SDAF12 – STATISTICA PER LA RICERCA SPERIMENTALE, TECNOLOGICA E SOCIOLOGIA RURALE, DELL’AMBIENTE E DEL TERRITORIO – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 14 May 2020 10:39:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Agricoltura e innovazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-e-innovazione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agricoltura-e-innovazione //www.agronomoforestale.eu/index.php/agricoltura-e-innovazione/#respond Fri, 03 Apr 2020 13:52:37 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67626

Carmela Pecora – Consigliere CONAF Coordinatore del dipartimento Trasferimento della ricerca e innovazione professionale
Eleonora Pietretti – Centro Studi CONAF

Quali sono problematiche prioritarie del settore agroalimentare e forestale in cui si dovrebbe intervenire con l’innovazione?
Per far fronte alle sfide che attendono agricoltori, silvicoltori, industrie alimentari e bioindustria occorrono nuove conoscenze da applicare sul campo, in grado di garantire l’uso sostenibile delle risorse e la qualità dei servizi ecosistemici e al contempo sopperire alle problematiche prioritarie del settore agroalimentare e forestale.
In tal senso, secondo il nostro parere, la competitività professionale è la chiave di volta dell’innovazione in un contesto economico sempre più complesso che deve contribuire alla sicurezza alimentare e mettere la popolazione rurale in grado di sviluppare e diversificare la propria economia.
Tutto questo deve avvenire nell’ottica dello sviluppo sostenibile tramite la ricerca e l’innovazione, che dovranno diventare usuale prassi operativa nella professione del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale.
Significa “modellizzare” e declinare la professione verso prestazioni professionali elevate, di qualità, che siano attente a perseguire tre obiettivi fondamentali:
1) garantire una produzione alimentare “sicura”.
La sicurezza alimentare, food security, intesa sia nella sua accezione più ampia come la possibilità di garantire in modo costante e generalizzato cibo per soddisfare il fabbisogno energetico di cui l’organismo necessita.
La sicurezza alimentare, food safety, intesa anche come sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti e dei mangimi, nell’ottica di filiera integrata ambientale
2) assicurare una gestione sostenibile delle risorse naturali.
La finalità è lo sviluppo sostenibile che deve soddisfare i bisogni attuali senza compromettere i bisogni e le aspettative delle future generazioni. Questo richiede una pianificazione e una gestione responsabile delle risorse che preveda un bilanciamento tra lo sfruttamento delle fonti tradizionali e di quelle alternative tenendo in considerazione gli aspetti di disponibilità, economicità e impatto ambientale, senza quindi perdere di vista l’importanza e la salvaguardia della biodiversità.
3) contribuire alla sostenibilità sociale mediante la promozione dello sviluppo territoriale socio-economico equilibrato.
La realizzazione di questi obiettivi richiede la creazione, la condivisione e l’applicazione di nuove conoscenze, nuove tecnologie, nuovi prodotti e nuovi modi di organizzare, apprendere e cooperare.
A tal fine, è fondamentale ideare una professionalità volta alla diffusione di nuovi modelli di sviluppo sostenibile che siano in grado di rispondere alle esigenze della pratica agricola e rurale e alle funzioni sociali nei confronti della collettività.

Del sistema della conoscenza, altrimenti denominato filiera dell’innovazione, quali sono i segmenti più deboli, quali quelli meglio strutturati?
Le prestazioni dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, così come tutte le professioni intellettuali, si distinguono da altri servizi per una decisa caratteristica: garantire la soluzione di un problema sulla base di un sapere che esplica un contenuto creativo o inventivo. Ed è proprio questo approccio a costituire gli elementi saldi e meglio “strutturati” del sistema della conoscenza: la progettazione di nuovi modelli di sviluppo sostenibile sono la chiave di volta in grado di sopperire alle sfide del futuro e promuovere un’attività professionale 4.0.
Il CONAF ritiene che siano la qualità del lavoro del professionista e l’applicazione del sapere gli elementi di garanzia per una professione volta all’innovazione, allo sviluppo sostenibile e al superamento degli aspetti deboli del sistema. La codifica delle prestazioni e gli standard prestazionali diventano la prassi operativa per la valutazione della qualità. La ricerca professionale trova fondamento nella promozione della qualità della prestazione intesa come capacità di soddisfare esigenze, di tipo morale e materiale, sociale ed economico, tradotte in determinati requisiti, concreti e misurabili, attraverso adeguati processi di regolamentazione e normazione. La conformità alle norme e l’idoneità all’agire guida il professionista a generare modelli di sviluppo sostenibile. La qualificazione nella professione 4.0 del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale è in grado di rispondere a molteplici esigenze del mercato, a riconoscere e avvalorare il ruolo dei professionisti.
Il mercato unico europeo è caratterizzato, infatti, oltre che dalla libera circolazione di beni materiali, servizi e risorse finanziarie, anche dalla libera circolazione delle risorse umane.

Serre sperimentali per le colture a basso consumo idrico (Israele 2029)

Qual è l’impegno della vostra organizzazione nei riguardi di queste tematiche?
Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, il nostro impegno è diffondere e promuovere all’intera Categoria l’applicazione di modelli di sviluppo sostenibile ad ogni prestazione professionale del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale, che deve necessariamente prevedere le seguenti fasi:
1. Definizione degli obiettivi
Qualsiasi approccio razionale alla soluzione dei problemi presuppone la preventiva definizione degli obiettivi perseguibili sempre nel rispetto dei principi universali della professione codificati nella Carta Universale dell’Agronomo.
2. Analisi del sistema
Questo è il punto cruciale nel quale risiede la sostanza della professione del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale. L’analisi del sistema prevede una visione olistica del contesto in cui si intende operare: l’azione del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale non è limitata alla soluzione del problema e neppure contestualizzata alla mera esecuzione dell’idea progettuale. L’azione del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale si distingue dalle altre categorie per l’approfondimento progressivo del proprio lavoro che non è solo l’inserimento dell’opera umana in un contesto antropizzato ma anche l’impostazione futura di attività che incideranno sul paesaggio e sull’ambiente, per cui l’esecuzione della prestazione deve contemperare la salvaguardia degli ecosistemi naturali, la tutela della storia degli ambienti e dei paesaggi. Facendo l’esempio di una modesta opera come la realizzazione di un semplice muro di sostegno, se l’Ingegnere si occupa prioritariamente del calcolo del muro, o l’Architetto potrebbe inserire tale opera in un contesto antropizzato, il Dottore Agronomo e il Dottore Forestale, oltre a questi aspetti, valuta anche l’ecosistema naturale e le interferenze possibili. Quindi, se alcune professioni si concentrano sulla realizzazione dell’opera affinché sia funzionale all’uso, (il muro di sostegno realizzato ai lati della strada comunale è funzionale alla stabilità e alla circolazione delle macchine), i Dottori Agronomi ed i Dottori Forestali tengono conto non del solo aspetto esecutivo e funzionale, ma anche dell’aspetto ambientale (impatto sull’ecosistema, interruzione dei corridoi ecologici, gestione futura degli ambiti agricoli). E’ questo approccio che genera i nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Va sottolineato che la progettazione va intesa non solo in campo edilizio, ma in qualsivoglia settore di attività che può anche non necessitare di opere strutturali (filiere produttive, progetti di valorizzazione dei prodotti tipici, definizione di procedure di certificazione, ecc.). Anche le fasi successive non prescindono da questo tipo di orientamento professionale sempre tenendo conto dei principi etici che regolano la professione.
3. Formulazione dell’ipotesi progettuale
Questa fase è comune a tutte le prassi progettuali e consiste nella definizione di un ventaglio di opzioni di approccio alla soluzione del problema.
4. Scelta della soluzione progettuale
È il momento topico della valutazione della prestazione professionale risultante dall’analisi comparativa delle varie opzioni possibili anche con l’analisi dei relativi costi sia economici che sociali ed ambientali.
5. Redazione e presentazione della soluzione progettuale
L’aspetto comunicativo è fondamentale per illustrare la scelta progettuale con adeguate motivazioni. La tecnica redazionale diventa un aspetto rilevante della professione rendendo comprensibili le scelte anche alla platea non tecnica.
6. Valutazione dei costi
Anche nel campo dei costi si apre una grande considerazione. Non si parla solo di costi economici ed esecutivi ma anche e soprattutto di impatto ambientale, di costi ambientali. La questione è sempre tener conto dell’aspetto non solo della fase esecutiva ma anche della futura gestione con riguardo sia alla tutela ambientale che al contenimento dei costi di qualsiasi natura (economici, sociali, ambientali, ecc.).
7. Valutazione del contesto normativo
Una parte importante dell’analisi deve tener conto degli aspetti normativi ed autorizzativi che nel contesto italiano assumono una rilevanza particolare e comportano notevole dispendio di energie operative nella sola fase di definizione del progetto.
8. Controllo in corso d’opera
Questa fase non è solo una direzione lavori. In questa fase si possono riscontrare problemi precedentemente non valutati e quindi il professionista deve avere la prontezza di adottare varianti di progetto non dimenticando mai l’ottica della tutela dell’ambiente e della visione olistica che deve caratterizzare l’opera del Dottore Agronomo e del Dottore Forestale.
9. Verifica del raggiungimento degli obiettivi
La fase conclusiva della prestazione deve rivolgersi alla valutazione anche critica del proprio operato per una presa di coscienza della correttezza della prassi operativa adottata con la verifica degli obiettivi raggiunti sempre nel rispetto dei principi etici che sovrintendono la professione.
Va sottolineato comunque che i contenuti sostanziali della prestazione possono essere codificati e descritti solamente nell’ambito professionale a prescindere dagli aspetti di certificazione che valutano la sola rispondenza a procedure operative e che vengono effettuati da organismi di certificazione.

Con riferimento alla diffusione e adozione dell’innovazione presso le imprese, avete qualche esperienza di eccellenza da segnalare?
Diverse sono le esperienze messe in campo dagli agronomi e dai forestali atteso il forte carattere multidisciplinare, nonché predisposizione al lavoro di gruppo che il Dottore Agronomo e il Dottore Forestale possiedono nelle diverse prestazioni professionali, ma anche grazie al percorso formativo e la propensione, quali progettisti del territorio urbano, periurbano e rurale, e quindi anche dei sistemi viventi, ad intervenire come ideatori e coordinatori in tutti i progetti in cui in trasferimento dell’innovazione diventa fondamentale per lo sviluppo sostenibile.
Un esempio calzante è la coltivazione della Patata della Sila IGP in Calabria, laddove, in un’area protetta quale quella di un Parco Nazionale, il consorzio di tutela, grazie ad un gruppo di dottori agronomi e forestali, esegue diversi monitoraggi che spaziano dallo stato idrico dei suoli a quello dei residui di agrofarmaci, per il miglioramento della qualità del prodotto ma anche dell’ambiente di riferimento (area protetta), attraverso risorse proprie ma anche con strumentazione e presidi forniti dall’Ente Parco Nazionale della Sila, dove i vincoli ambientali diventano sostegno ed opportunità di sviluppo sostenibile di un intero territorio. Altro esempio da segnalare è la startup DRONEBEE, nata in Toscana, ma che lavora su tutto il territorio nazionale, i cui ideatori, un dottore agronomo e un ingeghnere, hanno sviluppato servizi per l’agricoltura di precisione attraverso una flotta di droni che eseguono rilievi in campo attraverso camere spettrali con generazione di mappe ed informazioni che opportunamente analizzate e processate, sono in grado di pianificare i futuri interventi in termini di consumo idrico, nutrizione, trattamenti fitosanitari e future scelte strategiche del professionista che presta la sua consulenza.

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Impatto delle traslocazioni storiche del larice europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/#respond Tue, 24 Mar 2020 15:40:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67554 Hannes Raffl è l’autore di questa ricerca vincitrice del “Dr.-Berthold-Pohl” grant 2019, assegnato dall’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestale di Bolzano.
L’intero studio è stato pubblicato nel Journal Annals of Forest Science “Genetic evidence of human mediated, historical seed transfer from the Tyrolean Alps to the Romanian Carpathians in Larix decidua (Mill.) forests

 

Il larice europeo (Larix decidua) è una specie pioniera in Europa, è deciduo ed endemico ma ha una distribuzione nativa che è altamente separata. La specie, infatti, nel nostro continente si presenta principalmente in quattro regioni: le Alpi, i Carpazi, i Sudeti orientali e la pianura polacca, che rappresentano l’area nativa ricolonizzata dalla specie dopo l’ultimo periodo glaciale.
Grazie a questa separazione tra gli areali, si sono sviluppate diverse varietà che differiscono sia a livello molecolare che morfologico, per esempio in alcuni tratti di crescita, nella dimensione del cono o nel colore dei fiori femminili. Tutte e quattro le regioni possiedono quindi il proprio pool genetico (refugia), che svolge un ruolo importante nella conservazione e nell’adattamento ai futuri cambiamenti ambientali (e al cambiamento climatico).

Le posizioni di campionamento. Punti blu: Tirolo del nord, Austria; punti verdi: Provincia autonoma di Bolzano, Italia); punti rossi: Romania. R1, R2 e R4 sono le popolazioni di larici autoctoni, R3 è il rimboschimento alloctono dell’Alto Adige in Romania. La gamma di distribuzione nativa di Larix decidua con le quattro regioni (a: Alpi, b: Carpazi, c: Sudeti orientali, d: pianura polacca) è indicata dalla linea tratteggiata arancione.

Secoli di silvicoltura
Il larice europeo è un’importante specie forestale utilizzata principalmente per il suo legname, anche se scandole e assicelle sono comunque prodotti importanti a livello locale.
L’appetibilità sul mercato di quest’albero, a cavallo tra il XVII e l’inizio del XX secolo, l’ha reso una delle specie predilette per la silvicoltura a scopo commerciale in tutti i 4 gli areali nativi. In particolare dopo la seconda metà del XIX secolo, periodo in cui si è accentuato sia il commercio di legname che la coltivazione forestale grazie alla rapida istituzione del sistema ferroviario nell’Europa centrale e settentrionale, che ha favorito il commercio di materiale vegetale.
L’impatto della silvicoltura e dei rimboschimenti hanno conseguentemente allargato l’areale iniziale, che si è esteso sia all’esterno e anche all’interno delle quattro aree native della specie, fino a raddoppiare le superfici: oggi è comune trovare il larice in tutta la zona temperata dell’Europa (in particolare Germania, Francia, Danimarca, Gran Bretagna, Svezia e Norvegia).

Sotto un unico impero
Durante l’Impero austro-ungarico, la coltivazione di larice alpino è stata fortemente promossa. In questo contesto storico, i lariceti dei Carpazi meridionali e orientali (Transilvania, Romania), regione all’epoca sotto il potere asburgico, hanno subito un forte trasferimento di piante e semi di larice provenienti da altre regioni native, in particolare da quelle tirolesi (alpine).
Purtroppo, le informazioni sull’esatta provenienza del materiale vegetale sono raramente disponibili, ma l’ipotesi dell’impiego di materiale vegetale proveniente dalle Alpi è accreditata sia dal comune governo delle due regioni geografiche, che dalla parziale documentazione disponibile sul commercio di semi: diversi registri tracciano l’uso di semi alpini, provenienti principalmente dal Nord Tirolo (Austria) e dalla valle Adige e Isarco della Provincia Autonoma di Bolzano (Italia) a partire dalla metà del XIX secolo.

La ricerca del genoma originario
A distanza di quasi un secolo dal crollo dell’impero asburgico, è ancora possibile trovare il larice delle Alpi in Romania?
In tal caso, è rilevabile l’influenza tirolese sul patrimonio genetico delle popolazioni di larici rumeni autoctoni, siano essi adulti o giovani esemplari di rigenerazione naturale?
Mancando un inventario genetico del larice europeo all’interno dell’attuale area di distribuzione, per rispondere a queste domande è stato necessario indagare l’introgressione / ibridazione genetica nelle popolazioni rumene sulla base di un confronto genetico tra i larici rumeni e tirolesi (alpini).

Dendrogramma genetico che mostra le relazioni tra i genomi di larice campionati. I cerchi riassumono i relativi stand e formano i rispettivi gruppi genetici. Ciò che colpisce è il raggruppamento tra le due regioni Tirolo e Romania ma anche all’interno delle regioni, che indica un’elevata biodiversità genetica del larice europeo. R: Romania T: Tirolo ST: alto adige A: esempliare adulto J: esemplare giovane

La ricerca ha visto, quindi, una prima fase di raccolta di aghi e cambium di larici rumeni, includendo materiale proveniente anche da tre areali nativi dei Carpazi meridionali e orientali (denominati R1, R2, R4 in Fig. 1 e 2 e divisi ciascuno in adulti e giovani). Una difficoltà della ricerca, infatti, è data dal fatto che le attuali popolazioni autoctone di larici in Romania sono molto frammentate e di difficile individuazione: sono note solo tre piccole aree native, di appena 100 ettari, poste sulla fascia altitudinale subalpina e che formano degli importanti hotspot di biodiversità nei Carpazi meridionali e orientali.
Al materiale romeno si sono aggiunti i campioni raccolti in quattro lariceti, due nel Nord Tirolo (Austria; denominati T9-12 in Fig. 1 e 2) e due in Alto Adige (Provincia Autonoma di Bolzano, Italia; denominati ST5-8 in Fig. 1 e 2) così da includere nell’analisi la possibile area di origine delle traslocazioni di semi e piante.
Per quanto riguarda le aree native romene, vista la limitatezza delle superfici, non si ha la certezza della purezza genetica delle piante, che potrebbero essere state inquinate dai geni del larice tirolese traslocato. Se così fosse, il trasferimento di larice non adattato a quello specifico ambiente potrebbe aver causato casi di ibridazione intraspecifica e avere prodotto un cambiamento nella capacità di resistenza e nella capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali delle popolazioni autoctone locali.

Certificato di origine
Per le analisi di laboratorio sono stati usati i cosiddetti microsatelliti (tratto di DNA non codificante ripetuto molte volte, caratterizzato da una sequenza di due o tre nucleotidi ripetuta in gruppi sparsi in tutto il genoma) che consentono di scoprire le informazioni genetiche partendo dagli aghi e dal cambium e, conseguentemente, di ottenere le caratterizzazioni genetiche di ciascun individuo e identificare le diverse relazioni genetiche.
Un lavoro notevole, ma che ha dato i suoi frutti: per la prima volta è stato possibile provare con certezza la presenza dei larici tirolesi (alpini) in Romania.
Il modello genetico ricavato, infatti, ha confermato la provenienza nord tirolese dei larici alloctoni in Romania, dato coerente con i documenti storici che tracciano i trasferimenti di semi provenienti da fonti alpine (tirolesi) nei Carpazi orientali e meridionali.
Inoltre, è stata individuata un’intera foresta di larici tirolesi vicino alla città di Braşov in Romania (chiamata R3 nelle Fig. 1 e 2) e, anche se sarebbe necessario procedere con analisi più approfondite, è plausibile ipotizzare che ci possano essere singoli individui tirolesi all’interno delle popolazioni native. In questo caso, la comprensione e la misurazione dell’entità di tale impatto genetico è tanto interessante quanto difficile, poiché dipendente dalla composizione genetica delle popolazioni residenti e dalla differenza ambientale tra i siti di emigrazione e quelli di immigrazione, anche se certamente è maggiore quando le popolazioni locali sono piccole, proprio come nel caso romeno.
Procedendo con la mappatura delle relazioni tra i singoli lariceti, come raffigurato nel dendrogramma che separa i cluster in base alle differenze genetiche, è interessante da sottolineare la posizione della foresta rumeno R3: geneticamente deve essere inserito nel gruppo nord tirolese, il che conferma la sua origine alpina.

Risultati inattesi
C’è stato anche un risultato parzialmente difforme dalle aspettative. Se da un lato la genetica conferma la presenza di esemplari tirolesi in Romania, tuttavia l’inquinamento riscontrato appare in misura minore alle attese: gli ibridi intraspecifici sono scarsamente rappresentati (percentuale massima del 3%) sia negli adulti che negli esemplari più giovani di rigenerazione naturale.
A ciò si aggiunge che la percentuale degli ibridi è leggermente più alta negli esemplari di rigenerazione naturale, confermando l’inizio di un processo di integrazione dei geni tirolesi “disadattati” nelle popolazioni di larici naturali, ma con ritmi molto lenti. Una lentezza nell’integrazione genetica che parrebbe sostenere un’ipotesi: alcuni parametri della riproduzione gamica sembrano essere mal sincronizzati, per esempio la fenologia della fioritura o la selezione postzigotica, il che potrebbe causare mortalità embrionale e giustificare i limitati tassi d’ibridazione.

Uno degli stand autoctoni di larice nel Tirolo (Austria), indicato come T12 nelle figure 1 e 2.

Conclusioni
Questo studio ha dimostrato che i larici del Tirolo e quelli della Romania differiscono geneticamente, il che è sostanzialmente riconducibile alla separazione delle diverse aree di rifugio formatesi durante l’ultima era glaciale.
Ma questa grande differenza genetica è stata riscontrata anche all’interno delle stesse regioni campionate: è stato possibile distinguere gli esemplari del Nord Tirolo da quelli dell’Alto Adige e, in Romania, tra quelli dei singoli lariceti autoctoni, in cui ognuno presenta il proprio caratteristico hotspot genetico. Come si vede bene nella figura 2, all’interno del cluster rumeno si possono individuare i tre lariceti autoctoni, che mostrano grandi differenze genetiche tra loro, con le singole popolazioni che si mantengono quasi indipendenti con tassi di consanguineità relativamente elevati. Un’interessante rilevazione considerando il ruolo importante che svolgono nella conservazione della biodiversità.

 

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