SDAF02 – AGRONOMIA, ARBORICOLTURA GENERALE, COLTIVAZIONI ARBOREE ED ERBACEE – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Fri, 09 Aug 2024 14:28:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Il caso dell’urbanistica di genere //www.agronomoforestale.eu/index.php/urbanistica-verde-genere/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=urbanistica-verde-genere //www.agronomoforestale.eu/index.php/urbanistica-verde-genere/#respond Fri, 30 Aug 2024 06:51:57 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68549 Come si progetta una città inclusiva? E, nello specifico, è pensabile lavorare affinché ci sia un’inclusività legata al genere?
Finalmente, anche a livello politico e non solo per le persone comuni, sta emergendo la necessità di far crescere la qualità della vita nelle città, rendendole accoglienti per tutti i bisogni e per tutte le tipologie di cittadini. In questo senso, come dottori agronomi e dottori forestali che si occupano di progettare gli spazi verdi, abbiamo proposto numerose best practice che hanno dimostrato inventiva e raggiunto apprezzabili successi.

Al lavoro da 40 anni
Dagli anni Ottanta, la Facoltà di Agraria di Bologna ha introdotto la paesaggistica dei parchi e giardini nel percorso di formazione dei dottori agronomi e forestali. Sono passati circa 40 anni, ma in questi decenni come professionisti abbiamo ottenuto meno visibilità di quanto meritiamo nelle attività di progettazione dello spazio urbano della città.

Si tratta di attività che, partendo dalle conoscenze tecniche, quando applicate con competenza definiscono un indirizzo politico, di guida alla pianificazione urbana delle città. Anche se sottotraccia, però, in questi quattro decenni abbiamo saputo passare da una progettazione a piccola scala dei giardini a quella di area vasta a livello territoriale.

La prossima sfida

Progettare una “città verde” inclusiva e rispettosa del genere è la prossima sfida che ci vede protagonisti.

Le città, infatti, vivono solo se offrono spazi pubblici, quali giardini, parchi, alberate stradali, piazze (ricche di vegetazione), che permettono di essere fruiti in tutta sicurezza da tutti, anche dalle fasce più fragili. Accanto alle conoscenze tecniche, più che necessarie, deve esserci l’analisi di come le cittadine e i cittadini, donne, uomini, anziani, bambine e bambini vivono la città, di come si spostano, di come creano e intessono relazioni. Ne consegue un legame forte tra la progettazione delle infrastrutture verdi e il tema viabilità e mobilità pedonale e ciclabile all’interno e all’esterno degli spazi verdi pubblici.

Le donne, per esempio, se da un lato utilizzano maggiormente lo spazio urbano pubblico, dall’altro risultano particolarmente attente alla sicurezza dei luoghi. Ecco che queste due semplici constatazioni possono, anzi devono, diventare un driver nella realizzazione delle infrastrutture verdi urbane a misura di tutti.

Dato statistici e analisi di contesto

Quando si parla di urbanistica di genere, si parla di un approccio alla pianificazione urbana che deve tenere conto delle differenze nello sviluppo e gestione degli spazi aperti urbani, con scelte tecniche che portino a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne.

Sono numerosi gli studi fatti in tante città europee, come Barcellona, Oslo, Vienna, Stoccolma, ma anche italiane, come Milano e Bologna che, partendo da dati statistici raccolti tramite interviste e questionari e dall’analisi del contesto hanno portato allo sviluppo di progetti urbanistici che contribuiscono a ridurre le diseguaglianze, con una particolare attenzione alla sicurezza delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

Questi studi hanno migliorato la comprensione di come le donne si muovono nelle città, quali spazi attraversano nella quotidianità e quali elementi le fanno sentire maggiormente sicure. La conseguenza di questi studi è che si può progettare spazi verdi offrendo soddisfazione a bisogni specifici e facendo crescerne la fruizione.

Mobilità

Le donne e gli uomini si muovono nelle città in modo differente. Sono ancora una volta i dati (Bloomberg NEF) che ci indicano come molte città europee stanno lavorando per modificare la mobilità e i trasporti, per avere città meno inquinate e ridurre il traffico, ma anche per renderle più inclusive e attente alla mobilità di genere.

Mentre gli uomini si muovono maggiormente in auto e in modo lineare, lungo le arterie stradali principali, la mobilità al femminile è meno diretta: le donne usano più spesso i mezzi pubblici o la bicicletta e camminano più spesso, attraversano la città per tratti spesso più brevi, più frequenti nella giornata e con un maggior numero di soste. Uno dei motivi è che le donne, oltre al lavoro, si spostano per portare i bambini e le bambine a scuola, per riprenderli, per fare la spesa, per andare al parco, e quindi hanno esigenze più complesse.

Già oggi, città come Parigi hanno sposato il concetto della “città dei 15 minuti”, a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici per muoversi nella città. E se Parigi, così come le città citate prima, ragionano su percorsi ciclopedonali che attraversano la città, le nostre città italiane spesso medio/piccole possono davvero lavorare su un ridisegno della mobilità dolce a favore della uguaglianza di genere. Una città che si muove avendo a cuore le esigenze delle donne, è una città che pensa alle esigenze di tutti.

La qualità urbanistica con gli spazi verdi

Per un’urbanistica inclusiva, in una città dove si vive e si “respira” bene, si deve pianificare, progettare e prendersi cura degli spazi verdi, dai piccoli giardini ai grandi parchi, dalle strade alberate, alle piazze urbane.
Le piazze devono cambiare volto, avere un’alta presenza di vegetazione e spazi interconnessi che si sviluppino in una rete ecologica continua, integrata con percorsi ciclopedonali che conducono ai luoghi di socialità, di lavoro, delle scuole, delle aree commerciali, realizzando un tessuto urbano armonioso.

Dottori agronomi e dottori forestali, nella progettazione degli spazi verdi, sanno scegliere correttamente le specie maggiormente idonee al contesto: ci sono alberi in grado di fare ombra e di sopportare periodi lunghi di siccità, anche invernale; oppure piante a crescita rapida, se dobbiamo progettare spazi dove non abbiamo vegetazione e dove le isole di calore sono elementi di malessere per le persone; ci sono alberi in grado di sopportare le piogge intense, le così dette “bombe d’acqua”. Senza trascurare i progetti di depavimentazione a favore dell’inserimento di vegetazione e drenaggi urbani o rain garden.

Ora però serve un passaggio di scala della progettazione, dal singolo giardino o parco a quella urbana della intera città. L’obiettivo finale deve portare a realizzare città verdi, continue quasi che, se le vedessimo dall’alto, sparirebbero visivamente le aree edificate e la viabilità diventerebbe una trama continua di un mantello verde.
Ecco che la nuova scala di progettazione deve confrontarsi con la distribuzione nello spazio delle masse di alberi, arbusti, prati, aree di sosta, aree ludiche e sportive e con il loro disegno.

Sicurezza di genere

Non è sufficiente che gli spazi verdi siano connessi tra loro. Per incrementarne l’uso è necessario avere luoghi vissuti nella loro pienezza, che devono essere percepiti come sicuri a tutte le ore del giorno e della notte.

Ne consegue che, soddisfando la richiesta di sicurezza e di inclusione dello spazio pubblico manifestato dalle donne, si fa crescere il senso di sicurezza in tutta la cittadinanza, al di là del genere e della fascia di età. E sì avvia un effetto virtuoso sullo spazio pubblico, che diventa vitale e si trasforma in luogo della collettività, accrescendo l’attrattività, che origina una maggiore sicurezza, che ne incentiva ulteriormente l’utilizzo.

Per questo motivo, affrontare la sicurezza di genere nei progetti urbani pubblici che includono i parchi, le piazze, i giardini richiede un approccio olistico.

Nella progettazione bisogna immaginare luoghi sempre illuminati, anche di notte; lungo i percorsi, nelle aree di sosta e gioco, si dovrà fare attenzione a massimizzare la visibilità per agevolare la “sorveglianza naturale”.
Questo significa, per i dottori agronomi e dottori forestali, progettare spazi aperti e “trasparenti” che permettano alle persone di essere viste e a loro volta di vedere oltre il luogo di sosta o di percorrenza. Ecco che all’adeguata scelta delle specie e alla distribuzione delle masse arbustive e delle strutture aggiunge una variabile: non basta che siano piante adatte a resistere alle caratteristiche del posto e alle sfide del cambiamento climatico in atto, ma si deve evitare che possano creare luoghi interclusi e bui.

Equità sociale

Una città verde, inclusiva, attenta al genere femminile, agli anziani e ai bambini e alle bambine è anche una città equa, dove il verde diviene motore di armonizzazione sociale.

Le città vanno ridisegnate, portando aree verdi diffuse in tutti i quartieri, poiché la presenza di parchi e giardini, piste ciclopedonali, alberate stradali non siano un privilegio di alcune fasce sociali.

Le parti delle città dove il verde è maggiormente diffuso sono le aree anche più costose come valori immobiliari, e che negli anni hanno creato differenze sociali portando le diverse zone delle città a non dialogare tra loro. Nelle ‘nuove’ città la regola 3-30-300 (3 alberi che si vedono dalla finestra di ogni casa, 30% di copertura arborea in ogni quartiere e non più di 300 m per raggiungere un’area verde dalla propria abitazione) dev’essere ubiquitaria, perché una città verde significa vita e salute.

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Vendemmia 2024: Italia divisa in due, anno difficile e complesso //www.agronomoforestale.eu/index.php/vendemmia-2024-italia-divisa-in-due-anno-difficile-e-complesso/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vendemmia-2024-italia-divisa-in-due-anno-difficile-e-complesso //www.agronomoforestale.eu/index.php/vendemmia-2024-italia-divisa-in-due-anno-difficile-e-complesso/#respond Sat, 24 Aug 2024 07:16:05 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68544 In molte regioni del sud è partita la vendemmia 2024 con la raccolta dei primi grappoli delle varietà precoci e delle basi spumante in Sicilia, Puglia e Lombardia (Franciacorta) e terminerà alla fine di ottobre/inizio novembre, con le varietà più tardive come l’aglianico tra Basilicata e Campania. Il dato peculiare di quest’anno, però è la divisione (quasi) netta tra sud e nord.

Il Centro-Sud fa i conti con un’importante siccità che sta colpendo maggiormente la Sicilia e le regioni più meridionali. A nord, invece, a preoccupare sono la peronospora e gli eccessi di pioggia.

Il dato rilevante quindi è che, per il secondo anno consecutivo, l’avverso andamento meteoclimatico sottolinea l’imprescindibile ruolo della gestione agronomica del vigneto, intesa come principale strategia per ottenere comunque produzioni che rispecchino il sito specifico e il mantenimento della qualità delle uve.

 

Oggi a me, domani a te

Il destino dell’Italia vitivinicola 2024 sembra inverso, rispetto a quanto accaduto nel 2023.

Lo scorso anno, in seguito agli eccessi di pioggia avuti in primavera e inizio estate, al Centro-Sud si parlava di emergenza peronospora (Plasmopara viticola). Questa fitopatia ha danneggiato migliaia di ettari di vigneto favorendo le condizioni, assieme alla successiva siccità estiva, per avere una tra le più scarse annate di sempre dal punto di vista quantitativo.

Al contrario, al Nord si viveva una relativa tranquillità, con una scarsa diffusione di fitopatie e con diffusi episodi di maltempo nei mesi pre-raccolta, che hanno consentito di ottenere un buon risultato.

Oggi, le parti si sono invertite. Il nord Italia si trova a combattere contro la peronospora e con eccessi di pioggia, mentre al sud la peronospora è un brutto ricordo, ma di fanno i conti con la siccità.

Insomma, un altro anno impegnativo e difficile per la viticoltura italiana, segnato dall’andamento climatico anomalo che, ancora una volta, detta i tempi e mette a dura prova i tecnici e gli agricoltori.

La gestione agronomica del vigneto

Chi lavora in agricoltura sa, che ogni anno è diverso e che la ‘variabile meteo’ aggiunge complessità alla gestione tecnica dei vigneti, mai costante e mai determinata.

Il vino è una materia viva che nasce in vigna e, nella vigna, vede oggi i maggiori problemi e le maggiori variabili legate al meteo, che ne condizionano la qualità ed il raggiungimento dell’obbiettivo enologico di successo.

In questi momenti così difficili, per poter portare a casa il miglior risultato possibile, c’è necessita di conoscenza tecnica, determinazione e caparbietà.

Sono determinanti la gestione agronomica del vigneto, la tempestività negli interventi, la difesa fitosanitaria mirata e puntuale, le tecniche vitivinicole appropriate, la conoscenza delle condizioni pedo-climatiche del vigneto e della specificità dei vitigni per portare a casa il risultato, avere delle produzioni che rispecchino il sito specifico e puntare ad elevare la qualità delle uve.

Per contrastare questi repentini cambi climatici, risulta sempre più importante curare l’aspetto tecnico professionale, passando dall’innovazione e alle tecniche gestionali del vigneto, alla conoscenza delle specificità dei prodotti per la difesa fino a giungere a interventi ‘chirurgici’ e di precisione.

 

Il vino si fa in vigna

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una crescita culturale della viticoltura, volta sia all’attenzione alle condizioni climatiche come alla riduzione degli impatti sull’ambientali e sulla vita dei consumatori.

Tutto questo deve far crescere la centralità della viticoltura sul piano strategico aziendale e nazionale, stando vicino alle tematiche del lavoro in vigna.

Se negli anni il vino italiano ha conquistato nuovi consumatori e il plauso e il riconoscimento di eccellenza, oggi più che mai ha necessità di investire sulla conoscenza in vigna “sito specifico”, sulla ricerca e sulle innovazioni tecnologiche del processo produttivo legato ai cambiamenti climatici, sulla riduzione degli impatti sull’ambiente e sui consumatori.

 

È un processo che inevitabilmente si avvia nella vigna per trovare il naturale proseguimento in cantina. Fortunatamente questo processo è già in atto e molte aziende di eccellenza del vino con successo si affidano a tecnici agronomi specializzati in viticoltura per seguire i vigneti e raggiungere dei prefissati obbiettivi enologici.

Capacità e competenze, alter ego di produzione e qualità

Questo 2024 ha dimostrato ulteriormente, se mai ce ne fosse stato bisogno, della necessità di impegnarsi valorizzando l’aspetto tecnico e professionale nella gestione della vigna, nella difesa fitosanitaria, fino alla scelta del momento per la raccolta dei grappoli e della lavorazione dei mosti in cantina. Solo con capacità e competenze si possono fare le scelte giuste per limitare perdite di produzioni e garantire la qualità che tutto il mondo riconosce, apprezza e si aspetta dai vini italiani.

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Le produzioni vegetali e il ruolo dei dottori agronomi e dei dottori forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/#respond Sat, 01 Jun 2024 07:41:25 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68524 Le produzioni vegetali rappresentano un settore fondamentale dell’agricoltura, che comprende la coltivazione di piante per il consumo umano, animale e per altri usi industriali. Queste produzioni includono colture come cereali, legumi, frutta, verdura, piante da olio, piante da fibra e colture speciali come quelle officinali e aromatiche.

Esse influenzano:

  • sicurezza alimentare: forniscono cibo, garantendo l’accesso a una dieta equilibrata e nutriente
  • economia rurale: creano opportunità di lavoro e reddito nelle aree rurali, contribuendo allo sviluppo economico e sociale delle comunità agricole
  • ambiente: le pratiche agricole sostenibili, promosse dai dottori agronomi e dai dottori forestali, aiutano a conservare le risorse naturali, ridurre l’impatto ambientale e combattere il cambiamento climatico.

7 aree di competenza dei dottori agronomi e dottori forestali
Agronomi e forestali svolgono un ruolo cruciale nelle produzioni vegetali, promuovendo pratiche agricole che sono sostenibili, efficienti e sicure. La loro competenza contribuisce a migliorare la produttività agricola, la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale, garantendo benefici a lungo termine per l’economia e la società.

1. analisi del suolo e del territorio:

  • valutazione della fertilità: eseguono analisi del suolo per determinare i nutrienti disponibili e raccomandano interventi per migliorare la fertilità del terreno.
  • gestione del suolo: consigliano pratiche per prevenire l’erosione, migliorare la struttura del suolo e aumentare la capacità di ritenzione idrica.

2. pianificazione delle colture:

  • scelta delle colture: aiutano nella selezione delle colture più adatte alle condizioni climatiche e pedologiche del territorio.
  • rotazione delle colture: pianificano rotazioni colturali per migliorare la salute del suolo e ridurre l’incidenza di parassiti e malattie.

3. gestione delle risorse idriche:

  • irrigazione efficiente: progettano e implementano sistemi di irrigazione che ottimizzano l’uso dell’acqua, come l’irrigazione a goccia.
  • conservazione dell’acqua: promuovono tecniche di agricoltura conservativa per mantenere l’umidità del suolo e ridurre il fabbisogno idrico.

4. controllo delle malattie e dei parassiti:

  • gestione integrata dei parassiti (IPM): implementano strategie per il controllo dei parassiti che combinano metodi biologici, fisici e chimici in modo sostenibile.
  • uso di prodotti fitofarmaci: raccomandano l’uso responsabile e mirato di fitofarmaci per ridurre l’impatto ambientale e garantire la sicurezza alimentare.

5. miglioramento genetico e selezione delle varietà:

  • sviluppo di nuove varietà: collaborano con istituti di ricerca per sviluppare e introdurre varietà di piante più resistenti alle malattie, con maggiore resa e adattabilità a diverse condizioni climatiche.
  • conservazione delle risorse genetiche: promuovono la conservazione delle varietà locali e delle specie tradizionali per mantenere la biodiversità agricola.

6. sostenibilità e innovazione:

  • agricoltura di precisione: utilizzano tecnologie avanzate come i droni, i sensori e i sistemi GIS per monitorare e gestire le colture in modo preciso e sostenibile.
  • pratiche sostenibili: promuovono pratiche agricole sostenibili come l’agricoltura biologica e la conservazione delle risorse naturali.

7. formazione e consulenza:

  • supporto agli agricoltori: forniscono consulenza tecnica agli impresari agricoli su pratiche di coltivazione, gestione delle risorse e strategie di mercato.
  • educazione e sensibilizzazione: organizzano corsi di formazione e campagne di sensibilizzazione per diffondere conoscenze e innovazioni nel settore agricolo.

 

Il peso dell’agricoltura nell’economia italiana
Il settore agricolo e agroalimentare in Italia ha un ruolo significativo nell’economia nazionale. Nel 2023, il comparto agroalimentare rappresentava circa il 15% del PIL italiano, con il settore agricolo da solo che contribuiva per circa il 2%.

1,1 milioni di aziende agricole
L’Italia conta circa 1,1 milioni di aziende agricole, che coprono indicativamente 12,6 milioni di ettari della superficie agricola del paese.

50% di terreni agricoli
Oltre il 50% della superficie totale adibita a uso agricolo è montuosa o soggetta a vincoli naturali.

53% di popolazione rurale
Il 53% della popolazione italiana vive in zone rurali o intermedie e il settore agricolo e forestale costituiscono fattori economici importanti.

Il valore aggiunto complessivo della filiera agroalimentare nel 2022 ha raggiunto i 64 miliardi di euro, di cui 37,4 miliardi derivanti dalla produzione agricola e 26,7 miliardi dall’industria alimentare. Se si considera anche la distribuzione e la ristorazione, il peso del settore agroalimentare sul PIL sale al 7,7%, e includendo i servizi di trasporto, logistica e intermediazione necessari per portare i prodotti dal campo alla tavola, la stima supera il 15,2%.
L’Italia è un leader nella produzione di vari prodotti agricoli in Europa. Ad esempio, detiene una quota del 37% nella produzione di vino e del 33% nella produzione di olio d’oliva nell’UE. È anche un importante produttore di frutta, coprendo il 18% della produzione dell’UE.

 

Nonostante la rilevanza del settore, l’agricoltura italiana affronta diverse sfide strutturali, tra cui la frammentazione delle aziende agricole, la scarsa presenza di giovani imprenditori e problemi di accesso alla terra, con valori fondiari molto elevati rispetto ad altri Paesi europei.
Inoltre, il settore deve affrontare le incertezze climatiche e la volatilità dei prezzi, che influenzano negativamente la produzione e il valore aggiunto.

Produzione agricola per settore
Quando si parla di valore della produzione agricola si sommano i valori dei prodotti agricoli e quelli zootecnici, escludendo la produzione di servizi in agricoltura.
Circa la metà del valore della produzione complessiva in UE proviene dalle colture, tra le quali gli ortaggi, le piante orticole e i cereali erano le colture più pregiate, circa due quinti da animali e da prodotti di origine animale. Di questi ultimi, la maggior parte del valore è frutto dal solo da latte e dall’allevamento suinicolo.
I contributi e la quota di prodotti animali e vegetali differiscono notevolmente da uno Stato membro all’altro e tra di essi, riflettendo le differenze nei volumi prodotti, nei prezzi percepiti, nonché nel mix di colture coltivate, animali allevati e prodotti animali raccolti.

Produzione agricola per settore in Italia.
Valore della produzione ai prezzi base nel 2023 (milioni di euro)

La suddivisione della produzione agricola

 

La suddivisione della produzione vegetale

 

Le percentuali della produzione zootecnica nazionale

Fonte: EUROSTAT

In conclusione
I dottori agronomi e i dottori forestali hanno una visione olistica e competenze multidisciplinari essenziali per affrontare sfide ambientali ed agricole del nostro tempo.
Attraverso l’integrazione di diverse competenze e la collaborazione con altri professionisti, essi sono dei team leader in grado di sviluppare e promuovere pratiche agricole e forestali sostenibili, contribuendo alla tutela dell’ambiente e alla produzione efficiente e sicura alimentare.

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//www.agronomoforestale.eu/index.php/le-produzioni-vegetali-e-il-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dei-dottori-forestali/feed/ 0
Quanti alberi si possono tagliare? //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quanti-alberi-si-possono-tagliare //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/#respond Wed, 10 Jan 2024 18:07:44 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68471 In Italia, la copertura forestale è triplicata in poco più di cento anni. Dopo secoli caratterizzati da deforestazione e utilizzo intenso delle risorse forestali più facilmente raggiungibili e sfruttabili – che hanno causato impoverimento dei suoli e diminuzione della biodiversità animale e vegetale – si è assistito a un’inversione di tendenza. Le aree rurali e montane hanno registrato un progressivo abbandono gestionale, favorito dal massiccio sviluppo industriale e urbano e da un forte disinteresse verso le risorse forestali locali.

Negli ultimi decenni, la ricostituzione ed espansione naturale delle foreste è stata accompagnata da una particolare attenzione alla conservazione e alla valorizzazione degli aspetti naturalistici (oltre il 27% delle foreste italiane gode di un particolare regime di tutela naturalistico), alla conservazione del ruolo di protezione dei versanti e regimazione delle acque (circa l’86% delle foreste italiane è sottoposto a vincolo idrogeologico) e alla tutela del paesaggio (il 100% delle foreste italiane è soggetto a vincolo paesaggistico).

Al tempo stesso, l’Italia è uno tra più importanti Paesi al mondo nella trasformazione e lavorazione della materia prima legno ma, come conseguenza delle dinamiche sociali e ambientali degli ultimi decenni, oltre l’80% della materia prima – utilizzata per scopi edilizi e, soprattutto, energetici – proviene dai mercati esteri, con ovvie problematiche in termini di sostenibilità delle filiere locali.
Attualmente l’Italia ha le condizioni, le potenzialità e la responsabilità di gestire questo capitale naturale in modo attivo e partecipato, consapevole delle conseguenze locali e globali, e attento a mantenerne il ruolo multifunzionale. Ma serve trovare nuove vie, adatte al contesto contemporaneo, per gestire le foreste italiane in modo sostenibile e partecipato.

Rimboschimento di larice in Alta Valle Camonica

Valutare i servizi ecosistemici delle foreste
In questo scenario si è recentemente concluso il progetto di ricerca USEFOL – Approcci innovativi per la valutazione della fornitura di servizi ecosistemici in foreste lombarde, che ha dimostrato scientificamente

  • come prevedere la quantità di legno prelevabile in modo sostenibile,
  • come analizzare costi e benefici ambientali del prelievo forestale
  • come calcolare il carbonio immagazzinabile dalle foreste e dai suoli forestali
  • come calcolare le emissioni di gas serra risparmiate utilizzando il legno in sostituzione di materiali e combustibili maggiormente climalteranti.

I territori pilota sono stati l’Alta Val Camonica e l’Alta Valtellina: qui il progetto ha effettuato una previsione relativa ai prossimi 30 anni, ipotizzando diverse scelte di gestione forestale e scenari climatici dai più moderati ai più severi. Le informazioni elaborate sono servite ad aggiornare i documenti di pianificazione forestale con protocolli, strumenti e risultati delle simulazioni effettuate.

Volume (A, C, D) e specie arborea dominante (B, E) nelle aree di applicazione del progetto, alta Valtellina (A, B) e Val Camonica (D, E).


La stima della biomassa legnosa

La biomassa legnosa in Alta Valtellina e Valcamonica è stata stimata grazie a una procedura suddivisa in tre fasi:

  1. rilievo forestale e stima del volume legnoso a terra;
  2. costruzione di un modello di stima “puntuale” calibrato sui dati rilevati a terra e basato sulle misure di altezza delle foreste ottenute con LiDAR satellitare (missione NASA GEDI);
  3. costruzione di un modello di stima “per pixel” per estendere le stime di volume a scala regionale grazie alle variabili spettrali derivate da immagini satellitari Sentinel-2.

Fasi dell’algoritmo per la stima del volume forestale su tutto il territorio analizzato

 

È stato inoltre realizzato un modello di calcolo denominato “WOody biomass and Carbon Assessment” (WOCAS) che quantifica – secondo un approccio “gain-loss” coerente con le Linee Guida dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – le masse di legno (e carbonio) esistenti in ciascuna particella forestale e il loro incremento annuale previsto.

Elementi considerati per calcolare il bilancio del carbonio delle foreste

Effetto previsto della selvicoltura preventive nei confronti del comportamento degli incendi boschivi. Il diradamento degli alberi e la riduzione della vegetazione a terra ostacola la propagazione del fuoco e diminuisce la sua intensità, contribuendo a dissipare più efficacemente il calore.

Quali foreste destinare alla produzione di legno
La definizione delle foreste da destinare alla produzione di legno è stata basata su indicatori capaci di esprimere eventuali limitazioni al prelievo del legno, come il rischio di dissesto idrogeologico, la pendenza, la distanza da strade e piste forestali e la presenza di aree naturali protette.
I possibili prelievi di legno sono stati quantificati ipotizzando diverse ipotesi di gestione forestale, dalla mera applicazione del regolamento forestale regionale a una selvicoltura mirata alla prevenzione dei danni da eventi meteorologici estremi  e alla valorizzazione del legno e dei suoi assortimenti utilizzabili per realizzare prodotti di lunga durata.

Esempio di informazioni disponibili per ciascuna particella in un Piano di Assestamento Forestale.

 

Un secondo modello denominato “FOREstry MAchinery chain selection” (FOREMA) è stato realizzato per ottimizzare la scelta del cantiere di meccanizzazione da allestire per il prelievo del legno (raccolta e trasporto) e calcolarne i costi economici e ambientali.

I benefici climatici
Per quanto riguarda i benefici climatici generati dall’uso del legno, si è valutato l’effetto di sostituzione relativo a edifici residenziali con strutture portanti in legno, anziché in cemento armato e acciaio, in funzione della quantità di legno utilizzato nelle due opzioni costruttive e al Displacement Factor (DF), cioè il rapporto fra le emissioni risparmiate optando per l’opzione costruttiva in legno e la quantità di legno necessaria.

Nel complesso, la sostituzione dei materiali costruttivi corrisponde a un risparmio di emissioni climalteranti nell’ordine delle decine di migliaia di tonnellate di CO2 equivalente. La decarbonizzazione delle filiere fa sì che la sostituzione dei materiali negli edifici che verranno costruiti nel breve termine corrisponda a risparmi maggiori.

Emissioni evitate per grado di sostituzione. La linea rossa rappresenta le emissioni associate agli edifici in cemento.

 

Stime per tutti i territori montani
Per estendere queste stime a tutti i territori montani è stato pubblicato sul sito di progetto un foglio di calcolo utile a valutare gli effetti dei prelievi sul carbonio immagazzinato nei prodotti legnosi e sulla sostituzione di materiali edili e combustibili fossili più emissivi.
I gestori di aree forestali possono inserire i prelievi forestali programmati nella loro area, gli impieghi previsti per il legno prelevato, e stimare il possibile beneficio climatico per il periodo 2020-2050.
La crescita attesa delle foreste e i flussi di carbonio da e verso la foresta sono stati simulati con il Carbon Budget Model del Servizio Forestale Canadese, in funzione degli scenari climatici elaborati dal modello MPI-ESM-LR del Max Planck Institute. Il modello è specificatamente pensato per studiare i flussi di carbonio tra i diversi serbatoi forestali e l’atmosfera e può simulare un’elevata varietà di disturbi e trattamenti. Le variazioni attese di temperatura e precipitazioni hanno influito in modo diretto sulla crescita degli alberi (comportando aumenti della produttività dallo 0 al 3% annuo delle conifere e dal 6 al 16% annuo per il castagno e le altre latifoglie), e in modo indiretto attraverso il loro effetto sull’area percorsa dagli incendi e la mortalità degli alberi a causa della siccità.

Andamento previsto del volume del bosco e de prelievi di abete rosso (boschi disetanei a media fertilità) nell’area di studio in diversi scenari climatici e gestionali

 

La selvicoltura preventiva, che mostra prelievi iniziali minori, diventa invece quella più conveniente verso fine simulazione. A parità di clima, la selvicoltura basata sull’applicazione dei regolamenti oggi in vigore è invece la meno conveniente a fine simulazione, in quanto associata a prelievi troppo intensi e non sostenibili.

Effetto del cambiamento di gestione forestale sui diversi serbatoi di carbonio nel periodo 2020-2050, secondo due scenari climatici e due scenari gestionali. In verde gli accumuli di carbonio nella foresta e nei prodotti legnosi, in blu gli effetti di sostituzione (emissioni evitate utilizzando legno al posto di materiali e combustibili basati su fossile).

 

Il miglior compromesso
Secondo le simulazioni del progetto, il miglior compromesso tra assorbimento di carbonio nella foresta, prevenzione dei danni climatici al bosco e effetti di sostituzione delle emissioni grazie ai prodotti legnosi si ottiene applicando interventi di selvicoltura preventiva e un prelievo di legno solo sul 25% della superficie forestale disponibile.

Per tutti gli operatori del settore, il progetto USEFOL ha prodotto due linee guida innovative per la gestione forestale sostenibile in Italia.
La prima fornisce una guida completa sulla gestione forestale per la mitigazione climatica e sulla generazione e il conteggio di crediti di carbonio, alla luce della recente introduzione del Registro pubblico dei crediti generati su base volontaria dal settore agroforestale nazionale.
Il secondo manuale, invece, fornisce un supporto alla redazione dei piani di approvvigionamento di biomassa legnosa per fini energetici, offrendo una panoramica della gestione e pianificazione forestale sostenibile, delle tecniche di stima della disponibilità di biomasse legnose, della meccanizzazione applicabile e delle condizioni in cui l’utilizzo energetico del legno è climaticamente sostenibile.

Per le scuole
A scopo didattico, il team di progetto ha anche realizzato un opuscolo sulla filiera bosco-legno rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e un video per la primaria e secondaria di primo grado, dal titolo “La scrivania di larice“: un breve viaggio, immaginario ma al tempo stesso reale, lungo una filiera corta e locale bosco-legno-energia, che racconta in modo semplice e immediato la storia che può nascondere un oggetto di legno proveniente da Gestione Forestale Sostenibile.

Uno dei team di progetto al termine di una giornata di misure in bosco

 

USEFOL
È un progetto finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del programma per Progetti di ricerca in campo agricolo e forestale.
È coordinato dal prof. Renzo Motta dell’Università di Torino e con la partnership dell’Università di Milano, FIPER (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili) e Associazione Consorzi Forestali della Lombardia.

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Valutazione fitostatica degli alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=valutazione-fitostatica-degli-alberi //www.agronomoforestale.eu/index.php/valutazione-fitostatica-degli-alberi/#respond Fri, 16 Jun 2023 06:34:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68397

Edoardo Raccosta.
Laureato nel settembre del 2022 in Progettazione e gestione del verde urbano e del paesaggio, la sua tesi sperimentale ha avuto l’obiettivo di confrontare diversi approcci strumentali al fine di verificare le condizioni di stabilità e la propensione al cedimento di alberi a cui era stato interrato il colletto.

Il verde urbano fornisce molteplici benefici e servizi ecosistemici alle città e alla popolazione riducendo le emissioni di inquinanti antropici, favorendo l’aggregazione sociale, migliorando la salute mentale, incrementando il valore economico di beni immobili e aumentando la biodiversità presente nell’ecosistema urbano. Nell’attuale scenario di cambiamento climatico, gli effetti della presenza delle piante, per esempio sulla regolazione della temperatura, sull’intercettazione delle acque meteoriche (in particolare nel caso di “bombe d’acqua”) e sulla riduzione della velocità del vento, sono di grande importanza per la vita e il benessere delle persone che vivono negli agglomerati urbani. Tuttavia, si devono creare i presupposti giusti affinché le essenze vegetali presenti nelle nostre città esplichino le loro attività biologiche nel migliore dei modi.

39 alberi, un viale: il caso studio

Figura 1. Ricostruzione schematica dei possibili lavori di livellamento della sede stradale eseguiti sul Viale delle Piagge.

Il caso studio preso in esame è rappresentato dal Viale delle Piagge (Pisa), realizzato in seguito ai lavori di sistemazione del nuovo argine che aveva come scopo primario il contenimento dell’Arno nei periodi di piena. Sul viale sono presenti circa seicento esemplari arborei disposti in un doppio filare a prevalenza di tigli nostrani (Tilia platyphyllos), molti dei quali si ipotizza che siano stati messi a dimora subito dopo il completamento dei lavori dell’argine e quindi del viale, risalente alla seconda metà dell’800. Ad oggi, è uno dei luoghi più frequentati e amati, presentandosi indubbiamente come uno dei “polmoni verdi” della città che necessità però di una gestione attenta affinché questa infrastruttura non si trasformi in una minaccia.
Negli ultimi anni, si stanno verificando diversi casi di crolli dei tigli presenti sul viale, con annessi danni a edifici residenziali; le piante sono state interessate da rotture al colletto o ribaltamenti improvvisi. Osservando attentamente gli alberi a dimora e analizzando le dinamiche dei crolli si è notato l’assenza di contrafforti alla base del fusto (nel genere Tilia si manifestano in modo tipico e naturale, specialmente in piante mature) probabilmente imputabili a lavori di livellamento della sede stradale eseguiti negli scorsi decenni, che hanno apportato nuovo terreno (soprattutto nelle porzioni esterne del viale). Ciò ha determinato il progressivo interramento dei colletti e dei contrafforti delle piante a dimora con conseguenti ristagni idrici, elevata umidità e talvolta asfissia (Figura 1). Tutte condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo di agenti patogeni fungini i quali determinano marciumi radicali estendendosi anche al colletto e compromettendo la stabilità delle essenze arboree.

Figura 2. Prova di trazione controllata in fase di svolgimento.

L’obiettivo di questa tesi di laurea è stato quello di condurre opportune indagini fitostatiche per valutare la stabilità di 39 alberi di un tratto del Viale delle Piagge situati nei filari esterni, molti dei quali non presentano contrafforti a causa, probabilmente, dei lavori di livellamento citati precedentemente. A questo scopo, si è reso necessario stabilire un protocollo standardizzato affinché tutte le analisi strumentali fossero condotte con modalità riproducibili nel medesimo sistema su ogni albero e con l’obiettivo di ottenere risultati uniformi e rappresentativi della problematica.

Un protocollo ad hoc
Il protocollo operativo è stato messo a punto dopo una serie di test adottando diversi approcci strumentali quali tomografo sonico, il dendropenetrometro e la prova di trazione controllata o “pulling test”; quest’ultimo è risultato essere il più idoneo per esaminare la tenuta radicale e l’elasticità delle fibre legnose. Il “pulling test” prevede l’applicazione di un carico controllato (simulazione di una raffica di vento) attraverso un paranco ed un cavo d’acciaio (Figura 2); per la registrazione dei dati utili a formulare una valutazione oggettiva ci si avvale di sensori estremamente sensibili installati sul fusto della pianta in esame (Figura 3). I dati raccolti in campo vengono rielaborati mediante un software dedicato all’interno del quale si inseriscono alcuni parametri come ad esempio l’altezza della pianta, il diametro del fusto, le dimensioni della chioma e la velocità del vento. Quest’ultimo dato, di fondamentale importanza poiché l’intero processo di analisi dei dati si basa su questo specifico carico, è stato ricavato tramite una ricerca storica degli eventi ventosi registrati nei pressi dell’area studio prelevati dalla stazione meteorologica della Regione Toscana.

La valutazione finale di ogni pianta viene fornita mediante l’attribuzione di una Classe di Propensione al Cedimento (CPC) proposte dalla Società Italiana di Arboricoltura che è stabilita, in questo caso, basandosi principalmente sui risultati ottenuti dalle prove di trazione. La classificazione di propensione al cedimento degli alberi è composta da 5 classi, ossia da A a D; una pianta in classe A non presenta al momento dell’indagine difetti significativi tali da ritenere che il fattore di sicurezza dell’albero si sia ridotto. Al contrario, una pianta in classe D ha ormai esaurito il suo fattore di sicurezza e pertanto è previsto l’abbattimento.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il 23% delle piante esaminate ricadono in una CPC estrema per cui è previsto l’abbattimento, il 23% (CPC = C) necessitano di un controllo visivo e strumentale periodico, con cadenza annuale. Infine, il restante 54% risulta avere un elevato grado di stabilità (CPC = A o B). Le piante ricadute nella classe estrema (CPC = D) sono state oggetto di ulteriore approfondimento diagnostico strumentale eseguendo una valutazione qualitativa del legno attraverso il tomografo sonico. Le tomografie effettuate all’apparato radicale e al colletto ove si riteneva necessario e possibile, hanno confermato l’esito ottenuto con le prove di trazione; scarsa capacità di ancoraggio delle radici a seguito di processi di degradazione dell’intero apparato e del colletto.

Figura 3. Sensori impiegati per svolgere la prova di trazione.

In molti casi, gli alberi nelle città sono costretti a vegetare in condizioni estreme, soggetti a continui stress termici, idrici, meccanici e molti altri. Il protocollo messo a punto per questo specifico caso si è rivelato essere attendibile, in grado di uniformare un giudizio finale complessivo e inquadrare al meglio la problematica descritta precedentemente. Questo protocollo operativo potrebbe essere adottato anche al di fuori del contesto specifico per cui è stato formulato; in particolar modo per verificare la stabilità degli alberi in seguito a importati lavori sulla sede stradale o limitrofi alla zolla radicale. Spesso, quando vengono eseguiti degli scavi, si danneggiano o in casi più gravi vengono recise intere porzioni dell’apparato radicale andando a stravolgere e compromettere l’intera stabilità di una pianta. Attraverso questo lavoro di tesi dove si sono sperimentati diversi approcci diagnostici, le prove di trazione si sono rivelate essere lo strumento diagnostico più idoneo per verificare problematiche all’apparato radicale, sia di natura meccanica (danni meccanici) che fitosanitaria (agenti patogeni fungini).

Sitografia e Bibliografia

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Usare meno pesticidi chimici //www.agronomoforestale.eu/index.php/usare-meno-pesticidi-chimici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=usare-meno-pesticidi-chimici //www.agronomoforestale.eu/index.php/usare-meno-pesticidi-chimici/#respond Fri, 31 Mar 2023 08:16:45 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68330 L’uso consapevole e, per quanto possibile minimale, dei fitofarmaci e dei pesticidi per il controllo degli attacchi parassitari e delle malerbe è un obiettivo ogni giorno più comune e condiviso. Da anni, questo obiettivo è entrato nell’azione dell’ordine dei dottori agronomi e forestali, oltre che nelle direttive e nelle strategie europee.

Va aggiunto, però, che la tensione verso la maggiore sostenibilità ambientale delle pratiche agricole deve considerare anche che è necessario salvaguardare la sicurezza alimentare e garantire un reddito sostenibile agli agricoltori.

La piramide per gli interventi di lotta integrata ai parassiti e alle malerbe

Gli 8 principi

La strada maestra in questo settore è un insieme di soluzioni complementari, che prevede l’utilizzo di metodi naturali, innovazioni tecniche, progettazione agronomica qualificata e l’impiego di pesticidi chimici come ultima risorsa. Sapendo che questo mix dovrà essere adattato alle condizioni agricole e agro-climatiche locali/regionali.

La gestione integrata dei parassiti si fonda su 8 principi stabiliti a livello europeo e internazionale.

  1. L’applicazione di tecniche di prevenzione e monitoraggio degli attacchi parassitari e delle malerbe;
  2. L’utilizzo dei mezzi biologici di controllo dei parassiti;
  3. Il ricorso a pratiche di coltivazione appropriate;
  4. La lotta agli insetti dannosi tramite la confusione sessuale (uso di diffusori di feromoni);
  5. La previsione del verificarsi delle condizioni utili allo sviluppo dei parassiti, in modo da irrorare con fitofarmaci specifici solo in caso di effettivo pericolo di infezione e non ad intervalli fissi a scopo preventivo;
  6. L’uso di varietà colturali maggiormente resistenti;
  7. L’uso della rotazione colturale;
  8. L’uso di prodotti fitosanitari che presentino il minor rischio per la salute umana e l’ambiente tra quelli disponibili per lo stesso scopo, ottimizzandone la distribuzione, riducendo, quindi, la quantità di prodotto fitosanitario utilizzato.

Oltre a questi principi, che fanno da linea guida, bisogna aggiungere che la riduzione dell’uso dei pesticidi funziona meglio se combinata con altre buone pratiche: la conservazione del suolo, la riduzione dell’uso di fertilizzanti e la fornitura di servizi ecosistemici, come la conservazione degli impollinatori o il ripristino degli habitat naturali (ad esempio le siepi).

 

1300 buone pratiche

Recentemente la Commissione UE ha pubblicato una banca dati con circa 1.300 esempi di pratiche, tecniche e tecnologie e metodi disponibili per la gestione integrata dei parassiti, accompagnata da uno studio che ne valuta l’efficacia e le prospettive di diffusione.

Il database comprende anche 273 “linee guida specifiche per le colture” sviluppate dalle autorità nazionali e dagli enti pubblici degli Stati membri per implementare i requisiti di gestione integrata dei parassiti previsti dalla direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUD).
Parallelamente a questa panoramica di esempi, uno studio ne valuta il potenziale per ridurre la dipendenza dai pesticidi chimici, il costo di attuazione, l’ efficacia complessiva, le barriere all’adozione e i fattori trainanti (pressione della società civile, quadro normativo incentivante,  ambiente economico favorevole).

La lotta ai parassiti – foto di pexels-pixabay

Il caso italiano

In Italia, le aziende ortofrutticole sono oltre 300.000, un terzo di tutte le aziende agricole nazionali, e gestiscono quasi 1 milione di ettari: l’8% dell’intera Superficie Agricola Utilizzata (SAU) italiana.

La specializzazione che registra l’estensione più significativa è quella frutticola con 377.470 ettari (di cui il 43,4% ricade in Emilia Romagna, Campania e Sicilia), seguita dalle ortive in piena aria (che caratterizzano in particolare Puglia ed Emilia Romagna) e poi dalla produzione di legumi, agrumi e ortive protette che, in molti casi, presentano un’elevata concentrazione territoriale (si pensi al ruolo degli agrumi in Sicilia e Calabria).

Quello che più interessa in questa discussione è che le colture ortofrutticole sono quelle che maggiormente necessitano di essere difese con il ricorso a prodotti fitosanitari.

Risulta chiaro, quindi, perché il caso italiano analizzato riguarda proprio la coltura in frutteto, con un progetto che analizza l’impatto e i costi dell’uso di reti multifunzionali per il controllo di insetti particolarmente nocivi per i frutteti, come la tignola e la cimice asiatica.

 

La strategia europea

La strategia Farm to Fork stabilisce due obiettivi da raggiungere entro il 2030 in termini di riduzione dei pesticidi: una riduzione del 50% dell’uso e del rischio dei pesticidi chimici e altrettanto nell’uso di pesticidi più pericolosi.

Nel periodo 2003-2020, l’Italia ha ridotto del 35% l’uso dei prodotti fitosanitari, proprio grazie all’applicazione dei principi della difesa integrata che costituiscono la base della produzione integrata.

La Direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUD) stabilisce le condizioni che le autorità nazionali devono stabilire per garantire l’uso sostenibile dei pesticidi da parte degli agricoltori e di altri utilizzatori professionali di pesticidi.

Sullo sfondo della strategia Farm to Fork e per rafforzare l’attuazione degli obiettivi della SUD, nel giugno 2022 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento che sostituisca la SUD. La proposta fissa gli obiettivi dell’UE per la riduzione dei pesticidi e prevede obiettivi nazionali, nonché requisiti più specifici a livello di utilizzatori, anche per la difesa integrata sotto forma di “norme specifiche per le colture”.

 

La nuova PAC prevede diversi strumenti a disposizione degli agricoltori per ridurre l’uso dei pesticidi.

Gli eco-schemi del primo pilastro della PAC prevedono un budget minimo di 48,5 miliardi di euro per le pratiche ambientali e climatiche, compresa la riduzione dei pesticidi e l’agricoltura biologica.

Gli impegni di gestione nell’ambito del secondo pilastro della PAC (sviluppo rurale) prevedono un bilancio comunitario minimo di 21,14 miliardi di euro (integrato dal cofinanziamento nazionale). Il secondo pilastro della PAC può anche sostenere gli investimenti nell’agricoltura di precisione, che contribuiscono anche alla riduzione dei pesticidi. Le misure di mercato della PAC in settori come l’ortofrutta o il vino possono finanziare azioni collettive per la promozione di pratiche come la gestione integrata dei parassiti o la produzione integrata, nonché la produzione biologica.
Nell’ambito dei servizi di consulenza aziendale, gli Stati membri devono fornire consulenza agli agricoltori su una serie di questioni, tra cui l’uso sostenibile dei pesticidi. La creazione e l’utilizzo dei servizi di consulenza possono essere finanziati anche dal secondo pilastro della PAC, ad esempio attraverso il partenariato europeo per l’innovazione (EIP-AGRI).

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Siccità e cambiamento climatico: l’azione dei dottori agronomi e dottori forestali. //www.agronomoforestale.eu/index.php/siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/siccita-e-cambiamento-climatico-lazione-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/#respond Tue, 21 Mar 2023 14:37:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68347 Con la fine del mese di febbraio, si è chiuso anche l’inverno meteorologico 2022-2023, l’ennesima stagione ancora piuttosto anomala sia dal punto di vista delle temperature (9° inverno più caldo degli ultimi 66 anni) sia dal punto di vista delle precipitazioni solide e liquidi che hanno fatto registrare un deficit complessivo di circa il 45% rispetto alla norma 1991-2020.
La combinazione autunnale ed invernale di piogge scarse e temperature ben sopra la norma, fa sì che il bilancio idro-climatico sia fra i peggiori degli ultimi 65 anni.

Le ridotte nevicate dell’inverno si sono sommate all’effetto di prolungati periodi di tempo stabile ed eccezionalmente mite: in pratica abbiamo ricevuto solo un terzo della neve rispetto alla media dell’ultimo decennio.
Il fiume Po viene alimentato per il 60% dalla neve caduta in montagna. Quest’anno mancano circa 4 miliardi di metri cubi di quest’acqua. Una condizione che sicuramente condizionerà dunque lo stato di salute dei fiumi del Nord anche nella prossima primavera ed estate.
Siamo purtroppo nella stessa situazione di un anno fa, ma con 12-14 mesi di siccità sulle spalle.

La pioggia non basta
Per quanto riguarda le temperature si segnala un febbraio caldo (anomalia positiva di circa 2°C) che lo colloca al 7° posto tra i più caldi dal 1958.
Le alte temperature della seconda decade del mese, con lo zero termico che si è riportato già oltre i 3000 metri, stanno di fatto sciogliendo la neve caduta su Alpi e Appennini.
Sugli Appennini, in particolare, le nevicate sono state abbondanti nella seconda metà dell’inverno, ma col caldo anomalo si sta già riducendo il volume della neve anche a quote medio-alte.

Il mese di febbraio 2023 ha registrato precipitazioni molto al di sotto della norma climatica 1991-2020, con un deficit medio sostanzialmente che in alcune regioni (Piemonte) ha raggiunto -80%. Ma anche le zone alpine occidentali hanno un deficit medio del 40% grazie alle nevicate soprattutto della fine di febbraio.
Analoga situazione nelle regioni del centro dove i primi giorni del 2023 avevano fatto sperare in un ‘recupero’ grazie alle precipitazioni nevose e piovose, verificatesi soprattutto a gennaio, ma il mese di febbraio ha visto piogge scarse, inferiori alla media, su quasi tutto il territorio.
In particolare, in Toscana si è registrato un deficit pari a circa il -57% (corrispondente a circa 47 mm di pioggia in meno). A ciò si accompagnano le previsioni meteo del Lamma, che parlano per i prossimi tre mesi di precipitazioni nella media e temperature leggermente superiori, una situazione che invita alla prudenza paventando la possibilità di una nuova estate a rischio siccità.
Leggermente migliore appare la situazione al sud.

Le azioni del Governo
Qualche giorno fa si è svolta il primo incontro interministeriale che ha il compito di varare un piano di interventi a breve scadenza e una programmazione a medio-lunga scadenza per gestire l’emergenza siccità.
Alla cabina di regia partecipano i rappresentanti dei ministeri Ambiente, Infrastrutture, Agricoltura, Affari europei e PNRR, Protezione civile.
A quel tavolo, il ministro Musumeci ha portato alcune proposte per interventi a 2-3 anni. Fra questi, incentivi per realizzare laghetti aziendali per supplire alla siccità nei mesi estivi e un piano speciale per la pulizia degli invasi dall’insabbiamento, dai fanghi e dai detriti accumulatisi nel corso degli anni.

Foto di Pat Whelen per pexels

Di fronte al cambiamento climatico
È evidente che siamo ormai di fronte a un’evoluzione climatica che appare inarrestabile e che ci obbliga a considerare tre aspetti essenziali:
● La riduzione delle precipitazioni assolute.
● La concentrazione delle precipitazioni in periodi ristretti e in fenomeni estremi e intensi.
● L’aumento delle temperature medie e di quelle assolute.

I dottori agronomi ed i dottori forestali, da sempre attenti alla gestione dell’equilibrio idrico, sono fortemente preoccupati. Dopo tanti anni e tanti dati, manca una strategia complessiva che, tenendo conto dell’insieme dei cambiamenti in atto, finalizzi le risorse per investimenti funzionali sia alla difesa dagli estremi nivopluviometrici che allo stoccaggio della risorsa idrica per la sua coerente utilizzazione idropotabile e irrigua.

6 proposte
1. Gestire le nostre aree montane e le foreste per impedire la compromissione del ruolo tampone in ottica di bilancio idrico.
Tra i servizi ecosistemici forniti dalle montagne, infatti, in connessione con le aree a valle, le pianure e le aree costiere vi è quello di “serbatoi d’acqua” (water towers). Le montagne forniscono acqua e nutrienti alle pianure, compensando la riduzione delle precipitazioni estive tipica del clima italiano.

2. Un programma pluriennale d’interventi per il ripristino dei laghi artificiali, dei numerosi laghetti collinari e la previsione di nuove realizzazioni per affrontare gli anni a venire.
Già oggi devono essere assunte decisioni tecnico-agronomiche in grado di mitigare la prossima estate siccitosa e torrida che ci aspetta. Dobbiamo però avere anche consapevolezza che senza interventi strutturali tutto quello che la scienza agronomica può suggerirci non sarà sufficiente.

3. Occorre che le autorità di bacino predispongano o aggiornino i loro piani, prevedendo la realizzazione di interventi che consentano di stoccare l’acqua nei diversi territori con l’obiettivo di difendere i territori a valle, garantire un minimo deflusso vitale ai corsi d’acqua durante tutto l’anno e rendere disponibili le risorse idriche per l’irrigazione.

4. Occorre realizzare impianti irrigui innovativi che minimizzino i consumi e massimizzino l’utilità dell’acqua somministrata alle colture, come per la scelta di tecniche colturali e varietà coltivate idonee a questa nuova fase climatica. Da qui, è evidente il ruolo decisivo della consulenza tecnica.

5. Dobbiamo ripensare la gestione del verde urbano, tanto necessario alle nostre città, quanto fragile nella manutenzione.
Partendo dalla scelta delle varietà più resistenti, passando per la progettazione degli spazi di messa a dimora, fino al recupero delle acque piovane diventano snodi cruciali per mantenere verdi le aree urbane anche il periodi siccitosi.

6. Incentivare – se non rendere obbligatorio – lo stoccaggio delle acque piovane per ogni nuova costruzione, domestica e non. Un piccolo intervento, puntuale e diffuso, che consentirebbe di migliorare il bilancio idrico complessivo del territorio.

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Le foreste urbane per la riqualificazione delle città //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta //www.agronomoforestale.eu/index.php/le-foreste-urbane-per-la-riqualificazione-delle-citta/#respond Fri, 17 Mar 2023 12:19:34 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68308 di Renato Ferretti

Le foreste urbane e le infrastrutture verdi all’interno delle città possono giocare un ruolo molto importante per migliorare la qualità della vita. Infatti, come noto da tempo, offrono un’ampia gamma di benefici alla popolazione e svolgono preziosi servizi quali assorbimento della CO2, cattura del particolato e degli inquinanti atmosferici, drenaggio e controllo delle acque meteoriche, contrasto al fenomeno delle isole di calore, incremento della qualità estetica e percettiva, fornitura di aree in cui svolgere attività ricreative.

Numerose città, in tutto il mondo, hanno avviato iniziative molto ambiziose di riforestazione urbana. Tutte accomunate dalla scelta di accrescere la propria dotazione di infrastrutture verdi per rafforzare la coesione sociale e muoversi verso uno sviluppo equo e sostenibile.

Le foreste e gli alberi – secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – se ben gestiti, all’interno e attorno ai centri urbani forniscono habitat, cibo e protezione per numerosi animali e molte specie vegetali. Il che contribuisce anche a salvaguardare e accrescere la biodiversità”.

foto di Lachlan per pexels

Il dipartimento che si occupa delle foreste è impegnato a contrastare la deforestazione perché la questione più importante è assicurare una fonte di sostentamento alle persone che dipendono dalle foreste. – ha aggiunto il capo del dipartimento Fao, Hiroto MistugiQuesto aspetto riguarda tutti gli abitanti delle zone rurali, ma anche gli abitanti delle città perché gli alberi sono fonti d’acqua, migliorano la qualità dell’aria e contribuiscono a un ambiente sano.

Le città sono sempre più insalubri per l’aumento delle emissioni di CO2, di polveri sottili, agenti inquinanti e per l’ormai insopportabile calore estivo.
È provato che i boschi assorbono il 40% delle emissioni ascrivibili all’utilizzo dei combustibili fossili: per questo la forestazione urbana e periurbana deve diventare una priorità nell’agenda internazionale dei governi e delle istituzioni internazionali e locali.
È necessaria una trasformazione radicale del modo di operare per moltiplicare gli spazi verdi e i piccoli parchi, impiantare alberi per formare nuovi corridoi ecologici, realizzare edifici verdi anche in verticale. Tutto questo inciderebbe non solo sulla qualità dell’aria e del clima, ma anche sullo sviluppo economico delle città stesse, favorendo la microagricoltura e la produzione di cibo, per contrastare anche in questo modo i fenomeni di povertà.

Foto di Harrison Haines per pexels

Gli investimenti nel verde urbano sono particolarmente efficaci ed efficienti anche in termini economici perché garantiscono una riduzione di diverse tipologie di spesa, da quelle per il raffreddamento degli edifici a quelle per la manutenzione del territorio e la resilienza idrogeologica. Contrastando l’inquinamento dell’aria, le piante permettono di ridurre le spese per la salute, mentre i parchi pubblici o gli orti comunitari offrono occasioni di incontro e socialità. Si parla di soluzioni naturali (nature-based solutions, nbs) a problemi come il consumo energetico o quello idrico o il riscaldamento delle città.

Per tutto ciò non bastano le risorse del decreto clima e del PNRR: occorre una programmazione pluriennale e una strategia continua nel tempo.

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La CITES e lo sguardo di empatia verso i vivaisti //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-cites-e-lo-sguardo-di-empatia-verso-i-vivaisti/#respond Fri, 10 Feb 2023 17:16:27 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68274 di Luigi Salvatore Arcudi, consulente C.I.T.E.S. Consulting

Il Segretariato della CITES ha pubblicato il primo World Wildlife Trade Report , che fornisce approfondimenti e analisi sul commercio globale di animali e piante regolati da questo trattato internazionale. Il rapporto pilota sul commercio mondiale di specie selvatiche è stato lanciato ufficialmente alla Conferenza mondiale sulla fauna selvatica a Panama il 15 novembre 2022.
La novità interessante è che il Rapporto valorizza il lavoro di quanti propagano artificialmente le piante protette, riconoscendone il contributo a favore della conservazione delle specie e del loro habitat poiché la propagazione artificiale rende ingiustificato il prelievo in natura.

Oggi, gli 8 miliardi di persone sul nostro pianeta consumano nella loro vita quotidiana milioni di prodotti derivati da animali e piante selvatiche, spesso senza essere consapevoli della nostra relazione e interdipendenza con la natura e la sua rete di vita. Mentre la CITES si avvicina al 50° anniversario della sua firma a Washington DC il 3 marzo 1973, è opportuno avere un quadro più chiaro del commercio globale di specie selvatiche regolamentato dalla Convenzione”, afferma Ivonne Higuero, Segretario generale della CITES.

Propagato, non prelevato
Mentre è generalmente vietato il commercio internazionale di circa il 3% di tutte le specie protette dal trattato, vale a dire quelle incluse nell’Appendice I e considerate a rischio di estinzione, il commercio internazionale del resto del 97% delle specie è consentito, a condizione che tutte le specie pertinenti le regole sono rispettate. Queste specie, regolamentate dalla CITES, comprendono, tra le altre, specie ittiche e legnose di alto valore marino. La maggior parte delle quasi 40.000 specie sotto controllo commerciale sono piante.
Il rapporto mostra anche che la percentuale di piante selvatiche in commercio è ulteriormente diminuita negli ultimi dieci anni fino ad appena il 4% in termini di numero di singole piante. In altre parole, la stragrande maggioranza delle piante in commercio viene propagata artificialmente e non è più “selvatica”.

Qualche risultato
Ecco alcuni dei risultati del rapporto pilota:

  • Tra il 2011 e il 2020, circa 3,5 milioni di spedizioni CITES sono state segnalate nel commercio diretto da parte degli esportatori. Ciò ammontava a oltre 1,3 miliardi di singoli organismi di cui 1,26 miliardi di piante e ulteriori 279 milioni di kg di prodotti dichiarati in peso di cui 193 milioni di kg di piante.
  • L’Asia e l’Europa rappresentavano entrambe le principali regioni di esportazione e importazione, con l’Asia che rappresentava il 37% delle transazioni di esportazione e il 31% delle transazioni di importazione, e l’Europa il 34% delle transazioni di esportazione e il 38% delle transazioni di importazione.
  • Asia e Africa sono le regioni che rappresentano la percentuale più alta del valore stimato delle esportazioni globali. Circa la metà del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali di animali nell’elenco CITES proveniva dall’Asia, mentre quasi i due terzi del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali di piante nell’elenco CITES è stato attribuito alle esportazioni dall’Africa.
  • Le entrate annuali generate dal commercio legale globale di animali selvatici (CITES e non CITES) in totale sono state stimate a 220 miliardi di dollari all’anno. In questa analisi, il valore finanziario delle esportazioni globali dirette di specie elencate nella CITES nel periodo 2016-2020 è stato di 9,3 miliardi di dollari per le esportazioni di piante.
  • Tra tutti i prodotti vegetali, circa due terzi (66%) del valore medio annuo stimato delle esportazioni globali elencate nella CITES è stato attribuito alle esportazioni di legname (6,2 miliardi di USD), con le esportazioni di piante non legnose (3,17 miliardi di USD) che rappresentano il restante terzo (34%) delle esportazioni globali in valore.
  • La maggior parte del commercio ha coinvolto individui (o parti e derivati) che sono stati propagati artificialmente (per piante) Complessivamente, il commercio di individui di origine selvatica rappresentava il 18% di tutto il commercio ed è dominato dalle piante (81% del commercio globale di origine selvatica).

Conclusioni
Il rapporto rivela che gli impatti positivi di un commercio ben gestito di specie elencate nella CITES e commercializzate includono l’aumento e stabilizzazione della popolazione, il mantenimento e la riduzione della pressione sulla popolazione selvatica. Lo studio ha, inoltre, identificato un’ampia varietà di impatti socioeconomici, che vanno da quelli macroeconomici come i contributi al PIL, agli impatti a livello locale come la generazione di reddito, il miglioramento della nutrizione o il rafforzamento dei diritti. Gli impatti della conservazione sono profondamente intrecciati con i benefici socioeconomici che vengono generati, i secondi spesso forniscono l’incentivo per i primi.

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Come nasce il rapporto
Il rapporto è una produzione congiunta che coinvolge un partenariato tra le organizzazioni delle Nazioni Unite e le principali organizzazioni per la conservazione. Tra gli autori troviamo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD), l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e il TRAFFIC.
Il rapporto è ricco di statistiche che coprono le rotte, le dimensioni e i modelli del commercio internazionale legale delle specie elencate nella CITES, insieme ai valori, agli impatti sulla conservazione e ai benefici socioeconomici di questo commercio e ai collegamenti tra legale e illegale commercio. Basandosi su milioni di record, con oltre 1,2 milioni di permessi commerciali CITES rilasciati ogni anno, in oltre 80 pagine, il rapporto esamina una vasta gamma di argomenti commerciali.
È il primo rapporto del suo genere progettato per aiutare governi, organizzazioni, imprese ed enti commerciali a costruire le politiche e le pratiche di conservazione.
Lobiettivo della CITES è che, entro il 2030, tutto il commercio delle specie elencate dovrebbe essere legale, tracciabile e sostenibile.

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Gli alberi ed il contesto urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-alberi-ed-il-contesto-urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/#respond Fri, 18 Nov 2022 17:32:59 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68246 Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF

Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.

Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.

L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:

  • nell’apparato radicale ridotto a causa dei lavori effettuati per opere infrastrutturali successive;
  • nelle errate potature che producono chiome disequilibrate, accentuano l’effetto vela ed indeboliscono l’apparato radicale;
  • nell’ineluttabile ciclo di vita che, come per ogni essere vivente, si conclude con la morte che può essere più o meno immediata. Lo stroncamento di rami o addirittura del fusto è come un infarto per un uomo.

La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.

Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.

Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.

Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.

Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.

Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).

Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.

 

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