che attualmente vengono spese in emergenza nell’estinzione e ricostituzione potrebbero essere drasticamente ridotte se accompagnate da una pianificazione del territorio forestale che punti ad una corretta gestione dei nostri boschi, con conseguente efficace prevenzione.
Successivamente emerge la questione di come facilitare la ripresa dei territori colpiti tra proposte di revisione degli strumenti normativi esistenti e redazione di Piani straordinari di intervento.

Focolaio in Calabria. Agosto 2021

1) RIMBOSCHIMENTI: BUONA SOLUZIONE SOLO IN SITUAZIONI SPECIFICHE
Una certa attenzione ha suscitato la proposta di una campagna di rimboschimento per la Regione Calabria, ben accolta anche dall’opinione pubblica. In realtà tale metodo era applicato sistematicamente alcuni decenni orsono, ma le ricerche scientifiche, l’esperienza degli operatori e i risultati ottenuti hanno evidenziato come questa politica sia non solo inefficiente ma, nella maggior parte dei casi, dannosa dal punto di vista ecologico ed economico.
Le superfici percorse dal fuoco presentano una “severità” molto variabile e solo in una parte ridotta del territorio percorso dal fuoco la vegetazione arborea e la sua funzionalità vengono danneggiate gravemente. Nella maggior parte delle aree interessate dal fuoco, la dinamica naturale riparte in un periodo di tempo relativamente breve con un processo di ricostituzione naturale efficiente e a costo zero.
Nelle aree colpite da incendi ad alta severità i tempi di ricostituzione naturale sono più incerti e si può prevedere il rimboschimento per ripristinare più rapidamente i servizi ecosistemici ritenuti fondamentali (es. protezione dalla caduta di massi, fenomeni erosivi) e per i quali non si possono attendere i tempi più lunghi della ricostituzione naturale. Quindi solo una piccola parte delle aree percorse “necessita” di rimboschimento (per esempio dopo i grandi incendi dell’ottobre 2017 in Piemonte, il Piano straordinario regionale ha previsto rimboschimenti su un’area inferiore al 5% della superficie totale percorsa dal fuoco).
Non solo: la ricostituzione naturale dà origine a boschi più resilienti alla crisi climatica in atto e al passaggio di futuri incendi, mentre il rimboschimento produce popolamenti più fragili e infiammabili, poco resilienti e con alti costi di gestione.

2) AVREMMO DOVUTO LAVORARE 20 ANNI FA PER SPEGNERE GLI INCENDI DELL’ESTATE 2021
In un paese come il nostro, dove i popolamenti forestali hanno subito una forte azione antropica negli ultimi secoli se non millenni, il ruolo dell’uomo è di fondamentale importanza in tutte le fasi del governo del fenomeno incendi. Come è stato scritto in questi giorni, avremmo dovuto lavorare venti anni fa per spegnere gli incendi dell’estate 2021. Gli scenari che l’IPCC ci propone nel 6° assessment report evidenziano che, se non iniziamo a lavorare da subito, non saremo in grado di mitigare gli impatti degli incendi che si verificheranno con maggiore frequenza e intensità nei prossimi anni.
Deve essere chiaro che il governo degli incendi non è una attività indipendente dal contesto ambientale e socio-economico, ma è una parte della pianificazione del territorio e inizia con l’attuazione di “Piani forestali di indirizzo territoriale” (Art.6 c.3, D.lgs.34/2018). In questi piani possono essere definite le aree maggiormente esposte al pericolo incendi e possono essere individuati gli ambiti che necessitano di misure strutturali (viabilità, viali tagliafuoco, punti acqua ecc.) e/o di selvicoltura preventiva (riduzione e distribuzione spaziale del combustibile in modo da rallentare la diffusione e favorire la lotta attiva in caso di incendio), coerentemente con altri strumenti di pianificazione, quali i piani di Protezione civile.

L’agricoltura deve essere considerata parte della soluzione

3) PROGETTARE L’AGRICOLTURA PER MITIGARE IL DANNO
Le diverse misure di carattere forestale devono essere integrate con la politica agricola. Molti incendi derivano dall’uso illegale e inesperto del fuoco per fini agro-silvo-pastorali, mentre l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia determinano un aumento del pericolo di incendi per accumulo del combustibile. L’agricoltura, tuttavia, deve essere considerata parte della soluzione: campi coltivati, orti, vigneti, aree pascolate, se progettati in modo coerente con la prevenzione del rischio incendi, possono ridurre l’infiammabilità a scala di paesaggio e rendere più sicure ed efficaci le attività di estinzione.

4) FORMARE ALLA PREVENZIONE
Sono molti i casi in cui gli incendi sono innescati da pratiche scorrette e comportamenti poco accorti. Spesso sono situazioni che nascono per ignoranza e false credenze oppure da consuetudini e tradizioni sbagliate, come l’appiccare piccoli fuochi nei campi con l’errata convinzione di fertilizzare le superfici.
Questi casi evidenziano l’importanza della comunicazione e della formazione di tutti gli attori coinvolti come azione preventiva, volta a ridurre dei potenziali inneschi.
L’intervento dei professionisti qualificati, quali sono i dottori agronomi e dottori forestali, diventa elemento centrale delle politiche di formazione alla prevenzione, rivolta anche ai cittadini e a chiunque giochi un ruolo sulla manutenzione del territorio, a chi è preposto ad intervenire nelle fasi di emergenza.

5) COORDINAMENTO TRA I LIVELLI OPERATIVI
Le misure di prevenzione e le successive fasi di estinzione e ricostituzione per essere efficaci necessitano di una forte sinergia, a livello regionale e nazionale, fra i settori dedicati alla previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta, indagine e ricostituzione post-incendio.
L’attuale elevata separazione delle competenze (ripartite fra servizi e agenzie foreste e protezione civile regionali, corpi forestali delle regioni e province autonome, carabinieri forestali, protezione civile nazionale, volontari, vigili del fuoco, enti parco e unioni di comuni) provoca un rallentamento delle azioni, creando disorientamento sia a livello amministrativo sia a livello operativo.
La competenza deve rimanere alle Regioni in quanto il governo incendi si realizza in modo efficace ed efficiente a questa scala territoriale. Ma è fondamentale potenziare il dialogo e la condivisione di obiettivi strategici tra i diversi livelli operativi individuando un organo di coordinamento nazionale, che potrebbe essere la Direzione Foreste del MIPAAF, che lavori in stretto contatto con le regioni, il CUFA, i vigili del fuoco, la Protezione Civile e il Ministero della Transizione ecologica.

6) COINVOLGERE LE COMUNITÀ LOCALI
Il coinvolgimento delle comunità locali è un altro passaggio indispensabile. Nella grande variabilità che caratterizza la gestione delle foreste e degli incendi a livello nazionale esistono già diversi esempi virtuosi da usare come modello da estendere a livello nazionale: i Piani specifici di prevenzione AIB (antincendio boschivo) introdotti dalla Regione Toscana, o il sistema di collaborazione e coinvolgimento delle comunità locali applicato in passato nei parchi nazionali del Pollino e dell’Aspromonte, il corpo volontari AIB del Piemonte, possono essere un utile modello per molte realtà.
Parallelamente, occorre investire sulla comunicazione per rendere più efficace e condivisa ogni azione, responsabilizzando gli attori coinvolti così come i residenti, i possessori di seconde case, i turisti e i diversi fruitori degli ambienti naturali.

7) INCENDI, FORESTE E FUTURO DELLE AREE INTERNE
Le foreste in Italia occupano quasi il 40% del territorio incidendo sulla qualità della vita e la sicurezza della maggior parte della popolazione italiana. La copertura forestale italiana, nonostante gli incendi e altre calamità (es. tempesta Vaia), è in continua crescita. Una crescita incontrollata che non sta creando formazioni boschive stabili, ma pioniere, che devono evolvere con stravolgimenti del territorio e del paesaggio, avvicinandosi sempre più alle aree abitate.
Questo incremento della superficie forestale (circa 50.000 ettari/anno) e della biomassa legnosa aumenta il rischio di incendio (aumenta il combustibile, ma aumenta anche il contatto tra bosco e zone urbanizzate o ad altra frequentazione antropica). Pensare di affrontare, mitigare o risolvere i problemi delle foreste e delle filiere forestali nell’ “invarianza economica” è illusorio quando non è offensivo per chi abita, lavora o frequenta questi luoghi, che si trovano prevalentemente nelle aree montane e interne.
I fondi del PNRR potrebbero essere una grande opportunità per valorizzare e mettere in sicurezza il territorio, favorire lo sviluppo sostenibile, la bioeconomia e la nascita di green community e rappresentare un investimento per questa e per le future generazioni trasformando quello che oggi è spesso considerato un problema in un fattore di sviluppo.
Una politica seria di prevenzione e lotta agli incendi forestali, inserita in una più generale gestione delle risorse forestali, vuol dire anche educazione per ogni fascia d’età, formazione, coinvolgimento responsabile delle comunità, per evitare che la “distrazione” diventi “disastrosa”, per sbarrare il passo all’incuria, che sempre più domina i nostri paesaggi, e alla criminalità organizzata, al teppismo, alla vendetta e al disagio sociale che si maschera da psicopatologia incendiaria.

8) IL LEGAME COL BOSCO
Infine, lo strumento principale di prevenzione, lotta e ricostituzione è la conservazione o la creazione di un legame tra le popolazioni locali e il bene bosco. Per valorizzare o creare questo legame, questo capitale relazionale, non servono revisioni della normativa (la 353/2000 è una legge che sta funzionando) o campagne eccezionali di repressione o di rimboschimento ma, al contrario, servono investimenti veri per lo sviluppo del territorio, delle filiere agro-silvo-pastorali, ricerca, strumenti e tecnologie, semplificazione di procedure, politiche fondiarie all’interno di una strategia complessiva definita in condivisione fra gli enti regionali e i ministeri competenti, le popolazioni locali e i portatori di interesse.

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Voci da bosco //www.agronomoforestale.eu/index.php/voci-da-bosco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=voci-da-bosco //www.agronomoforestale.eu/index.php/voci-da-bosco/#respond Fri, 11 Jun 2021 07:55:47 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68084 Marco Bonavia, consigliere nazionale CONAF e coordinatore del Dipartimento Sistemi montani, forestali, risorse naturali e faunistiche intervista Alessandra Stefani, direttore generale dell’economia montana e delle foreste del MIPAAF.

Voci dal Bosco

Le aree boscate sono una fondamentale infrastruttura del nostro Paese, decisive per molteplici funzioni. Le foreste sono al centro delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, delle politiche di contrasto del dissesto del territorio, delle politiche di valorizzazione delle aree interne, sono fornitrici di servizi ecosistemici e finanche di legname, straordinario materiale ecosostenibile dalle molteplici funzioni.

Voci dal bosco, maggio 2021

In questi 30 minuti di dialogo con la direttrice Stefani abbiamo cercato di conoscere le politiche forestali nazionali, le leggi approvate e quelle in approvazione, di capire a che punto sta il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (Tuff) e quali sono le opportunità che il Governo si è posto in merito alle politiche di sostenibilità, transizione ecologica e al PNRR.

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Niente fondi per la cura del territorio (e dei cittadini) //www.agronomoforestale.eu/index.php/niente-fondi-per-la-cura-del-territorio-e-dei-cittadini/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=niente-fondi-per-la-cura-del-territorio-e-dei-cittadini //www.agronomoforestale.eu/index.php/niente-fondi-per-la-cura-del-territorio-e-dei-cittadini/#respond Mon, 15 Feb 2021 17:03:42 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68012 Di Marco Bonavia

Incomprensibile. In un paese in cui il dissesto idrogeologico interessa il 91% dei comuni italiani si è scelto di non investire in sicurezza azzerando la dotazione finanziaria di 1 miliardo di euro dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Next Generation EU” (PNRR) per ridurre il rischio idrogeologico delle aree forestali e delle aree soggette a rischio idraulico.
Una scelta incomprensibile, secondo l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, perché questa scelta trasforma il PNRR in un piano che non guarda al futuro, perché non cura il territorio né i propri cittadini.

L’alluvione in Sardegna a novembre 2020 – © Gianni Ragaglia

La fotografia del nostro Paese è questa: il 10,4% della popolazione italiana (e il 9% degli edifici) vive in aree a rischio di alluvione, il 2,2% della popolazione (e il 4% degli edifici) vive in zone a rischio di frane, il 16,6% della superfice italiana è mappata ad alto livello di pericolosità.
Lavorare sulla funzione protettiva e di prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico svolta dalle formazioni forestali, che è riconosciuta da decenni, è una priorità. Non possiamo rinunciare al contributo del bosco per la regimazione delle acque.
Gli interventi che erano stati proposti nel PNRR prevedevano un’azione unitaria su scala nazionale per contrastare le emergenze territoriali di dissesto idrogeologico e un’azione di prevenzione diffusa attraverso la gestione forestale sostenibile su superfici sottoposte a vincolo idrogeologico (81% della superficie forestale nazionale). Inoltre, erano previsti interventi di manutenzione e sistemazione straordinaria delle opere di idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana.
Ecco perché il ricorso ai fondi del PNRR, con le procedure semplificate di autorizzazione e di spesa e una progettazione unitaria costituisce un importante ed irripetibile opportunità mancata.

L’alluvione in Sardegna a novembre 2020 – © Gianni Ragaglia

Ci sono fondi e fondi
Chi afferma che gli interventi saranno comunque finanziati con le risorse FEASR confonde gli aspetti.
I professionisti del settore sanno bene che è la selvicoltura a essere il principale obiettivo dei fondi FEASR, non la prevenzione dei dissesti attraverso opere di gestione forestale sostenibile e la manutenzione e gestione delle sistemazioni idrauliche forestali.
Infatti, nei fondi FEASR, per la cura del territorio rientrano solo gli interventi di contrasto agli incendi boschivi e di ricostituzione e restauro di aree forestali degradate. È cosa ben diversa, e per di più sono interventi realizzati dalle singole Regioni in modo disomogeneo e difforme sul territorio nazionale. Basta guardare ai dati e si può facilmente verificare: questi fondi sono stati spesi in gran parte per l’acquisto di materiali e mezzi di monitoraggio degli incendi, dunque per le operazioni di estinzione.

Per approfondire
National Recovery and Resilience Plan “Next Generation EU”: a wasted opportunity for Italian forests

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Del castagno non si butta niente //www.agronomoforestale.eu/index.php/del-castagno-non-si-butta-niente/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=del-castagno-non-si-butta-niente //www.agronomoforestale.eu/index.php/del-castagno-non-si-butta-niente/#comments Sun, 27 Sep 2020 10:34:24 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67894 Intervista a Marco Grendele, dottore forestale e coordinatore del progetto CAREGA

Bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

L’intervista è un approfondimento dell’articolo che descrive il progetto CAREGA


Che tipo di boschi ci sono in quella zona?
I boschi dell’alto vicentino sono boschi di castagno che fino a 40 anni fa avevano un buon mercato per la paleria, in particolare li acquistava la SIP per le linee telefoniche.
Purtroppo, in questi decenni la situazione è cambiata. La domanda è crollata da quando i pali non sono più realizzati in legno. A ciò si unisce la parcellizzazione fondiaria e il fatto che i proprietari hanno abbandonato il mestiere.
Tutti questi fattori hanno contribuito alla mancata la gestione forestale in questi decenni che ha peggiorato la qualità del soprassuolo e oggi sono pochi gli esemplari di castagno di buona qualità commerciale.
Così, per un piccolo proprietario è difficile trarre reddito dal bosco e lo lascia incolto, agevolando questa spirale.

Come mai avete scelto di valorizzare il bosco untando sulla carbonella?
Non vogliamo valorizzare il bosco con la carbonella, perché il ritorno vero si ha con il legno di prima qualità. Però abbiamo pensato alla carbonella, in quanto è un prodotto che consente di utilizzare tutto il legname esboscato, riuscendo a dare valore al “prodotto di scarto” che oggi è una parte molto rilevate del totale.
In questo modo pensiamo di riuscire a dare comunque un reddito ai proprietari, riattivando l’economia del bosco. Così facendo, ricominciando a entrare nel bosco, sarà possibile ricominciare a fare gestione forestale e nell’arco di alcuni decenni si potrà migliorare la qualità complessiva del soprassuolo. Naturalmente bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

E il problema della frammentazione?
Il progetto nasce con un finanziamento del PSR, misura 16, che ha due obiettivi: il primo, come già accennato, è di trovare un sistema innovativo per produrre la carbonella; il secondo è di incidere sulle difficoltà derivanti dalla proprietà fondiaria.
Per risolvere questo ostacolo, abbiamo pensato di utilizzare un contratto in cui il proprietario “passivo”, colui tende a non effettuare alcun tipo di intervento in bosco, in cambio di una remunerazione cede la gestione all’associazione forestale vicentina, partner del progetto. È un modello già utilizzato in altre aree con modalità simili, come il contratto di rete della Valtellina o i contratti di assistenza forestale pluriennale in Renania-Palatinato.
Il piccolo proprietario, che non avrebbe strumenti né le superfici per poter ricavare un reddito adeguato dal bosco avrà un ritorno economico certo dalle sue proprietà.
L’associazione, invece, sarà capace di accorpare i fondi e gestire superfici maggiori e, quindi, lavorare con migliori economie di scala. Si potrà valorizzare al meglio il legno di prima qualità, avendo capacità contrattuali più forti e, grazie alla carbonella e al sottoprodotto calore, avere due ulteriori voci di ricavo.

Dalle vostre analisi, che ritorno vi aspettate?
Al momento è difficile dirlo, sarà proprio uno degli obiettivi del progetto, anche se le nostre valutazioni preliminari ci incoraggiano.
La carbonizzazione è una pratica che mira a migliorare le caratteristiche del materiale di partenza, trasformando la biomassa in un prodotto carbonioso di alta qualità, così uno dei settori maggiormente responsabile dello sfruttamento delle risorse di biomassa legnosa al mondo è il mercato del carbone.
Secondo la FAO (2014), la produzione mondiale di carbone nel 2014 è stata di oltre 50 milioni di tonnellate. Le stesse statistiche vedono l’Africa come il continente in grado di produrre la quantità maggiore a livello globale, rappresentando oltre il 56% della produzione mondiale.
L’importazione di carbone in Europa ammonta a circa 1,3 milioni di t/a, corrispondente a un valore economico di circa 520 milioni di dollari ogni anno.
In Italia nel 2012 si è avuta una produzione di 16.000 tonnellate di carbone vegetale e un consumo di circa 70.000 ton con livelli di importazione pari 60.000 tonnellate e con un export pari a 1.000 tonnellate.

Analisi del mercato in Italia: l’attuale mercato del carbone vegetale, individuando e analizzando le principali caratteristiche dei prodotti presenti oggi sul mercato e venduti dalla Grande Distribuzione Organizzata e tramite piattaforme online.
A partire da cippato di grandi dimensioni, l’impianto può produrre 50 kg di carbone di legna all’ora attraverso un processo di riscaldamento a biomassa

Che caratteristiche avrà il prodotto che metterete sul mercato? Che innovazioni state testando?
Come detto, oggi la carbonella che si acquista proviene quasi tutta dal legno africano o, in seconda battuta, sudamericano. Noi invece produrremo una carbonella vegetale derivante da legno locale, a filiera corta e proveniente da foreste certificate PEFC.
Ci siamo accorti, infatti, che l’origine della carbonella è ignota al consumatore finale, che praticamente non conosce nessuna fase produttiva. Per la prima volta, offriremo un prodotto trasparente e sostenibile, di cui è dichiarata sia la provenienza che l’intera filiera.
Da un punto di vista tecnologico, invece, uno dei partner ha realizzato un carbonizzatore innovativo, capace di lavorare a ciclo continuo. Questo prototipo da un lato semplifica la produzione e la rende più vantaggiosa e dall’altro consentirà di valorizzare anche il calore, che può diventare un sottoprodotto per riscaldare edifici, scuole, piscine.
Rendendo l’intero ciclo ancor più sostenibile.


Marco Grendele, coordinatore del progetto CAREGA

Come mai una parte del progetto prevede le lezioni nelle scuole?
Ci siamo resi conto che quando si parla di un taglio nel bosco, spesso, si usa il termine “deforestazione”.
L’errore di linguaggio ci ha fatto capire che è necessario accompagnare questi progetti anche lavorando per ricreare una cultura della gestione forestale.
In fondo, i risultati di questo progetto li godranno proprio i nostri bimbi, tra 40 o 50 anni.

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Il futuro delle foreste europee //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-futuro-delle-foreste-europee/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-futuro-delle-foreste-europee //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-futuro-delle-foreste-europee/#comments Mon, 14 Sep 2020 15:58:45 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67884
Foto di Associazione PEFC Italia

Il cambiamento climatico in corso, rafforzato dalla pandemia mondiale di Covid-19, sta rendendo il mondo sempre più in disequilibrio.
Le foreste stanno morendo, gli ecosistemi forestali stanno cambiando, le specie invasive si stanno diffondendo e la base economica della gestione forestale sostenibile e la fornitura di servizi ecosistemici stanno cambiando in modo fondamentale.
Consapevoli di questi effetti, i forestali professionisti e i proprietari di foreste europei si dichiarano molto preoccupati per il futuro delle foreste europee.

Con il Green Deal, l’Europa ha deciso un pacchetto completo di misure per la società nel suo insieme con cui contrastare il cambiamento climatico e mostrare uno sviluppo lungimirante.
Diverse azioni chiave riguardano la salvaguardia degli ecosistemi forestali e la gestione forestale sostenibile sul 40% del paesaggio europeo: da un lato, la ristrutturazione ecologica dell’economia dovrebbe essere sostenuta basandosi sul legno quale materia prima sostenibile, dall’altro, dovrebbero essere garantiti biodiversità e servizi ecosistemici.

Foto di Associazione PEFC Italia

È necessaria una gestione forestale sostenibile GFS (SFM sustainable forest management)
La gestione forestale multifunzionale e sostenibile è lo strumento giusto per garantire queste azioni chiave in modo molto equilibrato nei vari ecosistemi forestali europei e dovrebbe essere la base di una nuova strategia forestale dell’UE.
Ciò include la lotta al cambiamento climatico come motivo principale della perdita di biodiversità e servizi ecosistemici a causa della produzione di legname. Ogni green economy ha bisogno della materia prima sostenibile legno.
Oltre alla partecipazione attiva della silvicoltura in un’economia verde, la GFS garantisce anche biodiversità e servizi ecosistemici grazie alla silvicoltura naturale e può sviluppare gli ecosistemi forestali in modo stabile dal punto di vista climatico, se il cambiamento climatico continuerà.

Biodiversità e servizi ecosistemici
Alcuni Regolamenti sono dettagliati, come la Strategia per la biodiversità, ma nel contempo sono sbilanciati, perché le foreste più protette sono controproducenti e non coerenti.
Infatti, più aree protette non sono lo strumento giusto per fermare i cambiamenti negli ecosistemi causati dai cambiamenti climatici e le specie invasive non possono essere fermate anche ipotizzando di proteggere aree sempre più vaste, tendendo all’infinito.
Il vecchio sistema degli ecosistemi conservati staticamente, ha dimostrato di non funzionare più, con il clima che sta cambiando, con temperature sempre più elevate, con mutevoli condizioni dell’acqua: questi fattori stanno danneggiando gli ecosistemi forestali. Se, ad esempio, le faggete si sviluppano climaticamente in foreste di querce e carpini, i regolamenti Natura 2000 non possono impedirlo. (Ma ci provano ancora.)
Per quanto riguarda la biodiversità e i servizi ecosistemici forestali è necessaria una concezione più dinamica anziché statica. La natura cambia ogni giorno ed è inutile cercare di mantenerla statica.

Silvicoltura in zone impervie
Foto di Associazione PEFC Italia

Finanziamento
In passato, le foreste erano gestite in modo sostenibile. La biodiversità nelle foreste, che ora deve essere mantenuta, era inclusa nel processo di gestione forestale e i servizi ecosistemici per la società erano offerti gratuitamente.
Tutti questi servizi forestali sono stati finanziati dalla produzione e vendita di legname.
Con il rapido ed estremo sviluppo del cambiamento climatico negli ultimi anni, la silvicoltura e il sistema di finanziamento ad essa connesso, non funzionerà più.
La perdita di stock nelle foreste a causa di scolitidi, della siccità, i disastri naturali dovuti ai cambiamenti climatici, il crollo dei prezzi del legname in tutta Europa e i costi aggiuntivi per le misure di sicurezza non sono stati compensati in modo adeguato dalla società, che è alla base dei danni causati dai cambiamenti climatici.
Prova ne è che la situazione economica di molte imprese forestali si sta deteriorando drasticamente.
Se i proprietari di foreste non sono più in grado di finanziare la gestione sostenibile delle foreste in futuro e la società desidera ricevere ancora (se non in misura maggiore) i servizi forestali inclusi nel Green Deal (produzione di legname, adattamento delle foreste ai cambiamenti climatici, stoccaggio del carbonio, biodiversità e servizi ecosistemici) sarà necessario sviluppare un nuovo sistema di finanziamento.
Con un ragionevole tasso di finanziamento annuo a ettaro si potrebbe offrire un’appropriata compensazione per i servizi resi alla società, non come sussidio, ma al fine di garantire i servizi forestali desiderati nel Green Deal per i tipi di proprietà forestali.
In relazione ai costi complessivi del Green Deal, dovrebbe essere possibile un rifinanziamento di tale compensazione e potrebbe essere rifinanziato dall’EU-ETS, ad esempio.
Sarebbe importante avere una soluzione a livello europeo senza una discussione distruttiva, se la Commissione europea o gli Stati membri sono responsabili devono pagare.
In ogni caso, ovviamente, dovrebbe essere garantito che tale compensazione sia pagata solo ai proprietari di foreste che le gestiscono in modo sostenibile, multifunzionale ed equilibrato e attraverso i quali vengono forniti biodiversità e servizi ecosistemici.
Al fine di evitare una maggiore burocrazia, i sistemi di certificazione stabiliti possono essere utilizzati come prerequisito per il pagamento di tale compensazione.

Conclusioni
I professionisti e esperti dottori forestali, che nella pratica lavorano tutto il giorno nelle foreste europee:

  1. Danno il benvenuto al Green Deal
  2. Sentono la necessità che venga rafforzata la gestione forestale sostenibile multifunzionale per garantire tutti i diversi servizi forestali richiesti per il successo del Green deal
  3. Non sostengono foreste protette staticamente come previsto nella strategia per la biodiversità
  4. Augurano una nuova strategia forestale dell’UE che garantisca una migliore coerenza di tutte le richieste settoriali per le foreste e la gestione forestale
  5. Ritengono necessario e urgente un nuovo sistema di finanziamento nelle foreste europee
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Rivitalizzare la value-chain del legno delle Piccole Dolomiti con la produzione locale di carbone di legna //www.agronomoforestale.eu/index.php/rivitalizzare-la-value-chain-del-legno-delle-piccole-dolomiti-con-la-produzione-locale-di-carbone-di-legna/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=rivitalizzare-la-value-chain-del-legno-delle-piccole-dolomiti-con-la-produzione-locale-di-carbone-di-legna //www.agronomoforestale.eu/index.php/rivitalizzare-la-value-chain-del-legno-delle-piccole-dolomiti-con-la-produzione-locale-di-carbone-di-legna/#respond Mon, 07 Sep 2020 15:57:42 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67877 Articolo tratto dalle Good Practice promosse da Euromontana
Per approfondire, c’è l’intervista al coordinatore Marco Grandele

Oggi i boscaioli vogliono ripristinare la catena del valore del legno utilizzando gli scarti per produrre carbone localmente.

L’economia circolare del legno
In Veneto, il legno di castagno è stato ampiamente utilizzato in passato per produrre pali, mobili, infissi e altre forme di impieghi artigianali, ma la concorrenza globale ne ha via via ridotto l’importanza.
I dottori forestali riuniti nel progetto Progetto CAREGA (Carbonella certificata per l’Attivo Recupero dell’Economia e della Gestione Ambientale delle piccole dolomiti) oggi vogliono cercare di rivitalizzare i territori emarginati attraverso la creazione di nuove opportunità di business basate sullo sfruttamento sostenibile del legno locale.
Per migliorare l’impiego del legno nella realizzazione di mobilio e favorire l’utilizzo dei residui del legno, si sta sviluppando un prototipo di impianto per la produzione di carbone di legna locale: a partire da cippato di grandi dimensioni, l’impianto può produrre 50 kg di carbone di legna all’ora attraverso un processo di riscaldamento a biomassa.
Inoltre, poiché molti appezzamenti sono certificati PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification), l’obiettivo è di utilizzare il più possibile i residui di legno di queste foreste. Questo permetterebbe di vendere carbone di legna certificato PEFC e di mettere un nuovo prodotto sostenibile sul mercato regionale, promuovendo al contempo la gestione sostenibile del legno.

L’idea nasce da alcuni proprietari che, stanchi di vedere i propri boschi malati, abbandonati e svalorizzati decidono di cercare possibili soluzioni e riprendere un’attività che in passato aveva consentito di vivere e mangiare anche nelle zone più impervie delle nostre montagne.
Perché le attività boschive, soprattutto la castanicoltura, sono sempre state tra le principali attività di reddito/consumo per la gente di montagna.

Un prodotto a “chilometro zero” da immettere sul mercato
Il carbone di legna così prodotto sarà fornito innanzitutto agli stakeholder locali per una fase di sperimentazione, al fine di ottenere feedback sulla qualità del prodotto. I rivenditori comunicheranno l’esistenza di questo prodotto locale e proporranno ai clienti di compilare un sondaggio anonimo per valutare l’attrattiva del prodotto. Sarà inoltre organizzato un tour con gli operatori locali per far conoscere la catena del valore del carbone locale e il contesto storico-naturale di Piccole Dolomiti.
I partner CAREGA individueranno inoltre i potenziali acquirenti e analizzeranno le opportunità e le sfide del mercato, in particolare la disponibilità degli operatori a pagare per un carbone prodotto localmente.
Infine, si cercherà di raggiungere un pubblico più ampio per coinvolgerlo sull’importanza della gestione forestale. Nelle scuole primarie della regione sono previste 12 ore di lezioni di silvicoltura per informare gli alunni sulle foreste del loro territorio, sensibilizzare i giovani sul patrimonio naturale e sulla tutela dell’ambiente e diffondere l’idea dell’innovazione tra le giovani generazioni; l’approccio di promozione scelto è una strategia integrata che mira a sottolineare l’importanza del patrimonio regionale, della gestione sostenibile delle foreste e del consumo locale.

Il team CAREGA

Il progetto CAREGA
Guidato dall’Associazione Forestale Vicentina, riunisce aziende forestali, ricercatori e organizzazioni no profit. Il progetto è un EIP AGRILocal Operational Group interamente finanziato nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020.

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Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-casco //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/#comments Mon, 04 May 2020 04:31:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67670 di Giovanni Maiandi (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia), Silvia Pirani (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia),Luca Galeasso (Environment Park)

Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber

Il problema dei cambiamenti climatici focalizza ormai da anni l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, oltre che della comunità scientifica.
Nel Nord Italia, a tale questione si aggiungono gli effetti dell’elevato tasso di particolato e biossido di azoto in atmosfera, cosicché il fenomeno determina un peggioramento della qualità dell’aria per il quale il nostro Paese è soggetto a procedura d’infrazione da parte dell’UE.
Nel settore della produzione del legno, la componente di gran lunga più impattante sotto questo profilo è quella del trasporto, che è anche il segmento sul quale è possibile incidere maggiormente con strategie volte a ottimizzare i trasferimenti.

Legname di prossimità
Il progetto internazionale CaSCo (acronimo di Carbon Smart Communities)1 è un progetto europeo finanziato dal programma Interreg Spazio Alpino incentrato sulla promozione del “legname di prossimità”.
L’obiettivo di questo progetto è stato, per l’appunto, quello di incentivare la riduzione delle distanze coperte nel ciclo produttivo degli assortimenti legnosi, massimizzando la sostenibilità e riducendo gli impatti climalteranti associati ai trasporti. Tale approccio sottintende il passaggio dalla tradizionale idea geografica di “regionalità”, che spesso non trova una giustificazione nelle caratteristiche tecnologiche del legname locale, a un’idea di “sostenibilità”, che punta sul maggior valore ambientale del materiale lavorato e posato vicino al luogo di raccolta.
Si tratta di un progetto è piuttosto articolato, che comprende una raccolta dati sulle filiere locali, attività di animazione e formazione rivolte a imprese, enti pubblici, tecnici, una sezione specificamente dedicata al tema del green public procurement, iniziative di comunicazione, e anche lo sviluppo di strumenti di supporto e la loro sperimentazione attraverso progetti pilota che coinvolgono il tessuto produttivo del settore forestale e la pubblica amministrazione.
Oggi, il progetto CaSCo è in fase conclusiva e con esso termina la sperimentazione degli strumenti che sono stati messi a punto per supportare un’iniziativa di più ampio respiro, in grado di coinvolgere un maggior numero di operatori e tecnici del settore. Alcuni degli output realizzati offrono spunti originali per la promozione del legname piemontese e per la professione del Dottore Forestale.

Il certificato Low Carbon Timber
Con CaSCo si è avviato l’adeguamento al contesto piemontese e italiano di un sistema di certificazione tedesco, Holz von Hier (trad. Legno da qui), in grado di attestare la distanza percorsa da un assortimento legnoso nel proprio ciclo produttivo, dal luogo di raccolta alla destinazione finale.
Ne risulta un’informazione molto diretta e di facile comprensione, i chilometri effettuati, che è direttamente correlata con l’impronta di carbonio (la quale può essere calcolata e inclusa nella certificazione).
La versione italiana del marchio prende il nome di Low Carbon Timber (LCT) ed è in fase di sperimentazione.
I requisiti di base per accedere al certificato sono:

  • la sostenibilità della gestione forestale
  • il rispetto di soglie massime di distanze sottese al processo produttivo, definite per assortimento.
Benchmark 
(distanze in km) adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)
Benchmark:distanze in km adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)

Nell’attuale carenza di superfici forestali certificate GFS, per ora in Italia il rilascio richiede una verifica dei requisiti de facto di sostenibilità, legalità e tracciabilità, attraverso una documentazione che qualsiasi taglio boschivo legale eseguito da un’impresa forestale iscritta all’Albo può produrre. Anche le distanze-soglia di riferimento sono state adattate alla realtà italiana, adottando in via sperimentale la tabella in figura.

Prospettive di sviluppo per il “legno di prossimità”
Il settore legno italiano è affetto da un gap importante tra la domanda, cospicua, continua e strutturata, di legname e semilavorati da parte dell’industria di seconda trasformazione, e l’offerta interna, ridotta e frammentaria, che ai piccoli acquirenti locali preferisce grandi compratori fuori-zona in grado di ritirare il materiale in qualsiasi momento, anche se a prezzi più bassi.
A fronte di un settore delle costruzioni che, quando pure utilizza il materiale legno, si orienta quasi sempre su lamellare e sistemi progettuali e costruttivi standardizzati, non è realistico pensare che la promozione del “legno locale” possa in qualche modo ridurre la dipendenza di questo mercato mainstream dalle importazioni. La chiusura di molte segherie in conseguenza della crisi del 2009-11 è già di per sé un ostacolo insormontabile alla ricostituzione di filiere territoriali capaci di flussi importanti.
Tuttavia, nel corso del progetto è emersa anche una realtà, diffusa quanto sottovalutata, di scambi proficui tra operatori locali. In Valsesia per esempio, uno dei territori di indagine che ha ospitato un certo numero di esperienze pilota, la costruzione e ristrutturazione delle case tradizionali in legno, in un’area caratterizzata dalla presenza dei Walser2, è un ambito di particolare interesse per la valorizzazione del legname locale, che già si utilizza insieme a quello di importazione. Si evidenzia che, a differenza di quanto osservato presso i partner di progetto tedeschi e austriaci, concentrati nell’ottimizzare le catene di approvvigionamento di grandi flussi di merci industriali, la declinazione italiana del legno locale passa per la valorizzazione di piccole lavorazioni artigianali, per lo più in legno massiccio, con un elevato grado di esperienze legate alle tradizioni costruttive locali.
Sebbene siano stati certificati LCT manufatti in legname lamellare di castagno prodotti in regione, sembra delinearsi una sinergia legno locale – legno massiccio – sistemi costruttivi artigianali, contrapposta al sistema legno d’importazione – legno lamellare – prodotti e sistemi costruttivi standardizzati, che fa intravedere una possibile connotazione in stile slowfood come veicolo promozionale in grado di valorizzare il legname locale.

Costruzioni, palerie, cippato: 3 settori da esplorare
Individuata la potenzialità, il ruolo del tecnico forestale sarà quello di “scovare” sul territorio queste condizioni partendo da produzioni esistenti e renderle appetibili mettendone in luce le performance ambientali con adeguati strumenti, come può essere il marchio Low Carbon Timber.
Non bisogna sottovalutare, infatti, che esiste una clientela finale pronta a recepire l’importanza del valore aggiunto conferito a una costruzione dall’utilizzo di legno a km0, se reso adeguatamente riconoscibile da una certificazione di terza parte.

Anche nel settore della paleria sono emersi spunti simili. Produzioni vitivinicole pregiate, in espansione nella fascia pedemontana compresa tra Biellese e Alto Novarese (Bramaterra, Gattinara, Boca, Ghemme) tengono molto all’immagine del loro prodotto e sembrano interessate all’uso di paleria certificata di prossimità.

La filiera è da costruire e compito del dottore forestale sarà, oltre che mettere in rete gli operatori, individuare soprassuoli in grado di fornire assortimenti adatti in una zona in cui pochissimi sono i cedui a regime. Nell’ingegneria naturalistica e negli arredi esterni, soprattutto in aree protette e della rete Natura 2000, c’è spazio per proporre elementi in legname km 0, come fa Oasi Zegna, uno degli aderenti al progetto CaSCo più significativi.

Fornitura di pali certificati LCT destinata all’impianto di una vigna per la produzione di Bramaterra

Infine, la filiera del cippato da riscaldamento ha in questo momento un forte bisogno di dimostrare la propria ecosostenibilità, vista l’incidenza sull’inquinamento da particolato attribuita alle biomasse legnose. Ciò può essere fatto attraverso un bilancio globale delle emissioni del ciclo produttivo, in cui diventano decisivi la qualità dell’impianto, la qualità del combustibile e il bilancio delle emissioni nel ciclo produttivo. Nell’ambito del progetto CaSCo, i due fornitori di calore da biomasse operanti in Valsesia emetteranno un certificato LCT periodico che dimostri la sostenibilità della catena di approvvigionamento, a vantaggio dei Comuni proprietari degli impianti.

Conclusioni
Il progetto è in chiusura e lascia in eredità un kit di strumenti promozionali del legno locale; tra questi spicca il protocollo Low Carbon Timber, che alcuni operatori economici convolti nel progetto utilizzano già in chiave commerciale e promozionale della loro attività.
Pur senza alimentare l’illusione di ricostruire una filiera foresta-legno nazionale che riduca la nostra dipendenza dalle importazioni, anche grazie a questi strumenti un approccio bottom-up può aumentare visibilità e interesse verso produzioni di nicchia km0 ecosostenibili, che possono stimolare l’offerta di tondo locale e crescere armonicamente con essa.
I dottori forestali sono gli unici soggetti che possiedono le competenze tecniche e, soprattutto, una conoscenza del territorio e degli operatori tale da poter operare in questo senso. Il ruolo del professionista è basilare, ma deve arricchirsi di conoscenze commerciali che emergono come il punto debole della sua formazione ed esperienza: la dimestichezza col mercato del legno e la capacità di muoversi in esso.
Allo stesso tempo, è necessaria una cabina di regia a livello regionale che supporti le filiere locali mettendole in rete, una sorta di clusterdel legno locale, attore di una progettualità che sia in grado di convogliare risorse comunitarie su strategie mirate, senza disperderle in una pletora di iniziative puntuali e scoordinate.

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Impatto delle traslocazioni storiche del larice europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/#respond Tue, 24 Mar 2020 15:40:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67554 Hannes Raffl è l’autore di questa ricerca vincitrice del “Dr.-Berthold-Pohl” grant 2019, assegnato dall’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestale di Bolzano.
L’intero studio è stato pubblicato nel Journal Annals of Forest Science “Genetic evidence of human mediated, historical seed transfer from the Tyrolean Alps to the Romanian Carpathians in Larix decidua (Mill.) forests

 

Il larice europeo (Larix decidua) è una specie pioniera in Europa, è deciduo ed endemico ma ha una distribuzione nativa che è altamente separata. La specie, infatti, nel nostro continente si presenta principalmente in quattro regioni: le Alpi, i Carpazi, i Sudeti orientali e la pianura polacca, che rappresentano l’area nativa ricolonizzata dalla specie dopo l’ultimo periodo glaciale.
Grazie a questa separazione tra gli areali, si sono sviluppate diverse varietà che differiscono sia a livello molecolare che morfologico, per esempio in alcuni tratti di crescita, nella dimensione del cono o nel colore dei fiori femminili. Tutte e quattro le regioni possiedono quindi il proprio pool genetico (refugia), che svolge un ruolo importante nella conservazione e nell’adattamento ai futuri cambiamenti ambientali (e al cambiamento climatico).

Le posizioni di campionamento. Punti blu: Tirolo del nord, Austria; punti verdi: Provincia autonoma di Bolzano, Italia); punti rossi: Romania. R1, R2 e R4 sono le popolazioni di larici autoctoni, R3 è il rimboschimento alloctono dell’Alto Adige in Romania. La gamma di distribuzione nativa di Larix decidua con le quattro regioni (a: Alpi, b: Carpazi, c: Sudeti orientali, d: pianura polacca) è indicata dalla linea tratteggiata arancione.

Secoli di silvicoltura
Il larice europeo è un’importante specie forestale utilizzata principalmente per il suo legname, anche se scandole e assicelle sono comunque prodotti importanti a livello locale.
L’appetibilità sul mercato di quest’albero, a cavallo tra il XVII e l’inizio del XX secolo, l’ha reso una delle specie predilette per la silvicoltura a scopo commerciale in tutti i 4 gli areali nativi. In particolare dopo la seconda metà del XIX secolo, periodo in cui si è accentuato sia il commercio di legname che la coltivazione forestale grazie alla rapida istituzione del sistema ferroviario nell’Europa centrale e settentrionale, che ha favorito il commercio di materiale vegetale.
L’impatto della silvicoltura e dei rimboschimenti hanno conseguentemente allargato l’areale iniziale, che si è esteso sia all’esterno e anche all’interno delle quattro aree native della specie, fino a raddoppiare le superfici: oggi è comune trovare il larice in tutta la zona temperata dell’Europa (in particolare Germania, Francia, Danimarca, Gran Bretagna, Svezia e Norvegia).

Sotto un unico impero
Durante l’Impero austro-ungarico, la coltivazione di larice alpino è stata fortemente promossa. In questo contesto storico, i lariceti dei Carpazi meridionali e orientali (Transilvania, Romania), regione all’epoca sotto il potere asburgico, hanno subito un forte trasferimento di piante e semi di larice provenienti da altre regioni native, in particolare da quelle tirolesi (alpine).
Purtroppo, le informazioni sull’esatta provenienza del materiale vegetale sono raramente disponibili, ma l’ipotesi dell’impiego di materiale vegetale proveniente dalle Alpi è accreditata sia dal comune governo delle due regioni geografiche, che dalla parziale documentazione disponibile sul commercio di semi: diversi registri tracciano l’uso di semi alpini, provenienti principalmente dal Nord Tirolo (Austria) e dalla valle Adige e Isarco della Provincia Autonoma di Bolzano (Italia) a partire dalla metà del XIX secolo.

La ricerca del genoma originario
A distanza di quasi un secolo dal crollo dell’impero asburgico, è ancora possibile trovare il larice delle Alpi in Romania?
In tal caso, è rilevabile l’influenza tirolese sul patrimonio genetico delle popolazioni di larici rumeni autoctoni, siano essi adulti o giovani esemplari di rigenerazione naturale?
Mancando un inventario genetico del larice europeo all’interno dell’attuale area di distribuzione, per rispondere a queste domande è stato necessario indagare l’introgressione / ibridazione genetica nelle popolazioni rumene sulla base di un confronto genetico tra i larici rumeni e tirolesi (alpini).

Dendrogramma genetico che mostra le relazioni tra i genomi di larice campionati. I cerchi riassumono i relativi stand e formano i rispettivi gruppi genetici. Ciò che colpisce è il raggruppamento tra le due regioni Tirolo e Romania ma anche all’interno delle regioni, che indica un’elevata biodiversità genetica del larice europeo. R: Romania T: Tirolo ST: alto adige A: esempliare adulto J: esemplare giovane

La ricerca ha visto, quindi, una prima fase di raccolta di aghi e cambium di larici rumeni, includendo materiale proveniente anche da tre areali nativi dei Carpazi meridionali e orientali (denominati R1, R2, R4 in Fig. 1 e 2 e divisi ciascuno in adulti e giovani). Una difficoltà della ricerca, infatti, è data dal fatto che le attuali popolazioni autoctone di larici in Romania sono molto frammentate e di difficile individuazione: sono note solo tre piccole aree native, di appena 100 ettari, poste sulla fascia altitudinale subalpina e che formano degli importanti hotspot di biodiversità nei Carpazi meridionali e orientali.
Al materiale romeno si sono aggiunti i campioni raccolti in quattro lariceti, due nel Nord Tirolo (Austria; denominati T9-12 in Fig. 1 e 2) e due in Alto Adige (Provincia Autonoma di Bolzano, Italia; denominati ST5-8 in Fig. 1 e 2) così da includere nell’analisi la possibile area di origine delle traslocazioni di semi e piante.
Per quanto riguarda le aree native romene, vista la limitatezza delle superfici, non si ha la certezza della purezza genetica delle piante, che potrebbero essere state inquinate dai geni del larice tirolese traslocato. Se così fosse, il trasferimento di larice non adattato a quello specifico ambiente potrebbe aver causato casi di ibridazione intraspecifica e avere prodotto un cambiamento nella capacità di resistenza e nella capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali delle popolazioni autoctone locali.

Certificato di origine
Per le analisi di laboratorio sono stati usati i cosiddetti microsatelliti (tratto di DNA non codificante ripetuto molte volte, caratterizzato da una sequenza di due o tre nucleotidi ripetuta in gruppi sparsi in tutto il genoma) che consentono di scoprire le informazioni genetiche partendo dagli aghi e dal cambium e, conseguentemente, di ottenere le caratterizzazioni genetiche di ciascun individuo e identificare le diverse relazioni genetiche.
Un lavoro notevole, ma che ha dato i suoi frutti: per la prima volta è stato possibile provare con certezza la presenza dei larici tirolesi (alpini) in Romania.
Il modello genetico ricavato, infatti, ha confermato la provenienza nord tirolese dei larici alloctoni in Romania, dato coerente con i documenti storici che tracciano i trasferimenti di semi provenienti da fonti alpine (tirolesi) nei Carpazi orientali e meridionali.
Inoltre, è stata individuata un’intera foresta di larici tirolesi vicino alla città di Braşov in Romania (chiamata R3 nelle Fig. 1 e 2) e, anche se sarebbe necessario procedere con analisi più approfondite, è plausibile ipotizzare che ci possano essere singoli individui tirolesi all’interno delle popolazioni native. In questo caso, la comprensione e la misurazione dell’entità di tale impatto genetico è tanto interessante quanto difficile, poiché dipendente dalla composizione genetica delle popolazioni residenti e dalla differenza ambientale tra i siti di emigrazione e quelli di immigrazione, anche se certamente è maggiore quando le popolazioni locali sono piccole, proprio come nel caso romeno.
Procedendo con la mappatura delle relazioni tra i singoli lariceti, come raffigurato nel dendrogramma che separa i cluster in base alle differenze genetiche, è interessante da sottolineare la posizione della foresta rumeno R3: geneticamente deve essere inserito nel gruppo nord tirolese, il che conferma la sua origine alpina.

Risultati inattesi
C’è stato anche un risultato parzialmente difforme dalle aspettative. Se da un lato la genetica conferma la presenza di esemplari tirolesi in Romania, tuttavia l’inquinamento riscontrato appare in misura minore alle attese: gli ibridi intraspecifici sono scarsamente rappresentati (percentuale massima del 3%) sia negli adulti che negli esemplari più giovani di rigenerazione naturale.
A ciò si aggiunge che la percentuale degli ibridi è leggermente più alta negli esemplari di rigenerazione naturale, confermando l’inizio di un processo di integrazione dei geni tirolesi “disadattati” nelle popolazioni di larici naturali, ma con ritmi molto lenti. Una lentezza nell’integrazione genetica che parrebbe sostenere un’ipotesi: alcuni parametri della riproduzione gamica sembrano essere mal sincronizzati, per esempio la fenologia della fioritura o la selezione postzigotica, il che potrebbe causare mortalità embrionale e giustificare i limitati tassi d’ibridazione.

Uno degli stand autoctoni di larice nel Tirolo (Austria), indicato come T12 nelle figure 1 e 2.

Conclusioni
Questo studio ha dimostrato che i larici del Tirolo e quelli della Romania differiscono geneticamente, il che è sostanzialmente riconducibile alla separazione delle diverse aree di rifugio formatesi durante l’ultima era glaciale.
Ma questa grande differenza genetica è stata riscontrata anche all’interno delle stesse regioni campionate: è stato possibile distinguere gli esemplari del Nord Tirolo da quelli dell’Alto Adige e, in Romania, tra quelli dei singoli lariceti autoctoni, in cui ognuno presenta il proprio caratteristico hotspot genetico. Come si vede bene nella figura 2, all’interno del cluster rumeno si possono individuare i tre lariceti autoctoni, che mostrano grandi differenze genetiche tra loro, con le singole popolazioni che si mantengono quasi indipendenti con tassi di consanguineità relativamente elevati. Un’interessante rilevazione considerando il ruolo importante che svolgono nella conservazione della biodiversità.

 

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