Progressi – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 08 Aug 2024 13:30:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Quanti alberi si possono tagliare? //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quanti-alberi-si-possono-tagliare //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/#respond Wed, 10 Jan 2024 18:07:44 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68471 In Italia, la copertura forestale è triplicata in poco più di cento anni. Dopo secoli caratterizzati da deforestazione e utilizzo intenso delle risorse forestali più facilmente raggiungibili e sfruttabili – che hanno causato impoverimento dei suoli e diminuzione della biodiversità animale e vegetale – si è assistito a un’inversione di tendenza. Le aree rurali e montane hanno registrato un progressivo abbandono gestionale, favorito dal massiccio sviluppo industriale e urbano e da un forte disinteresse verso le risorse forestali locali.

Negli ultimi decenni, la ricostituzione ed espansione naturale delle foreste è stata accompagnata da una particolare attenzione alla conservazione e alla valorizzazione degli aspetti naturalistici (oltre il 27% delle foreste italiane gode di un particolare regime di tutela naturalistico), alla conservazione del ruolo di protezione dei versanti e regimazione delle acque (circa l’86% delle foreste italiane è sottoposto a vincolo idrogeologico) e alla tutela del paesaggio (il 100% delle foreste italiane è soggetto a vincolo paesaggistico).

Al tempo stesso, l’Italia è uno tra più importanti Paesi al mondo nella trasformazione e lavorazione della materia prima legno ma, come conseguenza delle dinamiche sociali e ambientali degli ultimi decenni, oltre l’80% della materia prima – utilizzata per scopi edilizi e, soprattutto, energetici – proviene dai mercati esteri, con ovvie problematiche in termini di sostenibilità delle filiere locali.
Attualmente l’Italia ha le condizioni, le potenzialità e la responsabilità di gestire questo capitale naturale in modo attivo e partecipato, consapevole delle conseguenze locali e globali, e attento a mantenerne il ruolo multifunzionale. Ma serve trovare nuove vie, adatte al contesto contemporaneo, per gestire le foreste italiane in modo sostenibile e partecipato.

Rimboschimento di larice in Alta Valle Camonica

Valutare i servizi ecosistemici delle foreste
In questo scenario si è recentemente concluso il progetto di ricerca USEFOL – Approcci innovativi per la valutazione della fornitura di servizi ecosistemici in foreste lombarde, che ha dimostrato scientificamente

  • come prevedere la quantità di legno prelevabile in modo sostenibile,
  • come analizzare costi e benefici ambientali del prelievo forestale
  • come calcolare il carbonio immagazzinabile dalle foreste e dai suoli forestali
  • come calcolare le emissioni di gas serra risparmiate utilizzando il legno in sostituzione di materiali e combustibili maggiormente climalteranti.

I territori pilota sono stati l’Alta Val Camonica e l’Alta Valtellina: qui il progetto ha effettuato una previsione relativa ai prossimi 30 anni, ipotizzando diverse scelte di gestione forestale e scenari climatici dai più moderati ai più severi. Le informazioni elaborate sono servite ad aggiornare i documenti di pianificazione forestale con protocolli, strumenti e risultati delle simulazioni effettuate.

Volume (A, C, D) e specie arborea dominante (B, E) nelle aree di applicazione del progetto, alta Valtellina (A, B) e Val Camonica (D, E).


La stima della biomassa legnosa

La biomassa legnosa in Alta Valtellina e Valcamonica è stata stimata grazie a una procedura suddivisa in tre fasi:

  1. rilievo forestale e stima del volume legnoso a terra;
  2. costruzione di un modello di stima “puntuale” calibrato sui dati rilevati a terra e basato sulle misure di altezza delle foreste ottenute con LiDAR satellitare (missione NASA GEDI);
  3. costruzione di un modello di stima “per pixel” per estendere le stime di volume a scala regionale grazie alle variabili spettrali derivate da immagini satellitari Sentinel-2.

Fasi dell’algoritmo per la stima del volume forestale su tutto il territorio analizzato

 

È stato inoltre realizzato un modello di calcolo denominato “WOody biomass and Carbon Assessment” (WOCAS) che quantifica – secondo un approccio “gain-loss” coerente con le Linee Guida dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – le masse di legno (e carbonio) esistenti in ciascuna particella forestale e il loro incremento annuale previsto.

Elementi considerati per calcolare il bilancio del carbonio delle foreste

Effetto previsto della selvicoltura preventive nei confronti del comportamento degli incendi boschivi. Il diradamento degli alberi e la riduzione della vegetazione a terra ostacola la propagazione del fuoco e diminuisce la sua intensità, contribuendo a dissipare più efficacemente il calore.

Quali foreste destinare alla produzione di legno
La definizione delle foreste da destinare alla produzione di legno è stata basata su indicatori capaci di esprimere eventuali limitazioni al prelievo del legno, come il rischio di dissesto idrogeologico, la pendenza, la distanza da strade e piste forestali e la presenza di aree naturali protette.
I possibili prelievi di legno sono stati quantificati ipotizzando diverse ipotesi di gestione forestale, dalla mera applicazione del regolamento forestale regionale a una selvicoltura mirata alla prevenzione dei danni da eventi meteorologici estremi  e alla valorizzazione del legno e dei suoi assortimenti utilizzabili per realizzare prodotti di lunga durata.

Esempio di informazioni disponibili per ciascuna particella in un Piano di Assestamento Forestale.

 

Un secondo modello denominato “FOREstry MAchinery chain selection” (FOREMA) è stato realizzato per ottimizzare la scelta del cantiere di meccanizzazione da allestire per il prelievo del legno (raccolta e trasporto) e calcolarne i costi economici e ambientali.

I benefici climatici
Per quanto riguarda i benefici climatici generati dall’uso del legno, si è valutato l’effetto di sostituzione relativo a edifici residenziali con strutture portanti in legno, anziché in cemento armato e acciaio, in funzione della quantità di legno utilizzato nelle due opzioni costruttive e al Displacement Factor (DF), cioè il rapporto fra le emissioni risparmiate optando per l’opzione costruttiva in legno e la quantità di legno necessaria.

Nel complesso, la sostituzione dei materiali costruttivi corrisponde a un risparmio di emissioni climalteranti nell’ordine delle decine di migliaia di tonnellate di CO2 equivalente. La decarbonizzazione delle filiere fa sì che la sostituzione dei materiali negli edifici che verranno costruiti nel breve termine corrisponda a risparmi maggiori.

Emissioni evitate per grado di sostituzione. La linea rossa rappresenta le emissioni associate agli edifici in cemento.

 

Stime per tutti i territori montani
Per estendere queste stime a tutti i territori montani è stato pubblicato sul sito di progetto un foglio di calcolo utile a valutare gli effetti dei prelievi sul carbonio immagazzinato nei prodotti legnosi e sulla sostituzione di materiali edili e combustibili fossili più emissivi.
I gestori di aree forestali possono inserire i prelievi forestali programmati nella loro area, gli impieghi previsti per il legno prelevato, e stimare il possibile beneficio climatico per il periodo 2020-2050.
La crescita attesa delle foreste e i flussi di carbonio da e verso la foresta sono stati simulati con il Carbon Budget Model del Servizio Forestale Canadese, in funzione degli scenari climatici elaborati dal modello MPI-ESM-LR del Max Planck Institute. Il modello è specificatamente pensato per studiare i flussi di carbonio tra i diversi serbatoi forestali e l’atmosfera e può simulare un’elevata varietà di disturbi e trattamenti. Le variazioni attese di temperatura e precipitazioni hanno influito in modo diretto sulla crescita degli alberi (comportando aumenti della produttività dallo 0 al 3% annuo delle conifere e dal 6 al 16% annuo per il castagno e le altre latifoglie), e in modo indiretto attraverso il loro effetto sull’area percorsa dagli incendi e la mortalità degli alberi a causa della siccità.

Andamento previsto del volume del bosco e de prelievi di abete rosso (boschi disetanei a media fertilità) nell’area di studio in diversi scenari climatici e gestionali

 

La selvicoltura preventiva, che mostra prelievi iniziali minori, diventa invece quella più conveniente verso fine simulazione. A parità di clima, la selvicoltura basata sull’applicazione dei regolamenti oggi in vigore è invece la meno conveniente a fine simulazione, in quanto associata a prelievi troppo intensi e non sostenibili.

Effetto del cambiamento di gestione forestale sui diversi serbatoi di carbonio nel periodo 2020-2050, secondo due scenari climatici e due scenari gestionali. In verde gli accumuli di carbonio nella foresta e nei prodotti legnosi, in blu gli effetti di sostituzione (emissioni evitate utilizzando legno al posto di materiali e combustibili basati su fossile).

 

Il miglior compromesso
Secondo le simulazioni del progetto, il miglior compromesso tra assorbimento di carbonio nella foresta, prevenzione dei danni climatici al bosco e effetti di sostituzione delle emissioni grazie ai prodotti legnosi si ottiene applicando interventi di selvicoltura preventiva e un prelievo di legno solo sul 25% della superficie forestale disponibile.

Per tutti gli operatori del settore, il progetto USEFOL ha prodotto due linee guida innovative per la gestione forestale sostenibile in Italia.
La prima fornisce una guida completa sulla gestione forestale per la mitigazione climatica e sulla generazione e il conteggio di crediti di carbonio, alla luce della recente introduzione del Registro pubblico dei crediti generati su base volontaria dal settore agroforestale nazionale.
Il secondo manuale, invece, fornisce un supporto alla redazione dei piani di approvvigionamento di biomassa legnosa per fini energetici, offrendo una panoramica della gestione e pianificazione forestale sostenibile, delle tecniche di stima della disponibilità di biomasse legnose, della meccanizzazione applicabile e delle condizioni in cui l’utilizzo energetico del legno è climaticamente sostenibile.

Per le scuole
A scopo didattico, il team di progetto ha anche realizzato un opuscolo sulla filiera bosco-legno rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e un video per la primaria e secondaria di primo grado, dal titolo “La scrivania di larice“: un breve viaggio, immaginario ma al tempo stesso reale, lungo una filiera corta e locale bosco-legno-energia, che racconta in modo semplice e immediato la storia che può nascondere un oggetto di legno proveniente da Gestione Forestale Sostenibile.

Uno dei team di progetto al termine di una giornata di misure in bosco

 

USEFOL
È un progetto finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del programma per Progetti di ricerca in campo agricolo e forestale.
È coordinato dal prof. Renzo Motta dell’Università di Torino e con la partnership dell’Università di Milano, FIPER (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili) e Associazione Consorzi Forestali della Lombardia.

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Da rifiuto a risorsa //www.agronomoforestale.eu/index.php/da-rifiuto-a-risorsa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=da-rifiuto-a-risorsa //www.agronomoforestale.eu/index.php/da-rifiuto-a-risorsa/#respond Fri, 30 Jun 2023 06:16:05 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68410

Alice Vezzosi si è laureata lo scorso febbraio 2023 nella laurea triennale in Scienze Agrarie con un elaborato “Da rifiuto a risorsa: valorizzazione dei fanghi di cartiera come ammendante in floricoltura e infrastrutture verdi”, discussa con il professor Roberto Cardelli e la dott.ssa Francesca Brezel. Nel suo lavoro, la giovane studentessa ha dimostrato come i fanghi delle cartiere possano venire utilizzati come risorsa nei substrati di coltivazione e nel suolo.

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambiamento della nostra società volto sempre più a comprendere l’importanza della sostenibilità, soprattutto nell’ambito dei processi produttivi.

1000 tonnellate all’anno
In materia di rifiuti, le proiezioni sul futuro del pianeta vedono una conversione del modello economico lineare in un modello economico circolare. L’Unione Europea, che ogni anno si trova a gestire più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti, in questo senso sta aggiornando la propria legislazione. Per quanto concerne l’industria cartaria, in tutta l’UE, si attesta una produzione di 85 milioni di tonnellate, in particolare l’industria cartaria italiana si è collocata al terzo posto dopo Germania e Svezia.
Questo tipo di industria solo nel 2019 ha prodotto più di 982.400 tonnellate di rifiuti totali, dei quali più del 22% finisce in discarica con costi elevati e un forte impatto ambientale. Solo una bassissima percentuale vede il loro utilizzo in opere di ripristino ambientale.

Il fango di cartiera, un problema da smaltire
Il fango di cartiera deriva dal trattamento meccanico delle acque di lavorazione ed è costituito solo da fibre, senza altre sostanze di carica o contaminanti, poiché il processo di disinchiostrazione che si faceva è ormai obsoleto e si riferiva a un periodo storico dove abbondavano carte stampate. Le cartiere a pura cellulosa producono circa lo 0,1% dei fanghi rispetto alle cartiere che impiegano carta da riciclo.

La produzione di fango si articola nelle seguenti fasi:

  1. le acque defluiscono verso una grossa vasca conica di sedimentazione, dove il fango decanta e viene aspirato e condotto a filtropresse per la spremitura, che ne porta il contenuto residuo di acqua al 50% circa;
  2. tramite nastri trasportatori, il fango filtropressato arriva all’impianto di essiccazione;
  3. appositi impianti rotanti, essiccano il materiale, portandolo ad una umidità residua del 10% circa.

Carta destinata al recupero -(foto di F. Brezel)

Fango in decantazione -(foto di F. Brezel)

Impianto di essiccazione -(foto di F. Brezel)

Materiale essiccato – (foto di F. Brezel)

 

Di questi fanghi ne vengono prodotti circa 48.000 tonnellate all’anno costituendo un consistente problema gestionale per tutto il sistema produttivo cartario.
Le vie più comuni per il loro smaltimento sono lo stoccaggio in discarica o l’incenerimento dove, tuttavia, presentano costi elevati e causano un notevole impatto ambientale, attraverso la produzione di gas e percolato. Inoltre, si ha la perdita di materiale potenzialmente utile in quanto, sono una ricca fonte di carbonio organico ed elementi (tabella 2.2) che risultano potenzialmente utili in termini di energia, fertilizzanti o altre risorse. Risulta quindi importante un loro riutilizzo in un’ottica di un’economia circolare.

La caratterizzazione chimico-fisica
Allo scopo dell’impiego dei fanghi come ammendante di substrati di coltivazione è di fondamentale importanza conoscere la loro caratterizzazione chimico-fisica dei fanghi utilizzati, per cui sono state effettuate le principali analisi.
In base alle caratteristiche riportate in tabella, il fango analizzato può avere un certo effetto alcalinizzante minerale quando applicato al suolo e, soprattutto, quando caratterizzato da scarso potere tampone. Inoltre, presentano una buona conducibilità elettrica e un buon contenuto di sostanza organica, composta principalmente da fibre lignocellulosiche. Questo elevato contenuto fibroso li rende ideali per migliorare le proprietà fisiche (per esempio porosità, capacità di ritenzione idrica, areazione) dei suoli e dei substrati di coltivazione.

Tabella 2.1 – Caratterizzazione chimica

Come riportato nella tabella 2.2 a causa dell’elevato contenuto di carbonio organico e il basso contenuto di azoto totale si hanno valori relativamente elevati del rapporto C/N, indicando quindi la necessità di aggiungere N per microrganismi e piante in caso di utilizzo dei fanghi come ammendante del suolo.
Per quanto riguarda invece l’elevata quantità di Ca può essere dovuta alla presenza di materiali di rivestimento come sbiancanti per carta/opacizzanti, al talco di riempimento da carta riciclata e/o alla presenza di carbonati o idrossidi utilizzati nel processo di finitura della carta. Anche il Na potrebbe essere correlato all’idrossido di sodio presente nel processo di spappolatura.
La presenza di Fe e Cu potrebbe essere collegata agli inchiostri o alle impurità della carta patinata al caolino o di altri materiali inorganici.

Tabella 2.2 – Caratterizzazione chimica dei fanghi di cartiera

Cosa dice la legge
Attualmente il fango, con codice CER [030310], può essere conferito per ripristini ambientali con un limite percentuale massimo del 30% in peso per fanghi al 27% minimo di sostanza secca (DM 22/1998).
Nonostante l’impiego autorizzato, il settore non presenta una richiesta continua, risultando quindi poco affidabile per chi produce tonnellate di rifiuti. Un altro potenziale utilizzo è stato trovato nel settore edilizio dove il fango è utilizzato per la produzione di laterizi.
Studi recenti sono indirizzati anche nel loro possibile impiego nella realizzazione di substrati per infrastrutture verdi.

Il potenziale delle infrastrutture verdi
L’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (IRET) di Pisa del CNR ha avviato, nell’ambito dei progetti “CARPET Carta Pellet Tetti” e “CAREER dalla Carta alla Pianta”, delle sperimentazioni sul potenziale utilizzo di questi fanghi come componenti dei substrati in tetti verdi estensivi e come componente di substrati per impianti arborei.

Un tetto verde prevede la messa a dimora di vegetazione sulla copertura di un edificio, con lo scopo di migliorarne le prestazioni nei confronti del clima ed eventi meteorici urbani.
Il progetto “CARPET Carta Pellet Tetti” aveva lo scopo di testare l’attitudine dei fanghi di carta pellettati nella realizzazione di substrati di crescita per tetti verdi estensivi per migliore la biodiversità e fornire un habitat indisturbato per gli insetti impollinatori.
I tetti verdi estensivi sono costituiti da un substrato di crescita per le piante di 10-20 cm e viene realizzato con specie adatte che lo rendono ecologicamente vantaggioso per i servizi ecosistemici.
Sono stati impiegati:

  • un substrato di controllo composto da lapillo e compost (ammendante compostato verde);
  • un substrato sperimentale composto costituito da lapillo e fango pellettato
  • un substrato sperimentale con lapillo, fango pellettato e compost.

Su ogni substrato sono state trapiantate circa 30 specie erbacee e Sedum, tipicamente utilizzato per la realizzazione dei tetti verdi. Il substrato con pellet di fango, con lapillo e compost si è dimostrato adatto per incrementare la diversità di specie vegetali presenti rispetto agli altri due trattamenti (Figura 2).

Sperimentazione su tetti verdi estensivi presso Cnr Pisa, nel mese di maggio i Sedum fioriscono e attirano impollinatori (foto di F. Brezel)

All’interno del progetto “CAREER dalla Carta alla Pianta”, è stata valutata l’idoneità dei fanghi di cartiera pellettizzati in miscela con ammendante compostato verde, pomice e zeolite per la costituzione di un substrato di crescita alternativo ad uno tradizionale a base di torba, pomice e zeolite.
Nello studio sono state prese in esame le seguenti specie: Quercus ilex L., Lagerstroemia indica L. e Prunus serrulata Kazan, specie arboree ornamentali comunemente utilizzate in contesti urbani. Dopo due anni di crescita in vivaio, gli alberi sono stati piantati in situ e monitorato lo stato di salute delle piante in post-impianto.
Dai risultati si è evidenziato come l’utilizzo di questo substrato alternativo abbia portato a un buon attecchimento delle piante, con un maggiore contenuto in biomassa vegetale rispetto al substrato di controllo. Inoltre, il substrato alternativo ha garantito una maggiore volume di acqua, un incremento della capacità di ritenzione idrica e un buon contenuto di azoto totale. Tutto ciò si è tradotto nella crescita di piante sane .

Rilievi sull’efficienza fotosintetica su L. indica trapiantata all’Area verde del Cnr di Pisa (foto di F. Brezel)

Dai casi studio analizzati, si evince che i fanghi di cartiera possono avere un concreto potenziale come ammendante del suolo e di substrati di coltivazione.
Altri progetti sperimentali devono essere eseguiti al fine di riuscire a ottenere un adeguato riconoscimento del fango di cartiera come un materiale polivalente in grado di apportare benefici all’ambiente urbano continuamente a rischio e offrire nuove opzioni sostenibili a livello commerciale, in armonia con le norme relative.

Bibliografia di riferimento
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Francesca Bretzel, Dalla carta alla pianta. Il percorso inverso che fa bene all’ambiente, FCRL magazine (2021)

Vannucchi, F., Pini, R., Scatena, M., Benelli, G., Canale, A., & Bretzel, F. (2018). Deinking sludge in the substrate reduces the fertility and enhances the plant species richness of extensive green roofs. Ecological Engineering, 116, 87-96)

Francesca Bretzel, Eliana Tassi, Irene Rosellini, Emna Marouani, Asma Khouaja e Ahmed Koubaa, Characterization of Italian and Tunisian Paper Sludges to employ it as soil amendment, Springer (1-04-22)

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//www.agronomoforestale.eu/index.php/da-rifiuto-a-risorsa/feed/ 0
Comprensione della biologia riproduttiva degli agrumi per il miglioramento genetico attraverso l’utilizzo di diversi approcci metodologici //www.agronomoforestale.eu/index.php/comprensione-della-biologia-riproduttiva-degli-agrumi-per-il-miglioramento-genetico-attraverso-lutilizzo-di-diversi-approcci-metodologici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=comprensione-della-biologia-riproduttiva-degli-agrumi-per-il-miglioramento-genetico-attraverso-lutilizzo-di-diversi-approcci-metodologici //www.agronomoforestale.eu/index.php/comprensione-della-biologia-riproduttiva-degli-agrumi-per-il-miglioramento-genetico-attraverso-lutilizzo-di-diversi-approcci-metodologici/#respond Wed, 16 Jun 2021 12:28:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68104 Di Stefania Maria Bennici vincitrice del premio Stanca 2021.
L’articolo sintetizza i risultati della tesi di dottorato in Agricultural, Food and Environmental Science, Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente, Università degli Studi di Catania dal titolo “Citrus reproductive biology: physiological and genetic aspects of sterility, seedlessness and fruiting”.

Gli agrumi presentano una complessa genetica e biologia riproduttiva che rendono il miglioramento genetico attraverso le strategie convenzionali lungo e complesso.

Abstract
La fioritura è uno dei momenti più importanti durante il ciclo vitale di una pianta in quanto legato al successo riproduttivo e alla produzione di frutti. Gli agrumi presentano una complessa genetica e biologia riproduttiva che rendono il miglioramento genetico attraverso le strategie convenzionali lungo e complesso. L’utilizzo di diverse metodologie che includono approcci genetici, istologici e biotecnologici permette di comprendere meglio la biologia riproduttiva degli agrumi contribuendo a fornire nuove informazioni da sfruttare nella pianificazione di programmi di miglioramento genetico in agrumi.

Gli agrumi
Gli agrumi sono tra le più diffuse e importanti colture da frutto nel mondo sia in termini di produzione che di area coltivata caratterizzando fortemente i territori dell’area del Mediterraneo che contribuiscono al 7% della produzione mondiale. Le principali specie coltivate sono l’arancio dolce e i mandarini (con il 50% e il 22% della produzione mondiale, rispettivamente) destinati al consumo fresco e alla trasformazione. Gli agrumi sono altamente apprezzati per la qualità dei loro frutti, soprattutto per le loro proprietà organolettiche e il loro valore nutritivo come l’alto contenuto in antiossidanti e vitamine. Per rispondere alla crescente domanda di frutti di ‘alta qualità’ gli obiettivi del miglioramento genetico sono mirati sia alla chioma che al portainnesto: incremento della qualità dei frutti (apirenia, colore e spessore della buccia, pezzatura, epoca di maturazione, rapporto zuccheri/acidi, contenuto di componenti benefici), resistenza post-raccolta, resistenza a fattori di stress biotici e abiotici. Tuttavia, le convenzionali tecniche di miglioramento genetico in agrumi come l’ibridazione sono ostacolate dalle peculiarità della genetica e biologia riproduttiva di questa importante coltura.

Le convenzionali tecniche di miglioramento genetico in agrumi come l’ibridazione sono ostacolate dalle peculiarità della genetica e biologia riproduttiva di questa importante coltura

La biologia riproduttiva degli agrumi
Gli agrumi presentano una complessa genetica e biologia riproduttiva che include: apomissia, partenocarpia, auto- e inter-incompatibilità, sterilità del polline e/o dell’ovaio. Inoltre, gli agrumi sono caratterizzati da un elevato livello di eterozigosi e una lunga fase giovanile (5-10 anni) che rendono la costituzione e la valutazione di nuovi ibridi lunga e complessa. La fioritura rappresenta la transizione dalla fase vegetativa a quella riproduttiva e rappresenta una delle fasi più critiche durante il ciclo vitale della pianta. Essa è regolata da una complessa coordinazione di fattori ambientali ed endogeni (fotoperiodo, vernalizzazione, temperatura ambientale, apporto idrico, stato nutrizionale, metabolismo ormonale, carico dei frutti) che influenzano la fertilità dei gameti, la produzione dei frutti e la durata della fase giovanile. In generale, nei climi subtropicali gli agrumi fioriscono in primavera dopo un periodo di quiescenza e l’esposizione alle corte giornate e alle basse temperature invernali, che inducono l’espressione dei geni della fioritura. Tra questi, il gene Flowering Locus T (FT) è uno dei principali geni coinvolti nella regolazione della fioritura e nel controllo della fase giovanile. Esso si esprime nelle foglie codificando una proteina che attraverso il floema raggiunge l’apice meristematico dove induce lo sviluppo dei fiori e di conseguenza dei frutti. In generale, la produzione dei frutti è legata al successo della impollinazione e della fecondazione, contrariamente, nelle specie partenocarpiche l’assenza della fertilizzazione, dovuta a sterilità maschile e/o femminile o l’auto-incompatibilità (come in alcune varietà di arancio dolce e mandarino) comporta la produzione di frutti apireni, carattere di qualità altamente apprezzato. Tuttavia, in condizioni di impollinazione incrociata la presenza di polline compatibile e/o fertile può determinare la presenza di semi nei frutti riducendone la qualità. Le strategie utilizzate per evitare tale inconveniente (utilizzo di reti, trattamenti chimici per l’induzione della sterilità, manipolazione del livello di ploidia, irraggiamento) risultano lunghe e complesse rendendo necessario approfondire le conoscenze della biologia riproduttiva degli agrumi.

Strategie per l’analisi della biologia riproduttiva degli agrumi
Nonostante le limitazioni imposte dalla genetica e dalla biologia degli agrumi, lo sviluppo di marcatori molecolari, la disponibilità di sequenze di genomi di riferimento di alcune importanti specie come arancio dolce e mandarino clementine e gli avanzati approcci biotecnologici permettono di ampliare le conoscenze di questa importante coltura e accelerare gli studi di caratterizzazione e miglioramento varietale.
I risultati della ricerca hanno messo in luce gli effetti di fattori ambientali e genetici che regolano la biologia riproduttiva in agrumi combinando diversi approcci metodologici.
È noto che il portainnesto controlla molti aspetti del vigore vegetativo e della resa in frutti nella chioma, tuttavia i suoi effetti sull’induzione antogena nella chioma sono scarsamente investigati.
Le analisi di trascrittomica condotte su arancio dolce hanno evidenziato che il portainnesto è implicato nella regolazione dell’espressione dei geni della fioritura FT nella chioma durante l’induzione antogena nella stagione invernale influenzando così l’intensità della fioritura nella primavera successiva e di conseguenza la produzione. Questo aspetto è di particolare interesse per molte colture, comprese le specie di agrumi, che vengono regolarmente innestate in quanto la scelta del portainnesto influenza notevolmente i tratti di interesse economico come l’architettura della pianta, la resa, la qualità dei frutti e la tolleranza agli stress biotici e abiotici. Inoltre, la necessità di impiego di portinnesti tolleranti al virus della tristezza degli agrumi (CTV) richiede una valutazione capace di selezionare nuovi genotipi in grado di adattarsi a differenti condizioni ambientali e conferire al frutto caratteristiche qualitative ottimali.Tra i fattori che influenzano la fioritura e lo sviluppo dei gameti, la temperatura sembra essere il fattore più determinante soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici attualmente in atto caratterizzati da fluttuazioni estreme al di fuori dei valori termici ottimali. Il mandarino clementine è una delle varietà più importanti sia da un punto vita economico che scientifico in quanto considerato una pianta modello.
Analisi istologiche e test in vitro hanno analizzato gli effetti degli stress termici durante lo sviluppo del polline in mandarino clementine. I risultati hanno evidenziato come questi, in particolare l’esposizione ad alte temperature durante il periodo di fioritura, inducono alterazioni morfologiche nei tessuti delle antere tali da alterare il metabolismo dei carboidrati nei granuli pollinici riducendone la germinabilità.
I risultati, oltre a mostrare gli effetti degli stress termici sulla vitalità del polline, identificano i tessuti e i processi fisiologici alla base della sterilità maschile che possono essere sfruttati per guidare la selezione di geni candidati associati alla sterilità/apirenia.
L’apirenia è sicuramente uno dei caratteri di qualità maggiormente apprezzati dai consumatori. La comparazione di dati di sequenziamento della varietà apirena di mandarino ‘Tango’ con il genoma di riferimento del clementine ha permesso di selezionare alcuni geni candidati associati alla sterilità. Uno dei problemi negli studi di caratterizzazione genica funzionale in agrumi è la lunga fase giovanile. I nuovi approcci biotecnologici e transgenici sono stati sviluppati per superare i problemi legati alle strategie di breeding tradizionale riducendo la fase giovanile attraverso la manipolazione dei geni legati alla fioritura. Al fine di caratterizzare uno dei geni candidati associati alla sterilità sono state costituite delle piante transgeniche di agrumi che combinano il silenziamento del gene candidato con la sovra-espressione del gene FT permettendo di ridurre la fase giovanile e velocizzare la fase di caratterizzazione dimostrando come questo rappresenti un valido approccio per gli studi di caratterizzazione genica funzionale su agrumi.

Riferimenti bibliografici
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La ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca—Progetto PRIN “Investigating Self-Incompatibility DEterminants in fruit trees (ISIDE)” Prot.2015BPM9H3.

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Il bosco ceduo nell’Appennino modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/#respond Mon, 04 Nov 2019 07:18:37 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67370 Alla luce del Regolamento Forestale della Regione Emilia Romagna n.3 del 1 ° agosto 2018

PREMESSA
La gestione boschiva nell’Appennino modenese (comuni di Frassinoro e Montefiorino) è stata oggetto di una tesi di laurea presso il dipartimento di Scienze della Vita, Agraria, Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie e degli Alimenti, Unimore, discussa il 17 luglio 2019 relatrice la Prof.ssa Cristina Bignami, primo correlatore: Dott. Pietro Natale Capitani (già Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Modena), secondo correlatore: Dott. Claudio Cavazza, della Regione Emilia Romagna, laureando: Cesare Magnavacca.

INTRODUZIONE
È ampiamente condivisa l’idea che l’agricoltura collinare e montana abbia perseguito nel passato l’obiettivo di destinare alle colture agricole i terreni migliori, relegando i boschi alle aree più impervie; così il bosco, che fino ai primi del ‘900 era un elemento basilare nella economia agricola, ha perso sempre più importanza. Due esempi su tutti:

  • l’abbandono del ceduo, in quanto il legno ha subito una forte concorrenza da parte di altri combustibili più economici e di più facile approvvigionamento; la rinuncia della ceduazione avviene anche in nome di un ripristino della naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico.
  • l’abbandono del castagneto da frutto, che per secoli ha contribuito a soddisfare le esigenze economiche della popolazione montana, ma che ora più raramente è seguito e curato[1].

I dati raccolti ai fini della tesi, grazie alla collaborazione della Regione Emilia Romagna- Servizio Aree protette, Foreste e Sviluppo della Montagna e del sub-ambito montano dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico, sono relativi alle richieste di autorizzazione al taglio presentate nel periodo 2008-2019; la loro interpretazione porta a concludere che, tuttavia, in certi ambiti montani, il taglio a ceduo è ancora attivo e che è sviluppata la coltura del castagno, soprattutto di qualità.

 

ASPETTI GEOGRAFICI, CLIMATICI GEOLOGICI E PEDOLOGICI

La valle del Dragone dal castello di Montefiorino (riproduzione privata)

Le caratteristiche dei comuni presi in considerazione sono le seguenti.

Il comune di Montefiorino ha una estensione di 45,35 km2, presenta una escursione altimetrica di 886 m, s.l.m.,  fra una quota minima di 324 m e una massima di 1210 m, con il paese a circa 797 m.
Il comune di Frassinoro ha una estensione di 95,93 km2, presenta una escursione altimetrica di 1206 m, s.l.m., estendendosi fra una quota minima di 502 m e massima di 1708 m, con il paese a circa 1.131 m[2].
Entrambi i comuni sono situati nella valle del Dragone, che scorre per oltre 30 chilometri lungo la dorsale appenninica fino a raggiungere il Dolo; il Dragone prende origine dai numerosi torrenti e corsi d’acqua che scendono dal crinale in prossimità del Passo delle Radici che segna il confine tra l’Emilia e la Toscana.

Il clima è continentale per la temperatura con inverni freddi ed estati fresche. Le piogge hanno una distribuzione di tipo mediterraneo con precipitazioni più intense in primavera e autunno.

I terreni sono prevalentemente argillo-marnosi nelle zone più basse e arenaceo-marnosi in quelle più a monte; essi presentano in generale condizioni di instabilità dei versanti e un’accentuata suscettibilità all’erosione superficiale.

I suoli variano da profondi a superficiali, a tessitura media, calcarei, moderatamente alcalini. Per quanto riguarda lo scheletro possono variare da scarsamente a molto ciottolosi negli orizzonti profondi.

Afferenti ai comuni considerati vi sono alcune zone particolari dal punto di vista ambientale: tre siti di Natura 2000, che rappresentano aree protette con gestione forestale normata secondo un particolare articolo del Regolamento Forestale regionale n.3 del 1° agosto 2018[3] (che nel seguito chiameremo nuova normativa per distinguerla dalle “Prescrizione di massima e di Polizia Forestale”[4], in vigore nel 2008 e che chiameremo nel seguito vecchia normativa).

Ceduo matricinato (riproduzione privata)

Natura 2000[5] è un sistema organizzato in rete di aree (siti e zone) destinate alla conservazione della biodiversità. Questa rete è presente su tutto il territorio dell’Unione Europea ed è rivolta alla tutela di ambienti quali foreste, zone umide, ambienti rocciosi e delle specie animali e vegetali in essi viventi.

La Regione Emilia Romagna si occupa della gestione complessiva del sistema territoriale delle aree protette e dei 158 siti della rete Natura 2000, che ricoprono una superfice complessiva di circa 270.000 ettari. Provvede ad esse per conto del Ministero per l’Ambiente e della Commissione Europea.

 


METODOLOGIA E RACCOLTA DATI

Faggeta in riconversione ad alto fusto (riproduzione privata)

Per la raccolta dati è stata svolta un’analisi di archivio, con l’esame delle richieste di taglio depositate presso il comune di Montefiorino per entrambi i comuni. Le “richieste di utilizzazione” del bosco ceduo sono presenti in formato cartaceo, dal 2008 al 2015, in formato digitale dal 2016 al 2019.
Nel comune di Frassinoro è stata effettuata un’ulteriore analisi per le zone SIC e ZPS.

Nei dati raccolti si è deciso di semplificare la specie arborea prevalente della superficie destinata all’esbosco, secondo la seguente classificazione: Faggio, Castagno, Quercia, Abete (comprendente abete bianco e abete rosso), misto latifoglie[6].
Quest’ultimo è caratterizzato da una molteplicità di specie che condividono la stessa area boschiva e diverse a seconda della fascia altimetrica.
Il misto latifoglie a Montefiorino è costituito da: quercia, castagno, faggio, ciliegio selvatico, pioppo, robinia mentre quello a Frassinoro è costituito da: faggio, frassino, quercia, acero, olmo e ciliegio selvatico.

 

ANALISI DATI

Le richieste di autorizzazione di cui si è tenuto conto sono state quelle complete in ogni loro voce significativa per la ricerca (quindi per esempio superficie interessata, specie arborea, età dell’ultimo taglio,…); si sono quindi esaminate 620 richieste di taglio per il Comune di Montefiorino, e 975 richieste per il Comune di Frassinoro (comprendenti 119 domande nelle aree protette).

Fig.1 – Numero di richieste per comune

Dal grafico di Fig.1 si evince che le zone protette di Natura 2000, per le quali la nuova normativa prevede un articolo a parte3, pur sottoposte a vincoli maggiori quali il divieto di taglio di piante vive con diametro superiore a 1 m e l’aumento della turnazione dei boschi di faggio e di castagno puri, non limitano le risorse forestali. Le numerose domande, soprattutto fatte da ditte forestali mostrano che anche la selvicoltura di quelle zone può essere sviluppata.

Fig.2 – Superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato

L’istogramma di Fig.2 indica la superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato. Si può osservare una tendenza alla decrescita più accentuata nel comune di Montefiorino, il cui territorio presenta nel complesso una minore vocazione forestale rispetto al territorio di Frassinoro.

 

 

 

Fig. 3 e 4 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 Le coppie di diagrammi a torta di Fig.3 e 4 e Fig.5 e Fig.6 riportano numero e percentuale dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).
Come si vede c’è un’ampia sovrapposizione del richiedente privato con l’uso domestico perché l’uso della legna da ardere come combustibile per il riscaldamento è ancora attuale.

 

Fig. 5 e 6 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 

Si vede inoltre che il mercato del legname è più fiorente a Frassinoro confermando quanto precedentemente affermato a proposito di vocazione forestale dei territori dei due comuni.

Fig.7 – Numero di domande vs superfice di taglio

 

 

Dal grafico di Fig.7 che riporta il numero di domande versus la superfice di taglio si ricava che in entrambi i comuni il massimo numero di domande si ha per superficie fra 1 e 2 ha. La nuova normativa prevede l’esenzione da autorizzazione ad autorizzazione per i tagli ad uso non commerciale su superficie minore di 1500 m2, quindi la coda estrema di questo istogramma è dovuta a dichiarazione antecedenti l’agosto 2018.

 

Fig.8 e 9 – Variazione nel tempo per le diverse specie arboree

I grafici di Fig.8 e Fig.9 riportano la variazione nel tempo per le diverse specie arboree delle superfici boschive per le quali è stata chiesta autorizzazione al taglio nei due comuni.

Il modello mostra un andamento pseudo periodico per le varie specie, con una tendenza netta alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino.

Fig.10 e 11 – Andamento pseudo periodico per le varie specie

Per quasi tutte le specie esaminate singolarmente si osserva una dispersione dei dati che non consente di evidenziare significative tendenze nelle variazioni delle superfici a taglio, nei dodici anni presi in esame.
Fanno eccezione la tendenza alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino e le oscillazioni attorno a un valore costante per il faggio a Frassinoro (Fig. 11), ciò indica che sono più utilizzate le varietà di legname con un maggior valore commerciale e contenuto energetico per unità di peso.

 

Fig.12 – Tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019

 

Premesso che sia la vecchia che la nuova normativa incoraggiavano l’estensione e il recupero dei castagneti da frutto, il grafico di Fig. 12 illustra le tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019 poiché nelle precedenti domande di taglio non era specificata le tipologie di intervento. Da questo grafico si deduce che c’è stato, nei primi due anni, un incremento della superficie del castagneto da frutto, essendo gli interventi di ripulitura indicatori di un’attività di gestione finalizzata al ripristino della produzione di castagne. Negli anni 2018 e 2019 invece non ci sono state domande di ripulitura, ma solo per ceduo matricinato.
Nel comune di Montefiorino la castanicoltura ha avuto un calo produttivo più evidente rispetto a Frassinoro poiché le varietà coltivate erano principalmente di castagne destinate alla produzione di farina: queste cultivar sono state via via abbandonate a causa della non economicità delle operazioni colturali e dell’isolamento di alcuni castagneti dalla rete viaria, oltre che dal calo di consumo della farina di castagne, prodotto la cui richiesta è in ripresa solo negli anni più recenti. La riconversione dei castagneti è un investimento che pochi operatori sono disposti a fare, a causa dall’entità economica dell’investimento e del periodo di ritorno.

Si sono quindi trasformati castagneti, già destinati a produzione di castagne da farina, in ceduo per ricavarne un profitto. Se la coltivazione dei castagneti fosse stata di pregio, come quella dei marroni, probabilmente l’abbandono di alcune zone sarebbe stato meno accentuato.   Il ceduo derivante dai castagneti abbandonati riesce comunque a spuntare un buon prezzo nel mercato, grazie alle caratteristiche del legname: il legno è infatti richiesto in parte per la paleria, in parte per le costruzioni, piuttosto che come legna da ardere.

Non è stato possibile fare un grafico analogo per il comune di Frassinoro perché non sono registrate richieste di taglio negli ultimi anni; nella fascia bassa del suddetto comune sono presenti castagneti da frutto, ma sono per la gran parte coltivati, oppure non sono qualificabili come “abbandonati da molto tempo”: né con la vecchia, né con la nuova normativa gli interventi manutentivi sui castagneti devono essere dichiarati. Se ne deduce che a Frassinoro, principalmente nella frazione Fontanaluccia, in val Dolo, è rimasta una locale filiera di produttori e commercianti dei frutti e che questo commercio, basato su produzioni di buon pregio, consente un reddito sostenibile alle parti.

I grafici di Fig.13 e Fig.14 sono box plot che illustrano l’età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento nel Comune di Frassinoro per faggio, quercia e misto latifoglie.

Fig.13 e 14 – Età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento

Il grafico a baffi del faggio nel 2008/2009 indica una età minima di taglio di 10 anni, il primo quartile è a 30 anni, cioè un 25% dei tagli è effettuato fra i 10 e 30 anni; la mediana è 40 anni e il terzo quartile a 50 anni; quindi complessivamente il 50 % dei tagli è compreso fra i 30 e i 50 anni; un’ulteriore 25% dei tagli ha età fino a 80 anni.  Entrambi i valori estremi erano fuori dalla vecchia normativa sull’età di taglio di un ceduo semplice.

Se si guarda i box plot degli ultimi due anni invece si vede come l’età minima sia di 30 anni, che coincide con il primo quartile, cioè un 25% dei boschi è tagliato a 30 anni; la mediana e il terzo quartile coincidono nei 40 anni quindi un 50% dei tagli avviene fra 30 e 40 anni, mentre un ulteriore 25% dei boschi presenta un’età età di taglio attorno ai 50 anni. Quindi si osserva un maggior rispetto dell’età minima di taglio del ceduo semplice e la volontà di evitare che il bosco possa ritenersi ceduo invecchiato, che potrebbe essere riconvertito in ceduo semplice ma previa autorizzazione (non bastando la comunicazione).

Stessa osservazione vale per la quercia e il misto latifoglie, dove però i punti singoli indicano casi sporadici di tagli effettuati in età estreme.

 

CONCLUSIONI

L’abbandono per lungo tempo del regime a ceduo non danneggia di per sé il bosco, non ne provoca la scomparsa e può essere utile per ripristinare la naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico, ma ne altera la tipologia colturale portando il ceduo a trasformarsi in una struttura forestale meno interessante dal punto di vista antropico;  non solo, lasciare a se stessi i processi di “rinaturalizzazione” di questi boschi può costituire un vantaggio dal punto di vista naturalistico, ma in taluni casi si possono innescare processi di degradazione del suolo, specialmente in quelle zone con elevato rischio di fenomeni franosi.

Infine due ultime osservazioni.

Oltre agli interventi degli enti pubblici, la Regione Emilia Romagna promuove la formazione di Consorzi Forestali, costituiti da privati, per la gestione e la conservazione del bosco nell’Appennino Modenese; questi nuovi Consorzi vanno ad affiancarsi ad altre forme di governo radicate nel territorio come gli usi civici e le proprietà collettive (lotti comunali e beni frazionali nel comune di Frassinoro). Sono nuove forme di associazione di privati che possono essere finanziati, almeno in parte, dai PSR (Piano di Sviluppo Rurale) specifici per le zone montane.

La tecnica della cippatura, oggi utilizzata principalmente dalle ditte forestali per lo smaltimento in situ dei residui di taglio, potrebbe invece alimentare una nuova filiera della bioenergia montana della quale si intravvedono i primi esempi.

 

 

Bibliografia

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  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Rapporti storici ed attuali tra uomo e boschi in Emilia Romagna, in A.A. V.V. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp.19-28.
  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Come leggere la fisionomia del bosco, in AA. VV. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp. 31-49.

Sitografia

 

 

[1] Cfr. Bagnaresi 1987.

[2] www.comuni-italiani.it/.

[3] Regolamento regionale n.3 del 1° agosto 2018 (Titolo IX, art 64).

[4]  L.R. 4 settembre 1981, n. 30; R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267; R.D.L. 16 maggio 1926, n. 1126.

[5]  //ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/parchi-natura2000/rete-natura-2000/strumenti-di-gestione/misure-specifiche-di-conservazione-piani-di-gestione/misure-specifiche

[6] Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983.

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Allarme nummularia: faggete appenniniche a rischio //www.agronomoforestale.eu/index.php/allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio //www.agronomoforestale.eu/index.php/allarme-nummularia-faggete-appenniniche-a-rischio/#respond Wed, 27 Jun 2018 13:27:50 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=66753 Premessa
A partire dalla primavera 2015 sono state segnalate anche sull’Appennino modenese situazioni diffuse di deperimento del faggio (Fagus sylvatica), caratterizzate dal fenomeno del disseccamento di esemplari, sia isolati che all’interno di boschi cedui o cedui invecchiati.
Rispetto ai consueti disseccamenti, riscontrabili frequentemente anche in passato, nell’ambito delle suddette formazioni boschive, governante più o meno regolarmente, le manifestazioni evidenziate si discostavano significativamente per la frequenza e la sintomatologia del quadro fitopatologico.
Tali osservazioni sono state trasmesse tempestivamente agli Organi preposti alla verifica e monitoraggio di tali fenomeni, senza peraltro riscontrare in generale grande interesse.
Il Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna è poi intervenuto mediante la visita-sopralluogo di un proprio funzionario tecnico (Dottore Agronomo Nicoletta Vai).

A seguito di campionamenti e successiva analisi di laboratorio si è potuta riscontrare la presenza, nel materiale prelevato, di corpi fruttiferi ascrivibili al patogeno Biscogniauxia nummularia; tale accertamento ha peraltro confermato un’ipotesi diagnostica già formulata sulla base del quadro sintomatologico, confrontato con descrizioni consultate in bibliografia e autorevoli pareri ricevuti da studiosi della materia e ricercatori.
Si è poi provveduto a tenere monitorato lo sviluppo e la diffusione del fenomeno nell’ambito dell’areale, mediante sopralluoghi cadenzati nel tempo, circoscritti a determinati siti ed esemplari appositamente individuati.
Le osservazioni ed i dati raccolti dal 2015 al 2018 risultano piuttosto allarmanti, infatti l’aumento esponenziale di individui infetti, è decisamente preoccupante. Si ha motivo di ritenere che in talune realtà, corrispondenti ai siti più a rischio, la situazione possa evolversi negativamente verso un degrado generalizzato di determinate superfici boschive e anche la compromissione di esemplari isolati di pregio.
La presente nota intende mettere in ulteriore risalto tale problematica che appare un rischio concreto per i boschi appenninici, con ripercussioni negative per l’intero territorio.

Descrizione del fungo
Biscogniauxia nummularia è un fungo endofita appartenente alla classe degli ascomiceti e all’ordine Sphaeriales. Come qualsiasi organismo appartenente a tale gruppo si riproduce mediante spore, le quali sono prodotte all’interno di particolari sporangi detti aschi: strutture a forma di clava deputate appunto alla produzione e al rilascio di esse. Questo fungo è frequentemente presente nei fusti di alcune specie arboree come Fagus sylvatica e generalmente non veniva considerato un patogeno primario. Negli ultimi anni tuttavia questo microrganismo ha iniziato a manifestare una patogenicità piuttosto aggressiva, causando cancri alle piante che lo ospitano. I sintomi riscontrabili direttamente su esemplari di Fagus Sylvatica sono abbastanza evidenti ed è possibile una loro descrizione a fini divulgativi. La caratteristica che differenzia l’ordine Sphaeriales dagli altri ordini di Ascomiceti è la formazione del corpo fruttifero che avviene anteriormente alle attrezzature sessuali predisponendo delle cavità dove gli aschi formano una specie di palizzata alla base della medesima. Ciò che caratterizza la famiglia delle Xylariaceae è la presenza di Sferiali a stroma molto consistente, arido e di color scuro fino a carbonaceo. Gli stromi sono extramatricali e possono raggiungere dimensioni notevoli.

Sintomatologia

Le macchie nere di forma rotondeggiante che corrispondono ai corpi fruttiferi del microorganismo

Il nome Nummularia deriva dal latino “nummus” ossia moneta; tale appellativo è stato attribuito al fungo in quanto l’esito dell’attacco sul fusto risulta di grande evidenza ed immediatezza causando delle escoriazioni nere, rotonde a forma di moneta che corrispondono ai rotondeggianti corpi fruttiferi del fungo. L’altro sintomo concretamente riscontrabile durante lo sviluppo del cancro fungino sono delle lunghe venature nere che si propagano lungo l’intero fusto dette anche “strip cankers”, le quali sono le effettive responsabili dei vari disseccamenti.
Infatti, questo microorganismo arriva a formare delle vere e proprie gallerie all’interno del fusto condizionando in tal modo la circolazione delle sostanze nutritive che consentono al vegetale di svolgere le funzioni fisiologiche. I cancri a volte sono mascherati dal tessuto suberificato della corteccia dell’albero che, con i suoi meccanismi di difesa, tenta di contenere i danni. Se si asporta la parte superficiale o callo si può vedere la situazione reale e critica dello stato vegetativo della pianta; ciò si può riscontrare dalla documentazione fotografica di seguito esposta e realizzata in occasione di vari sopralluoghi effettuati recentemente sull’Appennino modenese.

La pianta cerca di arginare il danno: la necrosi dei tessuti interni, con formazione di vere e proprie gallerie che si sviluppano lungo l’intero fusto.

Patogenicità
Questo microrganismo è dapprima presente sul tessuto suberificato dei faggi senza causare danni alla pianta. Nel momento in cui la pianta incomincia ad andare in stress, in particolare quello idrico, il fungo inizia a moltiplicarsi esponenzialmente causando i danni descritti in precedenza ed evidenziati dai sintomi illustrati. Occorre precisare che allo stesso genere Biscogniauxia appartengono altre specie che vivono ed esprimono la loro patogenicità su altre essenze arboree appartenente all’ordine delle Fagales (es. Quercus spp.). Nel caso in esame, dopo accurati sopralluoghi e ricerche, è stato verificato che la malattia interessa sia singoli esemplari che gruppi di piante vicine o anche polloni dei cedui e cedui invecchiati.

Monitoraggio
Questa malattia è stata rilevata in Italia per la prima volta nelle grandi faggete Sicule e Calabresi, da dove poi si è diffusa fino ad arrivare all’appennino tosco-emiliano. In Europa questo patogeno era già presente sia in Russia che in Germania.
Dati raccolti sul Monte Soro (1800m s.l.m) e a Cutò (1600m s.l.m) dal Dipartimento Regionale Azienda Regionale Foreste Demaniali della Sicilia dimostrano che la percentuale maggiore di incidenza si riscontra alle quote altitudinali inferiori, quindi nelle faggete marginali. Sul Monte Soro si è riscontrata un’incidenza della malattia sul 27,2% dei polloni esaminati (452), mentre a Cutò si è rilevato il 42,4% di polloni infetti sui (258) presi in esame.

Esito finale del disseccamento

In data 30/04/2015 è stato effettuato dal sottoscritto un primo sopralluogo sull’Appennino modenese in particolare nell’area di Frassinoro. La situazione è risultata critica, la quantità di alberi ammalati era consistente, anche se presente in particolar modo nei punti in cui le piante erano sottoposte a stress maggiori come a bordo strada o nei punti con abbondante presenza di scheletro nel suolo.

Vari sopralluoghi si sono succeduti nel tempo. Uno dei più recenti è quello effettuato il 23/04/2018; la situazione appare chiara e notevolmente peggiorata. La quantità di alberi ammalati è cresciuta esponenzialmente rispetto all’aprile del 2016 (una delle date dei monitoraggi precedenti). Un altro segnale significativo è rappresentato dalla circostanza che l’altitudine dove sono state riscontrate piante colpite si è innalzata. Si può pertanto ipotizzare che il microrganismo si stia adattando a situazioni diversificate ed appare quasi inevitabile associare la crescita dell’incidenza alle criticità meteorologiche dell’estate 2017.

La pianta è disseccata, il fusto presenta chiaramente i corpi fruttiferi del fungo descritto i quali ricoprono quasi totalmente la parete suberificata (corteccia)

Diversi osservatori ritengono che l’espansione di questa malattia possa essere direttamente correlata al greenhouse effect (effetto serra). Tale fenomeno sembra destinato ad aumentare salvo rivoluzioni drastiche ambientali, per cui appare probabile aspettarsi un peggioramento della situazione.

Diversi autori affermano che in genere le aree più colpite sono quelle sui versanti esposti a sud, sud-est o comunque dove l’insolazione annua è maggiore, vicino alle strade e ai margini della faggeta e dove il suolo è particolarmente roccioso perché l’acqua viene drenata più velocemente e il terreno non riesce a trattenerla. Tale circostanza trova riscontro nelle osservazioni dirette effettuate.

Danni economici e paesaggistici
Da quanto sommariamente esposto scaturisce la considerazione che, qualora tale manifestazione dovesse continuare a diffondersi ai ritmi riscontrati nella zona oggetto di studio, ci si troverebbe di fronte ad una vera e propria calamità naturale con gravi ripercussioni anche sulla filiera locale dell’utilizzazione del bosco. Dal punto di vista ambientale e paesaggistico la situazione potrebbe evolversi verso un degrado generalizzato. Le faggete di questa zona, note per la loro integrità ed il loro vigore, potrebbero venire seriamente compromesse.

Possibili interventi di contenimento
Contro questa avversità che sta colpendo le faggete è possibile, al momento, adottare solo alcuni accorgimenti tecnici. In particolare, si fa riferimento a talune pratiche di gestione del bosco soprattutto al fine di evitare, per quanto possibile la formazione e l’espansione delle cosiddette “chiarie” ovvero le zone scoperte a seguito di tagli non corretti o disseccamenti. Infatti, le chiarie portano: una maggiore insolazione durante il giorno, una diminuzione dell’umidità relativa sottostante al manto fogliare, una minore disponibilità di acqua per le piante ed infine l’acclimatamento del patogeno. Un’altra pratica forestale ai fini di un possibile controllo è l’abbattimento degli esemplari sintomatici in modo da contenere la formazione e diffusione delle spore e quindi la loro moltiplicazione su altri esemplari.

Conclusioni
E’ stato ipotizzato da più parti che Biscogniauxia nummularia possa essere utilizzata come bioindicatore dello stato di salute della faggeta, in riferimento alle condizioni pedoclimatiche dei siti. Tale possibilità può consentire una valutazione speditiva circa le criticità di ampie zone.
Occorre aggiungere che Biscogniauxia nummularia è un microrganismo che si è dimostrato in grado di adattarsi velocemente a vari climi ed habitat. Appare pertanto necessario stimolare interesse ed attenzione istituzionale attorno ad un fenomeno che non è assolutamente da sottovalutare date le caratteristiche descritte.

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