sostenibiità – Coltiv@ la Professione //www.agronomoforestale.eu agronomi e forestali Thu, 17 Jun 2021 15:50:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.5 La Carbon Footprint dell’olio extra vergine di oliva come strategia di Green Marketing. Un’indagine sui consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-carbon-footprint-dellolio-extra-vergine-di-oliva-come-strategia-di-green-marketing-unindagine-sui-consumatori/#respond Mon, 22 Mar 2021 17:00:58 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=68060 Di Antonio Petracca, vincitore del premio di laurea Massimo Alberti 2021. Dottore Magistrale in Sviluppo Rurale Sostenibile

In un clima di crescente considerazione per la sostenibilità, sono sempre più le iniziative che mirano a sviluppare processi di produzione che portino alla realizzazione di prodotti eco-sostenibili.
Inoltre, se ben sfruttate, queste pratiche possono apportare vantaggi economici, oltre che ambientali, per le aziende che intraprendono questa strada. Tutto sta nel mettere in atto idonee strategie di Green Marketing che hanno come scopo quello di comunicare al consumatore la sostenibilità del proprio prodotto.

Come creare una filiera ecosostenibile
Lo studio, condotto nel 2019 all’interno di un progetto promosso dal PSR Umbria, aveva lo scopo di creare una filiera ecosostenibile nel settore olivicolo-oleario. Le aziende locali umbre coinvolte, utilizzando l’approccio Life Cycle Assessment, avrebbero avuto così le basi necessarie per la certificazione della Carbon Footprint (ISO 14067).
Le esperienze nella Carbon Footprint a livello di filiera sono attualmente molto limitate, nonostante consenta di individuare percorsi e azioni condivise per combattere il cambiamento climatico, dando la possibilità di concorrere alla Green Economy. Infatti, il miglioramento della competitività in questo settore diventa una spinta verso la produzione con minori emissioni e un elemento distintivo sul mercato finale: si possono enfatizzare i risultati indirizzandosi verso i consumatori propensi al Green Consuming.
Partendo da questo assunto, il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio, per permettere di capire le potenzialità di vantaggio economico che questo progetto può apportare alle aziende aderenti.

Il lavoro di tesi ha incentrato la sua indagine sulla DaP (Disponibilità a Pagare) dei consumatori riguardo la certificazione dell’impronta del carbonio

Assorbire CO2 per essere competitivi
Perché prendere in considerazione proprio l’olio extra vergine di oliva? Come dimostrato da molti studi, l’olivo ha una gran capacità nell’assorbire CO2. L’opportunità sta quindi nello sfruttare questa caratteristica peculiare mettendo in risalto la sostenibilità dell’olio extra vergine di oliva, prodotto che riveste un ruolo importantissimo all’interno della nostra dieta alimentare.
Inoltre, il mercato globale dell’olio extra vergine di oliva è in continua crescita e registra un aumento delle produzioni, soprattutto in quei Paesi che hanno visto uno sviluppo dell’olivicoltura di tipo intensivo.
Il settore olivicolo italiano, però, trova non poche difficoltà a competere nel contesto mondiale, prevalentemente per le peculiarità che non ne consentono la competitività sia dal punto di vista della produzione che dal lato dei costi.
Puntare sulla qualità del prodotto e sullo sviluppo di sistemi gestionali in grado di consentire la sostenibilità delle produzioni e l’abbattimento delle emissioni potrebbe essere una delle soluzioni. Le certificazioni ambientali, infatti, possono aiutare a migliorare la competitività del settore e a produrre con un possibile vantaggio commerciale.

Impronta del carbonio
La Carbon Footprint è un parametro introdotto per quantificare la totalità delle emissioni di gas a effetto serra associate direttamente o indirettamente a un prodotto, a un’organizzazione o a un servizio.
Essa rappresenta un indicatore utile a monitorare l’efficacia della politica di gestione ambientale tramite la redazione del cosiddetto “inventario delle emissioni di gas ad effetto serra”. Il punto di forza di questa certificazione sta anche nella facile comprensione ed efficacia dal momento che il consumatore dispone di un valore che indica i kg di CO2 emessi per produrre, nel nostra caso, la bottiglia d’olio.

Misurare l’effetto sul consumatore
La valutazione della risposta del consumatore a un olio extra vergine di oliva con certificazione Carbon Footprint è stata possibile avvalendosi del metodo di analisi dei Choice Experiment (esperimenti di scelta).
Il principio generale di questo metodo è quello di indurre i consumatori a esprimere delle preferenze riguardo a determinati beni e a definire il livello di benessere/utilità che ne ricaverebbero dall’utilizzo. Tutto questo avviene grazie alla creazione di uno scenario di mercato ipotetico, che permette di simulare l’acquisto di beni scegliendo tra più alternative proposte.
Per esprimere il valore economico di un bene in termini di preferenze dei consumatori, il modo più immediato è quello di trasformare la domanda aggregata di quello stesso bene in Disponibilità a Pagare (DaP). La DaP è la quantità massima, ovvero la massima somma, che un soggetto è disposto a pagare per usufruire di un certo servizio, per godere di un determinato bene o per migliorarlo.

La struttura dell’indagine
La ricerca empirica si è basata su un questionario somministrato ai consumatori, articolato in diverse parti (dati socio-demografici, comportamento d’acquisto di olio di oliva, fattori rilevanti nella decisione d’acquisto, esperimento di scelta).
La parte più importante del questionario è quella dell’esperimento di scelta (Choice Experiment), dove l’intervistato viene messo di fronte a diversi profili di olio ottenuti dalla combinazione degli attributi e dei livelli che descrivono il prodotto, scelti nella fase di definizione del disegno sperimentale. In particolare, per questo studio sono stati ottenuti 60 diversi profili di olio. La scelta degli attributi è stata fatta attraverso un’approfondita ricerca in letteratura e attraverso l’organizzazione di focus group con l’obiettivo di mettere in evidenza quelle componenti (attributi) del prodotto che lo caratterizzano e che sono maggiormente rilevanti nei momenti di scelta.
Gli attributi emersi da questa prima fase di analisi sono stati: il formato della bottiglia, l’origine, il canale di vendita, la presenza della certificazione Carbon Footprint e il prezzo di vendita.

I risultati
I risultati ottenuti dalle interviste condotte1, hanno confermato l’ipotesi iniziale dell’indagine, ossia che un olio extra vergine di oliva con certificazione della Carbon Footprint riceverebbe apprezzamenti da parte dei consumatori.
Infatti, dall’analisi econometrica dei dati ottenuti dai Choice Experiment, l’attributo inerente all’impronta del Carbonio ha rinvenuto un coefficiente di significatività elevato, secondo solo a quello dell’attributo della vendita diretta. Questo dato sta a significare che la maggior parte degli intervistati posti d’innanzi ai vari profili di olio sono stati influenzati positivamente nella scelta dalla presenza dell’attributo inerente alla Carbon Footprint.

Successivamente è stata stimata la disponibilità a pagare per gli attributi presi in considerazione nell’analisi, ed è stata riscontrata una DaP di 5,18 euro per la certificazione della Carbon Footprint.
Questo valore rappresenta la somma massima che i consumatori intervistati sarebbero disposti a pagare in più rispetto ad un olio senza questa certificazione. Questo risultato dà ulteriore conferma del fatto il consumatore è disposto a pagare un premium price per un olio a basso impatto di emissioni.

Percentuale di importanza delle informazioni presenti in etichetta rilevate dalle preferenze del campione

Agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto

Sulla base dei dati raccolti, inoltre, sono emersi ulteriori fattori altrettanto rilevanti, quali un’elevata DaP in relazione all’origine del prodotto e al canale di vendita diretta. Ciò trova riscontro nelle conclusioni di altri studi che affermano che il mercato dell’olio di oliva, in particolare l’extra vergine, vede un forte legame del prodotto con la dimensione locale, la quale rappresenta un elemento efficace di creazione di valore per il consumatore.
Alla luce di quanto detto, agli occhi dei consumatori la presenza della certificazione della Carbon Footprint possibilmente offerta da un prodotto locale rappresentano due elementi rilevanti per la scelta del prodotto.

Dare maggior valore al comparto olivicolo
Lo studio condotto in questa tesi di laurea permette di asserire l’importanza di investire sulla sostenibilità, soprattutto in un mercato competitivo come quello dell’olio di extra vergine di oliva.
La certificazione della Carbon Footprint sta dimostrando di avere tutte le carte in regola per dare maggior valore al comparto olivicolo. Tuttavia, data la sua bassa diffusione tra i prodotti agroalimentari, diviene importante rendere famigliare al consumatore questa certificazione attraverso una comunicazione efficace, al fine di evitare una sottostima del suo reale potenziale da parte degli agricoltori.
Queste considerazioni assumono rilevanza particolare per l’olivicoltura italiana, la quale rappresenta in molte regioni, uno dei comparti principali tanto dal punto di vista economico quanto da quello culturale e paesaggistico.

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Conoscere le emissioni in agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/conoscere-le-emissioni-in-agricoltura/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=conoscere-le-emissioni-in-agricoltura //www.agronomoforestale.eu/index.php/conoscere-le-emissioni-in-agricoltura/#respond Thu, 18 Jun 2020 14:38:12 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67809 di Manuel Bertin

Nella lotta ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità ambientale, l’agricoltura gioca un ruolo rilevante.
Come intervenire? Che priorità darsi?

Eleonora Di Cristofaro

A livello globale le emissioni imputabili al comparto agricolo rappresentano quasi un quarto del totale e crescono dello 0,7% all’anno, per soddisfare una domanda alimentare in continuo aumento.
In Italia, invece, il contributo al bilancio delle emissioni di gas serra si sta riducendo, ma volendo rispettare la tabella di marcia imposta dalla Strategia di decarbonizzazione, ossia emissioni nette pari a zero al 2050, questo non è sufficiente. Le domande da farsi, quindi, diventano: come intervenire? Che priorità darsi?
La prima cosa da fare, per capire come agire, è avere un quadro definito della situazione, che consenta di avere una lettura accurata dello scenario per il successivo intervento.
A questo scopo, ISPRA redige l’inventario nazionale che raccoglie i dati delle emissioni di gas serra di quasi due decenni, con un focus anche su quelle del comparto primario. Il documento aggiornato con i dati del 2018 è stato presentato qualche settimana fa, così abbiamo approfondito il tema con Eleonora Di Cristofaro, referente nazionale di ISPRA per il settore agricoltura nell’ambito dell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici.

Ci descrive la situazione attuale?
Oggi, il settore agricoltura rappresenta il 7% circa delle emissioni nazionali di gas serra, pari a circa 30 milioni di tonnellate di CO2, composte in gran parte da metano (64%) e protossido di azoto (35%), e da una piccola percentuale la CO2 (1%). Queste sono originate in gran parte (79%) dagli allevamenti, mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici.
Ai gas serra propriamente detti, si aggiunge anche l’ammoniaca, di cui il settore agricolo produce il 94% delle emissioni nazionali. Un composto che per l’80% si origina dagli allevamenti, in special modo quelli bovini, suini e avicoli.
Questa sostanza contribuisce all’eutrofizzazione e all’acidificazione degli ecosistemi e alla formazione di particolato secondario. Infatti, la direttiva europea Nec ne fissa i limiti e pone degli obiettivi di riduzione: rispetto al 2005, per l’ammoniaca sono -5% al 2020 e -16% al 2030 e per il PM2.5 sono -10% al 2020 e -40% al 2030.

L’origine delle emissioni di gas serra in agricoltura.
L’origine delle emissioni di ammoniaca in agricoltura.

Come giudica la situazione?
Col regolamento Ue Effort Sharing, l’Europa si è imposta di ridurre le emissioni complessive di gas serra dei settori ES (che sono trasporti, residenziale, agricoltura, industria non-ETS e gestione dei rifiuti) del -13% entro il 2020 e del -33% entro il 2030, sempre rispetto ai valori del 2005.
Per il 2020 possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto, per il 2030 bisognerà fare degli sforzi aggiuntivi. In questo quadro, le emissioni di gas serra del settore agricoltura sono diminuite del 13% rispetto agli anni ’90. È il risultato della riduzione del numero di capi, del minore impiego di fertilizzanti azotati sintetici (-41%, ma con l’urea scesa solamente del 13%), della trasformazione nella gestione degli allevamenti e, infine, del recupero del biogas a fini energetici.
Le emissioni di ammoniaca invece, in questi trent’anni, si sono ridotte del 23%.

Negli ultimi anni, anche le emissioni in agricoltura sono sotto la lente del legislatore.
Nell’inventario nazionale delle emissioni sono più rilevanti i contributi del settore energetico, con una percentuale pari all’ 80,5%, e del settore dei processi industriali, con l’8,1% delle emissioni. È normale, quindi, che il legislatore abbia preferito iniziare ad attuare politiche di riduzione delle emissioni partendo da questi settori.
Negli anni più recenti, però, c’è stata la necessita di allargare lo spettro d’azione e così anche il comparto agricolo è stato coinvolto nelle politiche di sostenibilità, con interventi mirati a ridurre sia le emissioni di inquinanti che quelle dei gas serra.

Dove e come è possibile intervenire?
L’agricoltura è il settore con cui produciamo il cibo, per cui bisogna intervenire con accortezza.
Partendo dai dati che abbiamo, sappiamo che gli allevamenti originano i 4/5 delle emissioni ed è logico iniziare da qui per ottenere impatti sensibili.
Scomponendo le emissioni per tipologia di fonte, ai primi tre posti troviamo la fermentazione enterica (47 %), l’utilizzo di fertilizzanti sintetici e altre fonti di apporto di azoto ai suoli agricoli (28%) e la gestione delle deiezioni (19%).
Per ridurre le emissioni, quindi dobbiamo lavorare sui sistemi di allevamento, in particolare migliorando quattro fasi: l’alimentazione, i ricoveri, lo stoccaggio e lo spandimento. Per esempio, nella dieta, la sostituzione di una parte dei foraggi con i concentrati può aumentare la digeribilità e ridurre le emissioni di metano (emissioni di gas serra). Oppure, con un’alimentazione a minor contenuto proteico avremo un minore rilascio della componente azotata nelle deiezioni.
Passando alle stalle, si può intervenire rinnovando le lettiere, rimuovendo frequentemente le deiezioni e riprogettando la gestione degli spazi.
Per gli stoccaggi è fondamentale la copertura delle deiezioni e il recupero di biogas nei digestori anaerobici, due interventi che consentono di ridurre le emissioni sia di gas serra che di ammoniaca.
Arrivando al campo, c’è da stimolare la sostituzione dell’urea con i fertilizzanti con diverso tenore di azoto o con i fertilizzanti organici. In secondo luogo, adottando tecniche di agricoltura di precisione mirate sulle specifiche esigenze nutritive delle colture, sul tenore dei nutrienti del suolo e sull’apporto di nutrienti degli altri fertilizzanti, sulla migliore distribuzione del fertilizzante si potranno ridurre le emissioni di ammoniaca e di gas serra perché migliore sarà l’efficienza d’uso dell’azoto.


L’intervento di Eleonora di Cristofaro in cui sono presentati i dati relativi alle emissioni in agricoltura

Per approfondire
Il quadro italiano sull’andamento dei gas serra e degli inquinanti atmosferici dal 1990 al 2018 è un’indagine basata su due rapporti, il National Inventory Report 2020 e l’Informative Inventory Report 2020.

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La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-belleza-di-studiare-scienza-forestale //www.agronomoforestale.eu/index.php/la-belleza-di-studiare-scienza-forestale/#respond Thu, 14 May 2020 10:31:54 +0000 //www.agronomoforestale.eu/?p=67741 La bellezza di studiare scienze forestali e ambientali racchiusa in un video del Dipartimento Agraria – Università Mediterranea Reggio di Calabria
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La nostra professione è quella che studia
👉la tutela e salvaguardia del territorio,
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È fondamentale conoscere come funziona una foresta nel suo insieme e come funzionano gli alberi. Così com’è decisivo imparare a trovare un equilibrio sostenibile rivolto alla sopravvivenza e al futuro dell’umanità.
#agrofor2030

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