silvicoltura – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Sun, 31 May 2020 14:08:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-casco //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-casco/#comments Mon, 04 May 2020 04:31:30 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67670 di Giovanni Maiandi (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia), Silvia Pirani (dottore forestale, consulente di Unione Montana Valsesia),Luca Galeasso (Environment Park)

Progetto CaSCo e certificato Low Carbon Timber

Il problema dei cambiamenti climatici focalizza ormai da anni l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, oltre che della comunità scientifica.
Nel Nord Italia, a tale questione si aggiungono gli effetti dell’elevato tasso di particolato e biossido di azoto in atmosfera, cosicché il fenomeno determina un peggioramento della qualità dell’aria per il quale il nostro Paese è soggetto a procedura d’infrazione da parte dell’UE.
Nel settore della produzione del legno, la componente di gran lunga più impattante sotto questo profilo è quella del trasporto, che è anche il segmento sul quale è possibile incidere maggiormente con strategie volte a ottimizzare i trasferimenti.

Legname di prossimità
Il progetto internazionale CaSCo (acronimo di Carbon Smart Communities)1 è un progetto europeo finanziato dal programma Interreg Spazio Alpino incentrato sulla promozione del “legname di prossimità”.
L’obiettivo di questo progetto è stato, per l’appunto, quello di incentivare la riduzione delle distanze coperte nel ciclo produttivo degli assortimenti legnosi, massimizzando la sostenibilità e riducendo gli impatti climalteranti associati ai trasporti. Tale approccio sottintende il passaggio dalla tradizionale idea geografica di “regionalità”, che spesso non trova una giustificazione nelle caratteristiche tecnologiche del legname locale, a un’idea di “sostenibilità”, che punta sul maggior valore ambientale del materiale lavorato e posato vicino al luogo di raccolta.
Si tratta di un progetto è piuttosto articolato, che comprende una raccolta dati sulle filiere locali, attività di animazione e formazione rivolte a imprese, enti pubblici, tecnici, una sezione specificamente dedicata al tema del green public procurement, iniziative di comunicazione, e anche lo sviluppo di strumenti di supporto e la loro sperimentazione attraverso progetti pilota che coinvolgono il tessuto produttivo del settore forestale e la pubblica amministrazione.
Oggi, il progetto CaSCo è in fase conclusiva e con esso termina la sperimentazione degli strumenti che sono stati messi a punto per supportare un’iniziativa di più ampio respiro, in grado di coinvolgere un maggior numero di operatori e tecnici del settore. Alcuni degli output realizzati offrono spunti originali per la promozione del legname piemontese e per la professione del Dottore Forestale.

Il certificato Low Carbon Timber
Con CaSCo si è avviato l’adeguamento al contesto piemontese e italiano di un sistema di certificazione tedesco, Holz von Hier (trad. Legno da qui), in grado di attestare la distanza percorsa da un assortimento legnoso nel proprio ciclo produttivo, dal luogo di raccolta alla destinazione finale.
Ne risulta un’informazione molto diretta e di facile comprensione, i chilometri effettuati, che è direttamente correlata con l’impronta di carbonio (la quale può essere calcolata e inclusa nella certificazione).
La versione italiana del marchio prende il nome di Low Carbon Timber (LCT) ed è in fase di sperimentazione.
I requisiti di base per accedere al certificato sono:

  • la sostenibilità della gestione forestale
  • il rispetto di soglie massime di distanze sottese al processo produttivo, definite per assortimento.
Benchmark 
(distanze in km) adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)
Benchmark:distanze in km adottati a titolo sperimentale per la certificazione Low Carbon Timber (distanza riferita all’intero processo produttivo, dalla raccolta alla posa)

Nell’attuale carenza di superfici forestali certificate GFS, per ora in Italia il rilascio richiede una verifica dei requisiti de facto di sostenibilità, legalità e tracciabilità, attraverso una documentazione che qualsiasi taglio boschivo legale eseguito da un’impresa forestale iscritta all’Albo può produrre. Anche le distanze-soglia di riferimento sono state adattate alla realtà italiana, adottando in via sperimentale la tabella in figura.

Prospettive di sviluppo per il “legno di prossimità”
Il settore legno italiano è affetto da un gap importante tra la domanda, cospicua, continua e strutturata, di legname e semilavorati da parte dell’industria di seconda trasformazione, e l’offerta interna, ridotta e frammentaria, che ai piccoli acquirenti locali preferisce grandi compratori fuori-zona in grado di ritirare il materiale in qualsiasi momento, anche se a prezzi più bassi.
A fronte di un settore delle costruzioni che, quando pure utilizza il materiale legno, si orienta quasi sempre su lamellare e sistemi progettuali e costruttivi standardizzati, non è realistico pensare che la promozione del “legno locale” possa in qualche modo ridurre la dipendenza di questo mercato mainstream dalle importazioni. La chiusura di molte segherie in conseguenza della crisi del 2009-11 è già di per sé un ostacolo insormontabile alla ricostituzione di filiere territoriali capaci di flussi importanti.
Tuttavia, nel corso del progetto è emersa anche una realtà, diffusa quanto sottovalutata, di scambi proficui tra operatori locali. In Valsesia per esempio, uno dei territori di indagine che ha ospitato un certo numero di esperienze pilota, la costruzione e ristrutturazione delle case tradizionali in legno, in un’area caratterizzata dalla presenza dei Walser2, è un ambito di particolare interesse per la valorizzazione del legname locale, che già si utilizza insieme a quello di importazione. Si evidenzia che, a differenza di quanto osservato presso i partner di progetto tedeschi e austriaci, concentrati nell’ottimizzare le catene di approvvigionamento di grandi flussi di merci industriali, la declinazione italiana del legno locale passa per la valorizzazione di piccole lavorazioni artigianali, per lo più in legno massiccio, con un elevato grado di esperienze legate alle tradizioni costruttive locali.
Sebbene siano stati certificati LCT manufatti in legname lamellare di castagno prodotti in regione, sembra delinearsi una sinergia legno locale – legno massiccio – sistemi costruttivi artigianali, contrapposta al sistema legno d’importazione – legno lamellare – prodotti e sistemi costruttivi standardizzati, che fa intravedere una possibile connotazione in stile slowfood come veicolo promozionale in grado di valorizzare il legname locale.

Costruzioni, palerie, cippato: 3 settori da esplorare
Individuata la potenzialità, il ruolo del tecnico forestale sarà quello di “scovare” sul territorio queste condizioni partendo da produzioni esistenti e renderle appetibili mettendone in luce le performance ambientali con adeguati strumenti, come può essere il marchio Low Carbon Timber.
Non bisogna sottovalutare, infatti, che esiste una clientela finale pronta a recepire l’importanza del valore aggiunto conferito a una costruzione dall’utilizzo di legno a km0, se reso adeguatamente riconoscibile da una certificazione di terza parte.

Anche nel settore della paleria sono emersi spunti simili. Produzioni vitivinicole pregiate, in espansione nella fascia pedemontana compresa tra Biellese e Alto Novarese (Bramaterra, Gattinara, Boca, Ghemme) tengono molto all’immagine del loro prodotto e sembrano interessate all’uso di paleria certificata di prossimità.

La filiera è da costruire e compito del dottore forestale sarà, oltre che mettere in rete gli operatori, individuare soprassuoli in grado di fornire assortimenti adatti in una zona in cui pochissimi sono i cedui a regime. Nell’ingegneria naturalistica e negli arredi esterni, soprattutto in aree protette e della rete Natura 2000, c’è spazio per proporre elementi in legname km 0, come fa Oasi Zegna, uno degli aderenti al progetto CaSCo più significativi.

Fornitura di pali certificati LCT destinata all’impianto di una vigna per la produzione di Bramaterra

Infine, la filiera del cippato da riscaldamento ha in questo momento un forte bisogno di dimostrare la propria ecosostenibilità, vista l’incidenza sull’inquinamento da particolato attribuita alle biomasse legnose. Ciò può essere fatto attraverso un bilancio globale delle emissioni del ciclo produttivo, in cui diventano decisivi la qualità dell’impianto, la qualità del combustibile e il bilancio delle emissioni nel ciclo produttivo. Nell’ambito del progetto CaSCo, i due fornitori di calore da biomasse operanti in Valsesia emetteranno un certificato LCT periodico che dimostri la sostenibilità della catena di approvvigionamento, a vantaggio dei Comuni proprietari degli impianti.

Conclusioni
Il progetto è in chiusura e lascia in eredità un kit di strumenti promozionali del legno locale; tra questi spicca il protocollo Low Carbon Timber, che alcuni operatori economici convolti nel progetto utilizzano già in chiave commerciale e promozionale della loro attività.
Pur senza alimentare l’illusione di ricostruire una filiera foresta-legno nazionale che riduca la nostra dipendenza dalle importazioni, anche grazie a questi strumenti un approccio bottom-up può aumentare visibilità e interesse verso produzioni di nicchia km0 ecosostenibili, che possono stimolare l’offerta di tondo locale e crescere armonicamente con essa.
I dottori forestali sono gli unici soggetti che possiedono le competenze tecniche e, soprattutto, una conoscenza del territorio e degli operatori tale da poter operare in questo senso. Il ruolo del professionista è basilare, ma deve arricchirsi di conoscenze commerciali che emergono come il punto debole della sua formazione ed esperienza: la dimestichezza col mercato del legno e la capacità di muoversi in esso.
Allo stesso tempo, è necessaria una cabina di regia a livello regionale che supporti le filiere locali mettendole in rete, una sorta di clusterdel legno locale, attore di una progettualità che sia in grado di convogliare risorse comunitarie su strategie mirate, senza disperderle in una pletora di iniziative puntuali e scoordinate.

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Impatto delle traslocazioni storiche del larice europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo //www.agronomoforestale.eu/index.php/impatto-delle-traslocazioni-storiche-del-larice-europeo/#respond Tue, 24 Mar 2020 15:40:09 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67554 Hannes Raffl è l’autore di questa ricerca vincitrice del “Dr.-Berthold-Pohl” grant 2019, assegnato dall’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestale di Bolzano.
L’intero studio è stato pubblicato nel Journal Annals of Forest Science “Genetic evidence of human mediated, historical seed transfer from the Tyrolean Alps to the Romanian Carpathians in Larix decidua (Mill.) forests

 

Il larice europeo (Larix decidua) è una specie pioniera in Europa, è deciduo ed endemico ma ha una distribuzione nativa che è altamente separata. La specie, infatti, nel nostro continente si presenta principalmente in quattro regioni: le Alpi, i Carpazi, i Sudeti orientali e la pianura polacca, che rappresentano l’area nativa ricolonizzata dalla specie dopo l’ultimo periodo glaciale.
Grazie a questa separazione tra gli areali, si sono sviluppate diverse varietà che differiscono sia a livello molecolare che morfologico, per esempio in alcuni tratti di crescita, nella dimensione del cono o nel colore dei fiori femminili. Tutte e quattro le regioni possiedono quindi il proprio pool genetico (refugia), che svolge un ruolo importante nella conservazione e nell’adattamento ai futuri cambiamenti ambientali (e al cambiamento climatico).

Le posizioni di campionamento. Punti blu: Tirolo del nord, Austria; punti verdi: Provincia autonoma di Bolzano, Italia); punti rossi: Romania. R1, R2 e R4 sono le popolazioni di larici autoctoni, R3 è il rimboschimento alloctono dell’Alto Adige in Romania. La gamma di distribuzione nativa di Larix decidua con le quattro regioni (a: Alpi, b: Carpazi, c: Sudeti orientali, d: pianura polacca) è indicata dalla linea tratteggiata arancione.

Secoli di silvicoltura
Il larice europeo è un’importante specie forestale utilizzata principalmente per il suo legname, anche se scandole e assicelle sono comunque prodotti importanti a livello locale.
L’appetibilità sul mercato di quest’albero, a cavallo tra il XVII e l’inizio del XX secolo, l’ha reso una delle specie predilette per la silvicoltura a scopo commerciale in tutti i 4 gli areali nativi. In particolare dopo la seconda metà del XIX secolo, periodo in cui si è accentuato sia il commercio di legname che la coltivazione forestale grazie alla rapida istituzione del sistema ferroviario nell’Europa centrale e settentrionale, che ha favorito il commercio di materiale vegetale.
L’impatto della silvicoltura e dei rimboschimenti hanno conseguentemente allargato l’areale iniziale, che si è esteso sia all’esterno e anche all’interno delle quattro aree native della specie, fino a raddoppiare le superfici: oggi è comune trovare il larice in tutta la zona temperata dell’Europa (in particolare Germania, Francia, Danimarca, Gran Bretagna, Svezia e Norvegia).

Sotto un unico impero
Durante l’Impero austro-ungarico, la coltivazione di larice alpino è stata fortemente promossa. In questo contesto storico, i lariceti dei Carpazi meridionali e orientali (Transilvania, Romania), regione all’epoca sotto il potere asburgico, hanno subito un forte trasferimento di piante e semi di larice provenienti da altre regioni native, in particolare da quelle tirolesi (alpine).
Purtroppo, le informazioni sull’esatta provenienza del materiale vegetale sono raramente disponibili, ma l’ipotesi dell’impiego di materiale vegetale proveniente dalle Alpi è accreditata sia dal comune governo delle due regioni geografiche, che dalla parziale documentazione disponibile sul commercio di semi: diversi registri tracciano l’uso di semi alpini, provenienti principalmente dal Nord Tirolo (Austria) e dalla valle Adige e Isarco della Provincia Autonoma di Bolzano (Italia) a partire dalla metà del XIX secolo.

La ricerca del genoma originario
A distanza di quasi un secolo dal crollo dell’impero asburgico, è ancora possibile trovare il larice delle Alpi in Romania?
In tal caso, è rilevabile l’influenza tirolese sul patrimonio genetico delle popolazioni di larici rumeni autoctoni, siano essi adulti o giovani esemplari di rigenerazione naturale?
Mancando un inventario genetico del larice europeo all’interno dell’attuale area di distribuzione, per rispondere a queste domande è stato necessario indagare l’introgressione / ibridazione genetica nelle popolazioni rumene sulla base di un confronto genetico tra i larici rumeni e tirolesi (alpini).

Dendrogramma genetico che mostra le relazioni tra i genomi di larice campionati. I cerchi riassumono i relativi stand e formano i rispettivi gruppi genetici. Ciò che colpisce è il raggruppamento tra le due regioni Tirolo e Romania ma anche all’interno delle regioni, che indica un’elevata biodiversità genetica del larice europeo. R: Romania T: Tirolo ST: alto adige A: esempliare adulto J: esemplare giovane

La ricerca ha visto, quindi, una prima fase di raccolta di aghi e cambium di larici rumeni, includendo materiale proveniente anche da tre areali nativi dei Carpazi meridionali e orientali (denominati R1, R2, R4 in Fig. 1 e 2 e divisi ciascuno in adulti e giovani). Una difficoltà della ricerca, infatti, è data dal fatto che le attuali popolazioni autoctone di larici in Romania sono molto frammentate e di difficile individuazione: sono note solo tre piccole aree native, di appena 100 ettari, poste sulla fascia altitudinale subalpina e che formano degli importanti hotspot di biodiversità nei Carpazi meridionali e orientali.
Al materiale romeno si sono aggiunti i campioni raccolti in quattro lariceti, due nel Nord Tirolo (Austria; denominati T9-12 in Fig. 1 e 2) e due in Alto Adige (Provincia Autonoma di Bolzano, Italia; denominati ST5-8 in Fig. 1 e 2) così da includere nell’analisi la possibile area di origine delle traslocazioni di semi e piante.
Per quanto riguarda le aree native romene, vista la limitatezza delle superfici, non si ha la certezza della purezza genetica delle piante, che potrebbero essere state inquinate dai geni del larice tirolese traslocato. Se così fosse, il trasferimento di larice non adattato a quello specifico ambiente potrebbe aver causato casi di ibridazione intraspecifica e avere prodotto un cambiamento nella capacità di resistenza e nella capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali delle popolazioni autoctone locali.

Certificato di origine
Per le analisi di laboratorio sono stati usati i cosiddetti microsatelliti (tratto di DNA non codificante ripetuto molte volte, caratterizzato da una sequenza di due o tre nucleotidi ripetuta in gruppi sparsi in tutto il genoma) che consentono di scoprire le informazioni genetiche partendo dagli aghi e dal cambium e, conseguentemente, di ottenere le caratterizzazioni genetiche di ciascun individuo e identificare le diverse relazioni genetiche.
Un lavoro notevole, ma che ha dato i suoi frutti: per la prima volta è stato possibile provare con certezza la presenza dei larici tirolesi (alpini) in Romania.
Il modello genetico ricavato, infatti, ha confermato la provenienza nord tirolese dei larici alloctoni in Romania, dato coerente con i documenti storici che tracciano i trasferimenti di semi provenienti da fonti alpine (tirolesi) nei Carpazi orientali e meridionali.
Inoltre, è stata individuata un’intera foresta di larici tirolesi vicino alla città di Braşov in Romania (chiamata R3 nelle Fig. 1 e 2) e, anche se sarebbe necessario procedere con analisi più approfondite, è plausibile ipotizzare che ci possano essere singoli individui tirolesi all’interno delle popolazioni native. In questo caso, la comprensione e la misurazione dell’entità di tale impatto genetico è tanto interessante quanto difficile, poiché dipendente dalla composizione genetica delle popolazioni residenti e dalla differenza ambientale tra i siti di emigrazione e quelli di immigrazione, anche se certamente è maggiore quando le popolazioni locali sono piccole, proprio come nel caso romeno.
Procedendo con la mappatura delle relazioni tra i singoli lariceti, come raffigurato nel dendrogramma che separa i cluster in base alle differenze genetiche, è interessante da sottolineare la posizione della foresta rumeno R3: geneticamente deve essere inserito nel gruppo nord tirolese, il che conferma la sua origine alpina.

Risultati inattesi
C’è stato anche un risultato parzialmente difforme dalle aspettative. Se da un lato la genetica conferma la presenza di esemplari tirolesi in Romania, tuttavia l’inquinamento riscontrato appare in misura minore alle attese: gli ibridi intraspecifici sono scarsamente rappresentati (percentuale massima del 3%) sia negli adulti che negli esemplari più giovani di rigenerazione naturale.
A ciò si aggiunge che la percentuale degli ibridi è leggermente più alta negli esemplari di rigenerazione naturale, confermando l’inizio di un processo di integrazione dei geni tirolesi “disadattati” nelle popolazioni di larici naturali, ma con ritmi molto lenti. Una lentezza nell’integrazione genetica che parrebbe sostenere un’ipotesi: alcuni parametri della riproduzione gamica sembrano essere mal sincronizzati, per esempio la fenologia della fioritura o la selezione postzigotica, il che potrebbe causare mortalità embrionale e giustificare i limitati tassi d’ibridazione.

Uno degli stand autoctoni di larice nel Tirolo (Austria), indicato come T12 nelle figure 1 e 2.

Conclusioni
Questo studio ha dimostrato che i larici del Tirolo e quelli della Romania differiscono geneticamente, il che è sostanzialmente riconducibile alla separazione delle diverse aree di rifugio formatesi durante l’ultima era glaciale.
Ma questa grande differenza genetica è stata riscontrata anche all’interno delle stesse regioni campionate: è stato possibile distinguere gli esemplari del Nord Tirolo da quelli dell’Alto Adige e, in Romania, tra quelli dei singoli lariceti autoctoni, in cui ognuno presenta il proprio caratteristico hotspot genetico. Come si vede bene nella figura 2, all’interno del cluster rumeno si possono individuare i tre lariceti autoctoni, che mostrano grandi differenze genetiche tra loro, con le singole popolazioni che si mantengono quasi indipendenti con tassi di consanguineità relativamente elevati. Un’interessante rilevazione considerando il ruolo importante che svolgono nella conservazione della biodiversità.

 

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Progetto SLOPE: selvicoltura di precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-slope-selvicoltura-di-precisione/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=progetto-slope-selvicoltura-di-precisione //www.agronomoforestale.eu/index.php/progetto-slope-selvicoltura-di-precisione/#respond Sun, 08 Jul 2018 11:36:31 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=66975 La silvicoltura in Italia è un’attività che si fa in pendio, “slope” in inglese.
Ciò si traduce in difficoltà d’accesso al bosco, con conseguente poca meccanizzazione e minore competitività della silvicoltura del Belpaese, se confrontata a quella nordeuropea.
Con questa riflessione inizia il progetto SLOPE, avviato dall’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (Ivalsa) del Cnr, con la Fondazione Graphitech di Trento, specializzata in geo-informatica, e coinvolgendo sia partner europei che due aziende italiane, la Greifenberg Teleferiche e Flyby srl.
Ne abbiamo parlato con Gianni Picchi, ricercatore CNR- IVALSA e coordinatore del progetto.

Quali criticità vi siete proposti di risolvere?
Il progetto nasce nel 2012, con un bando per sviluppare delle macchine intelligenti per migliorare l’agricoltura forestale. Ci siamo chiesti se fosse possibile sviluppare un sistema che aiutasse nella stima delle cubature e nella valutazione della qualità del legname.
Solo quest’attività valutativa, infatti, è estremamente onerosa in termini di tempo necessario ed è svolta con un doppio passaggio: sia da chi vende che da chi acquista il legname.
In termini pratici, solo l’attività di stima incide tra i 6 e i 10 euro al metro cubo sul prezzo finale del legname (stima dei tecnici della Provincia di Trento), ossia oltre il 10% per il legname di buona qualità il cui prezzo finale si aggira sugli 80-85 euro al metro cubo.
Se poi si considera che sulle Alpi e sugli Appennini si opera in terreni scoscesi, dove sarebbe impossibile fare entrare grossi macchinari industriali senza effetti altamente distruttivi e che, rispetto ai Paesi scandinavi, in Italia si pratica la selvicoltura naturalistica che preleva solo le piante mature e lasciando sul posto quelle giovani, è evidente che abbiamo un problema di competitività del sistema.

Che soluzioni avete trovato?
Abbiamo sviluppato un processore forestale intelligente con cui, grazie alla tecnologia RFID (Radio-Frequency IDentification), è possibile etichettare il legname ben prima che arrivi in segheria, dove oggi è una tecnologia già impiegata.
Questa etichettatura consente di valutare la qualità del legname già nel bosco e stoccarlo a bordo strada separando le qualità: in questo modo i lotti possono essere venduti a segherie o fabbriche specializzate che magari vogliono una sola qualità di legname.
Non solo, l’efficienza del sistema si riverbera anche sui costi di abbattimento, selezionando solo i fusti che interessano o che sono richiesto dal mercato, riduce i costi di trasporto e anche quelli di stoccaggio.

Le fasi del processo

Un progetto che prevede la mappatura del bosco…
Oggi la mappatura di un bosco si fa con le ricognizioni aeree, che offrono stime ancora poco raffinate.
Noi siamo partiti dall’inventario forestale eseguito dalla Provincia di Trento, integrandolo con le immagini satellitari e quelle effettuate con spettrofotometri installati su droni sia con telecamere che con visori a infrarosso.
Poi abbiamo costruito un modello tridimensionale della copertura arborea e dell’orografia del terreno e anche una stima della massa legnosa, utilizzando anche i dati raccolti con il sistema LIDAR, un laser scanner impiegato sottochioma che riesce a ricostruire i tronchi ancora in piedi, geo-referenziando il tutto.
Inserendo i dati nel modello informatico è possibile conoscere il volume complessivo del legname e il suo valore teorico.

Laser Scanner LIDAR

Quindi è possibile valutare la singola pianta …
È possibile eseguire la rastremazione del singolo tronco e procedere con la stima del valore della pianta in piedi e la valutazione degli assortimenti, assegnando a ogni albero un’etichetta con un codice univoco che collegata all’albero riprodotto nel database.
Il selvicoltore, quindi, marca le piante con sistemi visivi e con etichette elettroniche, anche se è pensabile che in un prossimo futuro si possa fare la “martellata” direttamente sul software.
Già in questa fase si può simulare quale taglio ottimale ottenere con ogni fusto, magari preferendo una maggiore qualità oppure con tagli per massimizzare la quantità.
E con la tecnologia RFID, con cui è stato etichettato il tronco, è sufficiente avere con sé uno smartphone per associare la pianta digitale del nostro modello, con la pianta reale.


Fin qui la pianificazione, però resta ancora la fase di taglio.

L’ingegnerizzazione del bosco consente di ottimizzare moltissime fasi del processo.
Abbiamo un tronco riconoscibile, di cui conosciamo tutti i dati “in piedi”: localizzazione, dimensioni, tipologia, ecc.
La ricerca è quindi proseguita sviluppando dei prototipi di macchine da taglio.
In questa fase sperimentale abbiamo testato diversi tipi di sensori, fino a 16, con caratteristiche, costi, capacità di resistere agli impatti molto diversa.

I sensori sulla tagliatrice

Abbiamo testato telecamere iperspettrali sensibili a varie bande, tra cui l’infrarosso vicino (NIR), sensori ottici e sensori sonori per avere dati utili alla catalogazione della qualità, per avere indicazioni di taglio del tronco così da togliere eventuali marciumi.
Abbiamo installato anche sensori di taglio sulla motosega, per valutare lo sforzo e stimare la durezza del legno. Abbiamo, infine, provato un sensore che dà l’indice di ramosità del tronco.
Una mole di dati notevole di dati utili per trasformare il fusto nel tronco tagliato con le caratteristiche qualitative desiderate.
Finito il taglio, la sega automatizzata applica una seconda etichetta al tronco per tracciare e conservare le informazioni raccolte in questa fase (marciumi, numero di rami, consistenza del legno, ecc.) mandandole alla centrale operativa.
Dalla centrale si può già vendere il legname di cui conosco praticamente tutto, direttamente a bordo strada. Non sono più necessarie tutte le operazioni di assortimentazione in bosco o in piazzale, poiché il legname è già posto in cataste di omogene.

Progettare il lavoro in bosco

Resta il problema di far uscire la legna dal bosco
La mappatura consente anche di pianificare le teleferiche forestali. Conosciamo il profilo del suolo e il profilo del bosco, coi dati che abbiamo possiamo farci aiutare dal sistema a progettare le teleferiche.
Davanti al pc posso progettare il numero di scarpe che voglio per ottimizzare il trasporto del legname, magari massimizzando le quantità raggiungibili, oppure concentrando le linee là dove il legno ha una qualità maggiore o una tipologia interessante per il cliente.

Un grande valore è la tracciabilità dell’intera filiera
Sì, oltre l’ottimizzazione dei costi e della possibilità di vendere meglio il legname, questo sistema garantisce la certezza del tracciamento del singolo tronco dal bosco fino a diventare un asse e fino a diventare mobile.
Si tratta di dare ulteriore valore al legname per chi cerca la filiera corta, o vuole legname di provenienza legale garantita, o compra legno da foreste sostenibili e via dicendo.

Dalle vostre valutazione si possono effettivamente ridurre i costi?
Abbiamo realizzato delle stime estremamente prudenziali e nei nostri calcoli abbiamo sempre preferito scegliere le valutazioni più svantaggiose per SLOPE, assegnando poco o nessun valore a quelle attività che generano un beneficio, ma che sono difficilmente quantificabili e poco oggettive.
Nonostante ciò, il costo al metro cubo si riduce di 10€ al metro cubo, cioè da 80 a 70 euro, valutate su un bosco in Provincia di Trento.
Voglio ribadire, però che le soluzioni trovate facilitano, organizzano, migliorano tutte le fasi e quindi, anche se avessimo riscontrato una parità di costo tra i due sistemi, il vantaggio di SLOPE è senza dubbio notevole.

I costi con il sistema tradizionale

I costi con il sistema SLOPE


La proprietà dei boschi è parcellizzata. Voi proponete un sistema che, a prima vista, sembra adatta a grandi aziende o chi ha vaste superfici …

Noi proponiamo uno strumento tecnico e come tale va visto nelle singole situazioni.
Così com’è stato pensato giò va bene per un ente pubblico, penso alla Provincia di Trento, oppure a grandi privati come la Magnifica Comunità della Val di Fiemme.
Il piccolo privato, invece, dovrebbe consorziarsi o aggregarsi o vendere a grandi clienti. Indubbiamente serve un cambio di approccio, ma se i grandi committenti iniziano a impiegare questo sistema è plausibile che i piccoli si adeguino vedendone i positivi riscontri.

È un sistema valido anche per altri ambienti e altre tipologie vegetali?
Sì, senz’altro. La sperimentazione è stata fatta sulle Alpi e con l’abete rosso (Picea abies (L.) H.Karst., 1881) perché potevamo confrontare i dati storici con quelli della nuova proposta, ma il modello sviluppato si può applicare anche altrove.
Probabilmente ci potrà essere la necessità di qualche adattamento, per esempio alcuni sensori lavorano meglio con le conifere rispetto alle latifoglie, ma nulla che invalidi il sistema.
Forse la difficoltà maggiore è data dal fatto che in Appennino c’è meno fustaia, meno coltivazione forestale a fini industriali, ma rendendo più efficiente e competitiva la silvicoltura potrebbe far cambiare anche questo aspetto.


L’analisi dei costi: SLOPE System Techno- economic Evaluation Report III

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