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Categorie: Co/ulture | Legno e Foreste |

Del castagno non si butta niente

Mercato della paleria in declino, parcellizzazione fondiaria, mancata gestione forestale. Un progetto nato invertire l'abbandono del castagneto che in questi decenni ha peggiorato la qualità del soprassuolo.

Intervista a Marco Grendele, dottore forestale e coordinatore del progetto CAREGA

Bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

L’intervista è un approfondimento dell’articolo che descrive il progetto CAREGA


Che tipo di boschi ci sono in quella zona?
I boschi dell’alto vicentino sono boschi di castagno che fino a 40 anni fa avevano un buon mercato per la paleria, in particolare li acquistava la SIP per le linee telefoniche.
Purtroppo, in questi decenni la situazione è cambiata. La domanda è crollata da quando i pali non sono più realizzati in legno. A ciò si unisce la parcellizzazione fondiaria e il fatto che i proprietari hanno abbandonato il mestiere.
Tutti questi fattori hanno contribuito alla mancata la gestione forestale in questi decenni che ha peggiorato la qualità del soprassuolo e oggi sono pochi gli esemplari di castagno di buona qualità commerciale.
Così, per un piccolo proprietario è difficile trarre reddito dal bosco e lo lascia incolto, agevolando questa spirale.

Come mai avete scelto di valorizzare il bosco untando sulla carbonella?
Non vogliamo valorizzare il bosco con la carbonella, perché il ritorno vero si ha con il legno di prima qualità. Però abbiamo pensato alla carbonella, in quanto è un prodotto che consente di utilizzare tutto il legname esboscato, riuscendo a dare valore al “prodotto di scarto” che oggi è una parte molto rilevate del totale.
In questo modo pensiamo di riuscire a dare comunque un reddito ai proprietari, riattivando l’economia del bosco. Così facendo, ricominciando a entrare nel bosco, sarà possibile ricominciare a fare gestione forestale e nell’arco di alcuni decenni si potrà migliorare la qualità complessiva del soprassuolo. Naturalmente bisogna mantenere una prospettiva a 50 anni, come siamo abituati a fare da dottori forestali, e capire che questo progetto è prima di tutto un investimento sul territorio.

E il problema della frammentazione?
Il progetto nasce con un finanziamento del PSR, misura 16, che ha due obiettivi: il primo, come già accennato, è di trovare un sistema innovativo per produrre la carbonella; il secondo è di incidere sulle difficoltà derivanti dalla proprietà fondiaria.
Per risolvere questo ostacolo, abbiamo pensato di utilizzare un contratto in cui il proprietario “passivo”, colui tende a non effettuare alcun tipo di intervento in bosco, in cambio di una remunerazione cede la gestione all’associazione forestale vicentina, partner del progetto. È un modello già utilizzato in altre aree con modalità simili, come il contratto di rete della Valtellina o i contratti di assistenza forestale pluriennale in Renania-Palatinato.
Il piccolo proprietario, che non avrebbe strumenti né le superfici per poter ricavare un reddito adeguato dal bosco avrà un ritorno economico certo dalle sue proprietà.
L’associazione, invece, sarà capace di accorpare i fondi e gestire superfici maggiori e, quindi, lavorare con migliori economie di scala. Si potrà valorizzare al meglio il legno di prima qualità, avendo capacità contrattuali più forti e, grazie alla carbonella e al sottoprodotto calore, avere due ulteriori voci di ricavo.

Dalle vostre analisi, che ritorno vi aspettate?
Al momento è difficile dirlo, sarà proprio uno degli obiettivi del progetto, anche se le nostre valutazioni preliminari ci incoraggiano.
La carbonizzazione è una pratica che mira a migliorare le caratteristiche del materiale di partenza, trasformando la biomassa in un prodotto carbonioso di alta qualità, così uno dei settori maggiormente responsabile dello sfruttamento delle risorse di biomassa legnosa al mondo è il mercato del carbone.
Secondo la FAO (2014), la produzione mondiale di carbone nel 2014 è stata di oltre 50 milioni di tonnellate. Le stesse statistiche vedono l’Africa come il continente in grado di produrre la quantità maggiore a livello globale, rappresentando oltre il 56% della produzione mondiale.
L’importazione di carbone in Europa ammonta a circa 1,3 milioni di t/a, corrispondente a un valore economico di circa 520 milioni di dollari ogni anno.
In Italia nel 2012 si è avuta una produzione di 16.000 tonnellate di carbone vegetale e un consumo di circa 70.000 ton con livelli di importazione pari 60.000 tonnellate e con un export pari a 1.000 tonnellate.

Analisi del mercato in Italia: l’attuale mercato del carbone vegetale, individuando e analizzando le principali caratteristiche dei prodotti presenti oggi sul mercato e venduti dalla Grande Distribuzione Organizzata e tramite piattaforme online.
A partire da cippato di grandi dimensioni, l’impianto può produrre 50 kg di carbone di legna all’ora attraverso un processo di riscaldamento a biomassa

Che caratteristiche avrà il prodotto che metterete sul mercato? Che innovazioni state testando?
Come detto, oggi la carbonella che si acquista proviene quasi tutta dal legno africano o, in seconda battuta, sudamericano. Noi invece produrremo una carbonella vegetale derivante da legno locale, a filiera corta e proveniente da foreste certificate PEFC.
Ci siamo accorti, infatti, che l’origine della carbonella è ignota al consumatore finale, che praticamente non conosce nessuna fase produttiva. Per la prima volta, offriremo un prodotto trasparente e sostenibile, di cui è dichiarata sia la provenienza che l’intera filiera.
Da un punto di vista tecnologico, invece, uno dei partner ha realizzato un carbonizzatore innovativo, capace di lavorare a ciclo continuo. Questo prototipo da un lato semplifica la produzione e la rende più vantaggiosa e dall’altro consentirà di valorizzare anche il calore, che può diventare un sottoprodotto per riscaldare edifici, scuole, piscine.
Rendendo l’intero ciclo ancor più sostenibile.


Marco Grendele, coordinatore del progetto CAREGA

Come mai una parte del progetto prevede le lezioni nelle scuole?
Ci siamo resi conto che quando si parla di un taglio nel bosco, spesso, si usa il termine “deforestazione”.
L’errore di linguaggio ci ha fatto capire che è necessario accompagnare questi progetti anche lavorando per ricreare una cultura della gestione forestale.
In fondo, i risultati di questo progetto li godranno proprio i nostri bimbi, tra 40 o 50 anni.

2 Responses to Del castagno non si butta niente

  1. Dott. Agr. Francesco Badino Rispondi

    5 Ottobre 2020 a 18:15

    Mi sembra un’ottima idea che sarebbe bene estendere a tutte le zone in cui sono presente castagneti più o meno degradati
    con valore di macchiatico prossimo allo zero. Il problema mi sembra quello della necessità di riqualificare consorzi e associazioni nonché Comunità Montane e altri Enti (GAL, Fondazioni ecc.) che oggi sembrano più orientati verso una gestione turistico-naturalistica piuttosto che verso una gestione economica (sia pur modesta) dei boschi.

    • Marco Grendele Rispondi

      8 Ottobre 2020 a 09:36

      Buongiorno dott. Badino, sono Marco Grendele, il referente del Gruppo Operativo “CAREGA”. La ringrazio del suo commento. Approvo quanto ha scritto: occorre uscire da un’ottica protezionistica troppo vincolante, ricordando che i boschi che abbiamo oggi sono il frutto di un’azione attiva svolta nel passato. La mancata azione potrà sicuramente fornire ai nostri figli e nipoti maggiori superfici boscate, ma di minor qualità, se non addirittura più “pericolosi” a causa della mancata manutenzione.

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