SDAF08 – ECOLOGIA E PEDOLOGIA – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Tue, 21 Mar 2023 15:17:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Crisi climatica, PNACC e ruolo dei dottori agronomi e dottori forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali //www.agronomoforestale.eu/index.php/crisi-climatica-pnacc-e-ruolo-dei-dottori-agronomi-e-dottori-forestali/#respond Fri, 03 Mar 2023 17:56:15 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68299 Di Renato Ferretti

La crisi climatica rappresenta la più grande sfida che l’umanità è costretta ad affrontare in questo secolo e che, per essere vinta, necessita di un netto cambio di passo nelle politiche di mitigazione e di adattamento entro il 2030.

La crisi idrica
Gran parte degli impatti dei cambiamenti climatici sono riconducibili a modifiche del ciclo idrologico e al conseguente aumento dei rischi che ne derivano. Se per esempio guardiamo al trentennio 1991-2020 in media in Italia, vediamo che gli eventi estremi aumentano mentre diminuiscono le precipitazioni.
In particolare, nel Italia del 2020, la precipitazione media totale annua è stata pari a 661 mm, corrispondente a una diminuzione di 132 mm rispetto alla media della decade presa in esame.
La crisi climatica non minaccia solo la disponibilità, ma anche la qualità dell’acqua. La questione si intreccia con la perdita di criosfera, l’insieme di neve, permafrost e ghiacciai.
Meno acqua, poi, porta con sé anche problemi energetici, basti pensare che la produzione idroelettrica dipende anche dall’abbondanza delle precipitazioni.

Addio ai ghiacciai alpini

Flora, fauna e foreste: la perdita dei servizi ecosistemici
Il nostro Paese si affaccia sul Mediterraneo, uno dei mari più sfruttati al mondo che, oltre a essere investito dal problema dell’innalzamento del livello delle acque, sta sperimentando temperature continuamente più elevate grazie a ondate di calore sempre più intense. Tutto ciò porta alla presenza e all’acclimatazione di nuove specie aliene invasive (in generale una delle principali minacce alla biodiversità), con serie conseguenze sul comparto della pesca.
Anche flora e fauna risentono del riscaldamento globale che ne altera ciclo di vita, e conseguentemente la quantità e qualità dei servizi ecosistemici offerti gratuitamente alla popolazione.
Un tema chiave è poi quello delle foreste, soprattutto in un Paese come il nostro che risulta occupato per circa un terzo dai boschi.
Da una maggiore probabilità di incendi al pericolo del “cambio d’uso del suolo”, fino alla disponibilità di acqua. La crisi climatica insieme alla cattiva gestione forestale rischia di mettere sotto pressione preziose funzioni forestali, come quella di protezione dagli eventi estremi.

Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici
Finalmente il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato il 28 dicembre la versione aggiornata del “PNACC”.
Si tratta di uno strumento strategico di particolare rilievo, dato che dovrà fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi climatici e migliorare la capacità di adattamento dei nostri sistemi naturali, sociali ed economici.

La struttura del PNACC è articolata in cinque sezioni:

  • il quadro giuridico di riferimento;
  • il quadro climatico nazionale;
  • impatti dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali;
  • misure e azioni di adattamento;
  • governance dell’adattamento.

Uno degli scopi principali del Piano è, come detto, evitare gli effetti socio-economici negativi derivanti dagli impatti climatici.
Secondo uno studio del 2014 della Commissione europea, nel caso non venissero implementate misure di adattamento, potremmo perdere addirittura 410mila posti di lavoro entro il 2050 in Europa.
Il documento prosegue poi con una distinzione sul tipo di impatti che si dividono tra quelli causati dagli eventi climatici estremi, come per esempio le alluvioni, le frane e i cicloni tropicali, e quelli “a lenta insorgenza”, come l’aumento della temperatura terrestre, l’innalzamento del livello dei mari e della temperatura delle acque e la riduzione delle risorse idriche disponibili.
La grande novità del PNACC risiede proprio nella sua pubblicazione che consente, così, l‘avvio di un iter atteso da troppo tempo.

Prossimi passi
Il documento sarà ora sottoposto a consultazione pubblica, prevista dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas).
Dopo l’approvazione definitiva, con decreto del ministro, si procederà poi all’insediamento dell’Osservatorio nazionale che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano.
Occorre seguire con attenzione le prossime fasi della valutazione perché come abbiamo sottolineato anche al congresso di Firenze è improcrastinabile e urgente intraprendere azioni di contrasto alla crisi climatica, sia per proteggere il benessere di cittadine e cittadini, sia per salvaguardare i nostri ecosistemi e la nostra agricoltura.
I dottori agronomi ed i dottori forestali sono i professionisti che più di altri hanno le competenze per poter intervenire a livello di programmazione. Pianificazione e progettazione degli interventi. È pertanto necessario essere presenti in tutte le occasioni per far sentire la nostra voce e soprattutto evidenziare la nostra competenza professionale in materia.

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Gli alberi ed il contesto urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=gli-alberi-ed-il-contesto-urbano //www.agronomoforestale.eu/index.php/gli-alberi-ed-il-contesto-urbano/#respond Fri, 18 Nov 2022 17:32:59 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68246 Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF

Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.

Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.

L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:

  • nell’apparato radicale ridotto a causa dei lavori effettuati per opere infrastrutturali successive;
  • nelle errate potature che producono chiome disequilibrate, accentuano l’effetto vela ed indeboliscono l’apparato radicale;
  • nell’ineluttabile ciclo di vita che, come per ogni essere vivente, si conclude con la morte che può essere più o meno immediata. Lo stroncamento di rami o addirittura del fusto è come un infarto per un uomo.

La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.

Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.

Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.

Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.

Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.

Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).

Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.

 

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Vegetazione riparia e corsi d’acqua vegetati: un mondo da scoprire tra ecologia ed idraulica //www.agronomoforestale.eu/index.php/vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica //www.agronomoforestale.eu/index.php/vegetazione-riparia-e-corsi-dacqua-vegetati-un-mondo-da-scoprire-tra-ecologia-ed-idraulica/#respond Mon, 15 Mar 2021 14:43:43 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68055 di Giuseppe Francesco Cesare Lama, vincitore del premio Stanca 2021
PhD in Agricultural Hydraulics and Watershed Protection, Sezione di Ingegneria Agraria, Forestale e dei Biosistemi – IAFB, Dipartimento di Agraria, Università degli Studi di Napoli Federico II

Le attuali sfide agro-ambientali legate ai cambiamenti climatici stanno mettendo in luce la crescente necessità di tutelare le risorse idriche in maniera sempre più decisa, soprattutto in zone sensibili del territorio italiano. In particolare, cruciale è il ruolo svolto dai corpi idrici vegetati, in cui convivono ecosistemi acquatici e terrestri, per i quali risulta estremamente utile riuscire a definirne il comportamento sia dal punto di vista ambientale che idrodinamico.
In questo studio vedremo come è possibile trasferire le più innovative tecniche di misura delle caratteristiche ecoidrauliche dal laboratorio a corpi idrici vegetati reali colonizzati da specie riparie allo stato naturale.

Ruolo della vegetazione riparia in ecoidraulica
La scienza che si occupa di analizzare il complesso meccanismo di interazione tra vegetazione riparia e corpo idrico vegetato è definita ecoidraulica, una disciplina che si fonda sui principi dell’ecologia e dell’idraulica fluviale.
Questa definizione include al suo interno alter importati discipline, quali la biologia acquatica, la fluidodinamica, la geomorfologia e l’idrologia.

La vegetazione riparia può presentarsi essenzialmente sotto tre forme, in funzione del rapporto tra l’altezza media delle piante ed il livello idrico all’interno del corso d’acqua.

  1. Quando le piante sono più alte del livello idrico, la vegetazione è detta “emergente”;
  2. se la vegetazione si sviluppa al livello del pelo libero, essa è detta “flottante”;
  3. quando le piante sono più basse del livello idrico, la vegetazione riparia è detta “sommersa”.
Le 3 forme della vegetazione riparia. ©Giuseppe Francesco Cesare Lama

Dal punto di vista della risposta alle condizioni di deflusso, i fusti possono definirsi flessibili o rigidi a seconda se si flettano o meno al passaggio della corrente idrica. Tipicamente, piante giovani si comportano come flessibili, mentre piante mature assumono un comportamento rigido.

Nella gestione della vegetazione riparia in corsi d’acqua vegetati, il classico approccio adoperato dagli enti gestori è stato sempre rivolto alla totale rimozione della stessa lungo l’intero perimetro delle sezioni idriche dei canali.
Questo comporta di sicuro un’elevata capacità di convogliamento per l’intero corpo idrico comportando, di contro, un forte impatto ambientale ed ecologico, basti pensare alle specie acquatiche e terrestri che si sviluppano al loro interno.
È altresì vero che la crescita incontrollata della vegetazione riparia nei canali vegetati da un lato garantisce la totale naturalità dello stesso, giocando a favore dei servizi ecosistemici, ma a spese di una bassissima capacità di deflusso, esponendo il territorio circostante a forti rischi di allagamento.

In questo contesto, è di fondamentale importanza riuscire a definire degli scenari di intervento intermedi, che possano garantire un soddisfacente equilibrio tra le necessità di protezione idraulica del territorio, sia esso agricolo che urbanizzato, e la tutela degli ecosistemi aquatici e terrestri che vivono e popolano il corpo idrico, contribuendo ad accrescerne il valore naturalistico.

L’idrodinamica dei corpi idrici vegetati
In questo studio sono stati presi in considerazione, per la prima volta nella letteratura scientifica, le tecniche e le metodologie di laboratorio utilizzate caratterizzazione dell’interazione idrodinamica tra corrente idrica e vegetazione riparia, all’interno di canali di bonifica reali caratterizzati da presenza massiva di vegetazione riparia. L’attenzione è stata riposta sulla Cannuccia di palude (Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud.), in condizioni di senescenza, avente cioè comportamento rigido. Estremamente diffusa in aree umide e aree depresse dell’intero pianeta, la Cannuccia di palude si sviluppa naturalmente secondo degli stands definiti canneti.

Nello specifico, sono stati condotti degli esperimenti a scala di campo in un canale di bonifica situato all’interno di una rete di bonifica gestita dal consorzio di bonifica 1 Toscana Nord, inserito all’interno del territorio posto sotto la tutela dell’Ente Parco Regionale di Migliarino S. Rossore Massaciuccoli.

Gli esperimenti sono stati volti alla caratterizzazione idrodinamica e vegetazionale del corpo idrico in esame, secondo tre diversi scenari di vegetazione riparia: una condizione di canneti in stato indisturbato, un taglio centrale dei canneti con due corridoi laterali di circa 1 m di vegetazione indisturbato sulle due sponde, e uno scenario di taglio totale dei canneti.

Un confronto tra 3 tipologie di taglio della vegetazione riparia: indisturbata, con taglio centrale e con taglio totale
Un confronto tra 3 tipologie di taglio. ©Giuseppe Francesco Cesare Lama

Il comportamento idrodinamico del corpo idrico in termini di distribuzioni trasversali di velocità media di corrente e principali caratteristiche turbolente è stato analizzato nei tre diversi scenari, nella sezione idrica di monte del corpo idrico attraverso misure del campo 3D di velocità istantanee, effettuate con uno strumento estremamente preciso quale l’acoustic Doppler velocimeter (ADV) in un grigliato composto da tre punti di misura posti a differente altezza lungo cinque verticali, per un totale di 15 punti di misura.

Lo strumento permette di caratterizzare l’intero campo di moto, in modo da poter accoppiare le misure idrodinamiche a misure di caratterizzazione dimensionale dei canneti nella stessa sezione del canale strumentata con l’ADV. All’interno del canale sono stati misurati, nello specifico, il diametro, l’altezza media, e la densità areale delle piante, quest’ultima definita come numero di canne per metro quadro di area di fondo del canale stesso. Per la prima volta a scala reale sono stati anche messi appunto dei modelli di previsione del comportamento idrodinamico dei canali vegetati, basati sul reperimento dei parametri appena menzionati.

Risultati salienti

In particolare, è stato possibile constatare che, nel caso dello scenario di taglio centrale della vegetazione, la capacità di deflusso legata alla distribuzione trasversale di velocità media di portata risulta comparabile, se non strettamente maggiore, della capacità di deflusso riscontrata nel caso di taglio totale e, come era lecito aspettarsi, molto maggiore che nel caso di vegetazione indisturbata. Dalla misura di livello idrico a parità di portata volumetrica circolante nel canale, si evince addirittura un livello idrico minore rispetto al caso do taglio totale, il che comporta anche un maggiore margine di sicurezza in ambito di protezione idraulica dei territori circostanti.

Inoltre, dall’analisi del campo di Energia Cinetica Turbolenta (k) ha messo in evidenza che l’agitazione turbolenta, seppure mantenendosi leggermente minore di quella che si ha nello scenario di taglio totale della vegetazione, lo scenario di taglio centrale dei canneti, consente un’agitazione in 3D molto soddisfacente, quasi dieci volte maggiore di quella relativa al caso di canneto in condizioni indisturbate.

È quindi possibile affermare che la proposta di scenario di gestione della vegetazione ripariale operata attraverso il taglio centrale dei canneti, oltre a fornire una fascia di rispetto di 1 m su ciascuna sponda atta a salvaguardare la qualità ambientale del corpo idrico, riesce a garantire un buon livello di agitazione ed ossigenazione dello stesso, uniti a una riduzione del rischio di allagamento rispetto al caso di canneti in condizioni indisturbate, risultati raggiungibili, cosa da non sottovalutare, attraverso costi di gestione e di forza lavoro minori rispetto al taglio totale dell’intero complesso di canneti all’interno del canale di bonifica.


BIBLIOGRAFIA
Errico, A., Lama, G.F.C., Francalanci, S., Chirico, G.B., Solari L., Preti F. 2019. Flow dynamics and turbulence patterns in a drainage channel colonized by Phragmites australis (common reed) under different scenarios of vegetation management. Ecological Engineering, 133, pp. 39-52.
https://doi:10.1016/j.ecoleng.2019.04.016.

Lama, G.F.C., Chirico, G.B. 2020. Effects of reed beds management on the hydrodynamic behaviour of vegetated open channels. 2020 IEEE International Workshop on Metrology for Agriculture and Forestry (MetroAgriFor), Trento, pp. 149-154.
doi: 10.1109/MetroAgriFor50201.2020.9277622.

Lama, G.F.C., Errico, A., Francalanci, S., Solari, L., Preti, F., Chirico, G.B. 2020. Evaluation of flow resistance models based on field experiments in a partly vegetated reclamation channel. Geosciences, 10(2), 47.
https://doi.org/10.3390/geosciences10020047.

Västilä, K., Järvelä, J. 2014. Modeling the flow resistance of woody vegetation using physically based properties of the foliage and stem. Water Resources Research, 4, 50, pp. 229-245.
https://doi.org/10.1002/2013WR13819.

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I servizi ecosistemici del suolo: quale futuro? //www.agronomoforestale.eu/index.php/i-servizi-ecosistemici-del-suolo-quale-futuro/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=i-servizi-ecosistemici-del-suolo-quale-futuro //www.agronomoforestale.eu/index.php/i-servizi-ecosistemici-del-suolo-quale-futuro/#respond Thu, 11 Feb 2021 16:37:35 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68004 Il suolo rappresenta una risorsa primaria per la nostra sopravvivenza, ma troppo spesso non ne vengono considerate la vocazionalità, la vulnerabilità, la fertilità naturale ed il deterioramento per cause naturali o antropiche.

La FAO evidenzia come il suolo contenga tre volte più carbonio dell’atmosfera e possa aiutarci a fare fronte alla sfida del cambiamento climatico, ricordando che il 95% del nostro cibo proviene dal suolo e che il 33% del suolo globale è già degradato.
È urgente riflettere sulla necessità di tutelare tale risorsa per mitigare l’insicurezza dal punto di vista alimentare e nutrizionale di miliardi di esseri umani nei prossimi decenni, per proteggere l’ambiente dai cambiamenti climatici e per conservare biodiversità e paesaggio.

Il CONAF, con il Segretario #MauroUniformi, ha partecipato alla giornata organizzata dall’Accademia Nazionale di Agricoltura ed il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna per celebrare la giornata mondiale del suolo.

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Il CONAF e FlorMart Green City Report //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-conaf-e-flormart-green-city-report/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-conaf-e-flormart-green-city-report //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-conaf-e-flormart-green-city-report/#respond Tue, 01 Sep 2020 14:03:31 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67868 Di Renato Ferretti

Il FlorMart Green City Report vuole offrire una visione sul verde urbano e sui suoi utilizzi raccogliendo il punto di vista degli addetti al settore: produttori, progettisti, agronomi, amministratori e accademici.
Alla rilevazione ha dato il proprio contributo anche il CONAF, per conoscere il settore e seguirne l’evoluzione e anche per definire giuste azioni politiche a supporto dell’intera filiera.

Foto di Random Sky

La prima rilevazione (giugno 2020), a cura di GRS Research & Strategy, ha visto la partecipazione di 157 rispondenti.
Fra le tendenze per il futuro del verde urbano si notano quella del verde estensivo, assieme a giardini e parchi ricreativi e orti e giardini comunitari.
In generale, la direzione che sembra emergere è quella verso un utilizzo sociale del verde, che tende a prevalere rispetto ad altri orientamenti con finalità artistiche o scientifiche, nonché la funzione ecologica nel combattere nelle aree urbane.

Le previsioni più rosee in termini di mercato sono quelle che riguardano la “materia prima” e i suoi utilizzi: le piante e la progettazione e manutenzione del verde.
I settori che riguardano macchine e arredo ludico/sportivo sono invece viste in maggior affanno, sebbene l’outlook non sia affatto negativo, ma per lo più stabile.
A fronte di un impatto della pandemia molto sentito dal settore, si registrano buone valutazioni in merito alla reazione del comparto.

Al di là della prevedibile richiesta di supporto da parte delle istituzioni, al settore serve innanzitutto maggior cooperazione fra le aziende: saper fare squadra e saper comunicare a un pubblico ancora scosso dall’epidemia sono – a detta dei rispondenti – i due temi chiave per la ripresa.
In questo quadro è evidente che i professionisti, e in particolare i dottori agronomi ed i dottori forestali, possono e devono esercitare un ruolo centrale nella consulenza e nella progettazione.

Prossimi appuntamenti
Una nuova occasione d’incontro sarà il 1° dicembre con il FlorMart City Forum quale tappa di avvicinamento al Flormart del settembre 2021

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La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-belleza-di-studiare-scienza-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/#respond Thu, 14 May 2020 10:31:54 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67741 La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali racchiusa in un video del Dipartimento Agraria – Università Mediterranea Reggio di Calabria
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La nostra professione è quella che studia
👉la tutela e salvaguardia del territorio,
👉le cause e gli effetti della deforestazione,
👉immagina e pianifica il paesaggio rurale,
👉 valuta gli effetti dei cambiamenti climatici, come riuscire ad adattarsi e come contrastarli,
👉trova un equilibrio tra i diversi impieghi delle foreste.

È fondamentale conoscere come funziona una foresta nel suo insieme e come funzionano gli alberi. Così com’è decisivo imparare a trovare un equilibrio sostenibile rivolto alla sopravvivenza e al futuro dell’umanità.
#agrofor2030

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Il problema delle piante esotiche invasive e un’app per monitorare la loro presenza //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-problema-delle-piante-esotiche-invasive-e-unapp-per-monitorare-la-loro-presenza/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-problema-delle-piante-esotiche-invasive-e-unapp-per-monitorare-la-loro-presenza //www.agronomoforestale.eu/index.php/il-problema-delle-piante-esotiche-invasive-e-unapp-per-monitorare-la-loro-presenza/#respond Tue, 25 Feb 2020 10:11:47 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67525 Le piante esotiche invasive sono specie che crescono in un luogo diverso dalla loro area di origine naturale, trasportate volontariamente o accidentalmente dall’uomo. Quando una specie esotica arriva in un nuovo territorio, nella maggior parte dei casi non trova le condizioni ambientali per crescere e daà origine a nuovi individui; talvolta riesce a sopravvivere e a moltiplicarsi nel nuovo ambiente, senza però crearvi alcun danno. Diventa invece una specie considerata “invasiva” quando s’insedia nel nuovo territorio, si diffonde velocemente e altera gli equilibri locali fino a provocare gravi impatti agli ecosistemi, alla salute umana o alle attività economiche.

Cosa si sta facendo
A livello europeo la problematica è conosciuta da tempo e si stima che, di circa 12.000 specie esotiche presenti – animali e vegetali – il 10-15% sia invasivo. Poiché le specie non conoscono frontiere, è stato necessario agire a livello unionale assicurando uniformità giuridica, coordinando gli interventi e spingendo gli Stati membri ad adottare misure tempestive a tutela delle aree ancora indenni. Per questo motivo, dal 1° gennaio 2015, nei paesi dell’Unione Europea, è in vigore il Regolamento 1143/2014 diretto a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive. Allegate al Regolamento sono state pubblicate tre liste di specie esotiche invasive di rilevanza unionale che, complessivamente, comprendono 66 specie, di cui circa la metà vegetali.
A livello nazionale, il Regolamento UE è stato recepito con il D. Lgs. n. 230/2017; in particolare l’art. 6 vieta l’introduzione deliberata o per negligenza nell’UE, la riproduzione, la coltivazione, il trasporto, l’acquisto, la vendita, l’uso, lo scambio, la detenzione e il rilascio di specie esotiche invasive di rilevanza unionale.

L’applicazione AlienAlp permette di segnalare la presenza di alcune specie esotiche invasive
(foto: Archivio IAR)

Queste specie possono causare danni all’attività agricola, alle strutture e alle infrastrutture, possono mettere a rischio la salute animale e umana e, diffondendosi aggressivamente in aree naturali, esercitano una forte concorrenza nei confronti della flora locale e riducono la biodiversità. La diffusione delle specie esotiche invasive è strettamente connessa alle attività antropiche ma, salvo rari casi, sia la responsabilità dei singoli sia i problemi causati da queste piante sono poco noti al grande pubblico.
AlienAlp: un’app per la segnalazione di piante esotiche invasive
Per ampliare la conoscenza e coinvolgere direttamente la popolazione nel controllo di queste specie, l’Institut Agricole Régional di Aosta ha ideato l’app AlienAlp, che è stata realizzata da IN.VA. S.p.A., nell’ambito del progetto RestHAlp, finanziato dal Programma europeo di cooperazione transfrontaliera Interreg ALCOTRA 2014-2020.
Si tratta di uno strumento di citizen science, in cui si chiede la collaborazione dei comuni cittadini nella raccolta di dati scientifici poiché il controllo della presenza delle specie esotiche invasive tramite censimenti è un’attività lunga, onerosa e che deve essere ripetuta nel tempo: l’app consente di aggiornare le banche dati sulle specie invasive, con un minimo costo e con continuità.

Le segnalazioni che pervengono tramite l’app sono molto utili per monitorare costantemente la presenza delle specie e per programmare, se necessario, interventi mirati di estirpazione o contenimento. Allo stesso tempo, AlienAlp è uno strumento alla portata di tutti che permette la sensibilizzazione e il coinvolgimento attivo della popolazione nella problematica della specie esotiche invasive.
Segnalare le specie esotiche con AlienAlp è molto semplice: dopo aver scaricato gratuitamente l’app da Google Play Store o da Apple App Store, è sufficiente registrarsi, selezionare la pianta da segnalare, scattarle una foto e inviare la segnalazione che, grazie al GPS dello smartphone, fornirà anche i dati di localizzazione della pianta. Per rendere l’app più accessibile, sono state inserite anche delle pagine per l’identificazione delle specie. Dopo la validazione da parte di esperti, le segnalazioni effettuate tramite AlienAlp, in funzione della loro provenienza, sono registrate nelle banche dati floristiche del Piemonte, della Valle d’Aosta o delle Alpi francesi (sedi degli Enti/Istituti/Centri di ricerca beneficiari dell’Interreg RestHAlp).
La lista delle specie monitorate è in fase di ampliamento; al momento comprende: Ailanto, Albero delle farfalle, Ambrosia con foglie di artemisia, Panace di Mantegazza, Poligono di Boemia e Senecio sudafricano.


Ailanto (Ailanthus altissima)

Ailanto (foto: Maurizio Broglio)

Pianta arborea originaria dell’Asia orientale, introdotta nel ‘700 nei giardini botanici dell’Italia settentrionale, si è poi rapidamente diffusa in tutta la penisola. È specie di rilevanza unionale. Il suo habitat d’elezione sono i margini di boschi di pianura e di collina, ma colonizza anche prati, incolti, pendii rocciosi, aree ruderali e antropizzate.
La diffusione dell’ailanto riduce la biodiversità a causa del forte ombreggiamento e del rilascio nel suolo di sostanze allelopatiche che inibiscono lo sviluppo di altre piante. La corteccia, le foglie e le radici, inoltre, possono provocare serie irritazioni cutanee, mentre l’apparato radicale può causare gravi danni alle infrastrutture.

Albero delle farfalle (foto: Archivio IAR)

Albero delle farfalle (Buddleja davidii)

Pianta originaria dell’Asia orientale, introdotta in Europa a scopo ornamentale alla fine del 1800, si è diffusa in natura a partire dagli inizi del XX secolo.
Spesso venduta come pianta decorativa e coltivata nei giardini, la Buddleja colonizza terreni nudi, muri a secco e ambienti ruderali. Ha accrescimento rapido, resiste all’inquinamento atmosferico e alle forti escursioni termiche. Formando densi popolamenti, soppianta la vegetazione autoctona e diminuisce la biodiversità mentre le radici, profonde ed estese, danneggiano marciapiedi, muri e aree archeologiche.


Ambrosia con foglie di artemisia (Ambrosia artemisiifolia)

Ambrosia con foglie di artemisia (foto: Archivio IAR)

Introdotta accidentalmente insieme a sementi e mangimi provenienti dall’America settentrionale, si è diffusa in tutta Italia e in molti Stati europei. Frequente in ambienti ruderali, colonizza anche le aree fluviali.
Questa specie può causare danni sia all’agricoltura, essendo un’infestante di colture primaverili-estive, sia alla salute umana, poiché il suo polline – che il vento trasporta anche a 40 km dalla pianta che l’ha prodotto – può provocare serie manifestazioni allergiche: riniti, congiuntiviti e asma.

Panace di Mantegazza (foto: Archivio IAR)


Panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum)

Il Panace di Mantegazza, specie di rilevanza unionale, è un’ombrellifera originaria del Caucaso, introdotta in Europa nel XIX secolo a scopo ornamentale, che si è diffusa progressivamente in ambienti disturbati e semi-naturali, quali incolti, scarpate stradali e sponde di torrenti.
La sua pericolosità è data dalla linfa, che contiene molecole fototossiche molto irritanti, in grado di provocare gravi lesioni cutanee, soprattutto dopo l’esposizione al sole.


Poligono di Boemia (Reynoutria bohemica)

Poligono di Boemia (foto: Federica Pozzi)

Il Poligono di Boemia è una pianta erbacea originaria dell’Asia orientale, introdotta in Europa come pianta ornamentale nel XIX secolo e diffusasi molto rapidamente lungo corsi d’acqua, bordi di strade e di ferrovie. Si moltiplica attivamente per via vegetativa ed è capace di originare nuove piante anche da piccoli frammenti sia del fusto sia delle radici, riunite in una fitta rete sotterranea.
Il Poligono di Boemia costituisce una seria minaccia per l’ambiente, poiché forma popolamenti molto densi, che impediscono alla flora locale di svilupparsi: in autunno/inverno, alla morte delle parti aeree, lascia vaste zone di terreno nudo, predisponendolo a fenomeni erosivi anche di seria entità. Le radici, inoltre, sono in grado di provocare spaccature nelle pavimentazioni e nei muri, causando gravi danni alle infrastrutture. La pianta tende inoltre a invadere prati e pascoli, sottraendo spazio alle specie foraggere e riducendo la biodiversità.

Senecio sudafricano (foto: Federica Pozzi)


Senecio sudafricano (Senecio inaequidens)

Pianta di origine sudafricana introdotta accidentalmente in Europa, si è rapidamente diffusa nel corso del XX secolo. Colonizza inizialmente incolti sassosi, greti e canali, muretti a secco, massicciate ferroviarie e scarpate stradali, da cui tende a invadere i prati e i pascoli.
I suoi tessuti possono contenere elevate concentrazioni di alcaloidi pirrolizidinici, tossine dannose per la salute dell’uomo e del bestiame. Anche se i bovini al pascolo scartano il senecio sudafricano, il fieno dei prati infestati è tossico e le tossine possono contaminare i prodotti animali, come il latte e la carne.

Per maggiori informazioni:
Unione Europea: https://ec.europa.eu/environment/nature/invasivealien/index_en.htm
Ministero dell’Ambiente: https://www.minambiente.it/pagina/specie-esotiche-invasive
ISPRA: https://www.specieinvasive.it/index.php/it/

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DIGIT – HOP: un progetto per la luppolicoltura di precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/digit-hop-un-progetto-per-la-luppolicoltura-di-precisione/#respond Wed, 29 Jan 2020 14:47:28 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67468 Questo articolo racconta il progetto vincitore del 1° premio 2020 “Dottore agronomo e dottore forestale, progettista del cibo sostenibile”.

1° PREMIO
Nome vincitore: Ruralset STP
Titolo: “Luppolo digitale

Descrizione progetto: L’impiego di fotocamere offre un aiuto per valutare il grado di maturazione, eventuali sofferenze e le esigenze nutrizionali delle piante.
Motivazione: per avere combinato innovazione e originalità dell’idea, coinvolgendo una rete di professionisti

 

Coltura di nicchia, esplosione del consumo della birra artigianale italiana, alcune fasi critiche della coltivazione e della lavorazione, l’opportunità di avere belle relazioni con studiosi e territori. Sono stati questi gli ingredienti alla base di un progetto di ricerca e sviluppo che ha come focus il luppolo e la digitalizzazione di questa coltura.

Qualche cenno sul luppolo
Il luppolo (Humulus lupulus L.) è una cannabacea, quindi della stessa famiglia della canapa, è erbacea (curiosamente visto che raggiunge una altezza di diversi metri!), perenne e con una foglia assai particolare perché la pagina superiore della lamina è ruvida al tatto, mentre quella inferiore è resinosa.

© Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste
foto: Andrea Moro

La specie è dioica, ossia presenta fiori unisessuati maschili e femminili portati su piante diverse.
Siccome nell’attività brassicola sono utilizzate solamente le infiorescenze degli individui di sesso femminile non impollinate, devono essere escluse dall’areale di coltivazione le piante di sesso maschile: il loro polline, infatti, porterebbe a uno scadimento qualitativo del raccolto.
Alla base delle infiorescenze, botanicamente note come strobili e chiamate anche “coni”, sono presenti delle ghiandole resinose secernenti una sostanza giallastra nota come luppolina, che conferisce il caratteristico sapore amaro alla birra. La luppolina è costituita da α-acidi (principalmente composti da umulone, coumulone e adumulone) e dai composti che hanno maggior potere amaricante, β-acidi (principalmente composti da lupulone, colupulone e adlupulone), da polifenoli (es. flobafeni, xantumolo) e da numerosi oli essenziali, principalmente myrcene e humulene. L’humulene, in particolare, è la sostanza più ricercata grazie alla sua capacità di mantenere inalterate le caratteristiche aromatiche della birra nel corso della sua shelf-life.
Il mastro birraio, per amaricare, aromatizzare la birra e per conferirle il gusto e il sapore che le sono propri, usa una quantità molto piccola, poche centinaia di grammi per ettolitro di birra, ma la forza aromatizzante di questa sostanza è sufficiente a caratterizzare le diverse tipologie di birra luppolate nei vari modi.

Un settore con potenzialità
Nel mondo, la superficie attualmente coltivata a luppolo si aggira intorno ai 50.000 ha, principalmente collocati in Germania e Stati Uniti, con produzioni medie cumulate che si aggirano attorno alle 30.000 tonnellate annue di coni di luppolo secco, corrispondenti ai circa 2/3 della produzione mondiale. Altri importanti Paesi produttori sono Cina (15.000 t/anno), Repubblica Ceca (9.000 t/anno), Slovenia (2.200 t/anno) e Regno Unito (1.900 t/anno).
Nel tempo si sono differenziate zone tipicamente vocate alla coltivazione del luppolo all’interno dei Paesi precedentemente elencati, fra cui ad esempio l’areale del Saaz (Žatec) in Rep. Ceca, l’Eger e il Hallertau in Germania, le valli Yakima e Willamette e a ovest del Canyon County, nell’Idaho U.S.A, mentre nel Regno Unito la produzione è concentrata nel Kent.

Mappa dei luppoleti italiani con superficie pari o uguale 1000 m2, aggiornata a maggio 2018. Attualmente sono censiti 84 luppoleti commerciali. La superficie nazionale media coltivata a luppolo è pari a 4860 m2 (fonte: Crea). In totale in un recente convegno i tecnici del CREA hanno comunicato una superficie complessiva di poco meno di sessanta ettari coltivati in Italia.

Il valore del mercato mondiale annuo del luppolo si aggira attorno ai 700 milioni di dollari, di cui 500 milioni riconducili alla produzione agricola e 200 milioni alle aziende di trasformazione e commercializzazione.
In Italia la coltivazione è tutt’ora allo stadio pionieristico sia per la scarsa diffusione della birra artigianale sino a pochi anni fa, che per le modeste quantità di luppolo che occorrono, sia – e forse soprattutto – per una scarsa cultura luppolicola nel nostro Paese. Anche i dati CREA confermano che i pochi impianti produttivi hanno carattere spesso hobbistico o sperimentale e, se si eccettuano pochissimi impianti, le superfici unitarie sono molto piccole (poche migliaia di metri quadrati).

Può avere un futuro questa coltura?
Il fabbisogno di luppolo per uno sviluppo futuro di una filiera è stato stimato in una superficie di coltivazione tra i 200 ed i 300 ettari. Gli areali di ubicazione potrebbero essere moltissimi dalla pianura, alla prima collina.
Inoltre, potrebbe essere una coltura che, ancorché restando una nicchia, potrebbe avviare alcune piccole filiere virtuose legate al territorio, valorizzando gli altri usi del luppolo, come quello alimentare, e connettendoli alla produzione artigianale di birra con la creazione di nuove cultivar, riducendo sempre più il ricorso alla importazione o anche alla coltivazione in Italia di cultivar non autoctone. In questo senso è interessante e sfidante il lavoro che il Comune di Marano sul Panaro, sulla prima collina modenese, fa da anni con studi, ricerche e un convegno annuale che è oramai diventato un appuntamento irrinunciabile per tutti gli appassionati e cultori della luppolicoltura.

DIGIT-HOP
È in un contesto di novità, interesse, potenzialità e contaminazione di attività che è nato il progetto del “DIGIT-HOP”, che RURALSET ha avviato nel 2019.

Coni di luppolo
Foto: CREA

Sono state studiate le fasi di coltivazione della pianta e si è cercato di capire quali fossero i momenti topici e gli snodi critici dove potesse essere necessario digitalizzare il processo con dei sensori, al fine di fornire un sistema di supporto alle decisioni che aiutasse l’agricoltore a compiere le scelte giuste nel momento giusto.
Questo studio ha confermato che è possibile aiutare il luppolicoltore in due momenti: la raccolta dei coni al giusto gradi di maturazione e durante il processo di essiccazione, per determinarne la gestione accurata.
Ancor’oggi, infatti, la maturazione del luppolo e il corretto tempo di raccolta sono determinati in maniera empirica, affidandosi all’esperienza e alla competenza dell’agricoltore: vi è un momento nel quale, grazie al tatto e alla vista, si decide per la raccolta sperando che sia il momento di massima presenza nei coni di sostanze amaricanti e aromatizzanti, prima che giunga il loro naturale declino.

La fase di avvio del progetto
La ricerca iniziale ha previsto l’installazione in campo di una serie di fotocamere e la rilevazione di migliaia di immagini di coni in maturazione, per realizzare una gigantesca banca dati fotografica. Parallelamente, con periodicità, si è iniziato a compiere delle analisi chimiche su campioni di coni in modo da determinare la presenza di sostanze amaricanti.
Correlando immagini e analisi la presenza di alfa e beta acidi è stata messa in relazione con colore, forma e dimensione dei coni, per potere indicare con precisione il momento perfetto della raccolta.
Grazie a una stazione meteo, infine, sono stati raccolti di dati di temperatura, umidità dell’aria, pioggia, vento, indice di bagnatura della lamina fogliare, indice di efficienza fotosintetica, con i quali si è determinata la situazione ambientale presente in campo.
Successivamente, con tutte le immagini raccolte è stato possibile iniziare ad “allenare” un sistema intelligente di riconoscimento, per individuare con grande precisione tutti i coni presenti in una fotografia e mapparne le caratteristiche morfologiche principali.
I primi risultati del progetto sono incoraggianti, anche se occorre essere molto scrupolosi nella esecuzione di molte decine di analisi in parallelo allo scatto delle foto per costruire una relazione tra immagine e caratterizzazione chimica dei coni.
I prossimi passi si concentreranno sullo sviluppo del sistema di machine learning e sull’allenamento degli algoritmi, con il ragionevole obiettivo di attendibilità che possa superare il 90%.

Il processo di essiccamento
Conclusa la fase in campo, il lavoro si è concentrato sul governo del processo di essiccamento, per offrire una soluzione che permetta di gestirlo in maniera digitale.

Essicazione del luppolo
Foto: CREA

Il luppolo, infatti, viene raccolto in uno stadio caratterizzato da un’umidità relativa di circa l’80% e deve essere essiccato, in breve tempo, fino all’8%, per poi essere reidratato in area ambiente fino al 12% circa.
Il primo passaggio è fondamentale per garantire l’arresto dei processi di fermentazione e per preservare le caratteristiche organiche e organolettiche. Il secondo è strumentale a ottenere un prodotto meccanicamente più resistente e più adatto alla successiva compressione e/o pellettizzazione.
Non esistono oggi impianti di essicazione specializzati per il luppolo e, in generale. questo processo è ancora molto artigianale, fondato sulle abilità empiriche e sull’esperienza dell’imprenditore agricolo.

Essicazione del luppolo
Foto: CREA

Per sopperire a questa aleatorietà, il progetto è proseguito in essiccatoio, collocando all’interno della massa di coni un set di sensori di temperatura e di umidità per determinare il migliore momento di stop alla fase di essiccamento e il ciclo di calore più idoneo da erogare alla produzione.
Dai primi dati raccolti si è evidenziato che sarà necessario sviluppare un sistema di sensori in grado di monitorare con grande precisione l’umidità relativa dei coni, e dei modelli predittivi di grande precisione per la gestione delle condizioni e delle tempistiche di essiccazione e successiva reidratazione.

Dove vorremmo andare?
Questo progetto mira a collegare le diverse fasi del processo di coltivazione e di lavorazione dei coni e a diventare uno strumento semplice, scalabile, low-cost, direttamente impiegabile dal tecnico del luppolicoltore e gestibile da remoto. È il grande processo di digitalizzazione dell’agricoltura, che sta compiendo i primi passi concreti e che tanto deve ancora produrre.
Una volta concluso (occorrono ancora almeno un paio di campagne di studio per consentire al progetto DIGIT-HOP di consolidare i risultati), questo progetto dovrà traghettare il comparto da una gestione empirica della raccolta a una determinazione il più possibile “scientifica” del momento ideale, e lo stesso passaggio sarà da compiere per il processo di essicamento. Il tutto in una cornice di sostenibilità e di miglioramento delle performance tecniche- gestionali ed economiche del processo.

 

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