SDAF06 – TECNOLOGIA DEL LEGNO E UTILIZZAZIONI FORESTALI – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 08 Aug 2024 13:30:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Quanti alberi si possono tagliare? //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quanti-alberi-si-possono-tagliare //www.agronomoforestale.eu/index.php/quanti-alberi-si-possono-tagliare/#respond Wed, 10 Jan 2024 18:07:44 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68471 In Italia, la copertura forestale è triplicata in poco più di cento anni. Dopo secoli caratterizzati da deforestazione e utilizzo intenso delle risorse forestali più facilmente raggiungibili e sfruttabili – che hanno causato impoverimento dei suoli e diminuzione della biodiversità animale e vegetale – si è assistito a un’inversione di tendenza. Le aree rurali e montane hanno registrato un progressivo abbandono gestionale, favorito dal massiccio sviluppo industriale e urbano e da un forte disinteresse verso le risorse forestali locali.

Negli ultimi decenni, la ricostituzione ed espansione naturale delle foreste è stata accompagnata da una particolare attenzione alla conservazione e alla valorizzazione degli aspetti naturalistici (oltre il 27% delle foreste italiane gode di un particolare regime di tutela naturalistico), alla conservazione del ruolo di protezione dei versanti e regimazione delle acque (circa l’86% delle foreste italiane è sottoposto a vincolo idrogeologico) e alla tutela del paesaggio (il 100% delle foreste italiane è soggetto a vincolo paesaggistico).

Al tempo stesso, l’Italia è uno tra più importanti Paesi al mondo nella trasformazione e lavorazione della materia prima legno ma, come conseguenza delle dinamiche sociali e ambientali degli ultimi decenni, oltre l’80% della materia prima – utilizzata per scopi edilizi e, soprattutto, energetici – proviene dai mercati esteri, con ovvie problematiche in termini di sostenibilità delle filiere locali.
Attualmente l’Italia ha le condizioni, le potenzialità e la responsabilità di gestire questo capitale naturale in modo attivo e partecipato, consapevole delle conseguenze locali e globali, e attento a mantenerne il ruolo multifunzionale. Ma serve trovare nuove vie, adatte al contesto contemporaneo, per gestire le foreste italiane in modo sostenibile e partecipato.

Rimboschimento di larice in Alta Valle Camonica

Valutare i servizi ecosistemici delle foreste
In questo scenario si è recentemente concluso il progetto di ricerca USEFOL – Approcci innovativi per la valutazione della fornitura di servizi ecosistemici in foreste lombarde, che ha dimostrato scientificamente

  • come prevedere la quantità di legno prelevabile in modo sostenibile,
  • come analizzare costi e benefici ambientali del prelievo forestale
  • come calcolare il carbonio immagazzinabile dalle foreste e dai suoli forestali
  • come calcolare le emissioni di gas serra risparmiate utilizzando il legno in sostituzione di materiali e combustibili maggiormente climalteranti.

I territori pilota sono stati l’Alta Val Camonica e l’Alta Valtellina: qui il progetto ha effettuato una previsione relativa ai prossimi 30 anni, ipotizzando diverse scelte di gestione forestale e scenari climatici dai più moderati ai più severi. Le informazioni elaborate sono servite ad aggiornare i documenti di pianificazione forestale con protocolli, strumenti e risultati delle simulazioni effettuate.

Volume (A, C, D) e specie arborea dominante (B, E) nelle aree di applicazione del progetto, alta Valtellina (A, B) e Val Camonica (D, E).


La stima della biomassa legnosa

La biomassa legnosa in Alta Valtellina e Valcamonica è stata stimata grazie a una procedura suddivisa in tre fasi:

  1. rilievo forestale e stima del volume legnoso a terra;
  2. costruzione di un modello di stima “puntuale” calibrato sui dati rilevati a terra e basato sulle misure di altezza delle foreste ottenute con LiDAR satellitare (missione NASA GEDI);
  3. costruzione di un modello di stima “per pixel” per estendere le stime di volume a scala regionale grazie alle variabili spettrali derivate da immagini satellitari Sentinel-2.

Fasi dell’algoritmo per la stima del volume forestale su tutto il territorio analizzato

 

È stato inoltre realizzato un modello di calcolo denominato “WOody biomass and Carbon Assessment” (WOCAS) che quantifica – secondo un approccio “gain-loss” coerente con le Linee Guida dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – le masse di legno (e carbonio) esistenti in ciascuna particella forestale e il loro incremento annuale previsto.

Elementi considerati per calcolare il bilancio del carbonio delle foreste

Effetto previsto della selvicoltura preventive nei confronti del comportamento degli incendi boschivi. Il diradamento degli alberi e la riduzione della vegetazione a terra ostacola la propagazione del fuoco e diminuisce la sua intensità, contribuendo a dissipare più efficacemente il calore.

Quali foreste destinare alla produzione di legno
La definizione delle foreste da destinare alla produzione di legno è stata basata su indicatori capaci di esprimere eventuali limitazioni al prelievo del legno, come il rischio di dissesto idrogeologico, la pendenza, la distanza da strade e piste forestali e la presenza di aree naturali protette.
I possibili prelievi di legno sono stati quantificati ipotizzando diverse ipotesi di gestione forestale, dalla mera applicazione del regolamento forestale regionale a una selvicoltura mirata alla prevenzione dei danni da eventi meteorologici estremi  e alla valorizzazione del legno e dei suoi assortimenti utilizzabili per realizzare prodotti di lunga durata.

Esempio di informazioni disponibili per ciascuna particella in un Piano di Assestamento Forestale.

 

Un secondo modello denominato “FOREstry MAchinery chain selection” (FOREMA) è stato realizzato per ottimizzare la scelta del cantiere di meccanizzazione da allestire per il prelievo del legno (raccolta e trasporto) e calcolarne i costi economici e ambientali.

I benefici climatici
Per quanto riguarda i benefici climatici generati dall’uso del legno, si è valutato l’effetto di sostituzione relativo a edifici residenziali con strutture portanti in legno, anziché in cemento armato e acciaio, in funzione della quantità di legno utilizzato nelle due opzioni costruttive e al Displacement Factor (DF), cioè il rapporto fra le emissioni risparmiate optando per l’opzione costruttiva in legno e la quantità di legno necessaria.

Nel complesso, la sostituzione dei materiali costruttivi corrisponde a un risparmio di emissioni climalteranti nell’ordine delle decine di migliaia di tonnellate di CO2 equivalente. La decarbonizzazione delle filiere fa sì che la sostituzione dei materiali negli edifici che verranno costruiti nel breve termine corrisponda a risparmi maggiori.

Emissioni evitate per grado di sostituzione. La linea rossa rappresenta le emissioni associate agli edifici in cemento.

 

Stime per tutti i territori montani
Per estendere queste stime a tutti i territori montani è stato pubblicato sul sito di progetto un foglio di calcolo utile a valutare gli effetti dei prelievi sul carbonio immagazzinato nei prodotti legnosi e sulla sostituzione di materiali edili e combustibili fossili più emissivi.
I gestori di aree forestali possono inserire i prelievi forestali programmati nella loro area, gli impieghi previsti per il legno prelevato, e stimare il possibile beneficio climatico per il periodo 2020-2050.
La crescita attesa delle foreste e i flussi di carbonio da e verso la foresta sono stati simulati con il Carbon Budget Model del Servizio Forestale Canadese, in funzione degli scenari climatici elaborati dal modello MPI-ESM-LR del Max Planck Institute. Il modello è specificatamente pensato per studiare i flussi di carbonio tra i diversi serbatoi forestali e l’atmosfera e può simulare un’elevata varietà di disturbi e trattamenti. Le variazioni attese di temperatura e precipitazioni hanno influito in modo diretto sulla crescita degli alberi (comportando aumenti della produttività dallo 0 al 3% annuo delle conifere e dal 6 al 16% annuo per il castagno e le altre latifoglie), e in modo indiretto attraverso il loro effetto sull’area percorsa dagli incendi e la mortalità degli alberi a causa della siccità.

Andamento previsto del volume del bosco e de prelievi di abete rosso (boschi disetanei a media fertilità) nell’area di studio in diversi scenari climatici e gestionali

 

La selvicoltura preventiva, che mostra prelievi iniziali minori, diventa invece quella più conveniente verso fine simulazione. A parità di clima, la selvicoltura basata sull’applicazione dei regolamenti oggi in vigore è invece la meno conveniente a fine simulazione, in quanto associata a prelievi troppo intensi e non sostenibili.

Effetto del cambiamento di gestione forestale sui diversi serbatoi di carbonio nel periodo 2020-2050, secondo due scenari climatici e due scenari gestionali. In verde gli accumuli di carbonio nella foresta e nei prodotti legnosi, in blu gli effetti di sostituzione (emissioni evitate utilizzando legno al posto di materiali e combustibili basati su fossile).

 

Il miglior compromesso
Secondo le simulazioni del progetto, il miglior compromesso tra assorbimento di carbonio nella foresta, prevenzione dei danni climatici al bosco e effetti di sostituzione delle emissioni grazie ai prodotti legnosi si ottiene applicando interventi di selvicoltura preventiva e un prelievo di legno solo sul 25% della superficie forestale disponibile.

Per tutti gli operatori del settore, il progetto USEFOL ha prodotto due linee guida innovative per la gestione forestale sostenibile in Italia.
La prima fornisce una guida completa sulla gestione forestale per la mitigazione climatica e sulla generazione e il conteggio di crediti di carbonio, alla luce della recente introduzione del Registro pubblico dei crediti generati su base volontaria dal settore agroforestale nazionale.
Il secondo manuale, invece, fornisce un supporto alla redazione dei piani di approvvigionamento di biomassa legnosa per fini energetici, offrendo una panoramica della gestione e pianificazione forestale sostenibile, delle tecniche di stima della disponibilità di biomasse legnose, della meccanizzazione applicabile e delle condizioni in cui l’utilizzo energetico del legno è climaticamente sostenibile.

Per le scuole
A scopo didattico, il team di progetto ha anche realizzato un opuscolo sulla filiera bosco-legno rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e un video per la primaria e secondaria di primo grado, dal titolo “La scrivania di larice“: un breve viaggio, immaginario ma al tempo stesso reale, lungo una filiera corta e locale bosco-legno-energia, che racconta in modo semplice e immediato la storia che può nascondere un oggetto di legno proveniente da Gestione Forestale Sostenibile.

Uno dei team di progetto al termine di una giornata di misure in bosco

 

USEFOL
È un progetto finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del programma per Progetti di ricerca in campo agricolo e forestale.
È coordinato dal prof. Renzo Motta dell’Università di Torino e con la partnership dell’Università di Milano, FIPER (Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili) e Associazione Consorzi Forestali della Lombardia.

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Clima, biodiversità, filiere corte: l’UE contro la deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/clima-biodiversita-filiere-corte-lue-contro-la-deforestazione/#respond Fri, 23 Jun 2023 06:46:46 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68367 La proposta del Regolamento EUDR (è stato approvato in via definitiva dal Parlamento europeo il 19 aprile scorso ed è diventata legge.

Una norma pensata per contrastare l’emergenza climatica e la perdita di biodiversità e che, avviando filiere corte, controllate e virtuose, può diventare un vantaggioso volano per le produzioni nazionali, europee e un’opportunità per le aree interne.

Cos’è EUDR

Il regolamento europeo EUDR nasce con l’intento di impedire che nei Paesi dell’Unione Europea siano commercializzati prodotti che abbiano causato deforestazione o degrado forestale.

Non si parla solo di legname, ma il regolamento comprende anche i prodotti agricoli e di allevamento: cacao, gomma naturale, caffè, olio di palma, mais, soia e pure carne bovina che alimenta l’espansione dei terreni agricoli a discapito delle superfici forestate. E l’elenco europeo include anche i prodotti derivati quali il cuoio o il mobilio, finanche il cioccolato, una serie di derivati dell’olio di palma, la carta e via dicendo.

A partire da fine 2024, quindi, le aziende che vorranno commercializzare i propri prodotti nell’UE dovranno verificare e certificare che né loro né i loro fornitori abbiano provocato deforestazione o degrado delle foreste dopo il 31 dicembre 2020. Con sanzioni rilevanti: quelle che non rispettano le regole di tracciabilità delle catene di fornitura e di trasparenza in materia di sostenibilità potrebbero incorrere in multe pari ad almeno il 4% del loro fatturato annuo nell’UE.

La verifica (la cosiddetta “due diligence”) della catena di approvvigionamento produrrà conseguenze anche sulla produzione nazionale e quella interna all’UE: per molti prodotti, privilegiare l’origine nazionale diventerà la via più semplice ed economica.” – dichiara Marco Bonavia, consigliere CONAF – “Limitando il ragionamento alla filiera del legno, è concreta l’ipotesi di un effetto positivo sulle economie delle aree interne, che potranno valorizzare una materia prima locale anziché tropicale, che con più facilità saprà dimostrare la gestione con criteri rispettosi sia dell’ambiente che delle molteplici funzioni del bosco.”

 

Un problema concreto

Secondo le stime della FAO, tra il 1990 e il 2020 sono scomparsi 420 milioni di ettari di foreste, una superficie più grande dell’UE, che rappresenta circa il 10% del totale delle foreste della Terra. Contemporaneamente, l’Europa è uno dei maggiori importatori di materie prime legate alla deforestazione, tra cui il 50% del caffè mondiale e il 60% di tutto il cacao: due prodotti che, da soli, sono stati responsabili di oltre il 25% della perdita di copertura arborea a livello mondiale nel periodo 2001-2015.

A ciò va aggiunto che, in base a recenti stime su immagini satellitari, quasi 4 milioni di ettari di foresta tropicale sono andati perduti dal 1993 per fare spazio alle piantagioni di gomma nel Sud-Est asiatico. Oggi le foreste colpite sono spesso frammentate e limitate sia nella loro capacità di immagazzinare carbonio e che nella capacità di ospitare popolazioni vitali di specie minacciate, come gli elefanti asiatici e le tigri di Sumatra.

In questo contesto, fa riflettere pensare che i consumi imputabili all’UE sono responsabili di circa il 10% delle perdite di foreste, con l’Italia quale è il secondo maggior consumatore in Europa di prodotti responsabili della distruzione di foreste (36mila ettari di foresta/anno), dietro la Germania con più di 43mila ettari abbattuti ogni anno.

 

Sulle spalle dell’EUTR

Da dieci anni in UE è in vigore il regolamento EUTR (European Union Timber Regulation), che già chiedeva agli operatori di mercato una maggiore consapevolezza sulla questione dei tagli forestali di natura illegale e un loro maggiore impegno nel controllo delle catene di approvvigionamento.

In due lustri, sono stati raggiunti dei risultati positivi, come una diminuzione delle importazioni nell’UE di legname illegale. Ora ci si attende un ulteriore salto qualitativo, con vincoli più stringenti e un perimetro di tutela dei diritti più ampio.

La vera sfida per rendere davvero efficace il nuovo regolamento sarà quella di evitare le criticità evidenziate dall’EUTR.
Secondo le valutazioni di ETIFOR, il testo mostra quadro normativo più chiaro su verifiche e controlli, introducendo livelli minimi per le ispezioni. Inoltre, il parlamento ha ridefinito gli spazi di autonomia dei singoli stati membri, per evitare situazioni di disparità all’interno dell’UE: è stato chiesto che le autorità competenti abbiano risorse sufficienti e che le sanzioni siano proporzionate al danno ambientale causato e al suo valore.

Tra i cambiamenti più innovativi, c’è il coinvolgimento diretto delle agenzie delle dogane degli stati membri, che potranno rilevare eventuali rischi e comunicarli prima che le merci entrino nell’Unione, fino alla possibilità di bloccare o confiscare i prodotti alle frontiere. Inoltre, un nuovo sistema digitale (il cosiddetto “registro”) andrà a semplificare la gestione dei dati (coordinate geografiche e paese di produzione per ciascun prodotto), l’accesso alle informazioni ufficiali, facilitando anche la cooperazione tra autorità doganali e altre istituzioni competenti.

 

Altri punti di vista

I Paesi produttori di olio di palma stanno cercando di reagire, con la Malesia che sta valutando potenziali restrizioni commerciali che rallenterebbero il flusso di prodotti verso l’Europa e rivedrebbero le importazioni dal blocco.

E voci di dissenso vengono dalle associazioni che rappresentano i piccoli agricoltori che coltivano la palma da olio, che rappresentano tra il 35% e il 40% della produzione globale di olio di palma. Per loro, la palma da olio rappresenta la fonte primaria di reddito in un’economia familiare.

Il nuovo regolamento, secondo queste associazioni, rischia di condurre all’esclusione dei piccoli agricoltori dal mercato dell’UE, con il conseguente reindirizzamento delle esportazioni verso Paesi con normative ambientali più deboli, spostando il problema in altre regioni.

C’è il rischio che milioni di piccoli coltivatori di palma da olio vengano esclusi dalla catena di approvvigionamento dell’UE, limitando l’accesso al mercato solo all’olio di palma prodotto dai grandi operatori. Attualmente, i piccoli proprietari sono l’anello più debole della catena di approvvigionamento globale dell’olio di palma, eppure ci si aspetta che siano loro a sostenere gran parte dell’onere di dimostrare che la loro produzione non ha causato deforestazione. Non disponendo di risorse e competenze, devono già affrontare le sfide per conformarsi agli standard di sostenibilità esistenti. L’imposizione di nuovi requisiti di sostenibilità e tracciabilità aggraverebbe ulteriormente la loro esclusione dal mercato dell’UE.” – hanno dichiarato in un documento The Netherlands Oils and Fats Industry (MVO), the Council for Palm Oil Producing Countries (CPOPC) and Solidaridad.

La questione non è solo limitata all’azione di lobbying per evitare dei costi alla filiera. L’industria della palma da olio, nei Paesi produttori, svolge un ruolo fondamentale nel trasformare le condizioni di vita delle comunità rurali, alleviando la povertà grazie alle opportunità di lavoro e migliorando lo sviluppo sociale. In quanto tale, mantenere vitale l’industria della palma da olio può contribuire positivamente al raggiungimento del Green Deal dell’UE, nonché dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e dei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

 

L’iter legislativo

Le tempistiche per l’entrata in vigore dell’EUDR sono ancora lunghe, si ipotizza che il percorso approvativo si completi per l’inizio del 2025. Dopo la decisione di formale adozione da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, infatti, dovranno passare altri 18 mesi.

Da quel momento in poi, il nuovo regolamento andrà a sostituire il vigente regolamento UE sul legno (EUTR).

Sostenibilità, tutela della biodiversità, commercio equo e riduzione delle disparità sono stati temi discussi anche nel Congresso nazionale di Firenze, a ottobre. Alle imprese, infatti, è anche chiesto di verificare che la propria supply chain rispetti la legislazione del Paese di produzione anche in materia di diritti umani e di diritti delle popolazioni indigene.
L’introduzione di questo regolamento è certamente un segnale positivo, seppure si dovranno affrontare diverse criticità.” – Marco Bonavia, consigliere CONAF

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Voci da bosco //www.agronomoforestale.eu/index.php/voci-da-bosco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=voci-da-bosco //www.agronomoforestale.eu/index.php/voci-da-bosco/#respond Fri, 11 Jun 2021 07:55:47 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68084 Marco Bonavia, consigliere nazionale CONAF e coordinatore del Dipartimento Sistemi montani, forestali, risorse naturali e faunistiche intervista Alessandra Stefani, direttore generale dell’economia montana e delle foreste del MIPAAF.

Voci dal Bosco

Le aree boscate sono una fondamentale infrastruttura del nostro Paese, decisive per molteplici funzioni. Le foreste sono al centro delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, delle politiche di contrasto del dissesto del territorio, delle politiche di valorizzazione delle aree interne, sono fornitrici di servizi ecosistemici e finanche di legname, straordinario materiale ecosostenibile dalle molteplici funzioni.

Voci dal bosco, maggio 2021

In questi 30 minuti di dialogo con la direttrice Stefani abbiamo cercato di conoscere le politiche forestali nazionali, le leggi approvate e quelle in approvazione, di capire a che punto sta il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (Tuff) e quali sono le opportunità che il Governo si è posto in merito alle politiche di sostenibilità, transizione ecologica e al PNRR.

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Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-casco //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/#comments Mon, 04 May 2020 04:31:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67670 di Giovanni Maiandi (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia), Silvia Pirani (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia),Luca Galeasso (Environment Park)

Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber

Il problema dei cambiamenti climatici focalizza ormai da anni l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, oltre che della comunità scientifica.
Nel Nord Italia, a tale questione si aggiungono gli effetti dell’elevato tasso di particolato e biossido di azoto in atmosfera, cosicché il fenomeno determina un peggioramento della qualità dell’aria per il quale il nostro Paese è soggetto a procedura d’infrazione da parte dell’UE.
Nel settore della produzione del legno, la componente di gran lunga più impattante sotto questo profilo è quella del trasporto, che è anche il segmento sul quale è possibile incidere maggiormente con strategie volte a ottimizzare i trasferimenti.

Legname di prossimità
Il progetto internazionale CaSCo (acronimo di Carbon Smart Communities)1 è un progetto europeo finanziato dal programma Interreg Spazio Alpino incentrato sulla promozione del “legname di prossimità”.
L’obiettivo di questo progetto è stato, per l’appunto, quello di incentivare la riduzione delle distanze coperte nel ciclo produttivo degli assortimenti legnosi, massimizzando la sostenibilità e riducendo gli impatti climalteranti associati ai trasporti. Tale approccio sottintende il passaggio dalla tradizionale idea geografica di “regionalità”, che spesso non trova una giustificazione nelle caratteristiche tecnologiche del legname locale, a un’idea di “sostenibilità”, che punta sul maggior valore ambientale del materiale lavorato e posato vicino al luogo di raccolta.
Si tratta di un progetto è piuttosto articolato, che comprende una raccolta dati sulle filiere locali, attività di animazione e formazione rivolte a imprese, enti pubblici, tecnici, una sezione specificamente dedicata al tema del green public procurement, iniziative di comunicazione, e anche lo sviluppo di strumenti di supporto e la loro sperimentazione attraverso progetti pilota che coinvolgono il tessuto produttivo del settore forestale e la pubblica amministrazione.
Oggi, il progetto CaSCo è in fase conclusiva e con esso termina la sperimentazione degli strumenti che sono stati messi a punto per supportare un’iniziativa di più ampio respiro, in grado di coinvolgere un maggior numero di operatori e tecnici del settore. Alcuni degli output realizzati offrono spunti originali per la promozione del legname piemontese e per la professione del Dottore Forestale.

Il certificato Low Carbon Timber
Con CaSCo si è avviato l’adeguamento al contesto piemontese e italiano di un sistema di certificazione tedesco, Holz von Hier (trad. Legno da qui), in grado di attestare la distanza percorsa da un assortimento legnoso nel proprio ciclo produttivo, dal luogo di raccolta alla destinazione finale.
Ne risulta un’informazione molto diretta e di facile comprensione, i chilometri effettuati, che è direttamente correlata con l’impronta di carbonio (la quale può essere calcolata e inclusa nella certificazione).
La versione italiana del marchio prende il nome di Low Carbon Timber (LCT) ed è in fase di sperimentazione.
I requisiti di base per accedere al certificato sono:

  • la sostenibilità della gestione forestale
  • il rispetto di soglie massime di distanze sottese al processo produttivo, definite per assortimento.
Benchmark 
(distanze in km) adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)
Benchmark:distanze in km adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)

Nell’attuale carenza di superfici forestali certificate GFS, per ora in Italia il rilascio richiede una verifica dei requisiti de facto di sostenibilità, legalità e tracciabilità, attraverso una documentazione che qualsiasi taglio boschivo legale eseguito da un’impresa forestale iscritta all’Albo può produrre. Anche le distanze-soglia di riferimento sono state adattate alla realtà italiana, adottando in via sperimentale la tabella in figura.

Prospettive di sviluppo per il “legno di prossimità”
Il settore legno italiano è affetto da un gap importante tra la domanda, cospicua, continua e strutturata, di legname e semilavorati da parte dell’industria di seconda trasformazione, e l’offerta interna, ridotta e frammentaria, che ai piccoli acquirenti locali preferisce grandi compratori fuori-zona in grado di ritirare il materiale in qualsiasi momento, anche se a prezzi più bassi.
A fronte di un settore delle costruzioni che, quando pure utilizza il materiale legno, si orienta quasi sempre su lamellare e sistemi progettuali e costruttivi standardizzati, non è realistico pensare che la promozione del “legno locale” possa in qualche modo ridurre la dipendenza di questo mercato mainstream dalle importazioni. La chiusura di molte segherie in conseguenza della crisi del 2009-11 è già di per sé un ostacolo insormontabile alla ricostituzione di filiere territoriali capaci di flussi importanti.
Tuttavia, nel corso del progetto è emersa anche una realtà, diffusa quanto sottovalutata, di scambi proficui tra operatori locali. In Valsesia per esempio, uno dei territori di indagine che ha ospitato un certo numero di esperienze pilota, la costruzione e ristrutturazione delle case tradizionali in legno, in un’area caratterizzata dalla presenza dei Walser2, è un ambito di particolare interesse per la valorizzazione del legname locale, che già si utilizza insieme a quello di importazione. Si evidenzia che, a differenza di quanto osservato presso i partner di progetto tedeschi e austriaci, concentrati nell’ottimizzare le catene di approvvigionamento di grandi flussi di merci industriali, la declinazione italiana del legno locale passa per la valorizzazione di piccole lavorazioni artigianali, per lo più in legno massiccio, con un elevato grado di esperienze legate alle tradizioni costruttive locali.
Sebbene siano stati certificati LCT manufatti in legname lamellare di castagno prodotti in regione, sembra delinearsi una sinergia legno locale – legno massiccio – sistemi costruttivi artigianali, contrapposta al sistema legno d’importazione – legno lamellare – prodotti e sistemi costruttivi standardizzati, che fa intravedere una possibile connotazione in stile slowfood come veicolo promozionale in grado di valorizzare il legname locale.

Costruzioni, palerie, cippato: 3 settori da esplorare
Individuata la potenzialità, il ruolo del tecnico forestale sarà quello di “scovare” sul territorio queste condizioni partendo da produzioni esistenti e renderle appetibili mettendone in luce le performance ambientali con adeguati strumenti, come può essere il marchio Low Carbon Timber.
Non bisogna sottovalutare, infatti, che esiste una clientela finale pronta a recepire l’importanza del valore aggiunto conferito a una costruzione dall’utilizzo di legno a km0, se reso adeguatamente riconoscibile da una certificazione di terza parte.

Anche nel settore della paleria sono emersi spunti simili. Produzioni vitivinicole pregiate, in espansione nella fascia pedemontana compresa tra Biellese e Alto Novarese (Bramaterra, Gattinara, Boca, Ghemme) tengono molto all’immagine del loro prodotto e sembrano interessate all’uso di paleria certificata di prossimità.

La filiera è da costruire e compito del dottore forestale sarà, oltre che mettere in rete gli operatori, individuare soprassuoli in grado di fornire assortimenti adatti in una zona in cui pochissimi sono i cedui a regime. Nell’ingegneria naturalistica e negli arredi esterni, soprattutto in aree protette e della rete Natura 2000, c’è spazio per proporre elementi in legname km 0, come fa Oasi Zegna, uno degli aderenti al progetto CaSCo più significativi.

Fornitura di pali certificati LCT destinata all’impianto di una vigna per la produzione di Bramaterra

Infine, la filiera del cippato da riscaldamento ha in questo momento un forte bisogno di dimostrare la propria ecosostenibilità, vista l’incidenza sull’inquinamento da particolato attribuita alle biomasse legnose. Ciò può essere fatto attraverso un bilancio globale delle emissioni del ciclo produttivo, in cui diventano decisivi la qualità dell’impianto, la qualità del combustibile e il bilancio delle emissioni nel ciclo produttivo. Nell’ambito del progetto CaSCo, i due fornitori di calore da biomasse operanti in Valsesia emetteranno un certificato LCT periodico che dimostri la sostenibilità della catena di approvvigionamento, a vantaggio dei Comuni proprietari degli impianti.

Conclusioni
Il progetto è in chiusura e lascia in eredità un kit di strumenti promozionali del legno locale; tra questi spicca il protocollo Low Carbon Timber, che alcuni operatori economici convolti nel progetto utilizzano già in chiave commerciale e promozionale della loro attività.
Pur senza alimentare l’illusione di ricostruire una filiera foresta-legno nazionale che riduca la nostra dipendenza dalle importazioni, anche grazie a questi strumenti un approccio bottom-up può aumentare visibilità e interesse verso produzioni di nicchia km0 ecosostenibili, che possono stimolare l’offerta di tondo locale e crescere armonicamente con essa.
I dottori forestali sono gli unici soggetti che possiedono le competenze tecniche e, soprattutto, una conoscenza del territorio e degli operatori tale da poter operare in questo senso. Il ruolo del professionista è basilare, ma deve arricchirsi di conoscenze commerciali che emergono come il punto debole della sua formazione ed esperienza: la dimestichezza col mercato del legno e la capacità di muoversi in esso.
Allo stesso tempo, è necessaria una cabina di regia a livello regionale che supporti le filiere locali mettendole in rete, una sorta di clusterdel legno locale, attore di una progettualità che sia in grado di convogliare risorse comunitarie su strategie mirate, senza disperderle in una pletora di iniziative puntuali e scoordinate.

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29 ottobre – anniversario VAIA //www.agronomoforestale.eu/index.php/29-ottobre-anniversario-vaia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=29-ottobre-anniversario-vaia //www.agronomoforestale.eu/index.php/29-ottobre-anniversario-vaia/#respond Tue, 29 Oct 2019 16:45:04 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67377

La foresta schiantata dalla forza del vento (ottobre 2018)

Lo scorso anno, il 29 ottobre, una tremenda tempesta si è abbattuta sul quadrante nordorientale delle Alpi, provocando un’immane devastazione dei boschi alpini.
Il giorno successivo, le immagini mostravano diversi milioni di metri cubi di legname che in una sola notte erano crollati al suolo provocando una serie di danni all’intera filiera bosco-legno del Cadore e del Vicentino, del Trentino e dell’Alto Adige e della montagna friulana.

UN BREVE RIASSUNTO
La massa legnosa disponibile ha causato un immediato crollo del prezzo del legname sul mercato, ma ai problemi di carattere economico-occupazionale si aggiungevano anche altri aspetti:
• il pericolo del diffondersi di malattie e insetti patogeni, in primis il bostrico;
• la messa in sicurezza dei pendii che si sarebbero dovuti proteggere da valanghe, frane, smottamenti, funzione che il bosco faceva e dopo Vaia non sarebbe più riuscito a fare;
• la componente ambientale, perché Vaia ha impattato su habitat di pregio paesaggistico e zone con specie floristiche e faunistiche uniche.

COSA È STATO FATTO FINO AD OGGI?
LA RIMOZIONE DEL LEGNAME
La mossa più urgente da fare, come affermarono immediatamente i dottori agronomi e forestali, era rimuovere quanto prima la gran parte del legname, almeno il 70% della biomassa, entro i primi 3 anni. Un’azione urgente per evitare il diffondersi di parassiti e malattie e aggravare il rischio di dissesto idrogeologico.

Friuli: Fino ad oggi è stato tagliato ed esboscato circa il 35% del legname danneggiato. Dopo gli interventi urgenti iniziali sono stati progettati e affidati lavori per decine e decine di milioni di euro per il ripristino della sicurezza del territorio.
La Regione ha, inoltre, attivato una misura PSR (8.4.1) con una dotazione finanziaria di alcuni milioni per il ripristino e la messa in sicurezza di aree forestali danneggiate, le sistemazioni idrauliche, e il ripristino, l’adeguamento di viabilità forestale.

Veneto: Le estese superfici danneggiate in zone comode sono in fase di asportazione in una soddisfacente proporzione. Le zone scomode sono state affrontate solo in misura limitata; lo stesso dicasi per i danni poco concentrati e diffusi. Dove è stato individuato il rischio di valanghe o di dissesti (situazione estesa in alcuni territori) le utilizzazioni non sono state eseguite o addirittura formalmente contingentate.
Va aggiunto però che dati che circolano sulla percentuale di lavoro eseguito sono riferiti a un’entità del danno che, dalle prime cifre esposte a suo tempo, secondo i tecnici dell’Ordine è considerata sottostimata.

  1. Molte proprietà comunali, regoliere e demaniali hanno subito impatti diffusi che sono sfuggiti alle prime valutazioni. Riteniamo che siano stati sottovalutati i danni anche le proprietà private singole (che hanno di solito un controllo più blando).
  2. I metri cubi sono intesi come cormometrici (secondo i piani di riassetto forestale): sono però inferiori a quelli reali che, a differenza di altre situazioni, comportano proporzioni significative di ramaglie, cimali, ceppaie eccetera.

In Provincia di Bolzano le ultime rilevazioni certe (maggio 2019) parlavano di una quota poco sopra il 50% di legname schiantato rimosso (ca. 800.000 m³ su 1,5 milioni).
Siamo in attesa di un report realizzato dalla Provincia con dati ufficiali (uscirà in concomitanza con l’anniversario Vaia), ma partendo dalle osservazioni è lecito attendersi che percentuale esboscata ammonti a circa l’80% dell’abbattuto.
Rispetto all’entità e alla singolarità dell’evento calamitoso possiamo senz’altro ritenerlo un risultato più che buono.

LA FILIERA ECONOMICA
Il deprezzamento del legname può essere indicato in 1/5 del valore medio antecedente, con variazioni da 1/10 delle qualità d’eccellenza (alcuni lotti della Val Visdende) a 1/3 su quelli di qualità scadente (rimboschimenti nelle Prealpi).
Il rapido esbosco, la vicinanza al confine di Stato e l’intervento provinciale hanno inciso sull’andamento del prezzo del legname, che ha raggiunto mediamente i 50 €/m³ franco strada camionabile.

Stabilizzare i prezzi
Ripartire l’offerta di legname su un periodo più lungo serve a impedire la perdita di valore del legname stesso, sgravando il mercato e stabilizzando i prezzi.
Lo si può fare (o si sarebbe potuto fare in molte zone) con depositi dei tronchi a lungo termine, magari per la conservazione delle proprietà pregiate del legno nell’attesa di futuri acquirenti. Oppure lo si può conservare mediante essiccazione rapida all’aria, immersione in grandi bacini, aspersione/irrorazione con acqua o la conservazione in ambiente privo di ossigeno attraverso la copertura con teloni.
Il mantenimento del valore del legname tuttavia non è necessariamente garantito, poiché dipende fortemente dallo sviluppo del mercato ed è costantemente correlato a rischi e presenta costi diretti e indiretti elevati.

La filiera debole
In Veneto è alta la porzione di legname uscita dal territorio, principalmente in Austria ma anche in Cina.
La pressoché totale inesistenza di una filiera locale di trasformazione ha comportato l’esportazione del legname verso Paesi terzi, con un forte aggravio dei costi diretti e indiretti del trasporto e la mancata compensazione delle necessità nazionali di materia prima legno, con la concreta possibilità di dover riacquistare il nostro legname lavorato all’estero per le esigenze produttive locali.

Qualcosa si sta muovendo per la rinascita di una filiera forestale locale, con poche grandi segherie a livello regionale, ma si tratta di investimenti molto consistenti a fronte di incertezze sulla costanza di approvvigionamento della materia prima e con panorami di recessione che scoraggiano gli imprenditori.

Opportunità per i grossisti
Il prezzo è crollato, come era facile prevedere. La maggior parte del legname (a Bolzano) è stato acquistato da grossisti locali che lo conservano in depositi irrigati o da grossisti provenienti da oltre confine, come opportunità di investimento, che però non è priva di rischio.
Il prezzo basso ha reso appetibile l’acquisto, ma questo comporta un’immobilizzazione di notevoli capitali, nella maggior parte dei casi da prendere a prestito, e investimenti per realizzare depositi irrigati per lo stoccaggio qualitativo, che ha una massima durata di 3-4 anni.
La strategia è quella di rivendere il legname verso Paesi in grado di assorbire l’offerta, ad es. i Paesi asiatici, oppure stoccare la risorsa nella speranza che fra qualche anno il prezzo del legname si riprenda.
Sempre che non accada un altro evento simile in Europa centrale, mettendo in ginocchio l’impresa boschiva.

BOSTRICO E PARASSITI
L’annata trascorsa è stata fortunata dal punto di vista climatico: perché la neve invernale ha tardato ed è stato possibile esboscare quasi ininterrottamente anche nei mesi invernali, con poche eccezioni alle quote più elevate.
La neve caduta in tarda primavera ha invece influito sulle temperature, piuttosto rigide fino all’approcciarsi dell’estate, che unitamente ad un’estate piuttosto piovosa (in Alto Adige), hanno limitato il ciclo evolutivo del bostrico.
Allo stato attuale in provincia di Bolzano non si riscontra una proliferazione del coleottero. In Friuli e Veneto esistono situazioni localmente allarmanti, sviluppatesi verso fine estate, ma nell’insieme dipingono una condizione meno grave delle previsioni.

Minaccia scongiurata?
Non ancora, occorrerà attendere la prossima stagione calda per verificare se la rapidità di esbosco avrà avuto l’efficacia sperata nel contenere la proliferazione del parassita.

LA SICUREZZA DEL TERRITORIO
In Friuli sono stati attivati circa 600 cantieri per un ammontare di oltre 600 milioni per affrontare il problema di sicurezza.

In Veneto, quello che serve è una visione a livello di intero bacino idrografico: è stato importante e necessario ripristinare in fondovalle e le aste principali (priorità data dalla regione Veneto), ma ciò va collegato e integrato alle sistemazioni idraulico-forestali dei versanti e delle aste minori, anche con l’utilizzo di tecniche di intervento riconducibili alla “ingegneria naturalistica”, a basso impatto ambientale e di costo ridotto.
È innegabile che la tempesta Vaia abbia drammaticamente incrementato la fragilità di ampie porzioni di territorio, per cui c’è da aspettarsi che eventi meteorici non estremi attivino dissesti anche importanti, alimentati da materiale legnoso, sassi massi e terra, in situazione instabile a causa degli schianti: devono quindi essere rivalutate le situazioni di pericolo e di rischio idraulico, con pianificazione degli interventi secondo una scala di priorità a livello di bacino e scelte di pianificazione territoriale anche coraggiose.

In Alto Adige il primo intervento si è concentrato su due fronti: il coordinamento dell’esbosco con l’allocazione delle risorse forestali abbattute e la sistemazione e messa in sicurezza di infrastrutture e nuclei abitativi esposti. Fase questa che è tutt’ora in corso.
Al contempo è stata aumentata la capacità produttiva di tutti i vivai provinciali in previsione di rimboschire le zone maggiormente soggette a potenziale dissesto. Nella parte residua del territorio, la natura sarà lasciata al proprio corso, monitorando costantemente l’evoluzione dell’ecosistema.

IL MODELLO BOLZANO
Il caso modello è stata la Provincia di Bolzano, che ha realizzato un lavoro soddisfacente, perché le sinergie tra amministrazione pubblica, proprietari boschivi, professionisti e filiera foresta-legno hanno funzionato piuttosto bene a fronte dell’imprevista catastrofe.

Expertise specializzata
Ciò è avvenuto anche grazie anche alle capacità tecniche dei dipendenti provinciali (quasi tutti dottori forestali) che hanno rivelato una capacità professionale adeguata al caso poiché il coordinamento è fondamentale, per gestire una situazione così complessa.
Un caso del genere, infatti, impatta sull’agenzia per la protezione civile, sulla ripartizione foreste, sui distretti e ispettorati forestali, sull’ufficio pianificazione forestale, sull’ufficio economia montana, sul demanio forestale, sugli uffici dei bacini montani, sull’unione agricoltori e coltivatori diretti.
Ed è proprio nella gestione di eventi idrogeologici complessi che una figura polivalente come quella del dottore agronomo-forestale, con la propria preparazione multidisciplinare in materia di pianificazione e gestione del pericolo idrogeologico, di protezione civile e gestione forestale, unitamente alle competenze in materia di economia agricolo-forestale risulta indispensabile, come dimostra la riuscita dell’intervento coordinato post evento.

Collaborazione con i privati
La maggior parte dei proprietari boschivi coinvolti sono privati, il che ha comportato la necessità di coordinare un gran numero di soggetti, ma ha reso le procedure di intervento più snelle.
I proprietari sono stati direttamente coinvolti e in molti casi sono intervenuti in prima persona nell’esbosco.

7 PRIORITÀ PER IL 2020
L’Ordine dei dottori agronomi e forestali individua 7 priorità d’azione per il 2020.

  1. Azione non deve perdere di slancio, completando la rimozione del legname ancora al suolo.
  2. Diventa urgente il pronto intervento mirato al recupero della funzione protettiva del bosco, onde evitare rischi di valanghe o frane.
    Laddove il ripristino della funzione di protezione svolta dalla foresta diventa urgente e necessario, al fine di assicurare una rapida chiusura del manto forestale, intervenire con la piantumazione di specie arboree e arbustive autoctone, a supporto e integrazione delle opere di difesa attiva, che possono in questo caso avere anche carattere di provvisorietà.
    Nelle aree soggette a pericolo di fenomeni valanghivi si potrebbe in parte intervenire con opere in legname (rastrelliere, treppiedi, ecc.), utilizzando gli stessi tronchi distrutti dalla tempesta e attuando il rimboschimento artificiale tra le strutture realizzate. Questo tra l’altro evita di ricoprire completamente i versanti con impattanti e costose opere in acciaio e calcestruzzo.
  3. Per quanto concerne il ripristino della copertura forestale, il rimboschimento artificiale tramite piantagione o la semina trovano giustificazione solo in casi definiti e limitati, essendo da preferire la rinnovazione naturale, per motivi economici ma anche di sostenibilità complessiva. Il bosco dovrà essere lasciato per gran parte in libera evoluzione, così da creare un ecosistema più vario rispetto a quello dominato dall’abete rosso.
    Dove invece interverrà l’uomo, la scelta delle specie da utilizzare dovrà considerare la vegetazione potenziale, le condizioni stazionali attuali, la stabilità del nuovo bosco e i possibili futuri assetti climatici, probabilmente indirizzando la scelta su specie più adatte a sopportare un clima diverso da quello a cui siamo abituati.
  4. Il rischio bostrico dovrà essere costantemente monitorato, con un coordinamento comune per tutte le aree interessate (oltre i confini amministrativi di regioni e province), in collaborazione con l’Università di Padova.
  5. È necessario redigere un manuale con le procedure per contenere i danni in casi analoghi. Uno strumento che, in tempo zero, offra le indicazioni necessarie alla gestione della emergenza post tempesta: come agire, le misure – anche straordinarie – da adottare, le responsabilità e le competenze, dove reperire le risorse e quali sono le infrastrutture necessarie per la gestione di eventi catastrofici di questo tipo.
  6. È importante accompagnare le proposte tecniche con misure finanziarie, come prestiti a tassi d’interessi agevolati o a interesse zero per i proprietari dei boschi, anticipi (ad es. per i costi di taglio, allestimento ed esbosco del legname), il condono di tasse e imposte per le popolazioni delle aree colpite, lo stanziamento di risorse aggiuntive per la manutenzione di vie di comunicazione pubbliche molto sollecitate dal trasporto di legname.
  7. Il “modello Bolzano” ha dimostrato l’importanza di disporre di personale competente ai vari livelli (decisionali ed esecutivi), per far fronte in modo ottimale ai danni provocati da un grosso evento straordinario. È necessario che ci siano strutture organizzative appropriate, team motivati e procedure collaudate.

IL COINVOLGIMENTO SOCIALE
La tempesta Vaia ha creato un sentimento popolare di diffuso sgomento, che si è tradotto in azioni dal basso o comunque con risvolti di reciproca solidarietà.

  • Disciplinare “Filiera Solidale” di PEFC per le imprese che acquistano almeno il 50% del fabbisogno annuo di legname proveniente da schianti.
  • Le sezioni CAI si sono attivate con i propri soci per pulire i sentieri resi impraticabili dagli schianti
  • La vendita dei taglieri solidali, realizzati con legno schiantato, e del cui ricavato un euro sarà devoluto al sostegno di un progetto legato alla ricostituzione boschiva in funzione didattico-naturalistica
  • La racconta fondi del Touring Club per la ricostruzione dei Serrai di Sottoguda, nel territorio di Rocca Pietore (bandiera arancione Tci).
  • La raccolta fondi degli ultras del calcio per sostenere le popolazioni colpite da Vaia

Al di là dei risultati di queste azioni, è da sottolineare con positività il coinvolgimento di tutta la società, strettasi attorno alle popolazioni e ai territori colpiti.
Si tratta di un elemento da considerare come valore aggiunto e di identità quando sarà il momento di ripensare la pianificazione territoriale che desideriamo realizzare, evidenziando come gli aspetti coinvolti con il bosco sono sempre molti:

  • Economico, occupazionale e sostenibilità della filiera del legno
  • Ecologico e sanitario
  • Sicurezza territoriale
  • Filiera turistica e conservazione paesaggistica
  • Di identità territoriale e sociale
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Se NATURE premia la ricerca sulle foreste //www.agronomoforestale.eu/index.php/se-nature-premia-la-ricerca-sulle-foreste/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=se-nature-premia-la-ricerca-sulle-foreste //www.agronomoforestale.eu/index.php/se-nature-premia-la-ricerca-sulle-foreste/#respond Thu, 13 Dec 2018 15:59:27 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67159 Ricercatore di Scienze Forestali impegnato all’Università Statale di Milano, Giorgio Vacchiano è assurto agli allori della cronaca qualche settimana fa, quando la rivista Nature l’ha inserito tra gli 11 scienziati emergenti al mondo.
Un riconoscimento che rende merito alla qualità di un ricercatore italiano, ma che – vera novità – porta la scienza applicata ai sistemi forestali al centro dell’attenzione generale.

Come hai scoperto di essere stato inserito in questa top11?
È stata una sorpresa. Ne sono rimasto all’oscuro fino a quando ho ricevuto la telefonata della redazione di Nature, perché è stata una iniziativa partita direttamente da loro.
Per selezionare i ricercatori finalisti hanno validato 500 profili che avevano almeno una pubblicazione negli ultimi due anni nelle riviste scientifiche di eccellenza. Poi, la top 11 è stata stilata valutando chi fra questi ha un trend di produzione scientifica “in crescita” per citazioni e numero di pubblicazioni, che rete di collaborazioni si è sviluppata e che impatto hanno avuto le proprie ricerche sui social e sui media.

È abbastanza inusuale vedere uno “scienziato dei boschi” tra coloro che studiano materie come la medicina e le scienze della vita.
Sì, è un caso un po’ anomalo, ma rispetto al loro intento ha una ragionevolezza: stavano cercando ricercatori il cui àmbito di lavoro avesse effetti decisivi per il futuro del Pianeta e della specie umana.
Chi è addentro a questi temi sa bene quanti usi e funzioni abbiano le foreste, quale impatto abbiano sulla protezione del territorio, ci proteggono dalle valanghe e dal dissesto idrogeologico, quanto siano importanti per i cambiamenti climatici grazie alla loro capacità di assorbimento del carbonio, ecc.
E infatti, la redazione di Nature ha attribuito questo riconoscimento alle le ricerche in selvicoltura, ossia la gestione forestale, non la mera ecologia.

Per una strana coincidenza si è parlato molto di foreste, subito dopo il riconoscimento che ti è stato assegnato.
È vero, il passaggio della tempesta Vaia è stata una drammatica coincidenza che ha portato i media mainstream a parlare di foreste e cambiamenti climatici, ossia proprio l’argomento di cui mi occupo.
La tempesta ha interessato solo l’1-2% delle foreste in Trentino ma ha colpito boschi molto conosciuti e ciò ha creato l’impatto emotivo che abbiamo visto. Quello che dobbiamo ricordarci, però è che i tempi del bosco sono diversi da quelli dell’uomo: le foreste, in un modo o nell’altro, ritorneranno, semplicemente nell’arco di vita di un uomo non potremo riammirarle così com’erano appena due mesi fa.
Quello che dobbiamo fare – come tecnici forestali – è imparare dall’esperienza per interpretare le dinamiche della ricostituzione forestale apprendere dove e come intervenire. Già in passato abbiamo assistito a eventi devastanti come l’uragano Lothar e il Vivian che hanno fatto scuola e ci hanno lasciato importanti insegnamenti, da cui oggi possiamo partire.


Nel dicembre 1999, l’uragano Lothar causò immensi danni alle foreste tra Francia settentrionale, Svizzera, Germania meridionale e Austria.

Nel febbraio 1990, in Germania si abbattè la tempesta denominata Vivian

Simulazione con il modello WRF dell’evoluzione della velocità del vento durante la tempesta Vivian nella regione alpina per 6 giorni.

Ci chiarisci meglio qual è il tuo ambito di ricerca?
Studio il legame che c’è tra foreste e cambiamento climatico, per capire la risposta che gli ecosistemi stanno dando alle variazioni climatiche e studiare diverse modalità di gestione.
Nello specifico seguo con particolare attenzione le foreste delle Alpi occidentali.
Nelle mie ricerche applico modelli matematici, che ho adattato alle caratteristiche delle foreste oggetto di studio, per predire gli effetti del climate change e dei periodi siccitosi sul bosco: per esempio sulla frequenza e vastità degli schianti, sulla frequenza degli incendi, sulla biodiversità, sullo sviluppo della biomassa e così via.
L’obiettivo finale è capire come queste variabili possano influenzare le funzioni del bosco e come possiamo adattare di conseguenza la sua gestione.

Studi anche gli impatti sulla biodiversità?
In una ricerca che ho realizzato qualche anno fa insieme a colleghi del Dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi dell’Università di Torino, abbiamo analizzato lo sviluppo del Carabus olympiae Sella , un raro coleottero del faggio endemico della Valsessera in Piemonte considerato vulnerabile nella lista rossa IUCN.
La premessa dello studio è stata che il bosco di faggio era tradizionalmente spesso utilizzato per il taglio a ceduo, ma che l’abbandono della montagna aveva creato ampie zone di bosco che per decenni non era più stato tagliato superando di molti anni il turno consuetudinario.
La mia ricerca è iniziata per capire quale potrebbe essere la migliore gestione di questi cedui invecchiati per salvaguardare il coleottero: sviluppo a evoluzione libera o avviamento a fustaia?
La risposta conclusiva a cui giunse lo studio, come spesso accade, è stata complessa. Un bosco chiuso, senza zone aperte è un ambiente meno favorevole per il coleottero, poiché è un predatore di piccoli invertebrati, come chiocciole e limacce che necessitano di una copertura erbacea sviluppata.
La condizione ideale per la salvaguardia di quel raro endemismo è un bosco di faggio, gestito in modo da garantire il mantenimento di radure (ad esempio tramite una conversione a gruppi).

Qui hai messo in relazione due diversi obiettivi, economico e conservazionistico, che un piano di gestione può avere. Ci puoi raccontare gli studi sugli impatti dei cambiamenti climatici?
Qualche anno fa ho pubblicato una ricerca insieme a ricercatori svizzeri e francesi che ha analizzato l’impatto dei periodi di siccità sui boschi alpini occidentali, siccità che sono e saranno sempre più frequenti.
Eravamo partiti da un dato: dal 2005 in poi si sono verificati numerosi casi di disseccamento e altri casi di deperimento dei boschi, soprattutto quelli nelle vallate interne della Alpi. Ci siamo chiesti se la causa delle morie fosse effettivamente da attribuire ai prolungati periodi di siccità oppure se ci fossero altre cause.
La conclusione è stata che le siccità incidevano in modi diversi sui disseccamenti: talvolta la causa della morte era dovuta alla crisi idrica, più spesso invece il legame era indiretto, cioè causava l’indebolimento delle piante che diventano meno resistenti all’attacco di malattie e parassiti.

Da questa ricerca, però, ne sono uscite anche delle soluzioni per curare il bosco…
Validata la responsabilità, o la corresponsabilità, dei periodi siccitosi la domanda successiva è stata: cosa possiamo fare per mitigare il danno?
Ne è risultato un manuale d’uso pensato per i tecnici forestali in cui si spiega che, in alcuni casi, il diradamento per ridurre la competizione per l’acqua può essere una soluzione.
Non è però una soluzione universale, altre volte ha maggior efficacia lo sviluppo di boschi misti. Un’altra soluzione è favorire la roverella come specie sostitutiva nelle foreste naturali, avvantaggiandosi del fatto che, grazie ai cambiamenti climatici sta attecchendo a quote sempre maggiori.
Com’è ovvio, non esistono ricette universali e le soluzioni devono sempre essere declinate sulle singole situazioni. Ciò che voglio dire è che studiando i cambiamenti climatici e i loro effetti possiamo individuare sia le problematicità, che trovare le soluzioni gestionali efficaci.

Infine, c’è il tuo studio più rilevante, quello pubblicato su Nature Climate Change …
In quello studio abbiamo revisionato 600 pubblicazioni che trattavano l’impatto dei cambiamenti climatici su diversi aspetti delle foreste: i danni provocati dal vento, gli incendi, il proliferare di parassiti e patologie, ecc.
Riprendendo in mano le molte pubblicazioni, abbiamo potuto rianalizzare le loro conclusioni sia guardando al passato sia rivolgendoci al futuro per verificare se e quanto fossero accurate e come utilizzarle per capire l’influenza del cambiamento climatico in atto sulle foreste come le conosciamo.

Che risposta ne è uscita?
I cambiamenti climatici impattano pesantemente sulle foreste come le conosciamo e le abbiamo conosciute fino a oggi.
Per esempio, unendo tutti gli scenari di climate change disponibili, abbiamo calcolato che gli schianti da vento potrebbero aumentare in media del 50%, ma fino a oltre il 300% in alcuni casi, rispetto a quanto accadrebbe in un clima simile a quello di oggi.
Da queste conclusioni ho sviluppato il filone di ricerca su cui sto lavorando: come possiamo gestire le foreste per renderle più adattabili, resistenti e resilienti?

Ci puoi dare qualche anticipazione?
Stiamo concludendo uno studio sull’efficacia del diradamento come soluzione per i periodi di siccità. Anche in questo caso i dati che abbiamo confermano che può essere una soluzione in determinati casi, ma non è una risposta universale. I risultati possono cambiare molto se analizziamo un bosco misto o meno, a seconda della zona in cui si sta operando, ecc.

Una domanda di attualità politica. Cosa pensi del TUFF ?
È un testo che inquadra la materia in modo che condivido, ossia chiede di imparare a gestire la foresta, ma non impone il tipo di gestione da fare, decisione che è di competenza regionale.
Purtroppo, la discussione si è polarizzata e i diversi portatori di interessi hanno sostenuto la propria tesi talvolta con pregiudizio, talvolta senza una visione d’insieme.
Invece propone un approccio consapevole delle diverse funzioni che svolge il bosco e dell’importanza di avere un approccio quanto più possibile organico, che sappia potenziare i servizi del bosco senza compromettere l’equilibrio.
A mio giudizio, questo approccio dovrebbe dare il giusto inquadramento alla fase di programmazione e di pianificazione forestale.

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//www.agronomoforestale.eu/index.php/se-nature-premia-la-ricerca-sulle-foreste/feed/ 0
Progetto SLOPE: selvicoltura di precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-slope-selvicoltura-di-precisione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-slope-selvicoltura-di-precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-slope-selvicoltura-di-precisione/#respond Sun, 08 Jul 2018 11:36:31 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=66975 La silvicoltura in Italia è un’attività che si fa in pendio, “slope” in inglese.
Ciò si traduce in difficoltà d’accesso al bosco, con conseguente poca meccanizzazione e minore competitività della silvicoltura del Belpaese, se confrontata a quella nordeuropea.
Con questa riflessione inizia il progetto SLOPE, avviato dall’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (Ivalsa) del Cnr, con la Fondazione Graphitech di Trento, specializzata in geo-informatica, e coinvolgendo sia partner europei che due aziende italiane, la Greifenberg Teleferiche e Flyby srl.
Ne abbiamo parlato con Gianni Picchi, ricercatore CNR- IVALSA e coordinatore del progetto.

Quali criticità vi siete proposti di risolvere?
Il progetto nasce nel 2012, con un bando per sviluppare delle macchine intelligenti per migliorare l’agricoltura forestale. Ci siamo chiesti se fosse possibile sviluppare un sistema che aiutasse nella stima delle cubature e nella valutazione della qualità del legname.
Solo quest’attività valutativa, infatti, è estremamente onerosa in termini di tempo necessario ed è svolta con un doppio passaggio: sia da chi vende che da chi acquista il legname.
In termini pratici, solo l’attività di stima incide tra i 6 e i 10 euro al metro cubo sul prezzo finale del legname (stima dei tecnici della Provincia di Trento), ossia oltre il 10% per il legname di buona qualità il cui prezzo finale si aggira sugli 80-85 euro al metro cubo.
Se poi si considera che sulle Alpi e sugli Appennini si opera in terreni scoscesi, dove sarebbe impossibile fare entrare grossi macchinari industriali senza effetti altamente distruttivi e che, rispetto ai Paesi scandinavi, in Italia si pratica la selvicoltura naturalistica che preleva solo le piante mature e lasciando sul posto quelle giovani, è evidente che abbiamo un problema di competitività del sistema.

Che soluzioni avete trovato?
Abbiamo sviluppato un processore forestale intelligente con cui, grazie alla tecnologia RFID (Radio-Frequency IDentification), è possibile etichettare il legname ben prima che arrivi in segheria, dove oggi è una tecnologia già impiegata.
Questa etichettatura consente di valutare la qualità del legname già nel bosco e stoccarlo a bordo strada separando le qualità: in questo modo i lotti possono essere venduti a segherie o fabbriche specializzate che magari vogliono una sola qualità di legname.
Non solo, l’efficienza del sistema si riverbera anche sui costi di abbattimento, selezionando solo i fusti che interessano o che sono richiesto dal mercato, riduce i costi di trasporto e anche quelli di stoccaggio.

Le fasi del processo

Un progetto che prevede la mappatura del bosco…
Oggi la mappatura di un bosco si fa con le ricognizioni aeree, che offrono stime ancora poco raffinate.
Noi siamo partiti dall’inventario forestale eseguito dalla Provincia di Trento, integrandolo con le immagini satellitari e quelle effettuate con spettrofotometri installati su droni sia con telecamere che con visori a infrarosso.
Poi abbiamo costruito un modello tridimensionale della copertura arborea e dell’orografia del terreno e anche una stima della massa legnosa, utilizzando anche i dati raccolti con il sistema LIDAR, un laser scanner impiegato sottochioma che riesce a ricostruire i tronchi ancora in piedi, geo-referenziando il tutto.
Inserendo i dati nel modello informatico è possibile conoscere il volume complessivo del legname e il suo valore teorico.

Laser Scanner LIDAR

Quindi è possibile valutare la singola pianta …
È possibile eseguire la rastremazione del singolo tronco e procedere con la stima del valore della pianta in piedi e la valutazione degli assortimenti, assegnando a ogni albero un’etichetta con un codice univoco che collegata all’albero riprodotto nel database.
Il selvicoltore, quindi, marca le piante con sistemi visivi e con etichette elettroniche, anche se è pensabile che in un prossimo futuro si possa fare la “martellata” direttamente sul software.
Già in questa fase si può simulare quale taglio ottimale ottenere con ogni fusto, magari preferendo una maggiore qualità oppure con tagli per massimizzare la quantità.
E con la tecnologia RFID, con cui è stato etichettato il tronco, è sufficiente avere con sé uno smartphone per associare la pianta digitale del nostro modello, con la pianta reale.


Fin qui la pianificazione, però resta ancora la fase di taglio.

L’ingegnerizzazione del bosco consente di ottimizzare moltissime fasi del processo.
Abbiamo un tronco riconoscibile, di cui conosciamo tutti i dati “in piedi”: localizzazione, dimensioni, tipologia, ecc.
La ricerca è quindi proseguita sviluppando dei prototipi di macchine da taglio.
In questa fase sperimentale abbiamo testato diversi tipi di sensori, fino a 16, con caratteristiche, costi, capacità di resistere agli impatti molto diversa.

I sensori sulla tagliatrice

Abbiamo testato telecamere iperspettrali sensibili a varie bande, tra cui l’infrarosso vicino (NIR), sensori ottici e sensori sonori per avere dati utili alla catalogazione della qualità, per avere indicazioni di taglio del tronco così da togliere eventuali marciumi.
Abbiamo installato anche sensori di taglio sulla motosega, per valutare lo sforzo e stimare la durezza del legno. Abbiamo, infine, provato un sensore che dà l’indice di ramosità del tronco.
Una mole di dati notevole di dati utili per trasformare il fusto nel tronco tagliato con le caratteristiche qualitative desiderate.
Finito il taglio, la sega automatizzata applica una seconda etichetta al tronco per tracciare e conservare le informazioni raccolte in questa fase (marciumi, numero di rami, consistenza del legno, ecc.) mandandole alla centrale operativa.
Dalla centrale si può già vendere il legname di cui conosco praticamente tutto, direttamente a bordo strada. Non sono più necessarie tutte le operazioni di assortimentazione in bosco o in piazzale, poiché il legname è già posto in cataste di omogene.

Progettare il lavoro in bosco

Resta il problema di far uscire la legna dal bosco
La mappatura consente anche di pianificare le teleferiche forestali. Conosciamo il profilo del suolo e il profilo del bosco, coi dati che abbiamo possiamo farci aiutare dal sistema a progettare le teleferiche.
Davanti al pc posso progettare il numero di scarpe che voglio per ottimizzare il trasporto del legname, magari massimizzando le quantità raggiungibili, oppure concentrando le linee là dove il legno ha una qualità maggiore o una tipologia interessante per il cliente.

Un grande valore è la tracciabilità dell’intera filiera
Sì, oltre l’ottimizzazione dei costi e della possibilità di vendere meglio il legname, questo sistema garantisce la certezza del tracciamento del singolo tronco dal bosco fino a diventare un asse e fino a diventare mobile.
Si tratta di dare ulteriore valore al legname per chi cerca la filiera corta, o vuole legname di provenienza legale garantita, o compra legno da foreste sostenibili e via dicendo.

Dalle vostre valutazione si possono effettivamente ridurre i costi?
Abbiamo realizzato delle stime estremamente prudenziali e nei nostri calcoli abbiamo sempre preferito scegliere le valutazioni più svantaggiose per SLOPE, assegnando poco o nessun valore a quelle attività che generano un beneficio, ma che sono difficilmente quantificabili e poco oggettive.
Nonostante ciò, il costo al metro cubo si riduce di 10€ al metro cubo, cioè da 80 a 70 euro, valutate su un bosco in Provincia di Trento.
Voglio ribadire, però che le soluzioni trovate facilitano, organizzano, migliorano tutte le fasi e quindi, anche se avessimo riscontrato una parità di costo tra i due sistemi, il vantaggio di SLOPE è senza dubbio notevole.

I costi con il sistema tradizionale

I costi con il sistema SLOPE


La proprietà dei boschi è parcellizzata. Voi proponete un sistema che, a prima vista, sembra adatta a grandi aziende o chi ha vaste superfici …

Noi proponiamo uno strumento tecnico e come tale va visto nelle singole situazioni.
Così com’è stato pensato giò va bene per un ente pubblico, penso alla Provincia di Trento, oppure a grandi privati come la Magnifica Comunità della Val di Fiemme.
Il piccolo privato, invece, dovrebbe consorziarsi o aggregarsi o vendere a grandi clienti. Indubbiamente serve un cambio di approccio, ma se i grandi committenti iniziano a impiegare questo sistema è plausibile che i piccoli si adeguino vedendone i positivi riscontri.

È un sistema valido anche per altri ambienti e altre tipologie vegetali?
Sì, senz’altro. La sperimentazione è stata fatta sulle Alpi e con l’abete rosso (Picea abies (L.) H.Karst., 1881) perché potevamo confrontare i dati storici con quelli della nuova proposta, ma il modello sviluppato si può applicare anche altrove.
Probabilmente ci potrà essere la necessità di qualche adattamento, per esempio alcuni sensori lavorano meglio con le conifere rispetto alle latifoglie, ma nulla che invalidi il sistema.
Forse la difficoltà maggiore è data dal fatto che in Appennino c’è meno fustaia, meno coltivazione forestale a fini industriali, ma rendendo più efficiente e competitiva la silvicoltura potrebbe far cambiare anche questo aspetto.


L’analisi dei costi: SLOPE System Techno- economic Evaluation Report III

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