SDAF07 – FITOIATRIA URBANA, RURALE E FORESTALE – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Fri, 24 May 2024 12:26:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Ribaltare il paradigma //www.agronomoforestale.eu/index.php/ribaltare-il-paradigma/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ribaltare-il-paradigma //www.agronomoforestale.eu/index.php/ribaltare-il-paradigma/#respond Fri, 24 May 2024 10:25:52 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68537 A ridosso del mare, tra le colline coltivate, le pinete litoranee e la macchia mediterranea, i bianchi mantelli dei bovini maremmani tratteggiano il paesaggio agricolo. Siamo ad Alberese , nella Maremma toscana a sud di Grosseto, dove si trova una delle maggiori aziende in Europa condotte con il metodo dell’agricoltura biologica.

L’azienda agricola prima del parco
Il parco regionale della Maremma nasce nel 1975. Si estende per quasi 9.000 ettari tra il fiume Ombrone fino al paese di Talamone. Un ambiente variegato poiché, all’interno del suo perimetro, si trovano pinete, la costa scoscesa e le dune della spiaggia, le aree di wilderness alternate alle coltivazioni.
In realtà, la storia della produzione agricola nella Tenuta di Alberese nasce ben prima dell’istituzione del Parco, risalendo addirittura alla metà del XIX secolo, quando il Granduca di Toscana, Leopoldo di Lorena, acquistò e ampliò la Tenuta, investendo notevoli risorse finanziarie e umane per migliorare la produttività dell’azienda.

Il parco della Maremma. Foto di Alberto Pastorelli

Si è così creato un territorio in cui l’azione umana, dalle bonifiche alle scelte colturali, finanche alla selezione delle specie di allevamento si è intrecciata con la tutela della biodiversità e la cura degli ecosistemi. Qui, infatti, è visibile l’intervento umano, ideato a scopi produttivi, ma che ha lasciato un’eredità tale – in termini di biodiversità – da diventare la base fondativa per l’istituzione del parco.
Per esempio, i seicento ettari di pineta fra le colline dell’Uccellina e il fiume Ombrone non sono naturali, ma sono stati realizzati dai Lorena come una “piantagione di pini”. L’obiettivo del Granduca era chiaro: produrre pinoli e sfruttare i terreni vicino al mare, poco adatti all’agricoltura e all’epoca ricchi di acquitrini e paludi.

Un parco di origine antropica a vocazione agricola, quindi, che ha attraversato i decenni. Oggi, però, che rapporti ha l’azienda con il parco e le politiche di conservazione? Ne abbiamo parlato con Donatella Ciofani, agronoma e responsabile tecnica della Tenuta di Alberese, azienda di Ente Terre regionali.

Che tipo di azienda siete?
La nostra è un’azienda agro-zootecnica con una produzione diversificata e integrata: facciamo allevamento allo stato brado, abbiamo coltivazione cerealicole e foraggere, in massima parte dedicata all’alimentazione animale, abbiamo un oliveto secolare per la produzione di olio e produciamo anche vino. Poi c’è la componente dei servizi, avendo la gestione della banca del germoplasma che conserva le specie erbacee autoctone iscritte al repertorio della regione Toscana e le coltiva “in situ” e quella del seme dei riproduttori maremmani. Infine, alcuni casolari sono riservati all’ospitalità agrituristica.

Tori maremmani allo stato brado. Foto di Alberto Pastorelli

Che tipo di allevamento fate?
Qui si possono vedere le razze bovina maremmana ed equina maremmana in purezza, entrambe autoctone della Toscana, tutelate nell’ambito delle politiche di conservazione della agro-biodiversità e fortemente adattate al territorio.
Abbiamo oltre 400 bovini per 700 ettari di pascolo, 40 equini di razza maremmana in purezza e in selezione. Gli animali sono allevati in modo estensivo, con un basso indice di capi per ettaro, a ciclo chiuso vacca-vitello.

Rispettate particolari piani di conservazione per il mantenimento della biodiversità?
La nostra è un’azienda inserita in un parco regionale cui si pratica agricoltura biologica, ma è una risposta fuorviante: siamo l’esemplificazione di come possa essere ribaltato questo paradigma.
Ad Alberese non è l’azienda agricola che si è adeguata agli obiettivi di conservazione del parco, ma è la stessa vocazione agricola del territorio ad avere creato l’habitat che oggi si vuole proteggere. Qui l’azione umana, i differenti ecosistemi e la ricca biodiversità sono tessere di un puzzle perfettamente integrate in un unico sistema complesso.

L’accoglienza agrituristica quanto conta nel bilancio dell’azienda?
Anche se geograficamente siamo collocati in un’area a forte vocazione turistica, la nostra resta principalmente un’azienda agro-zootecnica in cui l’attività di accoglienza è complementare alle altre e marginale in valori assoluti.
Ci consente di mantenere attivi i casolari presenti nella tenuta e coprire le spese di manutenzione degli stabili.
Detto questo, per noi, la presenza turistica ha principalmente un valore legato al racconto dell’identità che stiamo preservando: qui si possono vedere figure come i butteri, si possono conoscere le tradizioni del territorio, si possono esplorare ambienti naturali modificati nei secoli dalla presenza umana.

Butteri nellla tenuta di Alberese. Foto di Alberto Pastorelli

Il vostro è un caso scuola, ma è replicabile altrove?
È un’azienda legata a doppio filo con il territorio, per cui non è un modello replicabile pedissequamente. Ma ogni azienda deve esprimere un legame con il territorio, diventandone presidio e mettendo in connessione gli aspetti di agro-biodiversità con la storia dei propri luoghi.
Un ottimo spunto, però, può essere preso dal nostro modello di allevamento zootecnico, per esempio selezionando razze antiche e autoctone. Queste, spesso, sono più resistenti e più adatte a sfruttare le aree marginali, offrendo risposte interessanti in termini economici.

L’allevamento estensivo riesce a essere remunerativo?
Negli anni abbiamo imparato a non trascurare alcun aspetto della filiera zootecnica, così da abbattere i costi superflui e ricavare un sostentamento dal nostro lavoro.
Innanzitutto, grazie all’allevamento brado è molto alto l’indice di benessere per l’animale. Ciò significa che, crescendo specie rustiche – frutto della selezione nei secoli – e ponendole in condizioni ottimali di vita, minimizziamo le spese di cura.
In secondo luogo, abbiamo accorciato la filiera avendo un macello aziendale e una rivendita, fornendo in loco solo poche realtà. Se da un lato non abbiamo i grandi numeri che interessano la grande distribuzione, dall’altro possiamo raccontare meglio il prodotto e troviamo un consumatore più consapevole e disposto a pagare un prodotto di qualità organolettica superiore.
Non solo. Il nostro cliente è consapevole del lavoro che facciamo ed è disposto a pagare un extra per la tutela dell’ambiente e del territorio, per la conservazione della cultura, per il rispetto etologico che questa forma di allevamento offre agli animali e per gli aspetti legati alla salute.

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Usare meno pesticidi chimici //www.agronomoforestale.eu/index.php/usare-meno-pesticidi-chimici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=usare-meno-pesticidi-chimici //www.agronomoforestale.eu/index.php/usare-meno-pesticidi-chimici/#respond Fri, 31 Mar 2023 08:16:45 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68330 L’uso consapevole e, per quanto possibile minimale, dei fitofarmaci e dei pesticidi per il controllo degli attacchi parassitari e delle malerbe è un obiettivo ogni giorno più comune e condiviso. Da anni, questo obiettivo è entrato nell’azione dell’ordine dei dottori agronomi e forestali, oltre che nelle direttive e nelle strategie europee.

Va aggiunto, però, che la tensione verso la maggiore sostenibilità ambientale delle pratiche agricole deve considerare anche che è necessario salvaguardare la sicurezza alimentare e garantire un reddito sostenibile agli agricoltori.

La piramide per gli interventi di lotta integrata ai parassiti e alle malerbe

Gli 8 principi

La strada maestra in questo settore è un insieme di soluzioni complementari, che prevede l’utilizzo di metodi naturali, innovazioni tecniche, progettazione agronomica qualificata e l’impiego di pesticidi chimici come ultima risorsa. Sapendo che questo mix dovrà essere adattato alle condizioni agricole e agro-climatiche locali/regionali.

La gestione integrata dei parassiti si fonda su 8 principi stabiliti a livello europeo e internazionale.

  1. L’applicazione di tecniche di prevenzione e monitoraggio degli attacchi parassitari e delle malerbe;
  2. L’utilizzo dei mezzi biologici di controllo dei parassiti;
  3. Il ricorso a pratiche di coltivazione appropriate;
  4. La lotta agli insetti dannosi tramite la confusione sessuale (uso di diffusori di feromoni);
  5. La previsione del verificarsi delle condizioni utili allo sviluppo dei parassiti, in modo da irrorare con fitofarmaci specifici solo in caso di effettivo pericolo di infezione e non ad intervalli fissi a scopo preventivo;
  6. L’uso di varietà colturali maggiormente resistenti;
  7. L’uso della rotazione colturale;
  8. L’uso di prodotti fitosanitari che presentino il minor rischio per la salute umana e l’ambiente tra quelli disponibili per lo stesso scopo, ottimizzandone la distribuzione, riducendo, quindi, la quantità di prodotto fitosanitario utilizzato.

Oltre a questi principi, che fanno da linea guida, bisogna aggiungere che la riduzione dell’uso dei pesticidi funziona meglio se combinata con altre buone pratiche: la conservazione del suolo, la riduzione dell’uso di fertilizzanti e la fornitura di servizi ecosistemici, come la conservazione degli impollinatori o il ripristino degli habitat naturali (ad esempio le siepi).

 

1300 buone pratiche

Recentemente la Commissione UE ha pubblicato una banca dati con circa 1.300 esempi di pratiche, tecniche e tecnologie e metodi disponibili per la gestione integrata dei parassiti, accompagnata da uno studio che ne valuta l’efficacia e le prospettive di diffusione.

Il database comprende anche 273 “linee guida specifiche per le colture” sviluppate dalle autorità nazionali e dagli enti pubblici degli Stati membri per implementare i requisiti di gestione integrata dei parassiti previsti dalla direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUD).
Parallelamente a questa panoramica di esempi, uno studio ne valuta il potenziale per ridurre la dipendenza dai pesticidi chimici, il costo di attuazione, l’ efficacia complessiva, le barriere all’adozione e i fattori trainanti (pressione della società civile, quadro normativo incentivante,  ambiente economico favorevole).

La lotta ai parassiti – foto di pexels-pixabay

Il caso italiano

In Italia, le aziende ortofrutticole sono oltre 300.000, un terzo di tutte le aziende agricole nazionali, e gestiscono quasi 1 milione di ettari: l’8% dell’intera Superficie Agricola Utilizzata (SAU) italiana.

La specializzazione che registra l’estensione più significativa è quella frutticola con 377.470 ettari (di cui il 43,4% ricade in Emilia Romagna, Campania e Sicilia), seguita dalle ortive in piena aria (che caratterizzano in particolare Puglia ed Emilia Romagna) e poi dalla produzione di legumi, agrumi e ortive protette che, in molti casi, presentano un’elevata concentrazione territoriale (si pensi al ruolo degli agrumi in Sicilia e Calabria).

Quello che più interessa in questa discussione è che le colture ortofrutticole sono quelle che maggiormente necessitano di essere difese con il ricorso a prodotti fitosanitari.

Risulta chiaro, quindi, perché il caso italiano analizzato riguarda proprio la coltura in frutteto, con un progetto che analizza l’impatto e i costi dell’uso di reti multifunzionali per il controllo di insetti particolarmente nocivi per i frutteti, come la tignola e la cimice asiatica.

 

La strategia europea

La strategia Farm to Fork stabilisce due obiettivi da raggiungere entro il 2030 in termini di riduzione dei pesticidi: una riduzione del 50% dell’uso e del rischio dei pesticidi chimici e altrettanto nell’uso di pesticidi più pericolosi.

Nel periodo 2003-2020, l’Italia ha ridotto del 35% l’uso dei prodotti fitosanitari, proprio grazie all’applicazione dei principi della difesa integrata che costituiscono la base della produzione integrata.

La Direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUD) stabilisce le condizioni che le autorità nazionali devono stabilire per garantire l’uso sostenibile dei pesticidi da parte degli agricoltori e di altri utilizzatori professionali di pesticidi.

Sullo sfondo della strategia Farm to Fork e per rafforzare l’attuazione degli obiettivi della SUD, nel giugno 2022 la Commissione ha adottato una proposta di regolamento che sostituisca la SUD. La proposta fissa gli obiettivi dell’UE per la riduzione dei pesticidi e prevede obiettivi nazionali, nonché requisiti più specifici a livello di utilizzatori, anche per la difesa integrata sotto forma di “norme specifiche per le colture”.

 

La nuova PAC prevede diversi strumenti a disposizione degli agricoltori per ridurre l’uso dei pesticidi.

Gli eco-schemi del primo pilastro della PAC prevedono un budget minimo di 48,5 miliardi di euro per le pratiche ambientali e climatiche, compresa la riduzione dei pesticidi e l’agricoltura biologica.

Gli impegni di gestione nell’ambito del secondo pilastro della PAC (sviluppo rurale) prevedono un bilancio comunitario minimo di 21,14 miliardi di euro (integrato dal cofinanziamento nazionale). Il secondo pilastro della PAC può anche sostenere gli investimenti nell’agricoltura di precisione, che contribuiscono anche alla riduzione dei pesticidi. Le misure di mercato della PAC in settori come l’ortofrutta o il vino possono finanziare azioni collettive per la promozione di pratiche come la gestione integrata dei parassiti o la produzione integrata, nonché la produzione biologica.
Nell’ambito dei servizi di consulenza aziendale, gli Stati membri devono fornire consulenza agli agricoltori su una serie di questioni, tra cui l’uso sostenibile dei pesticidi. La creazione e l’utilizzo dei servizi di consulenza possono essere finanziati anche dal secondo pilastro della PAC, ad esempio attraverso il partenariato europeo per l’innovazione (EIP-AGRI).

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Gli alberi ed il contesto urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-alberi-ed-il-contesto-urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/#respond Fri, 18 Nov 2022 17:32:59 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68246 Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF

Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.

Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.

L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:

  • nell’apparato radicale ridotto a causa dei lavori effettuati per opere infrastrutturali successive;
  • nelle errate potature che producono chiome disequilibrate, accentuano l’effetto vela ed indeboliscono l’apparato radicale;
  • nell’ineluttabile ciclo di vita che, come per ogni essere vivente, si conclude con la morte che può essere più o meno immediata. Lo stroncamento di rami o addirittura del fusto è come un infarto per un uomo.

La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.

Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.

Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.

Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.

Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.

Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).

Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.

 

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Andalusia, esplorando una terra vicina dal clima arido //www.agronomoforestale.eu/index.php/andalusia-esplorando-una-terra-vicina-dal-clima-arido/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=andalusia-esplorando-una-terra-vicina-dal-clima-arido //www.agronomoforestale.eu/index.php/andalusia-esplorando-una-terra-vicina-dal-clima-arido/#respond Tue, 30 Aug 2022 14:51:08 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68210 L’Ordine di Brescia da almeno 20 anni è impegnato a promuovere viaggi-studio per i colleghi iscritti, finalizzati alla crescita professionale dei partecipanti e a favorire lo scambio culturale e la circolazione di idee.
Le forme di interscambio culturale con vari territori a livello nazionale, caratterizzati da peculiarità interessanti dal punto di vista agricolo e forestale, sono così proposte ai colleghi come occasioni di approfondimento tecnico.

La voce degli iscritti
Le opportunità di viaggi-studio vengono valutate di volta in volta dal Consiglio dell’Ordine accogliendo le istanze dei colleghi e le strategie di sviluppo condivise in sede ordinistica. L’Ordine di Brescia può contare, in tal senso, su un consolidato gruppo di lavoro coordinato dalla dott.ssa Anita Frosio.
Per soddisfare le peculiarità e le esperienze di professionisti partecipanti, ogni viaggio tende a contemplare più settori di competenza, valorizzando soprattutto le eccellenze dei territori visitati. Infine, anche il confronto con i colleghi e gli amministratori locali in genere offre opportunità di scambi culturali che possono continuare anche successivamente, valorizzando metodiche innovative, ambiti di ricerca e sperimentazione.

Dentro e fuori i confini
Gli scambi hanno interessato e coinvolto numerose regioni italiane, dal Trentino alla Sicilia e, negli ultimi anni, l’iniziativa dei viaggi studio ha ampliato il proprio raggio d’azione approdando anche all’estero.
In un mondo sempre più interconnesso, infatti, diventa necessario esplorare realtà e approcci alle tematiche strategiche del nostro settore, diversi da quelle reperibili in ambito nazionale.
Nel 2016, per esempio, fu organizzato un viaggio studio in Slovenia, incentrato sul tema della filiera bosco-legno (dalle esperienze forestali alla commercializzazione del legname) nel quale furono coinvolti con successo anche funzionari regionali di Regione Lombardia.
Nel 2022, la scelta è caduta sull’Andalusia: meta e scenario di particolare interesse e attualità per confrontarsi su tecniche e modalità di coltivazione in un territorio caratterizzato da un clima particolarmente arido.
Un viaggio organizzato con la collaborazione tra l’Ordine di Brescia e la locale Associazione dei Dottori in Scienze Agrarie e Forestali.

Il prossimo calendario
L’esperienza in Andalusia appena conclusa è stata un’ulteriore conferma che la modalità dei viaggi-studio rappresenta un’espressione proficua e molto apprezzata di formazione professionale continua.
Già per l’autunno sono in fase di programmazione un viaggio-studio alla scoperta delle Bonifiche dell’Agro Pontino e per il prossimo anno si caldeggia la possibilità di partire alla volta della regione francese dello Champagne.

IL PROGRAMMA DELLA MISSIONE IN ANDALUSIA

26 maggio 2022
Visita a BROKAW VIVEROS – Finca Pena – Velez Malaga, un vivaio di alberi da frutto tropicali situato nel sud della Spagna, specializzato nella progettazione e produzione di piantine di avocado, mango e altri alberi da frutto tropicali.
Il vivaio è il primo produttore mondiale di Avocado Clonale, che permette di realizzare frutteti con alberi geneticamente identici, sia per quanto riguarda il portinnesto, sia per quanto riguarda la varietà.
Realizzando allevamenti con alberi geneticamente omogenei si ottengono migliori rese frutticole oltre a una maggiore efficacia nelle operazioni di potatura, fertirrigazione, applicazione di fitofarmaci e raccolta; inoltre, si ottiene uniformità di tolleranza ai funghi del suolo (purché si scelgano portainnesti clonati tolleranti a questi funghi).
BROKAW ESPAÑA SL si è sempre occupata di ottenere le migliori varietà di avocado, sia portainnesti, sia varietà di frutta.
Negli anni ’50 EF Frolich identificò la tecnica dell’eziolazione (crescita dei germogli al buio, senza clorofilla) come precursore dello sviluppo di radici funzionali nei germogli di avocado. Successivamente, il vivaista Hank Brokaw è stato il primo a descrivere e sviluppare commercialmente la tecnica.
Curiosa ed interessante la tecnica del doppio innesto, che applicando la tecnica suddetta consente di ottenere giovani piante clonali, sia per il piede, sia per la varietà produttiva.

27 maggio 2022
Visita del parco nazionale di Doñana, una delle zone umide più importanti e più belle d’Europa. La particolarità che rende speciale questo parco nazionale è possibile conoscere ecosistemi tra loro molto diversi, come paludi, lagune, saline, pinete, rive, dune mobili, scogliere, 30 chilometri di spiagge vergini. Un vero spettacolo naturale che cambia in ogni stagione e che si trova tra le province andaluse di Huelva, Siviglia e Cadice.
A bordo di fuoristrada le guide ci hanno accompagnato in questo ambiente situato sul delta dell’importantissimo fiume Guadalquivir; l’habitat paludoso crea un ambiente ideale per circa 300 specie diverse di uccelli.
La riserva, infatti, è una fondamentale area di sosta europea di molte specie di uccelli migratori, che dal nord d’Europa raggiungono l’Africa. Le paludi, però, sono anche un luogo di riproduzione e di svernamento di migliaia di uccelli europei e africani.
Per questo motivo, Doñana è tra le mete preferite dagli appassionati di bird-watching di tutto il mondo.
Percorrere i sentieri protetti di Doñana offre la possibilità di vedere alcune delle specie di animali più minacciate del pianeta, come l’aquila imperiale e la lince iberica. Doñana è inoltre la “casa” di oltre 230 specie di uccelli e permette di vedere scene sorprendenti come lo spettacolare “tappeto rosa” creato dalle colonie di fenicotteri quando si alimentano.

 

Visita BASILIPPO OLEOTURISMO – El Viso del Alcor (Siviglia) per conoscere le strategie per la produzione di olio extravergine d’oliva d’autore.
La visita agli oliveti semi intensivi, con la guida dell’agronomo dell’azienda, ci ha consentito di apprendere le peculiarità delle tecniche di coltivazione del comparto olivicolo spagnolo, le strategie per l’utilizzo dell’acqua di irrigazione e gli aspetti fitopatologici.
La visita all’oleificio aziendale, invece, ha mostrato i processi e le tecniche per la produzione dei vari oli, apprezzati poi in una degustazione guidata per godere dei meravigliosi aromi e sapori.

 

 

 

28 maggio 2022
Visita azienda allevamento tori – GANADERIA OSBORNE (Finca Puerto Acebuche) – El Castillo de las Guardas (Siviglia). Non poteva mancare la visita il ranch Osborne nella provincia di Siviglia. Il ranch Osborne è un importante riferimento spagnolo nell’allevamento del toro da combattimento, in una bella zona nella parte alta della vicina Sierra de Aracena alla sorgente del fiume Guadiamar, in un’area circondata da ampi prati naturali.
Il ranch ha un fascino speciale, circondato da recinzioni in pietra è una struttura di allevamento molto attraente, con vasti pascoli, anche se prematuramente secchi per l’anomala siccità.
A bordo di un carro agricolo attrezzato, il titolare dell’azienda, agronomo, Emilio González San Román, ci ha condotto nei vari reparti aziendali alla scoperta del ciclo produttivo che in tre anni rende disponibili i famosi tori per le corride.
Nella piccola arena aziendale abbiamo anche assistito a delle esercitazioni di giovani toreri, sotto la guida de El Cid, un famoso matador.

Nell’assolato pomeriggio ci siamo cimentati con la visita a Viveros NATURAL GREEN – La Carlota (Cordoba), un vivaio particolare: qui migliaia di ulivi, anche secolari, sono preparati per l’esportazione.
L’azienda si è specializzata nell’espianto di uliveti a fine ciclo o per cambio di sistema colturale o varietale. Le piante, opportunamente estirpate, sono potate ed invasate per essere destinate al mercato europeo per fini ornamentali.

29 maggio 2022
L’ultimo giorno è stata l’occasione per una arricchente visita alla città di Siviglia.
Il percorso storico-architettonico per le vie e i monumenti della città si è concluso nei giardini dell’Alcázar Reale. La visita ai giardini, la manifestazione dello stile mudejar, espressione dell’arte musulmana adattata al mondo cristiano, divagando fra piastrelle smaltate e canali, fra fontane e zampilli d’acqua – che conferiscono ai giardini un particolare carattere moresco – è stata l’occasione per interessanti considerazioni tecniche tra i colleghi su alcune problematiche fitosanitarie e gestionali, soprattutto su alberi vetusti.

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La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-belleza-di-studiare-scienza-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/#respond Thu, 14 May 2020 10:31:54 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67741 La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali racchiusa in un video del Dipartimento Agraria – Università Mediterranea Reggio di Calabria
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La nostra professione è quella che studia
👉la tutela e salvaguardia del territorio,
👉le cause e gli effetti della deforestazione,
👉immagina e pianifica il paesaggio rurale,
👉 valuta gli effetti dei cambiamenti climatici, come riuscire ad adattarsi e come contrastarli,
👉trova un equilibrio tra i diversi impieghi delle foreste.

È fondamentale conoscere come funziona una foresta nel suo insieme e come funzionano gli alberi. Così com’è decisivo imparare a trovare un equilibrio sostenibile rivolto alla sopravvivenza e al futuro dell’umanità.
#agrofor2030

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Vicenda Xylella fastidiosa: una questione irrisolta //www.agronomoforestale.eu/index.php/vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta //www.agronomoforestale.eu/index.php/vicenda-xylella-fastidiosa-una-questione-irrisolta/#respond Thu, 02 Apr 2020 11:01:46 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67609 L’olivicoltura pugliese ha dato segni di una decisa ripresa produttiva nel 2019. Dalla stima Ismea dello scorso novembre, si registra un incremento del 164,9% rispetto al 2018 (193.650 tonnellate contro le 73.108 della campagna del 2018 1). I dati non valgono per il Salento dove si osservano perdite decisamente importanti: si calcola un calo del 90-95% perché risultano produttive solo le piante di Leccino, il 5% degli ulivi. La causa è nota (quasi scontata): Xylella fastidiosa.

La diffusione della fitopatia causata dal batterio Xylella f., secondo i dati comunicati durante la seconda Conferenza Europea sul patogeno (ottobre 2019, Ajaccio), ha danneggiato circa 6,5 milioni di piante per un totale di almeno 53.800 ettari di oliveti (elaborazione relativa al 2017). La superficie regionale investita a olivo è di 375 mila ettari, ossia il 25% del suolo agricolo. La delimitazione esatta della zona infetta è stata modificata l’ultima volta dalla decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) 927/2018 che definisce l’intera provincia di Lecce e di Brindisi, molti comuni in provincia di Taranto e il comune di Locorotondo (Bari)2 come aree dove il batterio non è più eradicabile.
La vicenda che ruota attorno all’emergenza Xylella f. appare come un susseguirsi di atti normativi, europei, nazionali e regionali, che dichiarano il progressivo aggravarsi della situazione, all’interno di un’inarrestabile diatriba scientifica, politica, sociologica e anche culturale.

3 fasi per gestire il rischio fitosanitario
L’esame del rischio fitosanitario è un procedimento che si rivela sempre più necessario all’interno dell’Unione Europea. La globalizzazione e l’intensificazione dei commerci internazionali hanno aumentato il rischio di ingresso e diffusione di organismi nocivi in Paesi dove prima non erano conosciuti. Spesso essi si adattano facilmente al nuovo habitat distruggendo la flora locale.
Nel momento in cui si registra la loro presenza, l’Unione Europea ha disposto delle procedure per garantirne il controllo, il contenimento e/o l’eradicazione (dir. (CE)2000/29, reg. (UE)2016/2031).
L’esame della situazione generata dalla presenza degli organismi nocivi per i vegetali e i loro prodotti si basa sul procedimento di valutazione del rischio fitosanitario che comprende tre fasi:

  1. risk assessment, esame dal punto di vista scientifico svolto dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), nello specifico dal Gruppo di esperti per la salute delle piante che utilizza precisi metodi per redigere un parere scientifico ed è spesso coadiuvato anche da enti scientifici statali;
  2. risk management, in cui la Commissione Europea decide, sulla base dei risultati scientifici, come gestire la diffusione dell’organismo cercando di eradicarlo, facendo anche un calcolo degli interessi e dei benefici (si rivela necessario talvolta applicare il principio di precauzione);
  3. risk communication, fase che permea le altre due, indipendenti l’una dall’altra ma connesse tra loro, per assicurare che ogni azione sia effettuata sulla base della precisa conoscenza del problema e che tutti i soggetti interessati ne siano informati.

Il caso della diffusione della Xylella Fastidiosa è utile per comprendere questo procedimento. Le difficoltà presentatisi durante la gestione di questa fitopatia sono derivate per lo più da una sfiducia negli esperti scientifici e nelle autorità – europee, statali e regionali – causata da una comunicazione poco precisa, grossolana, scettica e intrisa da uno storytelling semplice e convincente.
Le misure imposte dall’Unione Europea sono state spesso ostacolate e l’espandersi della fitopatia ha costretto il loro irrigidimento (dec. es. (UE)2015/789).
Inizialmente le lacune scientifiche non hanno agevolato il controllo di Xylella fastidiosa e il susseguirsi di atti normativi è anche indice dell’aggiornamento continuo delle numerose ricerche.

Breve cronistoria degli interventi del legislatore
Le difficoltà che si sono frapposte in questi ormai 7 anni hanno inevitabilmente allontanato la possibilità di risoluzione definitiva del problema3. Il quadro normativo di riferimento è stata la direttiva (CE) 29/2000, oggi sostituita dal regolamento (UE) 2031/2016 (in vigore dal 14.12.2019).
Il 29 ottobre 2013 la Regione Puglia ha emanato il primo atto determinante le misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e la eradicazione del batterio da quarantena e ha suddiviso una porzione del territorio leccese in quattro zone, in base alla presenza dell’organismo nocivo.
A partire dal 2015, la decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) n.789/2015 (e s.m.i.)4 definisce ed aggiorna i limiti delle aree interessate dalla fitopatia.
Sono individuate una zona infetta (come sopra citato ex dec. es. (UE) n.927/2018) e una zona cuscinetto (larga da 1 a 5 km dal confine con quella infetta – art.4). All’interno delle zone delimitate, l’art.6, par.2 impone di svellere – dopo appropriati trattamenti fitosanitari, art.6, par.4 – non solo la pianta infetta ma anche tutte le piante che si trovano nei 100 m attorno ad essa e potenzialmente ospiti del batterio (indipendentemente dal loro stato di salute)5, notoriamente infette e che presentano sintomi della possibile infezione o sospette contagiate (salva l’eccezione per le piante ospiti di importante valore storico prevista al par.2bis). L’art.7 invece indica specifiche misure di contenimento ad hoc per la zona infetta, secondo le quali è possibile abbattere solo la pianta contagiata (previ idonei trattamenti fitosanitari -art.7, par.4), effettuando successivamente analisi sui vegetali ospiti nei 100 m circostanti. L’eradicazione avviene sulla base di monitoraggi annuali svolti almeno nei siti di produzione e di raccolta o spedizione di vegetali, in prossimità di piante dal valore sociale, culturale o scientifico e nei 20 km dal confine con la zona cuscinetto (art.7, par.7).
La ricostituzione economico-paesaggistica delle aree infette è incentivata grazie alla possibilità di reimpiantare olivi nei siti dov’è assicurata la protezione contro gli insetti vettori del batterio, nonché nelle zone in cui si attuano misure di contenimento, tranne nella fascia di 20 km a ridosso della zona cuscinetto (art.5)6 . Devono essere predilette varietà resistenti o tolleranti; attualmente sono concesse Leccino e FS17®, in attesa di risultati ulteriori da test in corso (compresa la tecnica del sovrainnesto per salvare gli alberi monumentali).
Le rigide disposizioni della decisione in questione hanno fatto discutere, divenendo oggetto di alcuni ricorsi amministrativi, uno dei quali giunto sino in Corte di Giustizia Europea. La sentenza tranchant del 9 giugno 2016 ha confermato l’idoneità delle misure di eradicazione, necessarie, appropriate e proporzionate per assicurare un elevato livello di protezione fitosanitaria sulla base dei dati scientifici noti7.

La condanna dell’Europa
Nonostante la loro applicazione a livello nazionale nel decreto MIPAAF del 13 febbraio 2018, n.4999, più conosciuto come Decreto Martina, declinate a livello regionale, secondo l’ultimo intervento legislativo, dalla determinazione della Giunta Regionale del 24 ottobre 2018, n.1890 e dalla determinazione del Dirigente Sezione Osservatorio Fitosanitario del 23 novembre 2018, n.727, l’Italia è stata condannata dai giudici di Lussemburgo il 5 settembre 2019 a causa dei ritardi nell’esecuzione di monitoraggi e operazioni di eradicazione nella zona di contenimento, favorendo così la diffusione della fitopatia8. La Corte di Giustizia ha basato il giudizio sui dati ottenuti dall’audit condotto tra maggio e giugno 2018 dalla Commissione9 secondo la quale solo il 10,7% delle oltre 3000 piante risultate positive nel 2017 erano state rimosse al momento dell’ispezione europea. Si segnalano anche i monitoraggi effettuati in periodi sbagliati, conclusi proprio nel momento in cui la sputacchina (Philaenus Spumarius, vettore principale della Xylella f.) inizia a volare sugli alberi, infettandoli. Lo stesso report sottolinea che più del 90% dei casi positivi individuati nella campagna del 2016 è stato rinvenuto in prossimità di piante infette rilevate nel corso del 2015 ed estirpate con gravi ritardi.

I punti deboli della gestione della malattia
La sentenza ha evidenziato i maggiori punti deboli della gestione della malattia. Il MIPAAF ha cercato di snellire e velocizzare le procedure di eradicazione degli olivi infetti attraverso l’emissione del Decreto Emergenze (D.L. 29 marzo 2019, n.27), convertito con L. n.44 del 21 maggio 2019, secondo la quale le misure emergenziali, compreso l’abbattimento, saranno effettuate in deroga a ogni disposizione vigente e ogni eventuale vincolo10. La norma vale anche per gli olivi monumentali, salva l’eccezione in cui, malgrado la loro prossimità ad una pianta malata e l’estirpazione necessaria di un dato areale, non risultino infetti11. Inoltre, le eradicazioni volontarie potranno essere condotte (nella zona infetta tranne nella zona di contenimento) per 7 anni dalla comunicazione alla Regione, in deroga ai divieti imposti dal decreto luogotenenziale n.475/1945, a ogni altro eventuale vincolo ed alla sussistenza di VAS e VIA12.
È stata attuata dunque una sorta di liberalizzazione delle operazioni di abbattimento ma, ci si deve assicurare che esse vengano effettuate “immediatamente” (ex art.6, par.2, dec. es. (UE) n.789/2015), non trasformando ancora una volta il ritardo in uno strumento utile al contagio.
Due problemi strutturali hanno favorito il diffondersi di Xylella f. e complicano le attività di controllo degli ispettori (senza contare quelli legati ai monitoraggi): l’abbandono degli oliveti e la frammentazione fondiaria. Si calcola che l’85% del totale della superficie agricola utile (SAU) della provincia di Lecce corrisponda ad aziende i cui terreni sono pari al massimo a due ettari. Molte proprietà sono a conduzione familiare, parte di residenze estive o appartengono a coltivatori anziani non più interessati alla coltivazione. Sono necessari quindi concreti programmi che incentivino e contribuiscano al recupero dei terreni attraverso forme di accorpamento fondiario, rilancio della filiera, eventuale riconversione della coltura e diversificazione dell’economia grazie ad attività (agro)turistiche13. In questo senso, il Protocollo di Intesa tra la Regione, il MIPAAF e il MiBACT14 semplifica il reimpianto nelle zone infette , svincolandolo dall’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza e delle Commissioni Paesaggistiche.
Il 6 marzo 2020, in rilevante ritardo, è stato finalmente firmato il decreto attuativo dell’art. 8 quater del D.L. n.27/2019, che istituisce un fondo di 300 mln di euro per la realizzazione del “Piano strategico per la rigenerazione olivicola della Puglia” per il rilancio delle zone infette15, che si affiancherà alle misure previste dal PSR 2014-2020.

La percezione del rischio
Queste strategie tuttavia saranno poco efficaci se non si interviene parallelamente anche sugli aspetti comunicativi e culturali. Sin dal 2013 la vicenda è stata oggetto di contrastanti interpretazioni, che hanno inevitabilmente mutato la percezione del rischio (ma anche del pericolo16) ed indebolito la fiducia nei confronti degli esperti (raggiungendo l’apice nel 2015 con il decreto di sequestro preventivo d’urgenza e la denuncia di 9 di essi, più il Commissario delegato Silletti, archiviato il 3 maggio 2019). Il valore, sia economico, sia culturale, ricoperto dall’olivo all’interno del tessuto sociale pugliese ha fatto sì che tutti si sentissero in dovere di manifestare il proprio pensiero, dando vita a numerosi movimenti e associazioni contrari alla gestione istituzionale della fitopatia17. I canali istituzionali non paiono dunque sufficienti ad arginare fake news, teorie complottiste e correnti alternative che hanno generato una sorta di cesura sociale ed incentivato il mancato rispetto delle misure.
Considerati gli ingenti danni che Xylella f. sta causando all’olivicoltura pugliese e italiana (un terzo delle olive in Italia è prodotto in Puglia), rinvii e mancanza di una linea comune sono ingiustificabili, a maggior ragione dopo 7 anni dall’insorgere dell’emergenza (oggi difficilmente ancora definibile tale). La sovrapposizione di più profili (economico, ambientale, fitosanitario, politico, giuridico, sociale) ha complicato la risoluzione della vicenda, tanto da rendere oggi ineredicabile il batterio e da costringere ad una faticosa convivenza.

Lo studio originale
La gestione del rischio fitosanitario nel diritto agroalimentare europeo ed italiano: il caso Xylella
Trento Law and Technology, Research Group – Student Paper n. 44

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IPM ESSEN2020: tra cambiamenti climatici e sostenibilità //www.agronomoforestale.eu/index.php/ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita //www.agronomoforestale.eu/index.php/ipm-essen2020-tra-cambiamenti-climatici-e-sostenibilita/#respond Mon, 17 Feb 2020 06:01:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67512

Renato Ferretti, Consigliere nazionale – Dipartimento Paesaggio, pianificazione e progettazione territoriale e del verde

La 38° Fiera internazionale IPM ESSEN ha registrato un buon successo ed una crescente internazionalità. Nei quattro giorni in fiera: dal 28 al 31 gennaio, ci sono stati 1.538 espositori provenienti da 46 paesi che hanno presentato i loro prodotti e servizi innovativi dalle piante, alle tecnologie, alla floristica e al giardino.
La IPM di Essen è stata ancora una volta il luogo di incontro più importante del settore verde mondiale. Oltre 54.000 (nel 2019: 52.800) visitatori da oltre 100 paesi hanno ottenuto informazioni sulle tendenze e hanno fatto ordini per la prossima stagione, e la percentuale di visitatori stranieri ha superato il 40%, rispetto al 38% del 2019.
Più che mai, i cambiamenti climatici e la sostenibilità sono stati gli argomenti dominanti alla fiera leader mondiale per l’orticoltura.
In totale, i tedeschi hanno speso 8,9 miliardi di euro in fiori e piante l’anno scorso – un + 2,7% rispetto all’anno precedente e il valore più alto dal 2011. Nell’ambito di IPM ESSEN 2020, la Central Horticultural Association (ZVG) ha annunciato che la spesa procapite è passata da 105 a 108 euro.

Nel contesto della discussione sul clima, l’orticoltura ha guadagnato enormi competenze con un umore positivo nelle sale della fiera. All’IPM ESSEN 2020, il settore verde ha dimostrato il suo spirito innovativo e le sue prestazioni ambientali in un modo impressionante“, ha riassunto Oliver P. Kuhrt, CEO di Messe Essen.
I consumatori stanno diventando sempre più consapevoli dell’importanza di vivere nel verde, allo stesso tempo, le piante sono sempre di più prodotti per uno stile di vita moderno. In un mondo in rapido movimento e digitale, il giardino sta diventando un’oasi di benessere.

Foto: Alex Muchnik/©MESSE ESSEN GmbH

Il verde urbano pensa al clima
Il ministro federale dell’agricoltura, Julia Klöckner, che ha aperto ufficialmente IPM ESSEN, ha trovato parole di elogio per il settore: “L’orticoltura in Germania mostra un alto grado di innovazione e le imprese trovano e occupano nicchie in questo modo. Rispondono alle domande sul futuro, per esempio quando si tratta di più protezione delle risorse o del clima.”
Già nel 2019, gli espositori hanno affermato che i temi della sostenibilità e del clima con il cambiamento in corso eserciteranno significative influenze sul futuro del settore. Non importa se imballaggio ecologico, nuove varietà resistenti al clima, la promozione della biodiversità, il verde per la pulizia dell’aria, fioriere con serbatoi d’acqua integrati oppure i sostituti della torba. L’orticoltura internazionale ha mostrato il suo potere innovativo in una forma significativa. Anche nell’area tecnologica, l’accento è stato posto sulla produzione ad alta efficienza energetica, alle procedure e tecnologie digitali pioneristiche.

I Comuni pensano in verde
Chiunque desideri la biodiversità non può ignorare l’orticoltura“, il presidente di ZVG, Jürgen Mertz, ha sottolineato nel suo discorso di apertura “Questa è una grande opportunità per il settore.
Mertz guarda all’alto potenziale per quanto riguarda il consumo non privato, poiché i comuni si trovano ad affrontare la sfida di rendere le città più verdi. Qui, le gamme di piante legnose utilizzabili per il contrasto al cambiamento climatico, per mitigare gli effetti negativi dell’inquinamento sono particolarmente richieste.
Lettura della situazione confermata sia dal grande bisogno di informazioni in merito che dalla vivace partecipazione al seminario dal titolo “Organizzazione della sostenibilità nel comune”.
Il ruolo centrale della pianificazione territoriale è emerso con forza durante la visita della fiera, dove sono state presentate le caratteristiche degli alberi nell’ambito dell’evento organizzato dalla fondazione THE GREEN CITY e la Federazione di vivai tedeschi, svolta nel quadro delle attività dell’UE con il progetto intitolato “Città verdi per un’Europa sostenibile”.

Foto: Alex Muchnik / © MESSE ESSEN GmbH

Le proposte dalla Francia
Il Paese partner del 2020, la Francia, ha mostrato la diversità dell’orticoltura francese. La Francia supporta anche il progetto sostenibile della comunità degli stati.
Alla IPM sono state presentate dai florovivaisti francesi tutte le specialità vegetali prodotte dal Paese come rose, alberi da frutto, rododendri, camelie, ortensie, ciclamini, crisantemi, lavanda, alstroemeria e dalie.
VAL’HOR, l’associazione commerciale ombrello dell’orticoltura francese, si sente onorato di essere stato il paese partner di IPM ESSEN 2020. Questa collaborazione è stata una fantastica opportunità per presentare i nostri produttori, il loro senso di qualità e innovazione, nonché il nostro French Touch” – ha detto alla fiera leader nel mondo del florovivaismo Mikaël Mercier, presidente di VAL’HOR.



28-01-2020/EssenFoto: Alex Muchnik / © MESSE ESSEN GmbH

Florovivaismo di domani
Per l’edizione di IPM ESSEN 2021, il Messico prevede di presentarsi come Paese partner della fiera.
IPM Discovery Center ha presentato Heroes of the Green Sector “Dobbiamo essere di nuovo orgogliosi di ciò che facciamo.”
Nel Centro d’innovazione IPM nel padiglione 7, il talent scout Romeo Sommers ha mostrato le presentazioni nel “Garden Center of the Future” che sono stati orientati alle ultime tendenze e hanno tenuto conto dei risultati relativi ai comportamenti d’acquisto. Oltre a temi come servizi online e valore aggiunto da nuove varietà, l’attenzione è stata focalizzata sui sistemi di riciclaggio innovativi e alla sostenibilità dell’intero ciclo di vita dei prodotti florovivaistici.

Green City: luogo di incontro delle associazioni verdi
Il padiglione 1A è stato nuovamente trasformato nella Città Verde. Il Centro ha offerto consulenza su tutte le questioni orticole come la protezione delle piante e il passaporto delle piante, il Teaching Show ha evidenziato il cambiamento nel settore verde e la Innovation Showcase ha presentato le novità vegetali più innovative.

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DIGIT – HOP: un progetto per la luppolicoltura di precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione/#respond Wed, 29 Jan 2020 14:47:28 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67468 Questo articolo racconta il progetto vincitore del 1° premio 2020 “Dottore agronomo e dottore forestale, progettista del cibo sostenibile”.

1° PREMIO
Nome vincitore: Ruralset STP
Titolo: “Luppolo digitale

Descrizione progetto: L’impiego di fotocamere offre un aiuto per valutare il grado di maturazione, eventuali sofferenze e le esigenze nutrizionali delle piante.
Motivazione: per avere combinato innovazione e originalità dell’idea, coinvolgendo una rete di professionisti

 

Coltura di nicchia, esplosione del consumo della birra artigianale italiana, alcune fasi critiche della coltivazione e della lavorazione, l’opportunità di avere belle relazioni con studiosi e territori. Sono stati questi gli ingredienti alla base di un progetto di ricerca e sviluppo che ha come focus il luppolo e la digitalizzazione di questa coltura.

Qualche cenno sul luppolo
Il luppolo (Humulus lupulus L.) è una cannabacea, quindi della stessa famiglia della canapa, è erbacea (curiosamente visto che raggiunge una altezza di diversi metri!), perenne e con una foglia assai particolare perché la pagina superiore della lamina è ruvida al tatto, mentre quella inferiore è resinosa.

© Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste
foto: Andrea Moro

La specie è dioica, ossia presenta fiori unisessuati maschili e femminili portati su piante diverse.
Siccome nell’attività brassicola sono utilizzate solamente le infiorescenze degli individui di sesso femminile non impollinate, devono essere escluse dall’areale di coltivazione le piante di sesso maschile: il loro polline, infatti, porterebbe a uno scadimento qualitativo del raccolto.
Alla base delle infiorescenze, botanicamente note come strobili e chiamate anche “coni”, sono presenti delle ghiandole resinose secernenti una sostanza giallastra nota come luppolina, che conferisce il caratteristico sapore amaro alla birra. La luppolina è costituita da α-acidi (principalmente composti da umulone, coumulone e adumulone) e dai composti che hanno maggior potere amaricante, β-acidi (principalmente composti da lupulone, colupulone e adlupulone), da polifenoli (es. flobafeni, xantumolo) e da numerosi oli essenziali, principalmente myrcene e humulene. L’humulene, in particolare, è la sostanza più ricercata grazie alla sua capacità di mantenere inalterate le caratteristiche aromatiche della birra nel corso della sua shelf-life.
Il mastro birraio, per amaricare, aromatizzare la birra e per conferirle il gusto e il sapore che le sono propri, usa una quantità molto piccola, poche centinaia di grammi per ettolitro di birra, ma la forza aromatizzante di questa sostanza è sufficiente a caratterizzare le diverse tipologie di birra luppolate nei vari modi.

Un settore con potenzialità
Nel mondo, la superficie attualmente coltivata a luppolo si aggira intorno ai 50.000 ha, principalmente collocati in Germania e Stati Uniti, con produzioni medie cumulate che si aggirano attorno alle 30.000 tonnellate annue di coni di luppolo secco, corrispondenti ai circa 2/3 della produzione mondiale. Altri importanti Paesi produttori sono Cina (15.000 t/anno), Repubblica Ceca (9.000 t/anno), Slovenia (2.200 t/anno) e Regno Unito (1.900 t/anno).
Nel tempo si sono differenziate zone tipicamente vocate alla coltivazione del luppolo all’interno dei Paesi precedentemente elencati, fra cui ad esempio l’areale del Saaz (Žatec) in Rep. Ceca, l’Eger e il Hallertau in Germania, le valli Yakima e Willamette e a ovest del Canyon County, nell’Idaho U.S.A, mentre nel Regno Unito la produzione è concentrata nel Kent.

Mappa dei luppoleti italiani con superficie pari o uguale 1000 m2, aggiornata a maggio 2018. Attualmente sono censiti 84 luppoleti commerciali. La superficie nazionale media coltivata a luppolo è pari a 4860 m2 (fonte: Crea). In totale in un recente convegno i tecnici del CREA hanno comunicato una superficie complessiva di poco meno di sessanta ettari coltivati in Italia.

Il valore del mercato mondiale annuo del luppolo si aggira attorno ai 700 milioni di dollari, di cui 500 milioni riconducili alla produzione agricola e 200 milioni alle aziende di trasformazione e commercializzazione.
In Italia la coltivazione è tutt’ora allo stadio pionieristico sia per la scarsa diffusione della birra artigianale sino a pochi anni fa, che per le modeste quantità di luppolo che occorrono, sia – e forse soprattutto – per una scarsa cultura luppolicola nel nostro Paese. Anche i dati CREA confermano che i pochi impianti produttivi hanno carattere spesso hobbistico o sperimentale e, se si eccettuano pochissimi impianti, le superfici unitarie sono molto piccole (poche migliaia di metri quadrati).

Può avere un futuro questa coltura?
Il fabbisogno di luppolo per uno sviluppo futuro di una filiera è stato stimato in una superficie di coltivazione tra i 200 ed i 300 ettari. Gli areali di ubicazione potrebbero essere moltissimi dalla pianura, alla prima collina.
Inoltre, potrebbe essere una coltura che, ancorché restando una nicchia, potrebbe avviare alcune piccole filiere virtuose legate al territorio, valorizzando gli altri usi del luppolo, come quello alimentare, e connettendoli alla produzione artigianale di birra con la creazione di nuove cultivar, riducendo sempre più il ricorso alla importazione o anche alla coltivazione in Italia di cultivar non autoctone. In questo senso è interessante e sfidante il lavoro che il Comune di Marano sul Panaro, sulla prima collina modenese, fa da anni con studi, ricerche e un convegno annuale che è oramai diventato un appuntamento irrinunciabile per tutti gli appassionati e cultori della luppolicoltura.

DIGIT-HOP
È in un contesto di novità, interesse, potenzialità e contaminazione di attività che è nato il progetto del “DIGIT-HOP”, che RURALSET ha avviato nel 2019.

Coni di luppolo
Foto: CREA

Sono state studiate le fasi di coltivazione della pianta e si è cercato di capire quali fossero i momenti topici e gli snodi critici dove potesse essere necessario digitalizzare il processo con dei sensori, al fine di fornire un sistema di supporto alle decisioni che aiutasse l’agricoltore a compiere le scelte giuste nel momento giusto.
Questo studio ha confermato che è possibile aiutare il luppolicoltore in due momenti: la raccolta dei coni al giusto gradi di maturazione e durante il processo di essiccazione, per determinarne la gestione accurata.
Ancor’oggi, infatti, la maturazione del luppolo e il corretto tempo di raccolta sono determinati in maniera empirica, affidandosi all’esperienza e alla competenza dell’agricoltore: vi è un momento nel quale, grazie al tatto e alla vista, si decide per la raccolta sperando che sia il momento di massima presenza nei coni di sostanze amaricanti e aromatizzanti, prima che giunga il loro naturale declino.

La fase di avvio del progetto
La ricerca iniziale ha previsto l’installazione in campo di una serie di fotocamere e la rilevazione di migliaia di immagini di coni in maturazione, per realizzare una gigantesca banca dati fotografica. Parallelamente, con periodicità, si è iniziato a compiere delle analisi chimiche su campioni di coni in modo da determinare la presenza di sostanze amaricanti.
Correlando immagini e analisi la presenza di alfa e beta acidi è stata messa in relazione con colore, forma e dimensione dei coni, per potere indicare con precisione il momento perfetto della raccolta.
Grazie a una stazione meteo, infine, sono stati raccolti di dati di temperatura, umidità dell’aria, pioggia, vento, indice di bagnatura della lamina fogliare, indice di efficienza fotosintetica, con i quali si è determinata la situazione ambientale presente in campo.
Successivamente, con tutte le immagini raccolte è stato possibile iniziare ad “allenare” un sistema intelligente di riconoscimento, per individuare con grande precisione tutti i coni presenti in una fotografia e mapparne le caratteristiche morfologiche principali.
I primi risultati del progetto sono incoraggianti, anche se occorre essere molto scrupolosi nella esecuzione di molte decine di analisi in parallelo allo scatto delle foto per costruire una relazione tra immagine e caratterizzazione chimica dei coni.
I prossimi passi si concentreranno sullo sviluppo del sistema di machine learning e sull’allenamento degli algoritmi, con il ragionevole obiettivo di attendibilità che possa superare il 90%.

Il processo di essiccamento
Conclusa la fase in campo, il lavoro si è concentrato sul governo del processo di essiccamento, per offrire una soluzione che permetta di gestirlo in maniera digitale.

Essicazione del luppolo
Foto: CREA

Il luppolo, infatti, viene raccolto in uno stadio caratterizzato da un’umidità relativa di circa l’80% e deve essere essiccato, in breve tempo, fino all’8%, per poi essere reidratato in area ambiente fino al 12% circa.
Il primo passaggio è fondamentale per garantire l’arresto dei processi di fermentazione e per preservare le caratteristiche organiche e organolettiche. Il secondo è strumentale a ottenere un prodotto meccanicamente più resistente e più adatto alla successiva compressione e/o pellettizzazione.
Non esistono oggi impianti di essicazione specializzati per il luppolo e, in generale. questo processo è ancora molto artigianale, fondato sulle abilità empiriche e sull’esperienza dell’imprenditore agricolo.

Essicazione del luppolo
Foto: CREA

Per sopperire a questa aleatorietà, il progetto è proseguito in essiccatoio, collocando all’interno della massa di coni un set di sensori di temperatura e di umidità per determinare il migliore momento di stop alla fase di essiccamento e il ciclo di calore più idoneo da erogare alla produzione.
Dai primi dati raccolti si è evidenziato che sarà necessario sviluppare un sistema di sensori in grado di monitorare con grande precisione l’umidità relativa dei coni, e dei modelli predittivi di grande precisione per la gestione delle condizioni e delle tempistiche di essiccazione e successiva reidratazione.

Dove vorremmo andare?
Questo progetto mira a collegare le diverse fasi del processo di coltivazione e di lavorazione dei coni e a diventare uno strumento semplice, scalabile, low-cost, direttamente impiegabile dal tecnico del luppolicoltore e gestibile da remoto. È il grande processo di digitalizzazione dell’agricoltura, che sta compiendo i primi passi concreti e che tanto deve ancora produrre.
Una volta concluso (occorrono ancora almeno un paio di campagne di studio per consentire al progetto DIGIT-HOP di consolidare i risultati), questo progetto dovrà traghettare il comparto da una gestione empirica della raccolta a una determinazione il più possibile “scientifica” del momento ideale, e lo stesso passaggio sarà da compiere per il processo di essicamento. Il tutto in una cornice di sostenibilità e di miglioramento delle performance tecniche- gestionali ed economiche del processo.

 

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Il bosco ceduo nell’Appennino modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-bosco-ceduo-nellappennino-modenese/#respond Mon, 04 Nov 2019 07:18:37 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67370 Alla luce del Regolamento Forestale della Regione Emilia Romagna n.3 del 1 ° agosto 2018

PREMESSA
La gestione boschiva nell’Appennino modenese (comuni di Frassinoro e Montefiorino) è stata oggetto di una tesi di laurea presso il dipartimento di Scienze della Vita, Agraria, Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie e degli Alimenti, Unimore, discussa il 17 luglio 2019 relatrice la Prof.ssa Cristina Bignami, primo correlatore: Dott. Pietro Natale Capitani (già Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Modena), secondo correlatore: Dott. Claudio Cavazza, della Regione Emilia Romagna, laureando: Cesare Magnavacca.

INTRODUZIONE
È ampiamente condivisa l’idea che l’agricoltura collinare e montana abbia perseguito nel passato l’obiettivo di destinare alle colture agricole i terreni migliori, relegando i boschi alle aree più impervie; così il bosco, che fino ai primi del ‘900 era un elemento basilare nella economia agricola, ha perso sempre più importanza. Due esempi su tutti:

  • l’abbandono del ceduo, in quanto il legno ha subito una forte concorrenza da parte di altri combustibili più economici e di più facile approvvigionamento; la rinuncia della ceduazione avviene anche in nome di un ripristino della naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico.
  • l’abbandono del castagneto da frutto, che per secoli ha contribuito a soddisfare le esigenze economiche della popolazione montana, ma che ora più raramente è seguito e curato[1].

I dati raccolti ai fini della tesi, grazie alla collaborazione della Regione Emilia Romagna- Servizio Aree protette, Foreste e Sviluppo della Montagna e del sub-ambito montano dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico, sono relativi alle richieste di autorizzazione al taglio presentate nel periodo 2008-2019; la loro interpretazione porta a concludere che, tuttavia, in certi ambiti montani, il taglio a ceduo è ancora attivo e che è sviluppata la coltura del castagno, soprattutto di qualità.

 

ASPETTI GEOGRAFICI, CLIMATICI GEOLOGICI E PEDOLOGICI

La valle del Dragone dal castello di Montefiorino (riproduzione privata)

Le caratteristiche dei comuni presi in considerazione sono le seguenti.

Il comune di Montefiorino ha una estensione di 45,35 km2, presenta una escursione altimetrica di 886 m, s.l.m.,  fra una quota minima di 324 m e una massima di 1210 m, con il paese a circa 797 m.
Il comune di Frassinoro ha una estensione di 95,93 km2, presenta una escursione altimetrica di 1206 m, s.l.m., estendendosi fra una quota minima di 502 m e massima di 1708 m, con il paese a circa 1.131 m[2].
Entrambi i comuni sono situati nella valle del Dragone, che scorre per oltre 30 chilometri lungo la dorsale appenninica fino a raggiungere il Dolo; il Dragone prende origine dai numerosi torrenti e corsi d’acqua che scendono dal crinale in prossimità del Passo delle Radici che segna il confine tra l’Emilia e la Toscana.

Il clima è continentale per la temperatura con inverni freddi ed estati fresche. Le piogge hanno una distribuzione di tipo mediterraneo con precipitazioni più intense in primavera e autunno.

I terreni sono prevalentemente argillo-marnosi nelle zone più basse e arenaceo-marnosi in quelle più a monte; essi presentano in generale condizioni di instabilità dei versanti e un’accentuata suscettibilità all’erosione superficiale.

I suoli variano da profondi a superficiali, a tessitura media, calcarei, moderatamente alcalini. Per quanto riguarda lo scheletro possono variare da scarsamente a molto ciottolosi negli orizzonti profondi.

Afferenti ai comuni considerati vi sono alcune zone particolari dal punto di vista ambientale: tre siti di Natura 2000, che rappresentano aree protette con gestione forestale normata secondo un particolare articolo del Regolamento Forestale regionale n.3 del 1° agosto 2018[3] (che nel seguito chiameremo nuova normativa per distinguerla dalle “Prescrizione di massima e di Polizia Forestale”[4], in vigore nel 2008 e che chiameremo nel seguito vecchia normativa).

Ceduo matricinato (riproduzione privata)

Natura 2000[5] è un sistema organizzato in rete di aree (siti e zone) destinate alla conservazione della biodiversità. Questa rete è presente su tutto il territorio dell’Unione Europea ed è rivolta alla tutela di ambienti quali foreste, zone umide, ambienti rocciosi e delle specie animali e vegetali in essi viventi.

La Regione Emilia Romagna si occupa della gestione complessiva del sistema territoriale delle aree protette e dei 158 siti della rete Natura 2000, che ricoprono una superfice complessiva di circa 270.000 ettari. Provvede ad esse per conto del Ministero per l’Ambiente e della Commissione Europea.

 


METODOLOGIA E RACCOLTA DATI

Faggeta in riconversione ad alto fusto (riproduzione privata)

Per la raccolta dati è stata svolta un’analisi di archivio, con l’esame delle richieste di taglio depositate presso il comune di Montefiorino per entrambi i comuni. Le “richieste di utilizzazione” del bosco ceduo sono presenti in formato cartaceo, dal 2008 al 2015, in formato digitale dal 2016 al 2019.
Nel comune di Frassinoro è stata effettuata un’ulteriore analisi per le zone SIC e ZPS.

Nei dati raccolti si è deciso di semplificare la specie arborea prevalente della superficie destinata all’esbosco, secondo la seguente classificazione: Faggio, Castagno, Quercia, Abete (comprendente abete bianco e abete rosso), misto latifoglie[6].
Quest’ultimo è caratterizzato da una molteplicità di specie che condividono la stessa area boschiva e diverse a seconda della fascia altimetrica.
Il misto latifoglie a Montefiorino è costituito da: quercia, castagno, faggio, ciliegio selvatico, pioppo, robinia mentre quello a Frassinoro è costituito da: faggio, frassino, quercia, acero, olmo e ciliegio selvatico.

 

ANALISI DATI

Le richieste di autorizzazione di cui si è tenuto conto sono state quelle complete in ogni loro voce significativa per la ricerca (quindi per esempio superficie interessata, specie arborea, età dell’ultimo taglio,…); si sono quindi esaminate 620 richieste di taglio per il Comune di Montefiorino, e 975 richieste per il Comune di Frassinoro (comprendenti 119 domande nelle aree protette).

Fig.1 – Numero di richieste per comune

Dal grafico di Fig.1 si evince che le zone protette di Natura 2000, per le quali la nuova normativa prevede un articolo a parte3, pur sottoposte a vincoli maggiori quali il divieto di taglio di piante vive con diametro superiore a 1 m e l’aumento della turnazione dei boschi di faggio e di castagno puri, non limitano le risorse forestali. Le numerose domande, soprattutto fatte da ditte forestali mostrano che anche la selvicoltura di quelle zone può essere sviluppata.

Fig.2 – Superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato

L’istogramma di Fig.2 indica la superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato. Si può osservare una tendenza alla decrescita più accentuata nel comune di Montefiorino, il cui territorio presenta nel complesso una minore vocazione forestale rispetto al territorio di Frassinoro.

 

 

 

Fig. 3 e 4 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 Le coppie di diagrammi a torta di Fig.3 e 4 e Fig.5 e Fig.6 riportano numero e percentuale dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).
Come si vede c’è un’ampia sovrapposizione del richiedente privato con l’uso domestico perché l’uso della legna da ardere come combustibile per il riscaldamento è ancora attuale.

 

Fig. 5 e 6 – Numero e % dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).

 

Si vede inoltre che il mercato del legname è più fiorente a Frassinoro confermando quanto precedentemente affermato a proposito di vocazione forestale dei territori dei due comuni.

Fig.7 – Numero di domande vs superfice di taglio

 

 

Dal grafico di Fig.7 che riporta il numero di domande versus la superfice di taglio si ricava che in entrambi i comuni il massimo numero di domande si ha per superficie fra 1 e 2 ha. La nuova normativa prevede l’esenzione da autorizzazione ad autorizzazione per i tagli ad uso non commerciale su superficie minore di 1500 m2, quindi la coda estrema di questo istogramma è dovuta a dichiarazione antecedenti l’agosto 2018.

 

Fig.8 e 9 – Variazione nel tempo per le diverse specie arboree

I grafici di Fig.8 e Fig.9 riportano la variazione nel tempo per le diverse specie arboree delle superfici boschive per le quali è stata chiesta autorizzazione al taglio nei due comuni.

Il modello mostra un andamento pseudo periodico per le varie specie, con una tendenza netta alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino.

Fig.10 e 11 – Andamento pseudo periodico per le varie specie

Per quasi tutte le specie esaminate singolarmente si osserva una dispersione dei dati che non consente di evidenziare significative tendenze nelle variazioni delle superfici a taglio, nei dodici anni presi in esame.
Fanno eccezione la tendenza alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino e le oscillazioni attorno a un valore costante per il faggio a Frassinoro (Fig. 11), ciò indica che sono più utilizzate le varietà di legname con un maggior valore commerciale e contenuto energetico per unità di peso.

 

Fig.12 – Tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019

 

Premesso che sia la vecchia che la nuova normativa incoraggiavano l’estensione e il recupero dei castagneti da frutto, il grafico di Fig. 12 illustra le tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019 poiché nelle precedenti domande di taglio non era specificata le tipologie di intervento. Da questo grafico si deduce che c’è stato, nei primi due anni, un incremento della superficie del castagneto da frutto, essendo gli interventi di ripulitura indicatori di un’attività di gestione finalizzata al ripristino della produzione di castagne. Negli anni 2018 e 2019 invece non ci sono state domande di ripulitura, ma solo per ceduo matricinato.
Nel comune di Montefiorino la castanicoltura ha avuto un calo produttivo più evidente rispetto a Frassinoro poiché le varietà coltivate erano principalmente di castagne destinate alla produzione di farina: queste cultivar sono state via via abbandonate a causa della non economicità delle operazioni colturali e dell’isolamento di alcuni castagneti dalla rete viaria, oltre che dal calo di consumo della farina di castagne, prodotto la cui richiesta è in ripresa solo negli anni più recenti. La riconversione dei castagneti è un investimento che pochi operatori sono disposti a fare, a causa dall’entità economica dell’investimento e del periodo di ritorno.

Si sono quindi trasformati castagneti, già destinati a produzione di castagne da farina, in ceduo per ricavarne un profitto. Se la coltivazione dei castagneti fosse stata di pregio, come quella dei marroni, probabilmente l’abbandono di alcune zone sarebbe stato meno accentuato.   Il ceduo derivante dai castagneti abbandonati riesce comunque a spuntare un buon prezzo nel mercato, grazie alle caratteristiche del legname: il legno è infatti richiesto in parte per la paleria, in parte per le costruzioni, piuttosto che come legna da ardere.

Non è stato possibile fare un grafico analogo per il comune di Frassinoro perché non sono registrate richieste di taglio negli ultimi anni; nella fascia bassa del suddetto comune sono presenti castagneti da frutto, ma sono per la gran parte coltivati, oppure non sono qualificabili come “abbandonati da molto tempo”: né con la vecchia, né con la nuova normativa gli interventi manutentivi sui castagneti devono essere dichiarati. Se ne deduce che a Frassinoro, principalmente nella frazione Fontanaluccia, in val Dolo, è rimasta una locale filiera di produttori e commercianti dei frutti e che questo commercio, basato su produzioni di buon pregio, consente un reddito sostenibile alle parti.

I grafici di Fig.13 e Fig.14 sono box plot che illustrano l’età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento nel Comune di Frassinoro per faggio, quercia e misto latifoglie.

Fig.13 e 14 – Età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento

Il grafico a baffi del faggio nel 2008/2009 indica una età minima di taglio di 10 anni, il primo quartile è a 30 anni, cioè un 25% dei tagli è effettuato fra i 10 e 30 anni; la mediana è 40 anni e il terzo quartile a 50 anni; quindi complessivamente il 50 % dei tagli è compreso fra i 30 e i 50 anni; un’ulteriore 25% dei tagli ha età fino a 80 anni.  Entrambi i valori estremi erano fuori dalla vecchia normativa sull’età di taglio di un ceduo semplice.

Se si guarda i box plot degli ultimi due anni invece si vede come l’età minima sia di 30 anni, che coincide con il primo quartile, cioè un 25% dei boschi è tagliato a 30 anni; la mediana e il terzo quartile coincidono nei 40 anni quindi un 50% dei tagli avviene fra 30 e 40 anni, mentre un ulteriore 25% dei boschi presenta un’età età di taglio attorno ai 50 anni. Quindi si osserva un maggior rispetto dell’età minima di taglio del ceduo semplice e la volontà di evitare che il bosco possa ritenersi ceduo invecchiato, che potrebbe essere riconvertito in ceduo semplice ma previa autorizzazione (non bastando la comunicazione).

Stessa osservazione vale per la quercia e il misto latifoglie, dove però i punti singoli indicano casi sporadici di tagli effettuati in età estreme.

 

CONCLUSIONI

L’abbandono per lungo tempo del regime a ceduo non danneggia di per sé il bosco, non ne provoca la scomparsa e può essere utile per ripristinare la naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico, ma ne altera la tipologia colturale portando il ceduo a trasformarsi in una struttura forestale meno interessante dal punto di vista antropico;  non solo, lasciare a se stessi i processi di “rinaturalizzazione” di questi boschi può costituire un vantaggio dal punto di vista naturalistico, ma in taluni casi si possono innescare processi di degradazione del suolo, specialmente in quelle zone con elevato rischio di fenomeni franosi.

Infine due ultime osservazioni.

Oltre agli interventi degli enti pubblici, la Regione Emilia Romagna promuove la formazione di Consorzi Forestali, costituiti da privati, per la gestione e la conservazione del bosco nell’Appennino Modenese; questi nuovi Consorzi vanno ad affiancarsi ad altre forme di governo radicate nel territorio come gli usi civici e le proprietà collettive (lotti comunali e beni frazionali nel comune di Frassinoro). Sono nuove forme di associazione di privati che possono essere finanziati, almeno in parte, dai PSR (Piano di Sviluppo Rurale) specifici per le zone montane.

La tecnica della cippatura, oggi utilizzata principalmente dalle ditte forestali per lo smaltimento in situ dei residui di taglio, potrebbe invece alimentare una nuova filiera della bioenergia montana della quale si intravvedono i primi esempi.

 

 

Bibliografia

  • Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983: A. Alessandrini, C. Bignami, S. Corticelli, L.F. D’Antuono, S. De Polzer, D. Ubaldi, Tavole sinottiche, in F. Corbetta, C. Ferrari, A. Gigli, A. Pirola, T. Romualdi, G.F. Savoia (eds.), Alberi e arbusti dell’Emilia-Romagna, Azienda Regionale delle Foreste della Regione Emilia Romagna, Bologna 1983.
  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Rapporti storici ed attuali tra uomo e boschi in Emilia Romagna, in A.A. V.V. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp.19-28.
  • Bagnaresi 1987: U. Bagnaresi, Come leggere la fisionomia del bosco, in AA. VV. I boschi dell’Emilia Romagna, Bologna 1987, pp. 31-49.

Sitografia

 

 

[1] Cfr. Bagnaresi 1987.

[2] www.comuni-italiani.it/.

[3] Regolamento regionale n.3 del 1° agosto 2018 (Titolo IX, art 64).

[4]  L.R. 4 settembre 1981, n. 30; R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267; R.D.L. 16 maggio 1926, n. 1126.

[5]  //ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/parchi-natura2000/rete-natura-2000/strumenti-di-gestione/misure-specifiche-di-conservazione-piani-di-gestione/misure-specifiche

[6] Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983.

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La foresta schiantata dalla forza del vento (ottobre 2018)

Lo scorso anno, il 29 ottobre, una tremenda tempesta si è abbattuta sul quadrante nordorientale delle Alpi, provocando un’immane devastazione dei boschi alpini.
Il giorno successivo, le immagini mostravano diversi milioni di metri cubi di legname che in una sola notte erano crollati al suolo provocando una serie di danni all’intera filiera bosco-legno del Cadore e del Vicentino, del Trentino e dell’Alto Adige e della montagna friulana.

UN BREVE RIASSUNTO
La massa legnosa disponibile ha causato un immediato crollo del prezzo del legname sul mercato, ma ai problemi di carattere economico-occupazionale si aggiungevano anche altri aspetti:
• il pericolo del diffondersi di malattie e insetti patogeni, in primis il bostrico;
• la messa in sicurezza dei pendii che si sarebbero dovuti proteggere da valanghe, frane, smottamenti, funzione che il bosco faceva e dopo Vaia non sarebbe più riuscito a fare;
• la componente ambientale, perché Vaia ha impattato su habitat di pregio paesaggistico e zone con specie floristiche e faunistiche uniche.

COSA È STATO FATTO FINO AD OGGI?
LA RIMOZIONE DEL LEGNAME
La mossa più urgente da fare, come affermarono immediatamente i dottori agronomi e forestali, era rimuovere quanto prima la gran parte del legname, almeno il 70% della biomassa, entro i primi 3 anni. Un’azione urgente per evitare il diffondersi di parassiti e malattie e aggravare il rischio di dissesto idrogeologico.

Friuli: Fino ad oggi è stato tagliato ed esboscato circa il 35% del legname danneggiato. Dopo gli interventi urgenti iniziali sono stati progettati e affidati lavori per decine e decine di milioni di euro per il ripristino della sicurezza del territorio.
La Regione ha, inoltre, attivato una misura PSR (8.4.1) con una dotazione finanziaria di alcuni milioni per il ripristino e la messa in sicurezza di aree forestali danneggiate, le sistemazioni idrauliche, e il ripristino, l’adeguamento di viabilità forestale.

Veneto: Le estese superfici danneggiate in zone comode sono in fase di asportazione in una soddisfacente proporzione. Le zone scomode sono state affrontate solo in misura limitata; lo stesso dicasi per i danni poco concentrati e diffusi. Dove è stato individuato il rischio di valanghe o di dissesti (situazione estesa in alcuni territori) le utilizzazioni non sono state eseguite o addirittura formalmente contingentate.
Va aggiunto però che dati che circolano sulla percentuale di lavoro eseguito sono riferiti a un’entità del danno che, dalle prime cifre esposte a suo tempo, secondo i tecnici dell’Ordine è considerata sottostimata.

  1. Molte proprietà comunali, regoliere e demaniali hanno subito impatti diffusi che sono sfuggiti alle prime valutazioni. Riteniamo che siano stati sottovalutati i danni anche le proprietà private singole (che hanno di solito un controllo più blando).
  2. I metri cubi sono intesi come cormometrici (secondo i piani di riassetto forestale): sono però inferiori a quelli reali che, a differenza di altre situazioni, comportano proporzioni significative di ramaglie, cimali, ceppaie eccetera.

In Provincia di Bolzano le ultime rilevazioni certe (maggio 2019) parlavano di una quota poco sopra il 50% di legname schiantato rimosso (ca. 800.000 m³ su 1,5 milioni).
Siamo in attesa di un report realizzato dalla Provincia con dati ufficiali (uscirà in concomitanza con l’anniversario Vaia), ma partendo dalle osservazioni è lecito attendersi che percentuale esboscata ammonti a circa l’80% dell’abbattuto.
Rispetto all’entità e alla singolarità dell’evento calamitoso possiamo senz’altro ritenerlo un risultato più che buono.

LA FILIERA ECONOMICA
Il deprezzamento del legname può essere indicato in 1/5 del valore medio antecedente, con variazioni da 1/10 delle qualità d’eccellenza (alcuni lotti della Val Visdende) a 1/3 su quelli di qualità scadente (rimboschimenti nelle Prealpi).
Il rapido esbosco, la vicinanza al confine di Stato e l’intervento provinciale hanno inciso sull’andamento del prezzo del legname, che ha raggiunto mediamente i 50 €/m³ franco strada camionabile.

Stabilizzare i prezzi
Ripartire l’offerta di legname su un periodo più lungo serve a impedire la perdita di valore del legname stesso, sgravando il mercato e stabilizzando i prezzi.
Lo si può fare (o si sarebbe potuto fare in molte zone) con depositi dei tronchi a lungo termine, magari per la conservazione delle proprietà pregiate del legno nell’attesa di futuri acquirenti. Oppure lo si può conservare mediante essiccazione rapida all’aria, immersione in grandi bacini, aspersione/irrorazione con acqua o la conservazione in ambiente privo di ossigeno attraverso la copertura con teloni.
Il mantenimento del valore del legname tuttavia non è necessariamente garantito, poiché dipende fortemente dallo sviluppo del mercato ed è costantemente correlato a rischi e presenta costi diretti e indiretti elevati.

La filiera debole
In Veneto è alta la porzione di legname uscita dal territorio, principalmente in Austria ma anche in Cina.
La pressoché totale inesistenza di una filiera locale di trasformazione ha comportato l’esportazione del legname verso Paesi terzi, con un forte aggravio dei costi diretti e indiretti del trasporto e la mancata compensazione delle necessità nazionali di materia prima legno, con la concreta possibilità di dover riacquistare il nostro legname lavorato all’estero per le esigenze produttive locali.

Qualcosa si sta muovendo per la rinascita di una filiera forestale locale, con poche grandi segherie a livello regionale, ma si tratta di investimenti molto consistenti a fronte di incertezze sulla costanza di approvvigionamento della materia prima e con panorami di recessione che scoraggiano gli imprenditori.

Opportunità per i grossisti
Il prezzo è crollato, come era facile prevedere. La maggior parte del legname (a Bolzano) è stato acquistato da grossisti locali che lo conservano in depositi irrigati o da grossisti provenienti da oltre confine, come opportunità di investimento, che però non è priva di rischio.
Il prezzo basso ha reso appetibile l’acquisto, ma questo comporta un’immobilizzazione di notevoli capitali, nella maggior parte dei casi da prendere a prestito, e investimenti per realizzare depositi irrigati per lo stoccaggio qualitativo, che ha una massima durata di 3-4 anni.
La strategia è quella di rivendere il legname verso Paesi in grado di assorbire l’offerta, ad es. i Paesi asiatici, oppure stoccare la risorsa nella speranza che fra qualche anno il prezzo del legname si riprenda.
Sempre che non accada un altro evento simile in Europa centrale, mettendo in ginocchio l’impresa boschiva.

BOSTRICO E PARASSITI
L’annata trascorsa è stata fortunata dal punto di vista climatico: perché la neve invernale ha tardato ed è stato possibile esboscare quasi ininterrottamente anche nei mesi invernali, con poche eccezioni alle quote più elevate.
La neve caduta in tarda primavera ha invece influito sulle temperature, piuttosto rigide fino all’approcciarsi dell’estate, che unitamente ad un’estate piuttosto piovosa (in Alto Adige), hanno limitato il ciclo evolutivo del bostrico.
Allo stato attuale in provincia di Bolzano non si riscontra una proliferazione del coleottero. In Friuli e Veneto esistono situazioni localmente allarmanti, sviluppatesi verso fine estate, ma nell’insieme dipingono una condizione meno grave delle previsioni.

Minaccia scongiurata?
Non ancora, occorrerà attendere la prossima stagione calda per verificare se la rapidità di esbosco avrà avuto l’efficacia sperata nel contenere la proliferazione del parassita.

LA SICUREZZA DEL TERRITORIO
In Friuli sono stati attivati circa 600 cantieri per un ammontare di oltre 600 milioni per affrontare il problema di sicurezza.

In Veneto, quello che serve è una visione a livello di intero bacino idrografico: è stato importante e necessario ripristinare in fondovalle e le aste principali (priorità data dalla regione Veneto), ma ciò va collegato e integrato alle sistemazioni idraulico-forestali dei versanti e delle aste minori, anche con l’utilizzo di tecniche di intervento riconducibili alla “ingegneria naturalistica”, a basso impatto ambientale e di costo ridotto.
È innegabile che la tempesta Vaia abbia drammaticamente incrementato la fragilità di ampie porzioni di territorio, per cui c’è da aspettarsi che eventi meteorici non estremi attivino dissesti anche importanti, alimentati da materiale legnoso, sassi massi e terra, in situazione instabile a causa degli schianti: devono quindi essere rivalutate le situazioni di pericolo e di rischio idraulico, con pianificazione degli interventi secondo una scala di priorità a livello di bacino e scelte di pianificazione territoriale anche coraggiose.

In Alto Adige il primo intervento si è concentrato su due fronti: il coordinamento dell’esbosco con l’allocazione delle risorse forestali abbattute e la sistemazione e messa in sicurezza di infrastrutture e nuclei abitativi esposti. Fase questa che è tutt’ora in corso.
Al contempo è stata aumentata la capacità produttiva di tutti i vivai provinciali in previsione di rimboschire le zone maggiormente soggette a potenziale dissesto. Nella parte residua del territorio, la natura sarà lasciata al proprio corso, monitorando costantemente l’evoluzione dell’ecosistema.

IL MODELLO BOLZANO
Il caso modello è stata la Provincia di Bolzano, che ha realizzato un lavoro soddisfacente, perché le sinergie tra amministrazione pubblica, proprietari boschivi, professionisti e filiera foresta-legno hanno funzionato piuttosto bene a fronte dell’imprevista catastrofe.

Expertise specializzata
Ciò è avvenuto anche grazie anche alle capacità tecniche dei dipendenti provinciali (quasi tutti dottori forestali) che hanno rivelato una capacità professionale adeguata al caso poiché il coordinamento è fondamentale, per gestire una situazione così complessa.
Un caso del genere, infatti, impatta sull’agenzia per la protezione civile, sulla ripartizione foreste, sui distretti e ispettorati forestali, sull’ufficio pianificazione forestale, sull’ufficio economia montana, sul demanio forestale, sugli uffici dei bacini montani, sull’unione agricoltori e coltivatori diretti.
Ed è proprio nella gestione di eventi idrogeologici complessi che una figura polivalente come quella del dottore agronomo-forestale, con la propria preparazione multidisciplinare in materia di pianificazione e gestione del pericolo idrogeologico, di protezione civile e gestione forestale, unitamente alle competenze in materia di economia agricolo-forestale risulta indispensabile, come dimostra la riuscita dell’intervento coordinato post evento.

Collaborazione con i privati
La maggior parte dei proprietari boschivi coinvolti sono privati, il che ha comportato la necessità di coordinare un gran numero di soggetti, ma ha reso le procedure di intervento più snelle.
I proprietari sono stati direttamente coinvolti e in molti casi sono intervenuti in prima persona nell’esbosco.

7 PRIORITÀ PER IL 2020
L’Ordine dei dottori agronomi e forestali individua 7 priorità d’azione per il 2020.

  1. Azione non deve perdere di slancio, completando la rimozione del legname ancora al suolo.
  2. Diventa urgente il pronto intervento mirato al recupero della funzione protettiva del bosco, onde evitare rischi di valanghe o frane.
    Laddove il ripristino della funzione di protezione svolta dalla foresta diventa urgente e necessario, al fine di assicurare una rapida chiusura del manto forestale, intervenire con la piantumazione di specie arboree e arbustive autoctone, a supporto e integrazione delle opere di difesa attiva, che possono in questo caso avere anche carattere di provvisorietà.
    Nelle aree soggette a pericolo di fenomeni valanghivi si potrebbe in parte intervenire con opere in legname (rastrelliere, treppiedi, ecc.), utilizzando gli stessi tronchi distrutti dalla tempesta e attuando il rimboschimento artificiale tra le strutture realizzate. Questo tra l’altro evita di ricoprire completamente i versanti con impattanti e costose opere in acciaio e calcestruzzo.
  3. Per quanto concerne il ripristino della copertura forestale, il rimboschimento artificiale tramite piantagione o la semina trovano giustificazione solo in casi definiti e limitati, essendo da preferire la rinnovazione naturale, per motivi economici ma anche di sostenibilità complessiva. Il bosco dovrà essere lasciato per gran parte in libera evoluzione, così da creare un ecosistema più vario rispetto a quello dominato dall’abete rosso.
    Dove invece interverrà l’uomo, la scelta delle specie da utilizzare dovrà considerare la vegetazione potenziale, le condizioni stazionali attuali, la stabilità del nuovo bosco e i possibili futuri assetti climatici, probabilmente indirizzando la scelta su specie più adatte a sopportare un clima diverso da quello a cui siamo abituati.
  4. Il rischio bostrico dovrà essere costantemente monitorato, con un coordinamento comune per tutte le aree interessate (oltre i confini amministrativi di regioni e province), in collaborazione con l’Università di Padova.
  5. È necessario redigere un manuale con le procedure per contenere i danni in casi analoghi. Uno strumento che, in tempo zero, offra le indicazioni necessarie alla gestione della emergenza post tempesta: come agire, le misure – anche straordinarie – da adottare, le responsabilità e le competenze, dove reperire le risorse e quali sono le infrastrutture necessarie per la gestione di eventi catastrofici di questo tipo.
  6. È importante accompagnare le proposte tecniche con misure finanziarie, come prestiti a tassi d’interessi agevolati o a interesse zero per i proprietari dei boschi, anticipi (ad es. per i costi di taglio, allestimento ed esbosco del legname), il condono di tasse e imposte per le popolazioni delle aree colpite, lo stanziamento di risorse aggiuntive per la manutenzione di vie di comunicazione pubbliche molto sollecitate dal trasporto di legname.
  7. Il “modello Bolzano” ha dimostrato l’importanza di disporre di personale competente ai vari livelli (decisionali ed esecutivi), per far fronte in modo ottimale ai danni provocati da un grosso evento straordinario. È necessario che ci siano strutture organizzative appropriate, team motivati e procedure collaudate.

IL COINVOLGIMENTO SOCIALE
La tempesta Vaia ha creato un sentimento popolare di diffuso sgomento, che si è tradotto in azioni dal basso o comunque con risvolti di reciproca solidarietà.

  • Disciplinare “Filiera Solidale” di PEFC per le imprese che acquistano almeno il 50% del fabbisogno annuo di legname proveniente da schianti.
  • Le sezioni CAI si sono attivate con i propri soci per pulire i sentieri resi impraticabili dagli schianti
  • La vendita dei taglieri solidali, realizzati con legno schiantato, e del cui ricavato un euro sarà devoluto al sostegno di un progetto legato alla ricostituzione boschiva in funzione didattico-naturalistica
  • La racconta fondi del Touring Club per la ricostruzione dei Serrai di Sottoguda, nel territorio di Rocca Pietore (bandiera arancione Tci).
  • La raccolta fondi degli ultras del calcio per sostenere le popolazioni colpite da Vaia

Al di là dei risultati di queste azioni, è da sottolineare con positività il coinvolgimento di tutta la società, strettasi attorno alle popolazioni e ai territori colpiti.
Si tratta di un elemento da considerare come valore aggiunto e di identità quando sarà il momento di ripensare la pianificazione territoriale che desideriamo realizzare, evidenziando come gli aspetti coinvolti con il bosco sono sempre molti:

  • Economico, occupazionale e sostenibilità della filiera del legno
  • Ecologico e sanitario
  • Sicurezza territoriale
  • Filiera turistica e conservazione paesaggistica
  • Di identità territoriale e sociale
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