Pianificazione Territoriale – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Tue, 20 Feb 2024 15:29:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Alluvioni del torrente Seveso a Milano: aspetti agronomici e di idraulica agraria //www.agronomoforestale.eu/index.php/alluvioni-del-torrente-seveso-a-milano-aspetti-agronomici-e-di-idraulica-agraria/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=alluvioni-del-torrente-seveso-a-milano-aspetti-agronomici-e-di-idraulica-agraria //www.agronomoforestale.eu/index.php/alluvioni-del-torrente-seveso-a-milano-aspetti-agronomici-e-di-idraulica-agraria/#respond Fri, 03 Nov 2023 17:19:29 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68464 Il 31 ottobre 2023, in occasione di un temporale molto intenso, il torrente Seveso è esondato all’interno della città di Milano, allagando i quartieri più settentrionali.
Strano torrente, il Seveso, che nasce quasi al confine con la Svizzera, attraversa la Brianza in una delle aree più urbanizzate d’Italia e all’ingresso del territorio di Milano entra in una canalizzazione sotterranea che lo farà confluire con le acque del Redefossi, anche queste intubate sotto la città. Ricordiamoci anche che il tratto del Seveso che interessa il territorio milanese è stato deviato fin dall’epoca romana.

L’IMPERMEABILIZZAZIONE
La porzione superiore e mediana del Seveso, salvo il primissimo tratto, attraversa un territorio enormemente urbanizzato, che ha occupato praticamente quasi tutti gli spazi disponibili attraverso l’edificato.
Questo ha comportato il progressivo restringimento dell’alveo per guadagnare metri quadri e anche poca o nulla attenzione nel momento della progettazione di manufatti di attraversamento, non adatti a sostenere piene di portata importante.
Da sottolineare, perché spesso non messa sufficientemente a fuoco, l’importanza dell’impermeabilizzazione di quasi tutto il bacino del Seveso: in occasione di piogge appena più intense del normale, tutta l’acqua piovana venga smaltita in superficie senza possibilità di insinuarsi nel terreno, con grande velocità, mettendo rapidamente in crisi le porzioni inferiori del torrente.

INVARIANZA IDRAULICA
È stato proprio attraverso l’esperienza negativa della regimazione del Seveso che in Lombardia è stato introdotto per legge il concetto di “invarianza idraulica”, secondo il quale ogni nuova impermeabilizzazione del suolo deve essere capace di assicurare lo smaltimento delle acque piovane e degli scarichi senza alterare il regime idraulico del corso d’acqua.
Un settore, questo, in cui le competenze professionali di agronomi e forestali integrano con grande efficacia quelle degli ingegneri idraulici, ricorrendo a soluzioni anche sofisticate per assicurare una regimazione complessiva il più possibile “naturale”.

IL CANALE SCOLMATORE
Poiché il Seveso ha una storia di innumerevoli esondazioni ed allagamenti (con centinaia di esondazioni registrate dalla fine dell’800 ad oggi), appena a nord dell’ingresso nel territorio milanese è stato realizzato negli anni ’50, e recentemente rimodernato, il Canale Scolmatore di Nord Ovest: un’imponente opera di canalizzazione destinata a deviare la portata del Seveso in condizioni di piena verso ovest, fino all’immissione nelle acque del Ticino.
Questa opera gioca un ruolo indispensabile per evitare buona parte delle esondazioni o a contenerne gli effetti. Certo non è stata indolore né in quanto a superficie complessiva cementificata, né nell’impatto complessivo sui territori attraversati, oggi potenzialmente a rischio pur non essendo mai stati compresi nell’alveo “naturale” del Seveso.
Certo la qualità delle acque del Seveso non è certo delle migliori, sia a causa delle caratteristiche urbanistiche del territorio attraversato, sia per la scarsissima naturalità delle sue sponde, sia per la quantità enorme di scarichi civile ed industriali (solo parzialmente autorizzati). Questo comporta anche problemi in occasione dello scarico delle acque di piena nel Ticino – attraverso il Canale Scolmatore – le cui acque sono certamente molto più pulite.

INSUFFICIENTE A CONVOGLIARE LA PIENA
Veniamo all’ingresso in Milano, ovvero al suo tratto più critico in assoluto. Come detto, il Seveso si incanala in uno scolmatore sottoterra, in cui confluiscono anche le acque del cavo Redefossi e attraversa il territorio milanese, anche i quartieri più centrali.
Purtroppo, le caratteristiche costruttive del tratto sotterraneo non sono sufficiente a convogliare le portate di piena, in particolare quelle così intense ed importanti degli ultimi anni, sia a causa dell’incremento della loro intensità sia a causa di fenomeni di inghiaiamento della sua sezione che ne riducono ulteriormente la portata. Va anche detto che l’intervento umano si è sbizzarrito anche nel tratto sotterraneo: esempio ne è una imponente struttura longitudinale, destinata a sostenere un palazzo sovrastante collocato esattamente sopra il canale sotterraneo, che certo non facilita il deflusso delle acque, a suo tempo regolarmente autorizzata.
In definitiva cosa succede in occasione di una precipitazione importante e molto concentrata? La massa d’acqua atterra un bacino prevalentemente urbanizzato, non riesce se non parzialmente ad essere assorbita ed intercettata dal terreno naturale ed agricolo, e quindi si riversa molto rapidamente nella rete di condutture di smaltimento, mettendo anche in crisi i depuratori esistenti che sono costretti a rilasciare attraverso i troppo pieno.
Questa massa d’acqua raggiunge rapidamente Milano, distante solo poche decine di km; una parte anche importante viene deviata dal Canale Scolmatore (regolato dall’AiPo agenzia interregionale del fiume Po), che peraltro ha anche lui i suoi limiti di portata massima. Se la deviazione non è sufficiente, questa massa d’acqua arriva all’ingresso del canale sotterraneo e, a questo punto, esonda all’esterno la quantità che non riesce ad essere assorbita dal canale, allagando i quartieri a nord di Milano e arrivando, in alcuni casi, anche ad invadere le gallerie della metropolitana.

COSA SI STA FACENDO
I danni dovuti dalle esondazioni del Seveso possono arrivare, negli episodi più gravi, a molte decine di milioni di euro.
Da qui la decisione assunta diversi anni fa da Regione Lombardia, Comune di Milano e dalle strutture governative dedicate alla riduzione del rischio idrogeologico di realizzare un sistema di grandi vasche di laminazione, dedicate appunto a contenere milioni di metri cubi di acque di piena da rilasciare successivamente, superato l’evento alluvionale. Il progetto, del costo di molte decine di milioni di euro, è in corso di realizzazione e vede la vasca di minori dimensioni pronta al collaudo, mentre gli altri cantieri sono in corso a vario stadio di avanzamento.
Come sempre in questi casi, la scelta dei siti ove realizzare le vasche di laminazione non è stata facile in un territorio dove letteralmente mancano gli spazi liberi. Soprattutto si è dovuto affrontare una difficile fase di confronto con gli abitanti che si troveranno prossimi a questi manufatti, i quali hanno manifestato timori per l’aspetto ambientale e della qualità delle acque del Seveso e dei suoi sedimenti.

COSA POSSONO FARE I DOTTORI AGRONOMI E FORESTALI
Come detto, in casi come questo esistono spazi importanti per le conoscenze tipiche dei dottori agronomi e forestali.
In particolare possono contribuire alla progettazione degli interventi di rinaturalizzazione di sponde e aree golenali, sulla scelta della migliore localizzazione delle vasche di laminazione, nella progettazione delle medesime e delle indispensabili aree verdi di contorno, nella stesura dei capitolati di manutenzioni di queste aree di contorno così come dell’area della vasca di laminazione vera e propria e nei rapporti della vasca di laminazione con le attività agricole e le aree verdi circostanti.

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Agricoltura slegata dal territorio, le vere cause delle alluvioni //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-slegata-dal-territorio-le-vere-cause-delle-alluvioni/#respond Fri, 07 Apr 2023 06:31:31 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68426 I cambiamenti climatici (causati anche dall’agricoltura e dagli allevamenti industriali alimentati con ogm, prodotti distruggendo le foreste primarie) scaricano sempre più acqua sulle terre.
La chiamano agricoltura conservativa, sostenibile, integrata quando vogliono accedere ai fondi europei agro-climatico-ambientali destinati al restauro del territorio e della fertilità, all’agroecologia. Ciò a cui assistiamo, però, è il livello insostenibile di accumulo e bio-accumulo di chimica, con la contemporanea distruzione dell’humus nei terreni.

Per cambiare rotta, è necessaria in primis la revisione del programma agricolo nazionale di Sviluppo Rurale, già bocciato a Bruxelles, poi miracolosamente approvato.
Così come l’intera politica agro-ambientale europea, affinché il sostegno al reddito agricolo vada solo a chi produce in modo agroecologico, ossia ai produttori e agli allevatori biologici. A loro spetta il compito di tornare a produrre letame fertile e non liquame putrido, quello che spappola i terreni e aumenta l’effetto serra.
Più in generale, il sostegno al reddito andrebbe rivolto a chi utilizza le tecniche di agroecologia sinergica e rigenerativa della fertilità dei suoli.

La carenza di humus nel suolo riduce la capacità di assorbimento del terreno

L’humus al centro
L’acqua che abbiamo visto invadere per giorni e settimane i campi e le pianure in Emilia Romagna l’avremmo dovuta far assorbire dai terreni, insieme ai gas serra, incrementando l’humus del suolo. È lui, infatti, la spugna biologica che trattiene acqua e il terreno, è lui che deve essere l’indicatore primario di corretto uso dei fondi pubblici dei programmi di sviluppo rurale regionali e quelli nazionali che offrono un sostegno al reddito degli agricoltori.
Invece, negli ultimi 30 anni, la preziosa sostanza organica dei terreni, che attraverso la fotosintesi e l’equilibrio dei microbi è in grado di trattenere acqua anche 10 volte il proprio peso, si è ulteriormente ridotta.
Oggi l’acqua scorre senza più infiltrarsi nei terreni assassinando il territorio, per decine di migliaia di ettari, invade canali e fiumi troppo velocemente. Fenomeno acuito anche dalla distruzione di siepi secolari, patrimonio di biodiversità tradizionale selezionata dai nostri avi, atte proprio a far evaporare acqua e a farla infiltrare in profondità grazie alle radici.

Siccità e alluvioni, due facce della stessa medaglia
Bisogna immediatamente interrompere l’erogazione di tali fondi a chi usa pesticidi e disseccanti, fertilizzanti chimici e liquami zootecnici. Tutto ciò è incostituzionale e illegale (vedasi le continue relazioni della Corte dei Conti Europea a partire dalla n.3 del 2005 sulla spesa agroambientale).
Abbiamo buttato 30 anni di politiche agro-climatico-ambientali per una falsa agricoltura integrata e un falso benessere animale, politiche basate su pesticidi chimici e mangimi concentrati, liquami e perdita di biodiversità. Abbiamo impoverito i terreni, che ad ogni pioggia perdono fertilità e si erodono: oggi la desertificazione interessa il 30% delle superfici agricole mondiali e nazionali. Siccità e alluvioni diventano così due facce della stessa medaglia.

Ripristinare siepi, alberature, boschetti
Dobbiamo ripristinare siepi, alberature, boschetti e i canali di scolo, basandoci sulle foto aeree degli anni ’50 del secolo scorso, che raffigurano un paesaggio frutto di secoli di saggezza ed esperienza contadina sui territori. Paesaggi che, in pochi decenni, siamo riusciti a devastare grazie alla meccanica e alla chimica.
Dobbiamo sistemare i terrazzamenti persi e le siepi con i salici, sfruttando la loro caratteristica di pompare un metro cubo di acqua al giorno evaporandola verso l’atmosfera. E altrettanto dovremo fare con pioppi e platani lungo le rive dei canali e fiumi, preservando le coltivazioni e lavorazioni a girapoggio lungo le linee di livello e non di massima pendenza.
Occorre, poi, finanziare le coltivazioni di copertura dei terreni, prima di seminare le coltivazioni principali con colture da sovescio come le cover crops e incentivare l’inerbimento nei frutteti, così come previsto dai regolamenti europei.
Tecniche antiche, tutte indirizzate a incrementare l’humus, la fertilità naturale e la biodiversità dei terreni, proteggendoli dalle piogge e dall’erosione.
Infine, come non citare la gestione forestale, che può dare un’ulteriore vantaggio se volta a incrementare i boschi d’alto fusto, preservando il sottobosco, le piante secolari e garantendo produzione di legna da ardere ‘ecologica’.
Infine, dobbiamo sostenere solo la zootecnia biologica, basata sul carico di animali per ettaro alimentabile con le risorse aziendali e comprensoriali.

Un campo irrorato con l’uso di piccoli aeromobili

Convergenza di interessi
Dottori agronomi e dottori forestali, fornendo agli agricoltori l’assistenza tecnica e la formazione agro-ecologica, aiuterebbero a trasformare la situazione da conflittuale a una auspicabile convergenza di interessi.
Un percorso che, naturalmente, non può essere solo tecnico, ma che deve poter utilizzare fondi europei per compensare i maggiori costi delle tecniche biologiche.
I fondi sono facilmente reperibili, considerando il risparmio stimato di almeno 30 miliardi all’anno per danni causati dal dissesto idrogeologico. Somma che cresce ulteriormente se si aggiungono i 50 miliardi all’anno tra pubblico e privati di costi imputabili alle patologie cronico-degenerative e riproduttive, che vedononell’uso dei pesticidi una concausa.

L’auspicio è di fare presto più di un passo in direzione di una riconversione completa dell’Italia al biologico: in fondo bastano appena 15 miliardi se ben spesi.
Un percorso che significherebbe qualità alimentare e salute oltre che l’aumento della resilienza dei territori.

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Le foreste urbane per la riqualificazione delle città //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/#respond Fri, 17 Mar 2023 12:19:34 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68308 di Renato Ferretti

Le foreste urbane e le infrastrutture verdi all’interno delle città possono giocare un ruolo molto importante per migliorare la qualità della vita. Infatti, come noto da tempo, offrono un’ampia gamma di benefici alla popolazione e svolgono preziosi servizi quali assorbimento della CO2, cattura del particolato e degli inquinanti atmosferici, drenaggio e controllo delle acque meteoriche, contrasto al fenomeno delle isole di calore, incremento della qualità estetica e percettiva, fornitura di aree in cui svolgere attività ricreative.

Numerose città, in tutto il mondo, hanno avviato iniziative molto ambiziose di riforestazione urbana. Tutte accomunate dalla scelta di accrescere la propria dotazione di infrastrutture verdi per rafforzare la coesione sociale e muoversi verso uno sviluppo equo e sostenibile.

Le foreste e gli alberi – secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – se ben gestiti, all’interno e attorno ai centri urbani forniscono habitat, cibo e protezione per numerosi animali e molte specie vegetali. Il che contribuisce anche a salvaguardare e accrescere la biodiversità”.

foto di Lachlan per pexels

Il dipartimento che si occupa delle foreste è impegnato a contrastare la deforestazione perché la questione più importante è assicurare una fonte di sostentamento alle persone che dipendono dalle foreste. – ha aggiunto il capo del dipartimento Fao, Hiroto MistugiQuesto aspetto riguarda tutti gli abitanti delle zone rurali, ma anche gli abitanti delle città perché gli alberi sono fonti d’acqua, migliorano la qualità dell’aria e contribuiscono a un ambiente sano.

Le città sono sempre più insalubri per l’aumento delle emissioni di CO2, di polveri sottili, agenti inquinanti e per l’ormai insopportabile calore estivo.
È provato che i boschi assorbono il 40% delle emissioni ascrivibili all’utilizzo dei combustibili fossili: per questo la forestazione urbana e periurbana deve diventare una priorità nell’agenda internazionale dei governi e delle istituzioni internazionali e locali.
È necessaria una trasformazione radicale del modo di operare per moltiplicare gli spazi verdi e i piccoli parchi, impiantare alberi per formare nuovi corridoi ecologici, realizzare edifici verdi anche in verticale. Tutto questo inciderebbe non solo sulla qualità dell’aria e del clima, ma anche sullo sviluppo economico delle città stesse, favorendo la microagricoltura e la produzione di cibo, per contrastare anche in questo modo i fenomeni di povertà.

Foto di Harrison Haines per pexels

Gli investimenti nel verde urbano sono particolarmente efficaci ed efficienti anche in termini economici perché garantiscono una riduzione di diverse tipologie di spesa, da quelle per il raffreddamento degli edifici a quelle per la manutenzione del territorio e la resilienza idrogeologica. Contrastando l’inquinamento dell’aria, le piante permettono di ridurre le spese per la salute, mentre i parchi pubblici o gli orti comunitari offrono occasioni di incontro e socialità. Si parla di soluzioni naturali (nature-based solutions, nbs) a problemi come il consumo energetico o quello idrico o il riscaldamento delle città.

Per tutto ciò non bastano le risorse del decreto clima e del PNRR: occorre una programmazione pluriennale e una strategia continua nel tempo.

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Conservazione dinamica del paesaggio alpino //www.agronomoforestale.eu/index.php/conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino //www.agronomoforestale.eu/index.php/conservazione-dinamica-del-paesaggio-alpino/#respond Fri, 17 Feb 2023 11:16:08 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68283 Come si attua la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione del paesaggio nell’area alpina? Un esempio, anzi diversi esempi si possono trovare tra i premi e le menzioni del Premio triennale Giulio Andreolli Fare paesaggio.

Cos’è il premio
Il premio nasce per celebrare le opere, progetti e iniziative realizzati nel territorio alpino e indirizzati alla salvaguardia, alla gestione e alla valorizzazione del paesaggio nell’area alpina.
La Giuria, presieduta dal paesaggista Andreas Kipar e composta da esperti di livello internazionale, ha valutato gli interventi e le iniziative con specifici riferimenti all’innovazione e alla sostenibilità, alla partecipazione e alla sensibilizzazione.

Il dinamismo del paesaggio

Sabrina Diamanti, presidente CONAF

D: Presidente Diamanti, come mai l’ordine degli agronomi e forestali è coinvolto in questo premio dedicato al paesaggio?
Sabrina Diamanti, Presidente CONAF
: Nulla di strano, anzi. Il premio esibisce i valori scritti nella Carta europeo dal paesaggio e nell’articolo 9 della Costituzione, che è incardinato nel nostro codice deontologico. Da sempre agronomi e forestali si occupano di cultura del paesaggio, della sua valorizzazione, della sua gestione

 

D: Siamo giunti alla terza edizione. Cosa ha trovato di nuovo?
R:
Negli anni, il premio ha saputo evolvere, comprendendo che il paesaggio cambia e lo dobbiamo interpretare come un’entità dinamica che va curata, valorizzata e gestita, in particolare per le componenti più naturali.
Un’evoluzione insita nel nome stesso del premio: “Fare paesaggio”. È un concetto che racchiude in sé il fatto che il bene paesaggistico è la risultanza di una costruzione e di un’interazione con l’uomo attraverso i secoli.
Un intervento dinamico, ma che ha saputo coniugare le esigenze di vita con la capacità di conservare i beni, applicando i principi di sostenibilità anche prima che questi venissero esplicitati.

 

D: Cosa significa curare il paesaggio nel XXI secolo?
R:
In questi e nei prossimi anni, i cambiamenti climatici ci obbligheranno a fare i conti con una repentina evoluzione degli scenari, sia per quanto riguarda la messa in sicurezza degli edifici e dei manufatti che per le modifiche alle nicchie ecologiche.
Per questo ho molto apprezzato che il filo conduttore di questo premio sia stato la multidisciplinarietà dei gruppi di progettazione. Si tratta di un approccio moderno, in cui le diverse specializzazioni concorrono verso l’obiettivo comune della sostenibilità e della valorizzazione del paesaggio alpino.”

 

D: Tra cui anche quelle dei dottori agronomi e dottori forestali
R:
Non mi stupisce vedere la presenza di tanti colleghi nei team dei progetti premiati e in quelli partecipanti, inseriti armonicamente tra architetti e paesaggisti per contribuire con le nostre competenze alla salvaguardia di quell’immenso bene che sono le Alpi.
Per fare ottimi progetti servono specializzazioni e competenze sempre aggiornate, ma nel contempo è necessario coniugare i diversi punti di vista per essere capaci di gestire la complessità.
I progetti candidati in questo premio ne sono la dimostrazione, perché funzionano quando hanno saputo mettere a fattor comune le esigenze umane con quelle della natura, mantenendo l’armonia in uno sguardo di insieme.

 

Agronomi e forestali premiati
Il primo posto nella sezione “cultura, educazione e partecipazione” è stato assegnato al progetto “Il Castello di Pergine bene di comunità”, il cui presidente della Fondazione CastelPergine Onlus è il collega Carmelo Anderle, dottore forestale.

 

Progetto “Il Castello di Pergine bene di comunità”

IL PROGETTO
La Fondazione di partecipazione CastelPergine Onlus ha acquisito a fine 2018 il Castello di Pergine in Trentino (I) tramite un’iniziativa comunitaria di attivazione e coinvolgimento di istituzioni, istituti di credito, enti privati, associazioni e alla raccolta di sottoscrizioni (ad oggi 885).
Si tratta di una proprietà che comprende anche le sue pertinenze, due ristoranti e uno storico albergo dislocato in tre torri e nella cosiddetta Ala clesiana: circa 3.800 mq coperti e 17 ettari di proprietà boschive e prative. Un bene dalla presenza fortemente iconica nel paesaggio, di grande rilevanza storico-artistica, centro d’arte e cultura, turismo sostenibile, occupazione, bandiera verde di Legambiente 2022.
La vita che si è dipanata a Castello dopo l’acquisizione – tra lavoro, mostre d’arte, incontri, spettacoli, occasioni di studio e conoscenza – ha motivato aggregazione, costruito nuove relazioni, consolidato e generato collaborazioni. Numerosi sono i personaggi di spicco del panorama nazionale e internazionale che hanno fatto visita e sosta a castello e tanti i visitatori coinvolti nel contesto di diverse iniziative già avviate a partire dal 2019. L’acquisizione partecipata del Castello nel 2018 ha rappresentato un elemento dirompente nella gestione del patrimonio storico-artistico, a partire dalla sua salvaguardia e conservazione. Questo progetto sta contaminando altre realtà a livello nazionale e la Fondazione condivide in modo innovativo il know-how e il progetto di valorizzazione in una logica di rete di esperienze. A partire dalla data di acquisizione del bene, oltre alle numerose iniziative di carattere culturale sono stati realizzati e programmati numerosi interventi di restauro dei beni architettonici e storico artistici che qualificano il complesso monumentale.

 

Menzioni speciale allo studio Amp Architecture & Landscape, in cui lavora il dottore forestale Claudio Maurina, per il progetto di riqualificazione ambientale “Parco del lago Fontana

 

progetto di riqualificazione ambientale “Parco del lago Fontana”

IL PROGETTO
Valorizzazione paesaggistica e qualificazione ecologica di un laghetto alla base delle pendici boscate che delimitano la valle di Non in Trentino (I).
L’intervento intende migliorare la fruibilità del lago Fontana e agisce sull’assetto morfologico e idraulico del bacino, sul quadro naturalistico e sugli elementi destinati alla fruizione del sito. Lo spostamento dell’emissario e l’inserimento di varie specie vegetali migliorano la dinamica lacustre, il percorso panoramico attorno al lago si adatta alla topografia delle sponde, riducendo l’impatto ambientale, mentre i sentieri sensoriali collegano radialmente il lago al bosco. Gli elementi identificativi del luogo (emissari, dossi, punti panoramici etc.) sono messi a sistema attraverso due tipologie di percorso: il percorso panoramico e i sentieri sensoriali. Ciò integra il sito con le comunità che già lo frequentano, grazie alla sua vocazione di crocevia e luogo di incontro tra percorsi di natura e cultura. Il fondale del laghetto è stato riportato ad una profondità adeguata ed è stato spostato l’emissario nel versante sud-est e sistemate le sezioni di bacino al fine di creare una appropriata fascia ecotonale. Sono state messe a dimora specie lacustri e vegetali che stabilizzano l’ecosistema del lago e bilanciano la presenza di specie già presenti. Il percorso offre pendenze quasi sempre costanti e mai superiori all’8% per garantire la fruibilità a diversi tipi di utenza. Incontri e momenti di condivisione con i diversi stakeholders del territorio hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo dell’iter progettuale, scanditi da numerosi incontri con la municipalità nelle sue componenti tecniche, sociali e culturali.

 

Menzioni di qualità assegnata al progetto “Dopo Vaia, la rinascita di un parco” (SOVA-Parco di Levico), il cui curatore è il dottore forestale Maurizio Mezzanotte, dirigente del servizio SOVA.

progetto “Dopo Vaia, la rinascita di un parco” (SOVA-Parco di Levico),

IL PROGETTO
Creato agli inizi del ‘900, il Parco delle Terme di Levico in Trentino (I) è il più importante parco storico della provincia. Nel 2018 il parco è stato colpito pesantemente dalla tempesta Vaia che ha abbattuto più di 200 alberi monumentali. Per riqualificare il parco è stato avviato un percorso di restauro accompagnato da iniziative culturali finalizzate a coinvolgere la collettività nel lungo processo di rinascita. La popolazione ha risposto massicciamente, contribuendo con donazioni e offerte provenienti da tutta Italia e dall’estero che hanno permesso il reimpianto degli alberi seguendo uno specifico progetto paesaggistico. In tale contesto di iniziative è stato bandito un concorso rivolto a progettisti e artisti per raccogliere idee e ipotesi progettuali sul tema “resilienza”. L’invito è stato raccolto da 35 candidati provenienti da tutta Italia e il progetto vincitore è stato realizzato. L’attività di rinascita del parco è proseguita attuando un intenso programma di iniziative che rappresentano una realtà ormai consolidata nel panorama culturale trentino.

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Piani straordinari di rimboschimento o migliore gestione forestale? //www.agronomoforestale.eu/index.php/piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/piani-straordinari-di-rimboschimento-o-migliore-gestione-forestale/#respond Thu, 02 Sep 2021 13:05:20 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68130 In queste ultime settimane l’attenzione del Paese è concentrata sul dilagare di incendi critici in diverse regioni italiane. Abbiamo ascoltato molte dichiarazioni da parte di associazioni, organizzazioni, enti, fino ad arrivare alle più alte cariche istituzionali, riguardanti la lotta agli incendi e la ricostituzione dei boschi percorsi da fuoco. Queste dichiarazioni sono il segnale di un nuovo interesse da parte dei decisori politici che, in una certa misura, segue la maggiore attenzione che l’opinione pubblica mostra verso il nostro capitale naturale, di cui le foreste rappresentano la parte più importante.
Questo legame emotivo, però, non è sufficiente.
Si sta facendo strada la consapevolezza che la lotta agli incendi non si realizza solo con la repressione dei reati, ma con un governo integrato di tutte le cause predisponenti, realizzando un’adeguata prevenzione a tutto tondo, dalla quale dipende anche l’efficacia della attività di estinzione, facendo formazione di tutti gli attori coinvolti unita a corrette campagne di comunicazione rivolte alla cittadinanza.
Così facendo, le ingenti risorse che attualmente vengono spese in emergenza nell’estinzione e ricostituzione potrebbero essere drasticamente ridotte se accompagnate da una pianificazione del territorio forestale che punti ad una corretta gestione dei nostri boschi, con conseguente efficace prevenzione.
Successivamente emerge la questione di come facilitare la ripresa dei territori colpiti tra proposte di revisione degli strumenti normativi esistenti e redazione di Piani straordinari di intervento.

Focolaio in Calabria. Agosto 2021

1) RIMBOSCHIMENTI: BUONA SOLUZIONE SOLO IN SITUAZIONI SPECIFICHE
Una certa attenzione ha suscitato la proposta di una campagna di rimboschimento per la Regione Calabria, ben accolta anche dall’opinione pubblica. In realtà tale metodo era applicato sistematicamente alcuni decenni orsono, ma le ricerche scientifiche, l’esperienza degli operatori e i risultati ottenuti hanno evidenziato come questa politica sia non solo inefficiente ma, nella maggior parte dei casi, dannosa dal punto di vista ecologico ed economico.
Le superfici percorse dal fuoco presentano una “severità” molto variabile e solo in una parte ridotta del territorio percorso dal fuoco la vegetazione arborea e la sua funzionalità vengono danneggiate gravemente. Nella maggior parte delle aree interessate dal fuoco, la dinamica naturale riparte in un periodo di tempo relativamente breve con un processo di ricostituzione naturale efficiente e a costo zero.
Nelle aree colpite da incendi ad alta severità i tempi di ricostituzione naturale sono più incerti e si può prevedere il rimboschimento per ripristinare più rapidamente i servizi ecosistemici ritenuti fondamentali (es. protezione dalla caduta di massi, fenomeni erosivi) e per i quali non si possono attendere i tempi più lunghi della ricostituzione naturale. Quindi solo una piccola parte delle aree percorse “necessita” di rimboschimento (per esempio dopo i grandi incendi dell’ottobre 2017 in Piemonte, il Piano straordinario regionale ha previsto rimboschimenti su un’area inferiore al 5% della superficie totale percorsa dal fuoco).
Non solo: la ricostituzione naturale dà origine a boschi più resilienti alla crisi climatica in atto e al passaggio di futuri incendi, mentre il rimboschimento produce popolamenti più fragili e infiammabili, poco resilienti e con alti costi di gestione.

2) AVREMMO DOVUTO LAVORARE 20 ANNI FA PER SPEGNERE GLI INCENDI DELL’ESTATE 2021
In un paese come il nostro, dove i popolamenti forestali hanno subito una forte azione antropica negli ultimi secoli se non millenni, il ruolo dell’uomo è di fondamentale importanza in tutte le fasi del governo del fenomeno incendi. Come è stato scritto in questi giorni, avremmo dovuto lavorare venti anni fa per spegnere gli incendi dell’estate 2021. Gli scenari che l’IPCC ci propone nel 6° assessment report evidenziano che, se non iniziamo a lavorare da subito, non saremo in grado di mitigare gli impatti degli incendi che si verificheranno con maggiore frequenza e intensità nei prossimi anni.
Deve essere chiaro che il governo degli incendi non è una attività indipendente dal contesto ambientale e socio-economico, ma è una parte della pianificazione del territorio e inizia con l’attuazione di “Piani forestali di indirizzo territoriale” (Art.6 c.3, D.lgs.34/2018). In questi piani possono essere definite le aree maggiormente esposte al pericolo incendi e possono essere individuati gli ambiti che necessitano di misure strutturali (viabilità, viali tagliafuoco, punti acqua ecc.) e/o di selvicoltura preventiva (riduzione e distribuzione spaziale del combustibile in modo da rallentare la diffusione e favorire la lotta attiva in caso di incendio), coerentemente con altri strumenti di pianificazione, quali i piani di Protezione civile.

L’agricoltura deve essere considerata parte della soluzione

3) PROGETTARE L’AGRICOLTURA PER MITIGARE IL DANNO
Le diverse misure di carattere forestale devono essere integrate con la politica agricola. Molti incendi derivano dall’uso illegale e inesperto del fuoco per fini agro-silvo-pastorali, mentre l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia determinano un aumento del pericolo di incendi per accumulo del combustibile. L’agricoltura, tuttavia, deve essere considerata parte della soluzione: campi coltivati, orti, vigneti, aree pascolate, se progettati in modo coerente con la prevenzione del rischio incendi, possono ridurre l’infiammabilità a scala di paesaggio e rendere più sicure ed efficaci le attività di estinzione.

4) FORMARE ALLA PREVENZIONE
Sono molti i casi in cui gli incendi sono innescati da pratiche scorrette e comportamenti poco accorti. Spesso sono situazioni che nascono per ignoranza e false credenze oppure da consuetudini e tradizioni sbagliate, come l’appiccare piccoli fuochi nei campi con l’errata convinzione di fertilizzare le superfici.
Questi casi evidenziano l’importanza della comunicazione e della formazione di tutti gli attori coinvolti come azione preventiva, volta a ridurre dei potenziali inneschi.
L’intervento dei professionisti qualificati, quali sono i dottori agronomi e dottori forestali, diventa elemento centrale delle politiche di formazione alla prevenzione, rivolta anche ai cittadini e a chiunque giochi un ruolo sulla manutenzione del territorio, a chi è preposto ad intervenire nelle fasi di emergenza.

5) COORDINAMENTO TRA I LIVELLI OPERATIVI
Le misure di prevenzione e le successive fasi di estinzione e ricostituzione per essere efficaci necessitano di una forte sinergia, a livello regionale e nazionale, fra i settori dedicati alla previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta, indagine e ricostituzione post-incendio.
L’attuale elevata separazione delle competenze (ripartite fra servizi e agenzie foreste e protezione civile regionali, corpi forestali delle regioni e province autonome, carabinieri forestali, protezione civile nazionale, volontari, vigili del fuoco, enti parco e unioni di comuni) provoca un rallentamento delle azioni, creando disorientamento sia a livello amministrativo sia a livello operativo.
La competenza deve rimanere alle Regioni in quanto il governo incendi si realizza in modo efficace ed efficiente a questa scala territoriale. Ma è fondamentale potenziare il dialogo e la condivisione di obiettivi strategici tra i diversi livelli operativi individuando un organo di coordinamento nazionale, che potrebbe essere la Direzione Foreste del MIPAAF, che lavori in stretto contatto con le regioni, il CUFA, i vigili del fuoco, la Protezione Civile e il Ministero della Transizione ecologica.

6) COINVOLGERE LE COMUNITÀ LOCALI
Il coinvolgimento delle comunità locali è un altro passaggio indispensabile. Nella grande variabilità che caratterizza la gestione delle foreste e degli incendi a livello nazionale esistono già diversi esempi virtuosi da usare come modello da estendere a livello nazionale: i Piani specifici di prevenzione AIB (antincendio boschivo) introdotti dalla Regione Toscana, o il sistema di collaborazione e coinvolgimento delle comunità locali applicato in passato nei parchi nazionali del Pollino e dell’Aspromonte, il corpo volontari AIB del Piemonte, possono essere un utile modello per molte realtà.
Parallelamente, occorre investire sulla comunicazione per rendere più efficace e condivisa ogni azione, responsabilizzando gli attori coinvolti così come i residenti, i possessori di seconde case, i turisti e i diversi fruitori degli ambienti naturali.

7) INCENDI, FORESTE E FUTURO DELLE AREE INTERNE
Le foreste in Italia occupano quasi il 40% del territorio incidendo sulla qualità della vita e la sicurezza della maggior parte della popolazione italiana. La copertura forestale italiana, nonostante gli incendi e altre calamità (es. tempesta Vaia), è in continua crescita. Una crescita incontrollata che non sta creando formazioni boschive stabili, ma pioniere, che devono evolvere con stravolgimenti del territorio e del paesaggio, avvicinandosi sempre più alle aree abitate.
Questo incremento della superficie forestale (circa 50.000 ettari/anno) e della biomassa legnosa aumenta il rischio di incendio (aumenta il combustibile, ma aumenta anche il contatto tra bosco e zone urbanizzate o ad altra frequentazione antropica). Pensare di affrontare, mitigare o risolvere i problemi delle foreste e delle filiere forestali nell’ “invarianza economica” è illusorio quando non è offensivo per chi abita, lavora o frequenta questi luoghi, che si trovano prevalentemente nelle aree montane e interne.
I fondi del PNRR potrebbero essere una grande opportunità per valorizzare e mettere in sicurezza il territorio, favorire lo sviluppo sostenibile, la bioeconomia e la nascita di green community e rappresentare un investimento per questa e per le future generazioni trasformando quello che oggi è spesso considerato un problema in un fattore di sviluppo.
Una politica seria di prevenzione e lotta agli incendi forestali, inserita in una più generale gestione delle risorse forestali, vuol dire anche educazione per ogni fascia d’età, formazione, coinvolgimento responsabile delle comunità, per evitare che la “distrazione” diventi “disastrosa”, per sbarrare il passo all’incuria, che sempre più domina i nostri paesaggi, e alla criminalità organizzata, al teppismo, alla vendetta e al disagio sociale che si maschera da psicopatologia incendiaria.

8) IL LEGAME COL BOSCO
Infine, lo strumento principale di prevenzione, lotta e ricostituzione è la conservazione o la creazione di un legame tra le popolazioni locali e il bene bosco. Per valorizzare o creare questo legame, questo capitale relazionale, non servono revisioni della normativa (la 353/2000 è una legge che sta funzionando) o campagne eccezionali di repressione o di rimboschimento ma, al contrario, servono investimenti veri per lo sviluppo del territorio, delle filiere agro-silvo-pastorali, ricerca, strumenti e tecnologie, semplificazione di procedure, politiche fondiarie all’interno di una strategia complessiva definita in condivisione fra gli enti regionali e i ministeri competenti, le popolazioni locali e i portatori di interesse.

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Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-casco //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/#comments Mon, 04 May 2020 04:31:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67670 di Giovanni Maiandi (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia), Silvia Pirani (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia),Luca Galeasso (Environment Park)

Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber

Il problema dei cambiamenti climatici focalizza ormai da anni l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, oltre che della comunità scientifica.
Nel Nord Italia, a tale questione si aggiungono gli effetti dell’elevato tasso di particolato e biossido di azoto in atmosfera, cosicché il fenomeno determina un peggioramento della qualità dell’aria per il quale il nostro Paese è soggetto a procedura d’infrazione da parte dell’UE.
Nel settore della produzione del legno, la componente di gran lunga più impattante sotto questo profilo è quella del trasporto, che è anche il segmento sul quale è possibile incidere maggiormente con strategie volte a ottimizzare i trasferimenti.

Legname di prossimità
Il progetto internazionale CaSCo (acronimo di Carbon Smart Communities)1 è un progetto europeo finanziato dal programma Interreg Spazio Alpino incentrato sulla promozione del “legname di prossimità”.
L’obiettivo di questo progetto è stato, per l’appunto, quello di incentivare la riduzione delle distanze coperte nel ciclo produttivo degli assortimenti legnosi, massimizzando la sostenibilità e riducendo gli impatti climalteranti associati ai trasporti. Tale approccio sottintende il passaggio dalla tradizionale idea geografica di “regionalità”, che spesso non trova una giustificazione nelle caratteristiche tecnologiche del legname locale, a un’idea di “sostenibilità”, che punta sul maggior valore ambientale del materiale lavorato e posato vicino al luogo di raccolta.
Si tratta di un progetto è piuttosto articolato, che comprende una raccolta dati sulle filiere locali, attività di animazione e formazione rivolte a imprese, enti pubblici, tecnici, una sezione specificamente dedicata al tema del green public procurement, iniziative di comunicazione, e anche lo sviluppo di strumenti di supporto e la loro sperimentazione attraverso progetti pilota che coinvolgono il tessuto produttivo del settore forestale e la pubblica amministrazione.
Oggi, il progetto CaSCo è in fase conclusiva e con esso termina la sperimentazione degli strumenti che sono stati messi a punto per supportare un’iniziativa di più ampio respiro, in grado di coinvolgere un maggior numero di operatori e tecnici del settore. Alcuni degli output realizzati offrono spunti originali per la promozione del legname piemontese e per la professione del Dottore Forestale.

Il certificato Low Carbon Timber
Con CaSCo si è avviato l’adeguamento al contesto piemontese e italiano di un sistema di certificazione tedesco, Holz von Hier (trad. Legno da qui), in grado di attestare la distanza percorsa da un assortimento legnoso nel proprio ciclo produttivo, dal luogo di raccolta alla destinazione finale.
Ne risulta un’informazione molto diretta e di facile comprensione, i chilometri effettuati, che è direttamente correlata con l’impronta di carbonio (la quale può essere calcolata e inclusa nella certificazione).
La versione italiana del marchio prende il nome di Low Carbon Timber (LCT) ed è in fase di sperimentazione.
I requisiti di base per accedere al certificato sono:

  • la sostenibilità della gestione forestale
  • il rispetto di soglie massime di distanze sottese al processo produttivo, definite per assortimento.
Benchmark 
(distanze in km) adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)
Benchmark:distanze in km adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)

Nell’attuale carenza di superfici forestali certificate GFS, per ora in Italia il rilascio richiede una verifica dei requisiti de facto di sostenibilità, legalità e tracciabilità, attraverso una documentazione che qualsiasi taglio boschivo legale eseguito da un’impresa forestale iscritta all’Albo può produrre. Anche le distanze-soglia di riferimento sono state adattate alla realtà italiana, adottando in via sperimentale la tabella in figura.

Prospettive di sviluppo per il “legno di prossimità”
Il settore legno italiano è affetto da un gap importante tra la domanda, cospicua, continua e strutturata, di legname e semilavorati da parte dell’industria di seconda trasformazione, e l’offerta interna, ridotta e frammentaria, che ai piccoli acquirenti locali preferisce grandi compratori fuori-zona in grado di ritirare il materiale in qualsiasi momento, anche se a prezzi più bassi.
A fronte di un settore delle costruzioni che, quando pure utilizza il materiale legno, si orienta quasi sempre su lamellare e sistemi progettuali e costruttivi standardizzati, non è realistico pensare che la promozione del “legno locale” possa in qualche modo ridurre la dipendenza di questo mercato mainstream dalle importazioni. La chiusura di molte segherie in conseguenza della crisi del 2009-11 è già di per sé un ostacolo insormontabile alla ricostituzione di filiere territoriali capaci di flussi importanti.
Tuttavia, nel corso del progetto è emersa anche una realtà, diffusa quanto sottovalutata, di scambi proficui tra operatori locali. In Valsesia per esempio, uno dei territori di indagine che ha ospitato un certo numero di esperienze pilota, la costruzione e ristrutturazione delle case tradizionali in legno, in un’area caratterizzata dalla presenza dei Walser2, è un ambito di particolare interesse per la valorizzazione del legname locale, che già si utilizza insieme a quello di importazione. Si evidenzia che, a differenza di quanto osservato presso i partner di progetto tedeschi e austriaci, concentrati nell’ottimizzare le catene di approvvigionamento di grandi flussi di merci industriali, la declinazione italiana del legno locale passa per la valorizzazione di piccole lavorazioni artigianali, per lo più in legno massiccio, con un elevato grado di esperienze legate alle tradizioni costruttive locali.
Sebbene siano stati certificati LCT manufatti in legname lamellare di castagno prodotti in regione, sembra delinearsi una sinergia legno locale – legno massiccio – sistemi costruttivi artigianali, contrapposta al sistema legno d’importazione – legno lamellare – prodotti e sistemi costruttivi standardizzati, che fa intravedere una possibile connotazione in stile slowfood come veicolo promozionale in grado di valorizzare il legname locale.

Costruzioni, palerie, cippato: 3 settori da esplorare
Individuata la potenzialità, il ruolo del tecnico forestale sarà quello di “scovare” sul territorio queste condizioni partendo da produzioni esistenti e renderle appetibili mettendone in luce le performance ambientali con adeguati strumenti, come può essere il marchio Low Carbon Timber.
Non bisogna sottovalutare, infatti, che esiste una clientela finale pronta a recepire l’importanza del valore aggiunto conferito a una costruzione dall’utilizzo di legno a km0, se reso adeguatamente riconoscibile da una certificazione di terza parte.

Anche nel settore della paleria sono emersi spunti simili. Produzioni vitivinicole pregiate, in espansione nella fascia pedemontana compresa tra Biellese e Alto Novarese (Bramaterra, Gattinara, Boca, Ghemme) tengono molto all’immagine del loro prodotto e sembrano interessate all’uso di paleria certificata di prossimità.

La filiera è da costruire e compito del dottore forestale sarà, oltre che mettere in rete gli operatori, individuare soprassuoli in grado di fornire assortimenti adatti in una zona in cui pochissimi sono i cedui a regime. Nell’ingegneria naturalistica e negli arredi esterni, soprattutto in aree protette e della rete Natura 2000, c’è spazio per proporre elementi in legname km 0, come fa Oasi Zegna, uno degli aderenti al progetto CaSCo più significativi.

Fornitura di pali certificati LCT destinata all’impianto di una vigna per la produzione di Bramaterra

Infine, la filiera del cippato da riscaldamento ha in questo momento un forte bisogno di dimostrare la propria ecosostenibilità, vista l’incidenza sull’inquinamento da particolato attribuita alle biomasse legnose. Ciò può essere fatto attraverso un bilancio globale delle emissioni del ciclo produttivo, in cui diventano decisivi la qualità dell’impianto, la qualità del combustibile e il bilancio delle emissioni nel ciclo produttivo. Nell’ambito del progetto CaSCo, i due fornitori di calore da biomasse operanti in Valsesia emetteranno un certificato LCT periodico che dimostri la sostenibilità della catena di approvvigionamento, a vantaggio dei Comuni proprietari degli impianti.

Conclusioni
Il progetto è in chiusura e lascia in eredità un kit di strumenti promozionali del legno locale; tra questi spicca il protocollo Low Carbon Timber, che alcuni operatori economici convolti nel progetto utilizzano già in chiave commerciale e promozionale della loro attività.
Pur senza alimentare l’illusione di ricostruire una filiera foresta-legno nazionale che riduca la nostra dipendenza dalle importazioni, anche grazie a questi strumenti un approccio bottom-up può aumentare visibilità e interesse verso produzioni di nicchia km0 ecosostenibili, che possono stimolare l’offerta di tondo locale e crescere armonicamente con essa.
I dottori forestali sono gli unici soggetti che possiedono le competenze tecniche e, soprattutto, una conoscenza del territorio e degli operatori tale da poter operare in questo senso. Il ruolo del professionista è basilare, ma deve arricchirsi di conoscenze commerciali che emergono come il punto debole della sua formazione ed esperienza: la dimestichezza col mercato del legno e la capacità di muoversi in esso.
Allo stesso tempo, è necessaria una cabina di regia a livello regionale che supporti le filiere locali mettendole in rete, una sorta di clusterdel legno locale, attore di una progettualità che sia in grado di convogliare risorse comunitarie su strategie mirate, senza disperderle in una pletora di iniziative puntuali e scoordinate.

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Come gestire le foreste schiantate al suolo //www.agronomoforestale.eu/index.php/come-gestire-le-foreste-schiantate-al-suolo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=come-gestire-le-foreste-schiantate-al-suolo //www.agronomoforestale.eu/index.php/come-gestire-le-foreste-schiantate-al-suolo/#comments Mon, 12 Nov 2018 17:53:14 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67136

Le foreste spazzate dal maltempo di ottobre 2018

Non esistono ricette universali. Nessuno saprà formulare un’unica soluzione pronta per essere applicata in serie e che possa risolvere la grave situazione ambientale ed economica creatasi per le piogge e il vento nelle Alpi orientali, in provincia di Trento, Bolzano, in Veneto e in Carnia e Friuli a fine ottobre 2018.
L’unica cosa che si può fare oggi è sfruttare le conoscenze e le competenze per adottare un mix di soluzioni ritagliate sui bisogni delle singole aree.
In pratica è quello che quotidianamente fanno i Dottori Agronomi e Forestali.

Le origini del disastro
La causa dei vasti schianti nelle foreste del Nordest, nei media, è stata individuata nel fatto che le foreste messe a dimora circa un secolo fa fossero composte da abete rosso.
Vero è che i boschi di abete rosso sono meno stabili comparati ai boschi più naturali, a conferma di ciò in alcune aree sono caduti abeti anche quando la forza del vento stava scemando. Ma il fatto che molti schianti siano avvenuti in boschi definiti “stabili” e “stabilissimi” significa che gli eventi sono stati talmente eccezionali, con piogge intense unite a raffiche di vento straordinarie per potenza e velocità, che poco si poteva fare contro la forza della natura.
Questo non è motivo per arrendersi al fato, ma deve essere stimolo per capire come intervenire oggi per ridurre i danni di domani. Se le condizioni eccezionali sono fuori portata, molto si può fare in casi di condizioni avverse gravi. Lo si può fare, per l’appunto, ripristinando i boschi che abbiamo perso, ma curando lo sviluppo di dinamiche ecologiche più naturali: in cui si trovano a convivere diverse specie, rispettando climi, altitudini e adattabilità delle varie piante.

Un problema complesso

Gli schianti causati dal maltempo di ottobre 2018

I danni che hanno subìto le foreste del Nordest rappresentano un problema complesso per le molte componenti che si intersecano. È necessario avere uno sguardo d’insieme, che consideri e ponderi i diversi aspetti coinvolti.
C’è una componente economica, perché la massa legnosa disponibile ha già causato il crollo del prezzo del legname sul mercato. Ciò avrà impatti per lungo tempo su tutta l’area e su tutti gli operatori: sia chi ha il proprio bosco a terra sia coloro che hanno gli alberi ancora in piedi dovranno destreggiarsi in un mercato il cui valore del legno, pregiato o meno, si è decisamente ridotto.
C’è da considerare la messa in sicurezza dei pendii che vanno protetti da valanghe, frane, smottamenti, funzione che il bosco faceva e ora non può più fare.
C’è un problema fitosanitario, perché l’enorme quantità di legno divelto è pronto a divenire terreno fertile per lo sviluppo di malattie e parassiti, che possono rovinare la qualità del legno a terra ma anche indebolire i boschi in piedi e quelli che si ricostituiranno.
C’è una componente ambientale, perché il bosco è un ecosistema complesso in cui convivono specie vegetali e animali. Il disastro dei giorni scorsi ha impattato anche su habitat di pregio e zone che presentano specie floristiche e faunistiche uniche e questo valore ambientale dovrà essere considerato nel pianificare gli interventi tanto quanto la componente paesaggistica.

Daniel Case, Spruce trees at Rosa delle Alpi, Esino-Lario

Cosa fare ora?
La prossima mossa sarà cercare le soluzioni più adatte per rimuovere quanto prima la gran parte del legname, almeno il 70% della biomassa, e comunque entro i prossimi 3 anni. Un’azione urgente che mira a evitare il diffondersi di parassiti e malattie.
Come detto, però, non si può fare ovunque con la stessa modalità ma bisogna determinare le priorità di intervento.
Ai Dottori Agronomi e Forestali spetterà il compito di valutare dove è conveniente prelevare il legno, considerando tutte le variabili del contesto: i fattori di rischio per il pericolo di valanghe o frane, il valore di mercato e la qualità del legno a terra, l’accessibilità dell’area e i costi di prelievo, lo stato della sentieristica e della rete stradale di accesso, ecc.
Uno sguardo tecnico accorto sa, però, che non tutto il legno può essere prelevato. Nelle aree a rischio valanghe/frane, è più utile impiegare quello stesso legno a terra per stabilizzare il suolo con interventi di ingegneria naturalistica e edificare manufatti provvisori (rastrelliere, murature in legname e pietrame, ecc).

Un’economia spazzata
Chi conosce quelle montagne sa che nelle immagini dei versanti spazzati c’è tutta una filiera economica, quella della foresta-legno, che è caduta assieme agli alberi.
Il mercato ha reagito con cinica immediatezza e il prezzo del legname si è decurtato. Ciò vale per sia per il legno di pregio che per quello di minore qualità. E l‘impatto si riverbera anche su chi i boschi ancora in piedi e il cui profitto potenziale si è dimezzato in poche ore.
A ciò si aggiunge che la gran massa legnosa disponibile ha la necessità di trovare sistemi di stoccaggio e conservazione del legname, per evitare che si guasti e possibilmente cercando di allungare i tempi di vendita, per non impattare troppo sul mercato. E si dovranno trovare nuovi soluzioni di contrattazione e vendita per tutta questa legna che si è resa disponibile in un sol momento.
Infine, con lo sguardo rivolto al prossimo futuro, i vari protagonisti della ricostituita filiera foresta-legno non saranno più dipendenti dall’abete rosso ma dovranno sapere trarre il valore dalle diverse specie arboree presenti dei nuovi boschi rinati: faggio, larice, abete rosso, pino cembro e altre latifoglie, finanche ciliegio.

Ricostruire il bosco
La lezione imparata è che dobbiamo rispettare quanto più possibile le dinamiche ecologiche del bosco. I Dottori Agronomi e Forestali, professionisti del territorio e profondi conoscitori delle caratteristiche biodinamiche delle specie forestali, sono in grado di valutare sito per sito quale sia la modalità di intervento più adeguata, sia sulla base delle caratteristiche dell’ambiente in cui si deve operare che di quelle di mercato, in modo da restituire ai nostri boschi una multifunzionalità ora a rischio, con un occhio attento alle valutazioni economiche e di mercato, così che gli alberi piantati possano generare valore per la filiera foresta-legno.
In alcune aree attigue a quelle in cui si interviene potrebbe essere utile lasciare il bosco a uno sviluppo naturale e che produca aree boscate “da seme”, non piantando nulla, ma monitorando l’evoluzione per potere intervenire in caso di necessità.

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Carnia e Friuli: la situazione lasciata dal maltempo //www.agronomoforestale.eu/index.php/carnia-e-friuli-la-situazione-lasciata-dal-maltempo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=carnia-e-friuli-la-situazione-lasciata-dal-maltempo //www.agronomoforestale.eu/index.php/carnia-e-friuli-la-situazione-lasciata-dal-maltempo/#respond Sat, 03 Nov 2018 10:54:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67112

La foresta schiantata dalla forza del vento (ottobre 2018)

Come si è sviluppato l’evento calamitoso e quali danni ha creato?
La conformazione attuale dei territori montani è il risultato anche degli effetti degli agenti atmosferici che per migliaia e migliaia di anni si sono riversati con frequenza ed intensità differenti. Con questa visione gli eventi atmosferici che hanno interessato l’area montana del Nord Est dell’Italia nel periodo dal 27 al 29 ottobre 2018 si configurano in un’ottica di totale “normalità”, ma soprattutto considerando l’intensità delle precipitazioni (che hanno superato gli 870 mm con accumuli di diverse centinaia di mm in poche ore e venti oltre i 200 km/h), è facile comprendere la totale impotenza dell’uomo e del territorio.
In Friuli Venezia Giulia, in particolare in Carnia e nella Valcellina sono collassate intere particelle, non abbiamo ancora dati certi perché alcune zone sono ancora isolate ma si parla di migliaia e migliaia di cubi di legname schiantati.

In che maniera la gestione agroforestale del territorio ha contribuito ad aggravare o mitigare la situazione verificatasi?
In queste occasioni è sempre bene non farsi trascinare da frasi o termini di circostanza come “dissesto idrogeologico”, “malgoverno del territorio” o ” abbandono della montagna” perché di fronte ad eventi eccezionali come quelli recentemente accaduti ben poco è possibile mettere in atto.
Il territorio montano del Nord Est è sicuramente tra le poche realtà d’Italia dove da molti decenni la pianificazione territoriale e forestale hanno permesso di sollevare e ripristinare ambiti depauperati ed abbandonati dopo la prima metà degli anni 90, raggiungendo situazioni di cura e risanamento, fiore all’occhiello per tutto il panorama alpino italiano e internazionale.

Sono state rispettate tutte le buone pratiche agricole e di manutenzione idraulica forestale per prevenire il dissesto idrogeologico?
Di fronte ad eventi di tale eccezionalità la gestione agroforestale corretta ha impedito conseguenze ben più gravi.

I danni alle infrastrutture della Carnia causate dal maltempo di ottobre 2018

Quali indicazioni per il futuro?
Gli eventi succedutisi negli ultimi giorni rappresenteranno un fenomeno ricorrente nel prossimo futuro, con piogge intense e localizzate nel tempo, a causa dei cambiamenti climatici in atto.
Ciò che dobbiamo imparare da quest’esperienza è che bisogna avere un approccio al territorio che sia almeno su scala di bacino: dovremo imparare a integrare le competenze agronomiche, le competenze di ingegneria naturalistica, i moderni approcci alla gestione dei corpi idrici, sia principali che minoritari.
La pianificazione territoriale e forestale va perseguita ed implementata con nuove tecniche di rilevamento e di valutazione.
Lo sviluppo delle infrastrutture forestali risulterà sempre più fondamentale per far fronte anche alla gestione di situazioni straordinarie.
Infine, ma non meno importante, sarà promuovere, tutelare ed incentivare il mantenimento e lo sviluppo di imprese boschive che anche in queste situazioni eccezionali costituiscono un bacino irrinunciabile di professionalità per la cura e la gestione del territorio.

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Veneto e Belluno: la situazione lasciata dal maltempo //www.agronomoforestale.eu/index.php/veneto-e-belluno-la-situazione-lasciata-dal-maltempo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=veneto-e-belluno-la-situazione-lasciata-dal-maltempo //www.agronomoforestale.eu/index.php/veneto-e-belluno-la-situazione-lasciata-dal-maltempo/#respond Sat, 03 Nov 2018 10:42:55 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67107

Gli schianti causati dal maltempo di ottobre 2018

Come si è sviluppato l’evento calamitoso e quali danni ha creato?
Gli effetti dell’ultima ondata di maltempo si sono sentiti in tutte le zone montane della Regione, ma le conseguenze sul territorio esteso più gravi si sono manifestate nella provincia di Belluno per la quale, a causa anche dell’impraticabilità delle strade, risulta difficile stilare uno stato oggettivo della situazione. Si segnalano inoltre situazioni difficili, anche se più circoscritte, nel Vicentino (Altopiano di Asiago) e situazioni critiche con danni ingenti per schianti di alberi nelle aree urbane su molte cittadine.
Questa situazione, purtroppo non nuova sia nella nostra regione che in altri territori, dovrà rappresentare un momento di verifica, fuori da ogni sensazionalismo, per rifondare la cultura della gestione del territorio che tenga oggettivamente conto di situazioni ambientali critiche diverse da quelle fino a d ora considerate. È quindi necessario promuovere un’effettiva svolta nella politica ambientale, ma che necessariamente dovrà essere seguita da nuovi approcci di studio e progettuali con il coinvolgimento diretto della nostra categoria professionale.

FOCUS SU BELLUNO: Orazio Andrich, Presidente Ordine Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Belluno

Come si è sviluppato l’evento calamitoso e quali danni ha creato?
Quanto è accaduto in provincia di Belluno travalica l’immaginazione, stiamo cercando di farci un quadro della situazione, ma gran parte delle zone sono prive di comunicazione; molte aree sono isolate. Al momento, anche ispezioni nei boschi e spostamenti per raggiungerli sono spesso sconsigliabili.
Con questa premessa si può affermare che, oltre alle smisurate precipitazioni (in parte previste) ci stati forti venti da sud. La provincia di Belluno in ginocchio non è solo un’espressione metaforica. Oltre ai danni di natura idrogeologica, ad andare in crisi è stato, in gran parte del territorio, il sistema infrastrutturale e sociale. I danni ai boschi, fino a oggi non ancora esposti all’informazione pubblica, sono grandi, spesso ingenti e in alcuni posti addirittura da far paura.

In che maniera la gestione agroforestale del territorio ha contribuito ad aggravare o mitigare la situazione verificatasi?
Positiva, ma non sufficiente alla portata dell’evento; essa è vittima e non causa dei danni.
Il bosco ha svolto egualmente una positiva funzione di regimazione, ma – dove si sono verificati schianti o distruzioni dei soprassuoli – l’impatto degli agenti naturali è stato troppo forte.

Sono state rispettate tutte le buone pratiche agricole e di manutenzione idraulica forestale per prevenire il dissesto idrogeologico?
In linea generale, penso di sì, che non siano state la causa; a livello particolare sarà da vedere; una risposta potrà essere data in consuntivo per alcuni casi, anche per le delicate implicazioni che pone.
Ciò che quest’esperienza ci lascia è senza dubbio la riflessione che le “buone pratiche” agricole e di manutenzione idraulica forestale devono essere ripensate alla luce dei “cambiamenti climatici” rispetto a impostazioni scolastiche (vedi ad es. il calcolo della portata).

Quali indicazioni per il futuro?
Dovrà essere effettuato un ripensamento pressoché completo della politica, programmazione e gestione forestale in Veneto.
Oltre a ripercussioni di tipo ecologico, ambientale e paesaggistico ne deriveranno conseguenze su tutta la filiera foresta-legno ed effetti amministrativi anche nel medio e lungo periodo anche per i bilanci degli enti montani che contavano sugli introiti del legname. Quindi, molte interconnessioni vanno esaminate e le indicazioni potranno essere date dopo che il quadro sarà completo. Al momento bisogna rappresentare la situazione, ma evitare di pronunciarsi in maniera azzardata.

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Le foreste spazzate dal maltempo di ottobre 2018

Come si è sviluppato l’evento calamitoso e quali danni ha creato?
La perturbazione ha raggiunto la Provincia il 27 e il 28 ottobre 2018 e nei giorni successivi ha raggiunto il culmine. Ha interessato tutto il territorio provinciale sul quale in soli 3 giorni sono caduti in media 250 mm di pioggia ed in talune aree si è toccato anche il mezzo metro.
Le zone più colpite sono situate nel Trentino orientale, il Primiero, gli altopiani cimbri, Val di Fassa e Val di Fiemme, l’altopiano di Pine’, colate di fango in Val di Sole a Dimaro dove si conta pure una vittima.
Unitamente alle forti e costanti piogge in diverse zone, si sono verificati venti dai 100 ai 130 km/h che hanno causato lo schianto di 1,5 milioni di metri cubi di legname.
Per dare un parametro, i dati pluviometrici sono paragonabili a quelli dell’alluvione del ’66.

In che maniera la gestione agroforestale del territorio ha contribuito ad aggravare o mitigare la situazione verificatasi?
La politica che la Provincia attua da anni a sostegno del territorio ne ha garantito la costante gestione agro-silvo-pastorale con i noti benefici idrogeologici connessi.

Sono state rispettate tutte le buone pratiche agricole e di manutenzione idraulica forestale per prevenire il dissesto idrogeologico?
La Provincia di Trento da più di un decennio ha introdotto il concetto della gestione del rischio idrogeologico gestendo la pianificazione territoriale in base al grado di pericolo e gli interventi preventivi, secondo priorità e disponibilità economiche, sostenendo manutenzione e monitoraggio delle zone a rischio e la creazione di un efficiente apparato di protezione civile.
Questa politica ha certamente permesso si contenere il numeri delle vittime e dei danni che per la maggiore colpiscono il settore forestale.

Quali indicazioni per il futuro?
Siamo sulla strada giusta, lo dimostra anche la risposta del territorio e dell’organizzazione provinciale in occasione dell’evento.

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