Politiche Comunitarie – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Mon, 08 Apr 2024 15:21:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 L’agricoltura e la politica agricola comune (PAC) //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac //www.agronomoforestale.eu/index.php/lagricoltura-e-la-politica-agricola-comune-pac/#comments Tue, 02 Apr 2024 07:55:03 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68503 L’agricoltura è stata fortemente influenzata dalla politica agricola comune (PAC). Fin dagli anni ’60 del secolo scorso ci sono stati forti impatti sia delle politiche di mercato, con il ritiro dei prodotti eccedentari, sia con le misure strutturali. Buona parte delle serre del pesciatino, della riviera ligure e di molte zone d’Italia, furono realizzate con i primi programmi strutturali del FEOGA (Fondo Europeo Orientamento e Garanzia in Agricoltura).

Renato Ferretti, Vicepresidente CONAF

LE ORIGINI DELLA PAC

Con la sigla PAC si intende la raccolta che unifica le leggi dell’Unione europea in materia di agricoltura.
Creata nel 1962, fin dai primi vagiti dai sei paesi fondatori della Comunità Europea, è la più antica politica dell’Unione ancora in vigore.

Il suo obiettivo è quello di fornire alimenti a prezzi accessibili e di elevata qualità, garantire un tenore di vita equo agli agricoltori e dare sostegno alle zone rurali, tutelare le risorse naturali e rispettare l’ambiente.

Con oltre 386 miliardi di euro stanziati per il quinquennio 2023-2027 rappresenta la voce più corposa, circa 1/3 del totale, del bilancio unionale.

LE NOVITÀ DELLA PAC

La PAC 2023/2027 è un insieme di regole in materia ambientale, climatica e di salute e benessere delle piante e degli animali, che gli agricoltori sono tenuti ad accettare per accedere al sostegno pubblico.

Tale componente della PAC è ormai universalmente conosciuta con il termine “condizionalità” che dal 2023 è diventata più severa e rigorosa, cambiando nome in “condizionalità rafforzata”, in ossequio alla più radicata sensibilità ambientale che pervade l’Unione Europea, spalmata su tutto il territorio senza sforzi di specificazione.

L’asse portante è sempre il regime dei pagamenti diretti, che assorbe poco meno del 60% della spesa pubblica della PAC. Questa rimane una modalità disequilibrata rispetto ai reali fabbisogni, specie dell’agricoltura italiana marginale, ma determinante per la vita di vaste aree del paese. Tutto ciò nonostante l’intervento riformatore abbia impresso due nuove tendenze:

  • una orientata verso la sostenibilità, con l’introduzione del cosiddetto regime ecologico
  • una rivolta verso il principio dell’equità nell’utilizzo delle risorse finanziarie di cui per ora non si vedono effetti.

 

Vi è poi un pacchetto di interventi settoriali, che vede la conferma dell’approccio tradizionale per produzioni quali l’ortofrutta, il vino, l’olio d’oliva e le olive da tavola e, infine, l’apicoltura, cui si aggiunge una spruzzatina di novità, con la possibilità concessa agli Stati membri di attivare interventi settoriali per produzioni diverse da quelle menzionate. Per finanziare i nuovi interventi settoriali, lo Stato membro può utilizzare fino al 5% della dotazione annuale per i pagamenti diretti. Per l’Italia ciò implica un gettito massimo di 180 milioni di euro per anno.

 

Infine, c’è la politica di sviluppo rurale che presenta, in questo ciclo di programmazione, la sostanziale novità di prevedere solo otto interventi generali, i quali sostituiscono la moltitudine delle misure e delle sotto misure della precedente programmazione. In aggiunta, vi è la novità del contenimento al minimo delle regole stabilite a livello europeo. Infatti, la devoluzione delle competenze, comporta l’affidamento alle autorità nazionali di decisioni su aspetti fino ad oggi formulate nei regolamenti europei, come ad esempio i beneficiari, la tipologia di spese ammissibili, l’impostazione degli interventi, l’allocazione delle risorse finanziarie, la definizione dei requisiti e delle condizioni di accesso ai contributi pubblici, la calibrazione degli interventi in funzione dei fabbisogni del territorio.

MOLTE AGRICOLTURE

L’impatto della politica agricola comune (PAC) è cresciuto negli anni, in quanto ormai non c’è attività del settore agricolo che non abbia un riferimento normativo di carattere europeo, sia che si tratti di finanziamenti che di norme regolamentari. Il problema, sia nell’uno che nell’altro caso, è che le norme sono ispirate a una omogenea tipologia di agricoltura e di territorio (sicuramente prevalente, ma non esclusiva) e male si adattano ad agricolture e territori complessi come la maggior parte di quelli italiani, ma potremmo dire di tutta l’area mediterranea.

La PAC, nata per superare le disparità socio-economiche territoriali e settoriali utilizzando l’erogazione dei contributi, si è tradotta in una erogazione massiva in base alle dimensioni aziendali.

In oltre 50 anni, così, la PAC non ha prodotto gli effetti desiderati. Anzi, ha approfondito il divario fra agricolture forti e quelle più deboli, fra territori senza limitazioni e territori marginali.

Il perché è rintracciabile nell’essere stata concepita a senso unico, senza essere articolata e differenziata nelle diverse regioni, senza una reale programmazione nei e con i territori, anche con importanti responsabilità nazionali e regionali.

 

IL CASO OLIVICOLO

La dimensione media delle aziende olivicole collinari toscane è di due ettari, qui occorre fare quasi tutto manualmente.

L’Unione Europea concede un contributo di circa 300 euro a ettaro: quindi 600 euro complessivi, di cui un centinaio sono necessari per fare la domanda e, quindi, rimangono circa 500 euro.

Lo stesso contributo ad ettaro viene concesso ad un ipotetico olivicoltore di pianura che, magari, dispone di 100 ettari olivati e interamente meccanizzati. Credo sia evidente che l’impatto del contributo pubblico non è lo stesso. A ciò dobbiamo aggiungere che l’olivicoltura delle colline contribuisce a mantenere le caratteristiche del paesaggio e a salvaguardare l’equilibrio idrogeologico: ma di tutto questo la PAC non si preoccupa.

 

Non possiamo certamente pensare che l’olivicoltura di collina possa essere commercialmente competitiva con l’olivicoltura-prato presente in crescenti aree di pianura in Spagna e in Italia: basta fare un giro a Massaciuccoli e si vedrà l’olivicoltura di collina abbandonata e il proliferare di oliveti specializzati nelle zone di bonifica che farebbero rabbrividire i padri dell’olivicoltura di qualità.

Quindi, se vogliamo mantenere l’olivicoltura e l’insieme dell’agricoltura in tutti i territori occorre che la PAC (leggasi Unione Europea) conosca le diversità fra gli stessi ed applichi gli strumenti finanziari e regolamentari in modo più aderente alle necessità dei diversi territori.

 

AGRICOLTURA VS AMBIENTE

I continui eventi meteorici estremi hanno reso evidente a tutti il cambiamento climatico in atto, alimentando la sensibilità dei cittadini europei verso i temi ambientali.

La PAC ha fatto propri, anche se in linea generale e in maniera troppo generica, i principi e gli obiettivi della Strategia Farm to Fork e della Strategia sulla Biodiversità, entrambe generate dal Green Deal, prevedendo un cambio di paradigma, rafforzando la condizionalità e introducendo gli eco-schemi. Si chiede di fatto agli agricoltori e agli allevatori un ulteriore passo in avanti nel rispetto dell’ambiente, delle acque, degli agro-ecosistemi, degli animali, del clima e del cibo, declinando una serie di parametri di carattere fisico sostanzialmente analoghi in tutta l’Unione Europea.

Il Green Deal non può essere solo una serie di indicatori fisici, ma deve essere uno strumento capace di valorizzare le esternalità prodotte dalle produzioni cerealicolo-foraggere, dall’olivicoltura nelle colline centro-meridionali italiane e dalla zootecnia delle aree marginali, dalla viticoltura cosiddetta eroica.

Valorizzare le esternalità vuol dire dare un valore, che difficilmente il mercato pagherà, a tutti quei servizi che un’agricoltura qualitativamente produttiva eroga in queste aree.

Vuol dire compensare realmente le differenze tecnico-agronomiche e conseguentemente i livelli produttivi che si possono raggiungere nelle aree più difficili, rispetto alle fertili pianure. Nelle fertili pianure la PAC deve incentivare la diversificazione produttiva, valorizzare le rotazioni colturali per la rigenerazione dei suoli e la conservazione della sostanza organica.

È questa l’essenza del Green Deal che, per essere attuato cercando di essere economicamente efficienti, non può non precedere un’organizzazione delle produzioni a livello comprensoriale con specializzazioni all’interno delle aziende e con una zootecnia di territorio e non più solo aziendale.

È questa l’unica strada per cercare di mantenere insieme la conservazione della fertilità del suolo, le produzioni agro zootecniche e l’ambiente.

 

LA PAC OLTRE LA PAC

Poche settimane fa abbiamo visto che l’imposizione delle teoriche fasce tampone, non coltivate, in aree ad agricoltura fortemente industrializzata come la pianura padana e le pianure del centro Europa è stato uno dei motivi che hanno scatenato le cosiddette “proteste dei trattori”.

Questo episodio evidenzia come le politiche green non pianificate né declinate sulle specifiche esigenze conducano alla sterile ed errata contrapposizione agricoltura vs ambiente.

La retromarcia della politica europea, presa in contropiede dalle proteste, però, non può essere la risposta. È una pura illusione pensare che il futuro della PAC consista nel semplice aggiustamento di qualche misura e nel ritoccare in senso meno ambientalista alcune misure di carattere ecologico, legate alla “condizionalità rafforzata”. La PAC deve essere lo strumento con cui si riporta a livello di territorio, l’economia circolare che era l’essenza del podere e della fattoria.

Non possiamo pensare di contrastare il cambiamento climatico se non cambiamo alcuni paradigmi fondanti dell’agricoltura industrializzata, ossia lo spostamento per esempio di risorse foraggere a chilometri di distanza da dove vengono prodotte, per nutrire animali allevati in stalle di grandi dimensioni che a loro volta producono enormi quantità di letame e liquami di difficile utilizzazione in loco. Questo di fatto impoverisce le aree di produzione del foraggio e probabilmente causa problemi ambientali a quelle circostanti le stalle.

Sono questi i temi che occorre affrontare con il nuovo periodo di programmazione comunitaria. Una programmazione che deve essere reale e, aggiungo, con un’attenta pianificazione territoriale improntata al ripristino della natura come la legge recentemente approvata dal Parlamento Europeo vuole.

Per fare tutto questo è indubbio che occorre un sistema pubblico all’altezza della sfida, tecnicamente preparato e capace di interloquire con le imprese e gli imprenditori in maniera trasparente e, magari, con minori barriere informatiche, non senza informatica!

VINCERE LA SFIDA

La sfida decisiva insita nella nuova PAC è legata al salto di qualità della pubblica amministrazione in termini di capacità operative, approccio e metodo di lavoro.

Il passaggio dalla conformità delle attività, alle prestazioni delle stesse, dal rispetto rigoroso delle regole e procedure fissate a Bruxelles verso un intervento strategico delle autorità nazionali e regionali nella fase di impostazione e di attuazione degli interventi, esige una risposta coerente da parte delle istituzioni centrali e territoriali. Ecco che la pubblica amministrazione dovrà acquisire nuove capacità e competenze modificando il consolidato modello di lavoro che si è affermato da almeno tre decenni a questa parte.

 

In quest’ottica, il caso della nuova politica di sviluppo rurale rappresenta il paradigma di riferimento, che dimostra in modo inequivocabile il passaggio dalla conformità al risultato.

Nel concreto, le istituzioni nazionali hanno la possibilità, con il nuovo ciclo di programmazione della PAC, di concentrare le risorse su specifici settori produttivi e su determinati territori. Inoltre, possono scegliere con ampia autonomia gli interventi da attivare, fatto salvo l’obbligo di inserire nel programma quelli di natura ambientale. Possono, infine, orientare gli interventi e le risorse solo verso determinati beneficiari e specifici approcci produttivi; oppure scegliere opzioni a geometria variabile, con l’esclusione di certi settori o determinate categorie di beneficiari in funzione del contesto considerato.

 

Dall’esame dei documenti e delle azioni intraprese risulta però evidente che, in termini di nuovo approccio alla programmazione e di ampia discrezionalità decisionale, in Italia le potenzialità non siano state adeguatamente espresse e, alla fine, siamo tornati a percorrere le esperienze del passato, con la classica divisione delle competenze tra Ministero da una parte e Regioni e Province autonome dall’altra.

 

IMPRENDITORI AGRICOLI

In questo discorso c’è un aspetto che viene comunemente trascurato: in un’agricoltura moderna, gli agricoltori non sono semplici produttori di cibo, ma sono dei veri e propri imprenditori, seppure con caratteristiche peculiari. Ne deriva che, l’altro elemento fondamentale della PAC per l’attuazione coerente e a misura di territorio, sono gli imprenditori e le imprese agricole, a prescindere dalle dimensioni.

 

La prima criticità che balza all’occhio, partendo da questa riflessione è che l’attuale PAC nasce in uno scenario economico diverso a quello in cui viene ad attuarsi, caratterizzato da un alto tasso d’inflazione, dal rialzo dei tassi di sconto e dalla perdita del potere di acquisto delle famiglie medie italiane. Tutti elementi che incidono sui consumi e di conseguenza sulle vendite delle aziende agricole, causando una generale crisi delle stesse.

A questo disallineamento tra il momento dell’ideazione delle politiche e la loro attuazione, si aggiunge anche la scarsa tradizione del mondo agricolo a leggersi come realtà imprenditoriale oltre che economica.

Nel mondo agricolo del XXI secolo occorrono, infatti, degli imprenditori agricoli che non aspettino il finanziamento pubblico per decidere quali investimenti fare, ma che siano in grado di programmare e adeguare la propria attività in funzione dei cambiamenti. Imprenditori agricoli che, con una maggiore capacità associativa, sappiano condizionare i cambiamenti e non solo di subirli, orientando il rapporto con il consumatore finale e con la grande distribuzione.

La risposta alla crisi attuale, sia produttiva che dei consumi, sta nello sviluppare un’agricoltura consapevole. Consapevole dei limiti che la specializzazione estrema comporta, consapevole della necessità di fare ricorso a tutti i mezzi tecnici disponibili, della necessità di maneggiare strumenti finanziari e di marketing e, pure, dell’importanza del supporto di tecnici, intesi come partner capaci di accompagnare l’impresa agricola verso la sostenibilità, sia essa ambientale che economica.

 

UNA NUOVA POLITICA AGRICOLA COMUNE

Siamo convinti che sia possibile avere una politica agricola comune che tenga conto delle differenze agronomiche e territoriali, che possa dare vera attuazione al Green Deal senza contrapposizioni fra posizioni ambientaliste e produttivistiche, che stimoli azioni reali di rigenerazione della fertilità dei suoli, di riduzione degli input esterni al processo produttivo in una reale economia agricola circolare.

 

L’obiettivo è chiaro e l’esperienza di cinquant’anni di PAC può aiutare a migliorare le criticità: ora starà alla nuova classe politica che uscirà dalle urne alle prossime elezioni europee farsi carico di vincere una delle sfide più probanti per i prossimi decenni.

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Green Deal e PAC, come cambia e quanto sarà importante il ruolo degli agronomi? //www.agronomoforestale.eu/index.php/green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi //www.agronomoforestale.eu/index.php/green-deal-e-pac-come-cambia-e-quanto-sara-importante-il-ruolo-degli-agronomi/#comments Tue, 20 Feb 2024 15:28:32 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68498 La politica agricola comune deve riappropriarsi della funzione di stimolo ed indirizzo, recuperando la capacità di programmazione delle attività di comparto.
In questi decenni, attraverso l’erogazione di sussidi slegati dall’esigenza produttiva, si è creata un’agricoltura dipendente dai fondi pubblici, privandola di approccio imprenditoriale. Non è più proponibile una politica agricola che eroghi contributi economici per non produrre.

Questo ha originato uno scenario caratterizzato da aziende sull’orlo della sussistenza, incapaci di progettare il proprio futuro o di adattarsi alle tendenze in atto (di mercato, climatici, globali, ecc.).
Diventa quindi urgente che la politica si riappropri della funzione di indirizzo, dandosi obiettivi di medio e lungo periodo e predisponendo gli strumenti necessari al raggiungimento di questi. Politiche che devono tendere a mantenere ed elevare la qualità dei nostri prodotti agricoli Made in Italy.

Il supporto agli agricoltori deve tornare ad avere la funzione di stimolo all’innovazione delle imprese agricole, per poter affrontate le sfide derivanti dai cambiamenti climatici, attraverso la riprogettazione aziendale e la valutazione di una eventuale sostituzione delle colture con l’applicazione di tecniche innovative.
Al di là dei tecnicismi, le recenti modifiche normative ai centri di assistenza agricola indicano un indirizzo di retroguardia, che offre all’imprenditore agricolo, che spesso è titolare di azienda individuale o familiare, un’assistenza da ufficio, anziché un incentivo alla programmazione e pianificazione tecnica ed imprenditoriale della propria azienda.
Dobbiamo, invece, ridare voce alla consulenza tecnica di competenza per riprendere la funzione di condizionamento dei processi produttivi.
Credere nella scienza, nella ricerca, nella sperimentazione tecnica comprovata e avere sempre la consapevolezza di quello che può dare.

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Clima, biodiversità, filiere corte: l’UE contro la deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/#respond Fri, 23 Jun 2023 06:46:46 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68367 La proposta del Regolamento EUDR (è stato approvato in via definitiva dal Parlamento europeo il 19 aprile scorso ed è diventata legge.

Una norma pensata per contrastare l’emergenza climatica e la perdita di biodiversità e che, avviando filiere corte, controllate e virtuose, può diventare un vantaggioso volano per le produzioni nazionali, europee e un’opportunità per le aree interne.

Cos’è EUDR

Il regolamento europeo EUDR nasce con l’intento di impedire che nei Paesi dell’Unione Europea siano commercializzati prodotti che abbiano causato deforestazione o degrado forestale.

Non si parla solo di legname, ma il regolamento comprende anche i prodotti agricoli e di allevamento: cacao, gomma naturale, caffè, olio di palma, mais, soia e pure carne bovina che alimenta l’espansione dei terreni agricoli a discapito delle superfici forestate. E l’elenco europeo include anche i prodotti derivati quali il cuoio o il mobilio, finanche il cioccolato, una serie di derivati dell’olio di palma, la carta e via dicendo.

A partire da fine 2024, quindi, le aziende che vorranno commercializzare i propri prodotti nell’UE dovranno verificare e certificare che né loro né i loro fornitori abbiano provocato deforestazione o degrado delle foreste dopo il 31 dicembre 2020. Con sanzioni rilevanti: quelle che non rispettano le regole di tracciabilità delle catene di fornitura e di trasparenza in materia di sostenibilità potrebbero incorrere in multe pari ad almeno il 4% del loro fatturato annuo nell’UE.

La verifica (la cosiddetta “due diligence”) della catena di approvvigionamento produrrà conseguenze anche sulla produzione nazionale e quella interna all’UE: per molti prodotti, privilegiare l’origine nazionale diventerà la via più semplice ed economica.” – dichiara Marco Bonavia, consigliere CONAF – “Limitando il ragionamento alla filiera del legno, è concreta l’ipotesi di un effetto positivo sulle economie delle aree interne, che potranno valorizzare una materia prima locale anziché tropicale, che con più facilità saprà dimostrare la gestione con criteri rispettosi sia dell’ambiente che delle molteplici funzioni del bosco.”

 

Un problema concreto

Secondo le stime della FAO, tra il 1990 e il 2020 sono scomparsi 420 milioni di ettari di foreste, una superficie più grande dell’UE, che rappresenta circa il 10% del totale delle foreste della Terra. Contemporaneamente, l’Europa è uno dei maggiori importatori di materie prime legate alla deforestazione, tra cui il 50% del caffè mondiale e il 60% di tutto il cacao: due prodotti che, da soli, sono stati responsabili di oltre il 25% della perdita di copertura arborea a livello mondiale nel periodo 2001-2015.

A ciò va aggiunto che, in base a recenti stime su immagini satellitari, quasi 4 milioni di ettari di foresta tropicale sono andati perduti dal 1993 per fare spazio alle piantagioni di gomma nel Sud-Est asiatico. Oggi le foreste colpite sono spesso frammentate e limitate sia nella loro capacità di immagazzinare carbonio e che nella capacità di ospitare popolazioni vitali di specie minacciate, come gli elefanti asiatici e le tigri di Sumatra.

In questo contesto, fa riflettere pensare che i consumi imputabili all’UE sono responsabili di circa il 10% delle perdite di foreste, con l’Italia quale è il secondo maggior consumatore in Europa di prodotti responsabili della distruzione di foreste (36mila ettari di foresta/anno), dietro la Germania con più di 43mila ettari abbattuti ogni anno.

 

Sulle spalle dell’EUTR

Da dieci anni in UE è in vigore il regolamento EUTR (European Union Timber Regulation), che già chiedeva agli operatori di mercato una maggiore consapevolezza sulla questione dei tagli forestali di natura illegale e un loro maggiore impegno nel controllo delle catene di approvvigionamento.

In due lustri, sono stati raggiunti dei risultati positivi, come una diminuzione delle importazioni nell’UE di legname illegale. Ora ci si attende un ulteriore salto qualitativo, con vincoli più stringenti e un perimetro di tutela dei diritti più ampio.

La vera sfida per rendere davvero efficace il nuovo regolamento sarà quella di evitare le criticità evidenziate dall’EUTR.
Secondo le valutazioni di ETIFOR, il testo mostra quadro normativo più chiaro su verifiche e controlli, introducendo livelli minimi per le ispezioni. Inoltre, il parlamento ha ridefinito gli spazi di autonomia dei singoli stati membri, per evitare situazioni di disparità all’interno dell’UE: è stato chiesto che le autorità competenti abbiano risorse sufficienti e che le sanzioni siano proporzionate al danno ambientale causato e al suo valore.

Tra i cambiamenti più innovativi, c’è il coinvolgimento diretto delle agenzie delle dogane degli stati membri, che potranno rilevare eventuali rischi e comunicarli prima che le merci entrino nell’Unione, fino alla possibilità di bloccare o confiscare i prodotti alle frontiere. Inoltre, un nuovo sistema digitale (il cosiddetto “registro”) andrà a semplificare la gestione dei dati (coordinate geografiche e paese di produzione per ciascun prodotto), l’accesso alle informazioni ufficiali, facilitando anche la cooperazione tra autorità doganali e altre istituzioni competenti.

 

Altri punti di vista

I Paesi produttori di olio di palma stanno cercando di reagire, con la Malesia che sta valutando potenziali restrizioni commerciali che rallenterebbero il flusso di prodotti verso l’Europa e rivedrebbero le importazioni dal blocco.

E voci di dissenso vengono dalle associazioni che rappresentano i piccoli agricoltori che coltivano la palma da olio, che rappresentano tra il 35% e il 40% della produzione globale di olio di palma. Per loro, la palma da olio rappresenta la fonte primaria di reddito in un’economia familiare.

Il nuovo regolamento, secondo queste associazioni, rischia di condurre all’esclusione dei piccoli agricoltori dal mercato dell’UE, con il conseguente reindirizzamento delle esportazioni verso Paesi con normative ambientali più deboli, spostando il problema in altre regioni.

C’è il rischio che milioni di piccoli coltivatori di palma da olio vengano esclusi dalla catena di approvvigionamento dell’UE, limitando l’accesso al mercato solo all’olio di palma prodotto dai grandi operatori. Attualmente, i piccoli proprietari sono l’anello più debole della catena di approvvigionamento globale dell’olio di palma, eppure ci si aspetta che siano loro a sostenere gran parte dell’onere di dimostrare che la loro produzione non ha causato deforestazione. Non disponendo di risorse e competenze, devono già affrontare le sfide per conformarsi agli standard di sostenibilità esistenti. L’imposizione di nuovi requisiti di sostenibilità e tracciabilità aggraverebbe ulteriormente la loro esclusione dal mercato dell’UE.” – hanno dichiarato in un documento The Netherlands Oils and Fats Industry (MVO), the Council for Palm Oil Producing Countries (CPOPC) and Solidaridad.

La questione non è solo limitata all’azione di lobbying per evitare dei costi alla filiera. L’industria della palma da olio, nei Paesi produttori, svolge un ruolo fondamentale nel trasformare le condizioni di vita delle comunità rurali, alleviando la povertà grazie alle opportunità di lavoro e migliorando lo sviluppo sociale. In quanto tale, mantenere vitale l’industria della palma da olio può contribuire positivamente al raggiungimento del Green Deal dell’UE, nonché dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e dei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

 

L’iter legislativo

Le tempistiche per l’entrata in vigore dell’EUDR sono ancora lunghe, si ipotizza che il percorso approvativo si completi per l’inizio del 2025. Dopo la decisione di formale adozione da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, infatti, dovranno passare altri 18 mesi.

Da quel momento in poi, il nuovo regolamento andrà a sostituire il vigente regolamento UE sul legno (EUTR).

Sostenibilità, tutela della biodiversità, commercio equo e riduzione delle disparità sono stati temi discussi anche nel Congresso nazionale di Firenze, a ottobre. Alle imprese, infatti, è anche chiesto di verificare che la propria supply chain rispetti la legislazione del Paese di produzione anche in materia di diritti umani e di diritti delle popolazioni indigene.
L’introduzione di questo regolamento è certamente un segnale positivo, seppure si dovranno affrontare diverse criticità.” – Marco Bonavia, consigliere CONAF

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Il grano e la guerra //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-grano-e-la-guerra/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-grano-e-la-guerra //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-grano-e-la-guerra/#respond Tue, 06 Dec 2022 14:22:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68257 Di Aldo Sisto, dottore agronomo

La guerra in Ucraina ci ripropone in toni molto preoccupanti il tema della sicurezza alimentare nel mondo.
Nel 2021 il numero delle persone che hanno sofferto la fame è salito ad oltre 828 milioni, circa 46 milioni in più rispetto al 2020. La pandemia ha poi contribuito ad esasperare ulteriormente il problema . Da quanto emerge da un rapporto delle Nazioni Unite il mondo si sta allontanando dall’obbiettivo di sconfiggere la fame e la malnutrizione entro il 2030. Questa guerra ha messo in evidenza che determinati problemi di approvvigionamento, sia energetico che alimentare, vanno visti sempre nell’ottica di una concreta condivisione delle difficoltà che possono nascere e coinvolgere tutti gli Stati della comunità internazionale. L’obbiettivo dovrebbe dunque essere quello di evitare che le crisi si abbattano drammaticamente sulle popolazioni economicamente più fragili e soprattutto frustrate anche dai mutamenti climatici. Ieri, ancora una volta, Papa Francesco è intervenuto per evidenziare che dietro a questa III° guerra mondiale ci sono gli “ interessi dei commercianti d’armi e degli imperi deboli che cercano i conflitti per sentirsi forti”. Purtroppo Putin sta seguendo ancora questa logica perversa. Facendosi forte sul suo attuale primato sulle risorse energetiche e cerealicole, ha cercato di conquistare le fertili terre Ucraine per consolidare questo primato. Oggi la Russia è attualmente il primo esportatore mondiale di grano, e Russia ed Ucraina sono i maggiori esportatori di mais e frumento nel continente Africano e nei Paesi più poveri del mondo.

Dipendenza dalle importazioni di grano, importatori netti 2021%

Questi problemi vanno dunque affrontati sul piano internazionale,abbandonando politiche di tipo autarchico e favorendo quelle di condivisione . In quest’ottica di cooperazione bisogna dunque ridare all’agricoltura ed ai trattati commerciali di pertinenza , a mio modesto giudizio, il ruolo centrale che le compete , poiché questo settore ha di fatto in mano la sicurezza alimentare .
Bisogna prendere atto che la mancanza di sicurezza alimentare, non disgiunta dalla sicurezza sugli approvvigionamenti idrici e la sicurezza sanitaria, sono oggi la causa di tensioni sociali, guerre e di conseguenza di migrazioni.

Russia ed Ucraina giocano un ruolo importantissimo a livello mondiale

(tab1- fonte dati USDA)

Nella tabella 1 leggiamo un breve riassunto delle dimensioni in termini di ettari, produzioni e resa delle due agricolture, russa ed ucraina, messe a confronto considerando le più importanti colture.
Risulta subito evidente l’importanza delle colture cerealicole per entrambi le nazioni. In Russia le colture cerealicole compongono il 72% dei seminativi , in particolare il frumento occupa il 52% di queste superfici; in Ucraina i cereali occupano il 62% dei seminativi, in particolare il mais il 38%. Non dimentichiamo poi le oleaginose che occupano in Russia ed Ucraina rispettivamente il 22% ed il 49% delle superfici oggetto d’indagine

Nella tabella 2 rileviamo l’importanza delle esportazioni di cereali per entrambi gli Stati. La Russia esporterà nella campagna 2022-2023, il 46% delle sue produzioni di frumento e l’ Ucraina il 49 % delle sue produzioni di mais. Nell’anno precedente alla guerra ( 2021/2022) l’ Ucraina aveva esportato il 64% delle sue produzioni di mais

Quest’anno la Russia a seguito di un ottimo raccolto di frumento ( 91 milioni di tonnellate) esporterà circa 42 milioni di tonnellate. Un vero record storico che pongono la Russia al 1° posto nel mondo come Paese esportatore di frumento. (tab 2- tab 3) . L’ Ucraina risulta invece al 4° posto come Paese esportatore di mais ed al 5° posto per il frumento.

(tab3 fonte dati USDA)

 

Nell’ipotesi che la Russia fosse riuscita ad impadronirsi delle fertili terre ucraine, l’incidenza percentuale delle sue produzioni di frumento sarebbero passate a livello mondiale dal 12% al 14% e quelle del mais dal 1% al 4% (tab4)

(tab4 fonte dati USDA)

Inoltre la Russia con l’acquisizione dell’ Ucraina avrebbe visto aumentare il peso delle sue esportazioni a livello mondiale di frumento dal 20% al 25% e le esportazioni di mais dal 2% al 11% .

In questo contesto ricordo che l’ Unione Europea detiene il 17% delle esportazioni mondiali di frumento e l’ 1 % delle esportazioni di mais. Mentre gli Stati Uniti, detengono con il 30% il primato delle esportazioni di mais e il 10% delle esportazioni di frumento (Tab 4)
Nella tab 6 leggiamo le produzioni di frumento e mais di alcune nazioni . La Cina risulta essere il maggior produttore di frumento del mondo e gli Stati Uniti il maggior produttore di mais nonché il 1°esportatore con 54,6 milioni di tonnellate.

(tab6 fonte dati USDA)

Oggi la Russia, a seguito di importanti riforme agrarie iniziate nel 2000, si presenta sullo scenario internazionale come una grande realtà agricola, soprattutto nel comparto dei cereali. Da Paese importatore di cereali negli anni ’90, oggi è divenuto il 1° Paese esportatore di frumento nel mondo. Questa riforma agraria ha consentito alla Federazione Russa di passare da 3 ° esportatore mondiale di cereali con 17,4 milioni di tonnellate nel 2009 , dopo Canada (19,3 milioni di tonn.) e Stati Uniti (21,9 milioni di ton), agli attuali 42 milioni di tonnellate. La forza dell’ agricoltura Russa si sta giocando rimettendo a coltura milioni di ettari ( si ipotizza più di 40 milioni) e le tecniche di coltivazione dedicate principalmente alla coltivazione di frumento. Neanche i cambiamenti climatici sembrano impensierire Putin, infatti una sua dichiarazione dice: “Un aumento di due o tre gradi non sarebbe così male per un Paese del nord come la Russia. Potremmo spendere meno per le pellicce e il raccolto di grano aumenterebbe”.
La produzione di grano e cereali in Russia è dominata dalle grandi imprese agricole , che sono i successori dei precedenti kolkhozy e sovkhozy, e attualmente si sono fuse in enormi “megafarms” , conglomerati aziendali o “agroholding”. E’ proprio attraverso queste grandi imprese agricole che è stato possibile mettere a coltura migliaia di ettari che erano prima incolti o mal coltivati.
Oggi 56 grandi compagnie dominano l’agricoltura russa, con 5 società che controllano il 27% delle terre coltivabili. Una tendenza che, nel complesso, ha prodotto un esito positivo.
L’arrivo delle grandi compagnie ha permesso una modernizzazione delle tecniche colturali e delle strutture di raccolta e commercializzazione
In Russia troviamo aziende come Miratog con 1,047 milioni di ettari, Prodimex e Agrokultura con 865 mila ettari, Agrocomplesso con 660 mila ettari, Rusagro con 637 mila ettari ed altre 10 aziende agricole che nel loro complesso coprono 6 milioni di ettari. Una recente indagine dell’ agenzia di consulenza russa BFEL rivela che nel 2021 66 grandi aziende agricole hanno gestito 15,4 milioni di ettari.
Lo stesso troviamo in Ucraina dove vi sono importanti realtà agricole come Agroprosperis con 430 mila ettari, Astarta 250 mila ettari, UrkLandAgricoltura con 570 mila ettari, MHP con 370 mila ettari, Chicco 550 mila ettari, e molte altre.
Queste aziende oltre alla coltivazione di mais , frumento, soia , girasole e semi oleosi in genere, si occupano anche di allevamenti zootecnici ( bovini,suini,avicoli), stoccaggio e commercializzazione di cereali, trasformazione e vendita di prodotti alimentari.
Dalle dimensioni e dall’ ottima organizzazione aziendale di queste realtà agricole si capisce molto bene l’interesse della Russia ad ampliare il controllo in aree limitrofe, tenendo presente anche il fatto che la Russia non ha mai considerato l’ Ucraina uno Stato sovrano.
Putin ha detto, tra le altre cose, che l’Ucraina «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante» e che è stata sostanzialmente inventata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica all’inizio del Novecento: «L’Ucraina moderna è stata interamente e completamente creata dalla Russia”. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è arrivato a dire che l’Ucraina «non ha il diritto di essere una nazione sovrana».
Al di là delle ragioni ideologiche che fanno da corollario a questa guerra, risultano evidenti le ragioni economiche che sono alla base della tentata conquista russa dei territori ucraini. Dipendenza energetica e dipendenze alimentari sono due temi che tutta la comunità internazionale ha il dovere di riesaminare. Quando poi chi governa ha il pieno controllo delle risorse energetiche ed alimentari di quel paese , la comunità internazionale può essere sottoposta a continui ricatti, come appunto sta succedendo oggi attraverso il metano e i cereali.
L’ Italia ha attualmente scarsissime risorse energetiche mentre d’altra parte ha un ottima agricoltura. L’unico ostacolo sono la limitazione della nostra “risorsa terreno” , per cui è necessario mantenere sempre alto il livello delle nostre produzioni soprattutto nel settore cerealicolo. Questo è possibile attraverso la limitazione del consumo di suolo e dando la possibilità agli agricoltori di accedere ad innovazioni scientifiche che possono incrementare le rese in modo sostenibile. Pensiamo solo alle nostre produzioni medie di mais che grazie al miglioramento genetico sono passate dai 2-3 t/ha degli anni ’50 agli attuali 11-12 t/ha. Lo stesso vale per il frumento che oggi attraverso nuove varietà ed il buon controllo agronomico della coltura supera tranquillamente i 90 ql/ha. Teniamo sempre presente che gli agricoltori assieme agli agronomi sono da sempre le sentinelle delle nostre risorse alimentari e dell’ambiente.

 

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Consulenza in agricoltura: stato dell’arte e prospettive future //www.agronomoforestale.eu/index.php/consulenza-in-agricoltura-stato-dellarte-e-prospettive-future/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=consulenza-in-agricoltura-stato-dellarte-e-prospettive-future //www.agronomoforestale.eu/index.php/consulenza-in-agricoltura-stato-dellarte-e-prospettive-future/#respond Fri, 15 Feb 2019 09:12:16 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67206

Foto di Maria Teresa Mazzarosa

La proposta di riforma della Commissione Europea pone i servizi di consulenza al centro del “Nuovo modello di attuazione” della PAC post 2020.
Per ottenere una politica agricola maggiormente orientata ai risultati e capace di utilizzare in maniera efficiente i soldi pubblici, i futuri “piani strategici nazionali sulla PAC” dovranno includere, infatti, un sistema per fornire servizi di consulenza per gli agricoltori e gli altri beneficiari del sostegno della PAC.
Tali piani saranno pertanto verosimilmente incentrati sulla figura del consulente aziendale specializzato in grado tradurre le regole stabilite a Bruxelles e a Roma e spiegarle agli imprenditori agricoli e rurali.
Occorre tuttavia precisare che i servizi di consulenza non rappresentano una novità assoluta all’interno della PAC, quanto piuttosto una riproposizione – questa volta in chiave strategica – di una figura-cardine per una corretta attuazione ed esecuzione delle misure di politica agraria, funzionale a una piena realizzazione degli obiettivi di policy.

La definizione di consulente in agricoltura
Attualmente, infatti, i servizi di consulenza aziendale (Farm advisory systems) vengono definiti a livello europeo dall’articolo 12 del Reg.(UE) 1306/2013 (cosiddetto Regolamento orizzontale sulla PAC) e vengono anche incentivati da una specifica misura prevista dal Reg.1305/2013 (Regolamento sullo sviluppo rurale).
Tralasciando il ruolo finora svolto dai PSR regionali – del tutto marginale, tra l’altro, a causa di diversi dubbi interpretativi, solo di recente chiariti dal Regolamento Omnibus – bisogna comunque tener presente che una definizione ufficiale di consulente agricolo già esiste nel nostro paese.
Più in dettaglio, il sistema di consulenza aziendale in agricoltura è stato istituito in Italia, a recepimento della normativa comunitaria, dall’art. 1-ter del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n.116. Un successivo atto normativo, il Decreto del 3 febbraio 2016 n. 12593, ha poi stabilito le necessarie disposizioni attuative.

Tale decreto stabilisce che i consulenti operano per mezzo di organismi di consulenza, ovverosia organismi pubblici o privati che prestano servizi di consulenza, che devono rispettare alcuni requisiti specifici:

  • avere, tra le proprie finalità, le attività di consulenza nel settore agricolo, zootecnico o forestale;
  • disporre di uno o più consulenti in almeno uno degli ambiti di consulenza individuati dall’allegato 1 del decreto, che non siano in posizioni di incompatibilità;
  • nel caso di organismi privati di consulenza aziendale, essere costituiti anche in forma societaria, con atto pubblico, in una forma associativa consentita per l’esercizio dell’attività professionale.

La verifica di tali requisiti e il riconoscimento degli organismi di consulenza spetta alle Regioni e alle Province nel caso di organismi privati, mentre per gli organismi pubblici la possibilità di effettuare il riconoscimento è estesa anche al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e al Ministero della Salute.

Il Decreto del 3 febbraio 2016 provvede, inoltre, a inquadrare la figura di consulente agricolo. Egli è definito come “la persona fisica, in possesso di qualifiche adeguate e regolarmente formata, che presta la propria opera per la fornitura di servizi di consulenza e i destinatari del servizio di consulenza sono gli agricoltori, i giovani agricoltori, gli allevatori, i silvicoltori, i gestori del territorio e le PMI insediate in zone rurali”.
Nel dettaglio, il possesso di adeguate qualifiche è ritenuto soddisfatto per gli iscritti agli ordini e ai collegi professionali per i rispettivi ambiti di consulenza, mentre per gli ambiti di consulenza non di competenza esclusiva degli iscritti a un albo occorre dimostrare il possesso del titolo di studio e una documentata esperienza lavorativa di almeno tre anni oppure attestato di frequenza a corsi di formazione specifici.
Infine, il requisito di regolare formazione risulta rispettato per gli iscritti agli ordini e ai collegi professionali in regola con gli obblighi di formazione continua obbligatoria.

Possibili evoluzioni
In materia di consulenza, dunque, la proposta di riforma della Commissione agisce in un certo senso in continuità con l’attuale normativa comunitaria, assegnando però un ruolo strategico ai servizi di consulenza nell’ambito del processo di attuazione della futura PAC basato sul “Nuovo modello di attuazione”.
Tuttavia, al momento la proposta non consente di delineare con certezza possibili novità o modifiche che potrebbero riguardare la definizione del consulente agricolo, né tantomeno di prevedere le modalità e criteri secondo i quali tali consulenti potranno operare all’interno; tutti aspetti, questi ultimi, che ciascuno stato membro dovrà specificare nel Piano strategico nazionale sulla PAC.

Una corsa contro il tempo
D’altronde l’iter legislativo, che coinvolge Parlamento europeo, Commissione e Consiglio dei ministri agricoli nell’approvazione della futura riforma della PAC si preannuncia lungo e irto d’ostacoli. Il primo avversario è il tempo. Ad oggi, appare infatti molto difficile (se non praticamente impossibile) che la PAC possa essere approvata prima delle elezioni del Parlamento europeo della primavera 2019; in tempo utile cioè per un’eventuale entrata in vigore dei regolamenti già dal primo gennaio 2021 (vedi box).
Senza dimenticare un dettaglio tutt’altro che trascurabile, ovverosia la necessità di un lasso di tempo congruo affinché gli Stati Membri possano licenziare i loro Piani strategici nazionali.
In un quadro dominato dall’incertezza, tuttavia, il ruolo-chiave affidato ai servizi di consulenza in agricoltura per il post 2020 appare come un dato di fatto, quasi incontrovertibile sul quale fare affidamento per guardare con fiducia alla PAC del futuro.

Scenario delle tempistiche necessarie alla riforma della PAC

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Consulenza in agricoltura: le novità della proposta per la PAC post 2020 //www.agronomoforestale.eu/index.php/consulenza-in-agricoltura-le-novita-della-proposta-per-la-pac-post-2020/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=consulenza-in-agricoltura-le-novita-della-proposta-per-la-pac-post-2020 //www.agronomoforestale.eu/index.php/consulenza-in-agricoltura-le-novita-della-proposta-per-la-pac-post-2020/#respond Fri, 15 Feb 2019 09:12:12 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67196

Foto di Enrica Martinetti

Lo scorso primo giugno la Commissione Europea ha presentato la proposta di riforma per la PAC post 2020. Le bozze di regolamento pubblicate costituiscono un ulteriore importante tassello nella definizione degli strumenti e dei metodi che verranno adottati per sostenere l’agricoltura dell’Ue-27 dopo il 2020.
Tra le tante novità che la proposta introduce, ne emerge una di sicuro interesse per i Dottori Agronomi e i Dottori Forestali italiani. Essa riguarda il ruolo strategico assegnato ai servizi di consulenza aziendale per un’efficace ed efficiente gestione della PAC post 2020.

Perché la UE punta sulla consulenza?
Nello specifico, la proposta prevede un Nuovo modello di attuazione (NMA) della PAC per una politica maggiormente orientata ai risultati.
Tale modello sarà basato su un Piano strategico per la PAC redatto dagli Stati membri che riguarderà la gestione dei pagamenti diretti e dello sviluppo rurale. All’interno di tale piano, ciascuno Stato prevedrà l’istituzione di un sistema per fornire servizi di consulenza agli agricoltori e agli altri beneficiari del sostegno della PAC.
Il sistema di consulenza sarà altamente funzionale al funzionamento del NMA, facilitando il raggiungimento dei risultati specificati nel Piano strategico e migliorando, di conseguenza, l’efficienza della spesa pubblica della PAC (figura 1).
Tale obiettivo potrà essere realizzato coinvolgendo nel sistema di consulenza aziendale professionisti, ricercatori, organizzazioni dei produttori e altri portatori di interesse che potranno contribuire ad aumentare la qualità del capitale umano in agricoltura operando un’opera di trasferimento delle conoscenze mediante azioni di intermediazione e facilitazione.

Figura 1- Il ruolo della consulenza aziendale nella proposta sulla PAC post 2020


Quali sono le opportunità che si aprono per gli agronomi?
La proposta di fatto riconosce nel trasferimento delle conoscenze un “moltiplicatore” della spesa pubblica destinata all’agricoltura e pertanto sostiene il ruolo strategico operato dai consulenti aziendali e dagli altri portatori di interessi pertinenti che formano i sistemi di conoscenza e innovazione in campo agricolo (Agricultural Knowledge and Innovation Systems, noto anche come AKIS).
Scendendo nel dettaglio la proposta prevede che i servizi di consulenza aziendale coprano gli aspetti economici, ambientali e sociali e forniscano informazioni scientifiche e tecnologiche aggiornate, sviluppate mediante la ricerca e l’innovazione.

In particolare, i servizi di consulenza dovranno riguardare almeno i seguenti aspetti:

(a) i requisiti, le condizioni e gli impegni applicabili agli agricoltori e agli altri beneficiari stabiliti nel piano strategico della PAC, compresi i requisiti e le norme nell’ambito della condizionalità e le condizioni per i regimi di sostegno
(b) le informazioni sugli strumenti finanziari e sui piani aziendali istituiti a norma del piano strategico della PAC;
(c) i requisiti definiti dagli Stati membri per applicare la direttiva acque, la direttiva habitat, la direttiva uccelli, la direttiva sulla qualità dell’aria, la direttiva sulla riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, il regolamento sulle malattie animali trasmissibili, il regolamento sull’uso dei prodotti fitosanitari e la direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi.
(d) le pratiche aziendali che prevengono lo sviluppo della resistenza antimicrobica;
(e) la gestione del rischio in agricoltura;
(f) il sostegno all’innovazione, in particolare per la preparazione e l’attuazione di progetti di gruppi operativi del PEI-agri;
(g) lo sviluppo delle tecnologie digitali nell’agricoltura e nelle aree rurali.

La proposta della Commissione prevede poi un supporto finanziario ai servizi di consulenza. Esso sarà erogato nell’ambito di una specifica misura del secondo pilastro della PAC (politica di sviluppo rurale).
Nel caso della creazione di servizi di consulenza aziendale, gli Stati membri potranno concedere un sostegno limitato nel tempo, sotto forma di un importo fisso di 200mila euro per lo scambio di conoscenze e di informazioni tra aziende agricole, silvicole e rurali.
Nell’ambito di questo tipo di interventi gli Stati membri possono coprire fino al 75% dei costi sostenuti per azioni intese a promuovere l’innovazione, l’accesso alla formazione e alla consulenza e lo scambio e la diffusione delle conoscenze e delle informazioni.

Consulenza evidence-based per un’agricoltura smart
In conclusione, le bozze dei regolamenti della PAC post 2020 lasciano intravvedere che nel prossimo futuro la consulenza avrà un’importanza centrale nel processo di trasferimento delle conoscenze, funzionale al raggiungimento degli obiettivi e dei risultati della politica agricola europea.
I consulenti agricoli dovranno farsi trovare pronti, puntando alla formazione professionale continua e sposando un approccio basato sulle evidenze scientifiche e su tecniche di comunicazione che siano al passo coi tempi e in grado di soddisfare il fabbisogno di conoscenza degli imprenditori agricoli. È questa infatti la strada che potrà portare il consulente del futuro a contribuire in maniera decisiva ad aumentare il tasso di «conoscenza per ettaro» delle aziende agricole.

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La prossima PAC per gli iscritti all’Ordine //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-prossima-pac-per-gli-iscritti-allordine/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-prossima-pac-per-gli-iscritti-allordine //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-prossima-pac-per-gli-iscritti-allordine/#respond Fri, 15 Feb 2019 09:12:00 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67189

Gianluca Carraro, Consigliere CONAF coordinatore del Dipartimento Politiche comunitarie ed internazionalizzazione

Copre il 48% del territorio UE, occupa 44 milioni di posti di lavoro, garantisce sicurezza alimentare per 500 milioni di consumatori e produce esportazioni di prodotti agroalimentari per circa 138 mld€. É l’agricoltura dell’Unione Europea.
Con questi numeri è scontato che il relativo strumento di programmazione e governo, la Politica Agricola Comunitaria (PAC), rivesta un ruolo chiave non solo nelle politiche comunitarie ma negli stessi complessi equilibri fra Stati Membri (SM).
Si tratta infatti di decidere come spendere il 28,5% del bilancio comunitario che, in valore assoluto, vale circa 52 miliardi di euro all’anno.


Un quadro articolato

In questi mesi che si sta discutendo la struttura della “nuova” PAC che andrà a caratterizzare il comparto agricolo dal 2021 al 2027.
La tornata elettorale europea e la BREXIT, non ancora definita, complicano un quadro già di per sé estremamente articolato:

  • il reddito degli agricoltori (senza il sostegno PAC) è mediamente inferiore del 50% al reddito medio (stipendi e retribuzioni lordi medi del totale dell’economia-prezzi correnti-Italia),
  • la variabilità del reddito agricolo è notevole e almeno il 20% degli agricoltori, ogni anno, subisce una perdita di reddito (già magro) di oltre il 30% della media dei tre anni precedenti,
  • gli eventi catastrofici nel mondo, per cause meteo o idrologiche o climatiche, sono in evidente crescita (erano circa 200 nel 1980, se ne sono contati 700 nel 2016),
  • gli impatti sulle componenti ambientali, specie in alcune regioni non possono essere sottovalutati (es.: eccedenza di azoto in pianura padana),
  • manca un effettivo ricambio generazionale,
  • questioni come la sicurezza alimentare non possono essere trascurate.


Verso la nuova PAC

Lo sforzo è quello di passare dalla PAC degli ultimi anni (l’attuale quadro normativo risale al 2015) essenzialmente basata sulla conformità alle regole comunitarie (talvolta complicate dagli stessi Stati Membri), con controlli rigidi e richieste di regole più precise da parte della Commissione europea, a una PAC con sostegni mirati e incentrata sui risultati.

Ogni SM dovrà redigere un suo Piano Strategico (PS) che dovrà essere caratterizzato da maggiori ambizioni su clima, ambiente, alimentazione (alimenti sani, nutrienti, sostenibili riducendo gli sprechi alimentari), salute e benessere animale.
Gli SM saranno incoraggiati ad usare “big data” per il controllo e il monitoraggio, non solo del territorio ma anche per la precompilazione delle domande, e sarà incoraggiata la digitalizzazione della stessa vita rurale (dall’agricoltura di precisione alla banda larga) e la consulenza aziendale.
Un ruolo fondamentale l’avranno i servizi di consulenza per azioni ambientali e legate al clima, per la ricerca e sviluppo, per la promozione del consumo, sino ad azioni più di dettaglio: a titolo di esempio si riporta la possibilità di classificare nuove specie di Vitis e varietà di uve da vino aggiuntive (resistenti alle più comuni malattie e quindi a minore input di agrofarmaci).
Con approcci di tipo AKIS (dall’inglese Agricultural Knowledge and Innovation System) si rafforzerà l’interazione tra consulenti, ricercatori, reti rurali in materia di condizionalità, biodiversità, acqua, aria e uso pesticidi, resistenza antimicrobica, gestione del rischio sostegno all’innovazione.

Per questo motivo diventa interessante conoscere bene il riferimento normativo sulla consulenza, che si trova all’art. 13 della proposta di REG. CE Bruxelles, 1.6.2018 COM (2018) 392 final 2018/0216 (COD) (pagina 49).


2 pilastri per il nuovo ruolo di agronomi e forestali

In questo contesto evolutivo l’architettura della PAC, a giudizio dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali, dovrebbe essere articolata su due pilastri:

1. un primo pilastro con due elementi di premio, uno per la condizionalità ambientale e alimentare ed uno per la protezione del rischio reddito;
2. un secondo pilastro basato sulle nuove tecnologie (dell’infrastruttura e di una piattaforma digitale), sulla conoscenza e il trasferimento dell’innovazione e sullo sviluppo delle identità paesaggistiche dei territori dove si pratica una agricoltura di cura e custodia del territorio.

In questo rinnovata architettura giuridica, l’introduzione della figura dell’imprenditore rurale rappresenta un elemento essenziale per consentire l’attuazione del secondo pilastro.


4 aree di intervento

In concreto sono state individuate quattro macro-aree (MA) nelle quali apportare miglioramenti per migliorare l’efficacia e l’efficienza della PAC.
Esse riguardano rispettivamente:

1) Gli obiettivi di policy

  • una PAC moderna deve contribuire a mantenere livelli di occupazione tali da evitare lo spopolamento delle aree rurali; si rende pertanto necessario trovare meccanismi di calcolo che premino le imprese che garantiscono livelli di occupazione più alti, intendendo tra gli “occupati” non solo i dipendenti a tempo indeterminato, ma anche gli avventizi, i componenti familiari, i consulenti esterni dell’azienda e comunque tutte le unità coinvolte nel lavoro a qualunque titolo;
  • occorre perseguire gli obiettivi di valorizzazione delle produzioni di qualità e della salubrità degli alimenti mediante la definizione di target specifici e apposite forme di incentivazione; bisogna valorizzare la trasparenza nella produzione del cibo (i tecnici devono dare risposte chiare e precise a chi usa il cibo e il territorio ai fini agricoli), la rintracciabilità (servono dati accurati sulla provenienza e la trasformazione) e gli effetti benefici sul consumatore;
  • si rende necessaria e obbligatoria per tutti (al pari della RC auto) l’assicurazione delle produzioni agricole al fine di garantire almeno la costanza di redditi in agricoltura.


2) La semplificazione amministrativa e burocratica

  • è urgente e necessario ridurre i gravami amministrativi che creano ritardi nell’applicazione delle politiche agricole a livello nazionale e regionale, semplificando i meccanismi per l’accesso ai pagamenti e ricercando nuovi strumenti che consentano di assegnarli tenendo conto della dinamicità aziendale (intesa come variazione delle superficie condotte nel tempo);
  • il premio per ettaro, pur essendo ancora oggi la base di riferimento (facilmente misurabile) dell’erogazione dei premi, è auspicabile che venga ponderato con altri parametri che tengano conto per esempio della qualità e salubrità degli alimenti, dell’ubicazione aziendale in aree marginali con possibilità da parte dell’agricoltore di scegliere la misura da valorizzare nel suo contesto aziendale: è l’agricoltore che decide quali obiettivi di policy perseguire.


3) I servizi e le attività di innovazione

  • la creazione e lo sviluppo di servizi ICT in aree rurali (compreso il potenziamento della banda larga) consentirà ai consulenti il migliore trasferimento delle conoscenze;
  • l’adozione e lo sviluppo di innovazioni nel settore primario favorirà la cooperazione fra partner privati, consulenti e istituti di ricerca, e costituirà il volano dello sviluppo;
  • gli investimenti strutturali (per esempio la laminazione in agricoltura per rispondere alle precipitazioni straordinarie, le minime lavorazioni per contenere l’erosione, gli inerbimenti e i drenaggi per ridurre la lisciviazione dell’azoto) assumeranno un ruolo prioritario per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici e ridurre l’impatto ambientale;
  • la raccolta dei dati metereologici aziendali e dell’andamento delle popolazioni di microorganismi ed entomofauna e la loro messa in rete consentiranno di predisporre piani d’azione efficaci per la lotta a “nuovi” insetti (cimice asiatica-frutta, punteruolo rosso-palma), a “nuovi” batteri (xylella-olivo; colpo di fuoco batterico erwinia amylovora-pomacee), a “nuovi” virus (sharka-drupacee plum pox virus;).


4) La consulenza aziendale

  • dovranno essere istituite reti di sistemi di consulenza specialistica indipendenti (per ciascuno Stato Membro) al servizio delle aziende agricole, finalizzati per esempio a favorire una vera produzione integrata, la promozione delle migliori pratiche agronomiche e lo scambio di conoscenze fra regioni e SM;
  • altrettanto importante sarà la promozione della formazione continua degli agricoltori e dei consulenti con azioni mirate all’internazionalizzazione (viaggi di studio in Paesi UE ed extra UE, programmi Erasmus “agricoli” per giovani agricoltori e consulenti, ecc.);
  • la delega ai consulenti quali i Dottori Agronomi e Forestali risulterà fondamentale anche per semplificare la gestione burocratica: sotto la propria responsabilità saranno i professionisti a gestire i fascicoli delle domande (PAC e PSR) in sostituzione o affiancamento alla pubblica amministrazione, e loro provvederanno (in una logica di separazione delle competenze e responsabilità) ad attestare/certificare situazioni di fatto, investimenti, collaudi, ecc.;
  • la redazione di bilanci CO2 e di eco-scheme, l’utilizzo di programmi LIFE, la realizzazione di investimenti eco-friendly, la promozione della rotazione colturale invece della diversificazione colturale, la migliore gestione dei nutrienti con riguardo alla qualità acqua, la riduzione dell’erosione (idrica-eolica), la copertura del suolo nei periodi più sensibili, l’utilizzo di legumi da foraggio per ridurre le emissioni GHG (positive esperienze spagnole), la progettazioni di siepi e boschetti (a carattere permanente e non rimossi alla bisogna), saranno solo alcune delle azioni che la consulenza dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali porrà in essere per migliore l’impronta ecologica e l’efficienza aziendale contribuendo a creare valore aggiunto comunitario.

In un contesto in cui la Commissione ribadisce che la futura programmazione vedrà una semplificazione rispetto all’attuale periodo, stabilendo meno regole a livello dell’Unione europea e fornendo maggiore sussidiarietà e responsabilità agli Stati Membri, il ruolo dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali è quanto mai irrinunciabile.

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La Direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali tra imprese nella filiera alimentare //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-direttiva-europea-sulle-pratiche-commerciali-sleali-tra-imprese-nella-filiera-alimentare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-direttiva-europea-sulle-pratiche-commerciali-sleali-tra-imprese-nella-filiera-alimentare //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-direttiva-europea-sulle-pratiche-commerciali-sleali-tra-imprese-nella-filiera-alimentare/#respond Thu, 07 Feb 2019 10:33:57 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67182

Il 19 dicembre 2018 è stato trovato un accordo politico sulla Direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali tra imprese nella filiera alimentare.

La Direttiva si propone di integrare e rafforzare le legislazioni nazionali in materia, vigenti già in 20 Paesi (tra cui l’Italia, con l’articolo 62 della legge 27/2012), migliorando il funzionamento della filiera alimentare e proteggendo gli agricoltori sul mercato vietando pratiche commerciali ritenute sleali.
I pratica, essa rappresenta una “armonizzazione minima” che gli Stati membri possono ulteriormente approfondire in sede di recepimento aumentando i vincoli.

Abbiamo approfondito il tema con Paolo De Castro, relatore della Direttiva nonché Vicepresidente della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo.

PER APPROFONDIRE

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