#AGROFOR2030 – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 17 Jun 2021 15:50:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 La Carbon Footprint dell’olio extra vergine di oliva come strategia di Green Marketing. Un’indagine sui consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/#respond Mon, 22 Mar 2021 17:00:58 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68060 Di Antonio Petracca, vincitore del premio di laurea Massimo Alberti 2021. Dottore Magistrale in Sviluppo Rurale Sostenibile

In un clima di crescente considerazione per la sostenibilità, sono sempre più le iniziative che mirano a sviluppare processi di produzione che portino alla realizzazione di prodotti eco-sostenibili.
Inoltre, se ben sfruttate, queste pratiche possono apportare vantaggi economici, oltre che ambientali, per le aziende che intraprendono questa strada. Tutto sta nel mettere in atto idonee strategie di Green Marketing che hanno come scopo quello di comunicare al consumatore la sostenibilità del proprio prodotto.

Come creare una filiera ecosostenibile
Lo studio, condotto nel 2019 all’interno di un progetto promosso dal PSR Umbria, aveva lo scopo di creare una filiera ecosostenibile nel settore olivicolo-oleario. Le aziende locali umbre coinvolte, utilizzando l’approccio Life Cycle Assessment, avrebbero avuto così le basi necessarie per la certificazione della Carbon Footprint (ISO 14067).
Le esperienze nella Carbon Footprint a livello di filiera sono attualmente molto limitate, nonostante consenta di individuare percorsi e azioni condivise per combattere il cambiamento climatico, dando la possibilità di concorrere alla Green Economy. Infatti, il miglioramento della competitività in questo settore diventa una spinta verso la produzione con minori emissioni e un elemento distintivo sul mercato finale: si possono enfatizzare i risultati indirizzandosi verso i consumatori propensi al Green Consuming.
Partendo da questo assunto, il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio, per permettere di capire le potenzialità di vantaggio economico che questo progetto può apportare alle aziende aderenti.

Il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio

Assorbire CO2 per essere competitivi
Perché prendere in considerazione proprio l’olio extra vergine di oliva? Come dimostrato da molti studi, l’olivo ha una gran capacità nell’assorbire CO2. L’opportunità sta quindi nello sfruttare questa caratteristica peculiare mettendo in risalto la sostenibilità dell’olio extra vergine di oliva, prodotto che riveste un ruolo importantissimo all’interno della nostra dieta alimentare.
Inoltre, il mercato globale dell’olio extra vergine di oliva è in continua crescita e registra un aumento delle produzioni, soprattutto in quei Paesi che hanno visto uno sviluppo dell’olivicoltura di tipo intensivo.
Il settore olivicolo italiano, però, trova non poche difficoltà a competere nel contesto mondiale, prevalentemente per le peculiarità che non ne consentono la competitività sia dal punto di vista della produzione che dal lato dei costi.
Puntare sulla qualità del prodotto e sullo sviluppo di sistemi gestionali in grado di consentire la sostenibilità delle produzioni e l’abbattimento delle emissioni potrebbe essere una delle soluzioni. Le certificazioni ambientali, infatti, possono aiutare a migliorare la competitività del settore e a produrre con un possibile vantaggio commerciale.

Impronta del carbonio
La Carbon Footprint è un parametro introdotto per quantificare la totalità delle emissioni di gas a effetto serra associate direttamente o indirettamente a un prodotto, a un’organizzazione o a un servizio.
Essa rappresenta un indicatore utile a monitorare l’efficacia della politica di gestione ambientale tramite la redazione del cosiddetto “inventario delle emissioni di gas ad effetto serra”. Il punto di forza di questa certificazione sta anche nella facile comprensione ed efficacia dal momento che il consumatore dispone di un valore che indica i kg di CO2 emessi per produrre, nel nostra caso, la bottiglia d’olio.

Misurare l’effetto sul consumatore
La valutazione della risposta del consumatore a un olio extra vergine di oliva con certificazione Carbon Footprint è stata possibile avvalendosi del metodo di analisi dei Choice Experiment (esperimenti di scelta).
Il principio generale di questo metodo è quello di indurre i consumatori a esprimere delle preferenze riguardo a determinati beni e a definire il livello di benessere/utilità che ne ricaverebbero dall’utilizzo. Tutto questo avviene grazie alla creazione di uno scenario di mercato ipotetico, che permette di simulare l’acquisto di beni scegliendo tra più alternative proposte.
Per esprimere il valore economico di un bene in termini di preferenze dei consumatori, il modo più immediato è quello di trasformare la domanda aggregata di quello stesso bene in Disponibilità a Pagare (DaP). La DaP è la quantità massima, ovvero la massima somma, che un soggetto è disposto a pagare per usufruire di un certo servizio, per godere di un determinato bene o per migliorarlo.

La struttura dell’indagine
La ricerca empirica si è basata su un questionario somministrato ai consumatori, articolato in diverse parti (dati socio-demografici, comportamento d’acquisto di olio di oliva, fattori rilevanti nella decisione d’acquisto, esperimento di scelta).
La parte più importante del questionario è quella dell’esperimento di scelta (Choice Experiment), dove l’intervistato viene messo di fronte a diversi profili di olio ottenuti dalla combinazione degli attributi e dei livelli che descrivono il prodotto, scelti nella fase di definizione del disegno sperimentale. In particolare, per questo studio sono stati ottenuti 60 diversi profili di olio. La scelta degli attributi è stata fatta attraverso un’approfondita ricerca in letteratura e attraverso l’organizzazione di focus group con l’obiettivo di mettere in evidenza quelle componenti (attributi) del prodotto che lo caratterizzano e che sono maggiormente rilevanti nei momenti di scelta.
Gli attributi emersi da questa prima fase di analisi sono stati: il formato della bottiglia, l’origine, il canale di vendita, la presenza della certificazione Carbon Footprint e il prezzo di vendita.

I risultati
I risultati ottenuti dalle interviste condotte1, hanno confermato l’ipotesi iniziale dell’indagine, ossia che un olio extra vergine di oliva con certificazione della Carbon Footprint riceverebbe apprezzamenti da parte dei consumatori.
Infatti, dall’analisi econometrica dei dati ottenuti dai Choice Experiment, l’attributo inerente all’impronta del Carbonio ha rinvenuto un coefficiente di significatività elevato, secondo solo a quello dell’attributo della vendita diretta. Questo dato sta a significare che la maggior parte degli intervistati posti d’innanzi ai vari profili di olio sono stati influenzati positivamente nella scelta dalla presenza dell’attributo inerente alla Carbon Footprint.

Successivamente è stata stimata la disponibilità a pagare per gli attributi presi in considerazione nell’analisi, ed è stata riscontrata una DaP di 5,18 euro per la certificazione della Carbon Footprint.
Questo valore rappresenta la somma massima che i consumatori intervistati sarebbero disposti a pagare in più rispetto ad un olio senza questa certificazione. Questo risultato dà ulteriore conferma del fatto il consumatore è disposto a pagare un premium price per un olio a basso impatto di emissioni.

Percentuale di importanza delle informazioni presenti in etichetta rilevate dalle preferenze del campione

Agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto

Sulla base dei dati raccolti, inoltre, sono emersi ulteriori fattori altrettanto rilevanti, quali un’elevata DaP in relazione all’origine del prodotto e al canale di vendita diretta. Ciò trova riscontro nelle conclusioni di altri studi che affermano che il mercato dell’olio di oliva, in particolare l’extra vergine, vede un forte legame del prodotto con la dimensione locale, la quale rappresenta un elemento efficace di creazione di valore per il consumatore.
Alla luce di quanto detto, agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto.

Dare maggior valore al comparto olivicolo
Lo studio condotto in questa tesi di laurea permette di asserire l’importanza di investire sulla sostenibilità, soprattutto in un mercato competitivo come quello dell’olio di extra vergine di oliva.
La certificazione della Carbon Footprint sta dimostrando di avere tutte le carte in regola per dare maggior valore al comparto olivicolo. Tuttavia, data la sua bassa diffusione tra i prodotti agroalimentari, diviene importante rendere famigliare al consumatore questa certificazione attraverso una comunicazione efficace, al fine di evitare una sottostima del suo reale potenziale da parte degli agricoltori.
Queste considerazioni assumono rilevanza particolare per l’olivicoltura italiana, la quale rappresenta in molte regioni, uno dei comparti principali tanto dal punto di vista economico quanto da quello culturale e paesaggistico.

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Let’s talk about soil //www.agronomoforestale.eu/index.php/lets-talk-about-soil-2/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lets-talk-about-soil-2 //www.agronomoforestale.eu/index.php/lets-talk-about-soil-2/#respond Thu, 29 Oct 2020 10:40:03 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67946

I tempi estremamente lunghi di formazione il suolo lo fa ritenere una risorsa limitata. Anzi, è considerato sostanzialmente non rinnovabile.

Questo video è stato realizzato in occasione della prima Settimana Globale del Suolo (2012). Un’animazione un po’ datata ma estermamente chiara nella sua rappresentazione.

Autore: Uli Henrik Streckenbach
Versione italiana del video prodotta grazie al contributo della Società Italiana di Pedologia.

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Del castagno non si butta niente //www.agronomoforestale.eu/index.php/del-castagno-non-si-butta-niente/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=del-castagno-non-si-butta-niente //www.agronomoforestale.eu/index.php/del-castagno-non-si-butta-niente/#comments Sun, 27 Sep 2020 10:34:24 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67894 Intervista a Marco Grendele, dottore forestale e coordinatore del progetto CAREGA

Bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

L’intervista è un approfondimento dell’articolo che descrive il progetto CAREGA


Che tipo di boschi ci sono in quella zona?
I boschi dell’alto vicentino sono boschi di castagno che fino a 40 anni fa avevano un buon mercato per la paleria, in particolare li acquistava la SIP per le linee telefoniche.
Purtroppo, in questi decenni la situazione è cambiata. La domanda è crollata da quando i pali non sono più realizzati in legno. A ciò si unisce la parcellizzazione fondiaria e il fatto che i proprietari hanno abbandonato il mestiere.
Tutti questi fattori hanno contribuito alla mancata la gestione forestale in questi decenni che ha peggiorato la qualità del soprassuolo e oggi sono pochi gli esemplari di castagno di buona qualità commerciale.
Così, per un piccolo proprietario è difficile trarre reddito dal bosco e lo lascia incolto, agevolando questa spirale.

Come mai avete scelto di valorizzare il bosco untando sulla carbonella?
Non vogliamo valorizzare il bosco con la carbonella, perché il ritorno vero si ha con il legno di prima qualità. Però abbiamo pensato alla carbonella, in quanto è un prodotto che consente di utilizzare tutto il legname esboscato, riuscendo a dare valore al “prodotto di scarto” che oggi è una parte molto rilevate del totale.
In questo modo pensiamo di riuscire a dare comunque un reddito ai proprietari, riattivando l’economia del bosco. Così facendo, ricominciando a entrare nel bosco, sarà possibile ricominciare a fare gestione forestale e nell’arco di alcuni decenni si potrà migliorare la qualità complessiva del soprassuolo. Naturalmente bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

E il problema della frammentazione?
Il progetto nasce con un finanziamento del PSR, misura 16, che ha due obiettivi: il primo, come già accennato, è di trovare un sistema innovativo per produrre la carbonella; il secondo è di incidere sulle difficoltà derivanti dalla proprietà fondiaria.
Per risolvere questo ostacolo, abbiamo pensato di utilizzare un contratto in cui il proprietario “passivo”, colui tende a non effettuare alcun tipo di intervento in bosco, in cambio di una remunerazione cede la gestione all’associazione forestale vicentina, partner del progetto. È un modello già utilizzato in altre aree con modalità simili, come il contratto di rete della Valtellina o i contratti di assistenza forestale pluriennale in Renania-Palatinato.
Il piccolo proprietario, che non avrebbe strumenti né le superfici per poter ricavare un reddito adeguato dal bosco avrà un ritorno economico certo dalle sue proprietà.
L’associazione, invece, sarà capace di accorpare i fondi e gestire superfici maggiori e, quindi, lavorare con migliori economie di scala. Si potrà valorizzare al meglio il legno di prima qualità, avendo capacità contrattuali più forti e, grazie alla carbonella e al sottoprodotto calore, avere due ulteriori voci di ricavo.

Dalle vostre analisi, che ritorno vi aspettate?
Al momento è difficile dirlo, sarà proprio uno degli obiettivi del progetto, anche se le nostre valutazioni preliminari ci incoraggiano.
La carbonizzazione è una pratica che mira a migliorare le caratteristiche del materiale di partenza, trasformando la biomassa in un prodotto carbonioso di alta qualità, così uno dei settori maggiormente responsabile dello sfruttamento delle risorse di biomassa legnosa al mondo è il mercato del carbone.
Secondo la FAO (2014), la produzione mondiale di carbone nel 2014 è stata di oltre 50 milioni di tonnellate. Le stesse statistiche vedono l’Africa come il continente in grado di produrre la quantità maggiore a livello globale, rappresentando oltre il 56% della produzione mondiale.
L’importazione di carbone in Europa ammonta a circa 1,3 milioni di t/a, corrispondente a un valore economico di circa 520 milioni di dollari ogni anno.
In Italia nel 2012 si è avuta una produzione di 16.000 tonnellate di carbone vegetale e un consumo di circa 70.000 ton con livelli di importazione pari 60.000 tonnellate e con un export pari a 1.000 tonnellate.

Analisi del mercato in Italia: l’attuale mercato del carbone vegetale, individuando e analizzando le principali caratteristiche dei prodotti presenti oggi sul mercato e venduti dalla Grande Distribuzione Organizzata e tramite piattaforme online.
A partire da cippato di grandi dimensioni, l’impianto può produrre 50 kg di carbone di legna all’ora attraverso un processo di riscaldamento a biomassa

Che caratteristiche avrà il prodotto che metterete sul mercato? Che innovazioni state testando?
Come detto, oggi la carbonella che si acquista proviene quasi tutta dal legno africano o, in seconda battuta, sudamericano. Noi invece produrremo una carbonella vegetale derivante da legno locale, a filiera corta e proveniente da foreste certificate PEFC.
Ci siamo accorti, infatti, che l’origine della carbonella è ignota al consumatore finale, che praticamente non conosce nessuna fase produttiva. Per la prima volta, offriremo un prodotto trasparente e sostenibile, di cui è dichiarata sia la provenienza che l’intera filiera.
Da un punto di vista tecnologico, invece, uno dei partner ha realizzato un carbonizzatore innovativo, capace di lavorare a ciclo continuo. Questo prototipo da un lato semplifica la produzione e la rende più vantaggiosa e dall’altro consentirà di valorizzare anche il calore, che può diventare un sottoprodotto per riscaldare edifici, scuole, piscine.
Rendendo l’intero ciclo ancor più sostenibile.


Marco Grendele, coordinatore del progetto CAREGA

Come mai una parte del progetto prevede le lezioni nelle scuole?
Ci siamo resi conto che quando si parla di un taglio nel bosco, spesso, si usa il termine “deforestazione”.
L’errore di linguaggio ci ha fatto capire che è necessario accompagnare questi progetti anche lavorando per ricreare una cultura della gestione forestale.
In fondo, i risultati di questo progetto li godranno proprio i nostri bimbi, tra 40 o 50 anni.

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Conoscere le emissioni in agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/conoscere-le-emissioni-in-agricoltura/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=conoscere-le-emissioni-in-agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/conoscere-le-emissioni-in-agricoltura/#respond Thu, 18 Jun 2020 14:38:12 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67809 di Manuel Bertin

Nella lotta ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità ambientale, l’agricoltura gioca un ruolo rilevante.
Come intervenire? Che priorità darsi?

Eleonora Di Cristofaro

A livello globale le emissioni imputabili al comparto agricolo rappresentano quasi un quarto del totale e crescono dello 0,7% all’anno, per soddisfare una domanda alimentare in continuo aumento.
In Italia, invece, il contributo al bilancio delle emissioni di gas serra si sta riducendo, ma volendo rispettare la tabella di marcia imposta dalla Strategia di decarbonizzazione, ossia emissioni nette pari a zero al 2050, questo non è sufficiente. Le domande da farsi, quindi, diventano: come intervenire? Che priorità darsi?
La prima cosa da fare, per capire come agire, è avere un quadro definito della situazione, che consenta di avere una lettura accurata dello scenario per il successivo intervento.
A questo scopo, ISPRA redige l’inventario nazionale che raccoglie i dati delle emissioni di gas serra di quasi due decenni, con un focus anche su quelle del comparto primario. Il documento aggiornato con i dati del 2018 è stato presentato qualche settimana fa, così abbiamo approfondito il tema con Eleonora Di Cristofaro, referente nazionale di ISPRA per il settore agricoltura nell’ambito dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici.

Ci descrive la situazione attuale?
Oggi, il settore agricoltura rappresenta il 7% circa delle emissioni nazionali di gas serra, pari a circa 30 milioni di tonnellate di CO2, composte in gran parte da metano (64%) e protossido di azoto (35%), e da una piccola percentuale la CO2 (1%). Queste sono originate in gran parte (79%) dagli allevamenti, mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici.
Ai gas serra propriamente detti, si aggiunge anche l’ammoniaca, di cui il settore agricolo produce il 94% delle emissioni nazionali. Un composto che per l’80% si origina dagli allevamenti, in special modo quelli bovini, suini e avicoli.
Questa sostanza contribuisce all’eutrofizzazione e all’acidificazione degli ecosistemi e alla formazione di particolato secondario. Infatti, la direttiva europea Nec ne fissa i limiti e pone degli obiettivi di riduzione: rispetto al 2005, per l’ammoniaca sono -5% al 2020 e -16% al 2030 e per il PM2.5 sono -10% al 2020 e -40% al 2030.

L’origine delle emissioni di gas serra in agricoltura.
L’origine delle emissioni di ammoniaca in agricoltura.

Come giudica la situazione?
Col regolamento Ue Effort Sharing, l’Europa si è imposta di ridurre le emissioni complessive di gas serra dei settori ES (che sono trasporti, residenziale, agricoltura, industria non-ETS e gestione dei rifiuti) del -13% entro il 2020 e del -33% entro il 2030, sempre rispetto ai valori del 2005.
Per il 2020 possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto, per il 2030 bisognerà fare degli sforzi aggiuntivi. In questo quadro, le emissioni di gas serra del settore agricoltura sono diminuite del 13% rispetto agli anni ’90. È il risultato della riduzione del numero di capi, del minore impiego di fertilizzanti azotati sintetici (-41%, ma con l’urea scesa solamente del 13%), della trasformazione nella gestione degli allevamenti e, infine, del recupero del biogas a fini energetici.
Le emissioni di ammoniaca invece, in questi trent’anni, si sono ridotte del 23%.

Negli ultimi anni, anche le emissioni in agricoltura sono sotto la lente del legislatore.
Nell’inventario nazionale delle emissioni sono più rilevanti i contributi del settore energetico, con una percentuale pari all’ 80,5%, e del settore dei processi industriali, con l’8,1% delle emissioni. È normale, quindi, che il legislatore abbia preferito iniziare ad attuare politiche di riduzione delle emissioni partendo da questi settori.
Negli anni più recenti, però, c’è stata la necessita di allargare lo spettro d’azione e così anche il comparto agricolo è stato coinvolto nelle politiche di sostenibilità, con interventi mirati a ridurre sia le emissioni di inquinanti che quelle dei gas serra.

Dove e come è possibile intervenire?
L’agricoltura è il settore con cui produciamo il cibo, per cui bisogna intervenire con accortezza.
Partendo dai dati che abbiamo, sappiamo che gli allevamenti originano i 4/5 delle emissioni ed è logico iniziare da qui per ottenere impatti sensibili.
Scomponendo le emissioni per tipologia di fonte, ai primi tre posti troviamo la fermentazione enterica (47 %), l’utilizzo di fertilizzanti sintetici e altre fonti di apporto di azoto ai suoli agricoli (28%) e la gestione delle deiezioni (19%).
Per ridurre le emissioni, quindi dobbiamo lavorare sui sistemi di allevamento, in particolare migliorando quattro fasi: l’alimentazione, i ricoveri, lo stoccaggio e lo spandimento. Per esempio, nella dieta, la sostituzione di una parte dei foraggi con i concentrati può aumentare la digeribilità e ridurre le emissioni di metano (emissioni di gas serra). Oppure, con un’alimentazione a minor contenuto proteico avremo un minore rilascio della componente azotata nelle deiezioni.
Passando alle stalle, si può intervenire rinnovando le lettiere, rimuovendo frequentemente le deiezioni e riprogettando la gestione degli spazi.
Per gli stoccaggi è fondamentale la copertura delle deiezioni e il recupero di biogas nei digestori anaerobici, due interventi che consentono di ridurre le emissioni sia di gas serra che di ammoniaca.
Arrivando al campo, c’è da stimolare la sostituzione dell’urea con i fertilizzanti con diverso tenore di azoto o con i fertilizzanti organici. In secondo luogo, adottando tecniche di agricoltura di precisione mirate sulle specifiche esigenze nutritive delle colture, sul tenore dei nutrienti del suolo e sull’apporto di nutrienti degli altri fertilizzanti, sulla migliore distribuzione del fertilizzante si potranno ridurre le emissioni di ammoniaca e di gas serra perché migliore sarà l’efficienza d’uso dell’azoto.


L’intervento di Eleonora di Cristofaro in cui sono presentati i dati relativi alle emissioni in agricoltura

Per approfondire
Il quadro italiano sull’andamento dei gas serra e degli inquinanti atmosferici dal 1990 al 2018 è un’indagine basata su due rapporti, il National Inventory Report 2020 e l’Informative Inventory Report 2020.

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La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-belleza-di-studiare-scienza-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/#respond Thu, 14 May 2020 10:31:54 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67741 La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali racchiusa in un video del Dipartimento Agraria – Università Mediterranea Reggio di Calabria
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La nostra professione è quella che studia
👉la tutela e salvaguardia del territorio,
👉le cause e gli effetti della deforestazione,
👉immagina e pianifica il paesaggio rurale,
👉 valuta gli effetti dei cambiamenti climatici, come riuscire ad adattarsi e come contrastarli,
👉trova un equilibrio tra i diversi impieghi delle foreste.

È fondamentale conoscere come funziona una foresta nel suo insieme e come funzionano gli alberi. Così com’è decisivo imparare a trovare un equilibrio sostenibile rivolto alla sopravvivenza e al futuro dell’umanità.
#agrofor2030

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#AGROFOR2030: THE GLOBAL GOALS //www.agronomoforestale.eu/index.php/agrofor2030-the-global-goals/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=agrofor2030-the-global-goals //www.agronomoforestale.eu/index.php/agrofor2030-the-global-goals/#respond Mon, 11 Nov 2019 06:44:08 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67428

Sabrina Diamanti, Presidente CONAF

Come sapete, la popolazione mondiale sta crescendo di circa 80 milioni di individui l’anno, il tasso di urbanizzazione globale, oggi, è al 55% della popolazione mondiale, secondo le proiezioni dovrebbe aumentare al 68% entro il 2050, la qualità della vita media auspicabilmente migliorerà.
Ciò significa che crescerà il bisogno di cibo, ma anche il fabbisogno di acqua, di energia, di fibre tessili, di materie prime per l’industria chimica e così via. Tutto in un contesto mondiale che sta affrontando cambiamenti sociali, economici, ambientali.
In questo scenario, gli attori del settore primario dovranno diventare protagonisti per garantire a tutti l’accesso a ciò di cui si avrà bisogno, e dovremo farlo in modo sostenibile: mantenendo la fertilità dei suoli, preservando la biodiversità, riducendo gli inquinamenti di aria e acqua.
Parte da questa riflessione la scelta tematica di questo XVII congresso, legato a doppio filo con gli obiettivi di sostenibilità di Agenda2030 dell’ONU.
Sono obiettivi che, lo sappiamo bene, andranno a impattare sulle comunità in cui lavoriamo, sui territori in cui operiamo e faranno mutare anche la nostra professione.
La decisione di realizzare un piano d’azione da qui al 2030 per la categoria è quindi una scelta necessaria per restare al passo con le sfide che ci troveremo ad affrontare.

TRASVERSALITÀ E COLLABORAZIONE
È del tutto evidente che queste sfide non impattano unicamente sulla nostra categoria, ma possono essere portate a compimento solo con la collaborazione fra le diverse componenti della società civile: con le istituzioni, con gli albi professionali a noi contigui, con il mondo universitario e della ricerca, coinvolgendo i cittadini.
Tessendo relazioni, quindi.
Relazioni.
Si è parlato spesso di relazioni, in questi anni, durante il passato consiglio di cui ero componente e in questi mesi della nuova consiliatura.
Molti di voi avranno già sentito questa parola fare capolino nei discorsi istituzionali, ma ritengo sia giusto ribadirla perché non ha esaurito la spinta e poiché guida tutt’ora le politiche dell’Ordine.
Un concetto che ho il piacere di ripetere particolarmente oggi, quando lo scorgere gli ospiti presenti – che ringrazio ancora per essere fra noi – ci ricorda l’importanza di collaborare.
Non è un caso, infatti, che nell’immaginare i lavori di questo Congresso, abbiamo scelto e voluto la presenza di ospiti che non appartenessero esclusivamente all’Ordine ma rappresentassero le molte idee con cui ogni giorno interfacciamo la nostra professionalità.
L’Ordine non può accontentarsi di essere autoreferenziale.
Lo sappiamo bene e abbiamo attuato questa visione durante quest’anno di lavoro, consolidando i rapporti con le altre professioni, che soprattutto attraverso la RPT sono diventate interlocutori affidabili e frequenti con cui condividere problematiche e obiettivi trasversali.
Lo abbiamo fatto e lo facciamo con gli interventi su tematiche complesse, come la PAC o il PAN, in cui le nostre posizioni si integrano con quelle di molti portatori di interesse e necessitano di essere condivise da un panel più ampio rispetto al nostro ordine.

Quando penso al PAN, per esempio, mi riferisco alla nostra posizione sull’obbligo di prescrizione degli agrofarmaci: è una richiesta sostenuta da quest’ordine ma che guarda a un traguardo molto più ampio poiché mira alla salvaguardia della salute dei cittadini, dell’ambiente e della biodiversità.
Una proposta che porta in sé un tale beneficio collettivo da oltrepassare le posizioni settoriali, e per questo è lecito attendersi che diventi una scelta adottata e sostenuta da tutti gli attori coinvolti nella discussione.

Un discorso analogo si può fare per la discussione sulla nuova PAC, che lega indissolubilmente la nostra professione a Bruxelles, in primis con la rappresentanza del CEDIA, fondamentale presidio della categoria in quella sede e che ringrazio per la presenza fra noi.
Come dicevo, la politica agricola impatta su molti aspetti e su molti attori, sociali ed economici, sia in Italia che a livello internazionale. Questa complessità è un elemento positivo perché ci obbliga al confronto con i molti soggetti che stanno al nostro fianco. A noi sta il portare al tavolo la nostra esperienza per evitare il ripetersi delle difficoltà che ha mostrato la PAC, dalle farraginosità burocratiche all’inefficacia dimostrata di alcuni strumenti e meccanismi.
Bastano questi due esempi, ma potrei parlare della difesa del territorio o della vivibilità nei centri urbani, della gestione forestale nei prossimi anni, per comprendere che dobbiamo affrontare problemi complessi in cui la singola istituzione non basta, e nemmeno noi, nonostante la nostra capacità di visione d’insieme, possiamo camminare da soli.

POLIEDRICI, NON ONNISCENTI
La nostra capacità professionale ci rende poliedrici. È una qualità che rivendichiamo con forza e che rappresenta la nostra carta vincente. Le nostre competenze ci consentono di spaziare su diversi territori, di progettare, di pianificare e di avere uno sguardo a lungo termine.
Noi ci prendiamo cura della componente biotica, integrandola con quella abiotica.
Noi cerchiamo sempre, quotidianamente, la sostenibilità sapendo che le scelte fatte dovranno trovare un equilibrio con la vita umana.
È una caratteristica bellissima, che emerge con tutta la sua forza nelle nostre attività quotidiane e nelle esperienze che racconteremo in questi giorni. Perfettamente adatte per dare un contributo fattivo agli obiettivi di questo Congresso.

Quello che però non deve accadere è che la nostra poliedridicità sia confusa con l’onniscienza.
Il nostro valore aggiunto è la capacità di visione d’insieme e quella deve restare il punto di forza della categoria.
Per questo motivo molti degli sforzi fatti in questi mesi, e che proseguiranno durante l’intero mandato, sono volti a favorire e incrementare l’associazione fra colleghi e il lavoro multidisciplinare, seppure nel rispetto delle competenze assegnateci: perché questo richiede oggi il mondo del lavoro ed è anche la strada maestra per incrementare il reddito dei nostri professionisti.

Naturalmente sono ben consapevole che le idee poi devono venire a patti con la quotidianità e, sotto questo aspetto, l’Ordine sta cercando di essere più vicino agli iscritti.
Quello che immagino è che questo percorso sia un cammino collettivo, in cui l’Ordine non sia un Moloch burocratico che impone sanzioni e misure coercitive, ma che rappresenti un collettivo di professionisti che sanno collaborare.
Sotto questo aspetto, i consigli precedenti hanno fatto molto, ma molto resta ancora da fare.
La formazione, l’assicurazione e tutti gli altri adempimenti devono essere visti come opportunità, non come obblighi e su questo stiamo lavorando e lavoreremo a lungo per rimuovere gli ostacoli, laddove esistono, che si frappongono fra iscritti, Ordini e Federazioni.
Essere semplici e accessibili diventa l’obiettivo per essere inclusivi.
Ed è ciò che faremo.

IDENTITÀ E APPARTENENZA
Quello che mi immagino è un Ordine scelto da ogni iscritto perché spinto dal desiderio di manifestare il proprio senso di appartenenza.
Guardando ai numerosi iscritti a questo Congresso, sicuramente uno dei più partecipati, seppure in una città bellissima ma non semplice da raggiungere, ci conferma che siamo un Ordine vivo, i cui iscritti sono partecipi alla vita ordinistica e sono consapevoli delle innumerevoli sfide che ci si pongono di fronte.

Quello che dobbiamo, anzi che faremo nei prossimi mesi è diventare attraenti verso i giovani, parlare ai nuovi iscritti, a quelli che si stanno laureando e si laureeranno diventando i colleghi di domani.
Gli uomini e le donne che oggi stanno affrontando un cambiamento, ma dovranno essere in grado di viverlo e non subirlo, diventando preda di facili slogan. E il ruolo dell’istruzione di ogni livello e grado, ma ancor più dell’università è proprio quello di contribuire a raggiungere questo risultato, formando colleghi che un domani potranno esercitare o meno la libera professione, ma che sicuramente dovranno avere competenze e sensibilità che solo con uno stretto rapporto tra il mondo della professione e l’università si potranno ottenere.
Essere semplici e vicini, però è solo una pre-condizione, necessaria ma non sufficiente.
Quello che dobbiamo fare è acquisire una forte identità, sapere chi siamo e presentarci sempre come un unico corpo.
Questo perché, con un’identità definita, risulterà più semplice collocarci all’interno di una rete di relazioni: se so chi sono non avrò più il timore dell’altro, né che possa sottrarmi spazio, ma dialogherò ben sapendo cosa posso dare, cosa posso ricevere e quali opportunità possono nascere dalla collaborazione.

L’ho detto e lo ribadisco, anche in questa conclusione.
I tempi che abbiamo davanti ci propongono problematiche complesse in cui solo con un approccio multidisciplinare e multi-attoriale si possono raggiungere i traguardi. Lo vediamo a partire dai 4 temi in discussione in questo Congresso.
È una sfida ambiziosa? Certamente. Ma sono altrettanto consapevole che i dottori agronomi e i dottori forestali che mi onoro di rappresentare sapranno essere protagonisti in Italia e nel mondo per far sì che i principi enunciati non restino utopia ma si trasformino in realtà.
Buon lavoro a tutti noi.

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