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Il regolamento europeo EUDR nasce con l’intento di impedire che nei Paesi dell’Unione Europea siano commercializzati prodotti che abbiano causato deforestazione o degrado forestale.
La proposta del Regolamento EUDR (è stato approvato in via definitiva dal Parlamento europeo il 19 aprile scorso ed è diventata legge.
Una norma pensata per contrastare l’emergenza climatica e la perdita di biodiversità e che, avviando filiere corte, controllate e virtuose, può diventare un vantaggioso volano per le produzioni nazionali, europee e un’opportunità per le aree interne.
Il regolamento europeo EUDR nasce con l’intento di impedire che nei Paesi dell’Unione Europea siano commercializzati prodotti che abbiano causato deforestazione o degrado forestale.
Non si parla solo di legname, ma il regolamento comprende anche i prodotti agricoli e di allevamento: cacao, gomma naturale, caffè, olio di palma, mais, soia e pure carne bovina che alimenta l’espansione dei terreni agricoli a discapito delle superfici forestate. E l’elenco europeo include anche i prodotti derivati quali il cuoio o il mobilio, finanche il cioccolato, una serie di derivati dell’olio di palma, la carta e via dicendo.
A partire da fine 2024, quindi, le aziende che vorranno commercializzare i propri prodotti nell’UE dovranno verificare e certificare che né loro né i loro fornitori abbiano provocato deforestazione o degrado delle foreste dopo il 31 dicembre 2020. Con sanzioni rilevanti: quelle che non rispettano le regole di tracciabilità delle catene di fornitura e di trasparenza in materia di sostenibilità potrebbero incorrere in multe pari ad almeno il 4% del loro fatturato annuo nell’UE.
“La verifica (la cosiddetta “due diligence”) della catena di approvvigionamento produrrà conseguenze anche sulla produzione nazionale e quella interna all’UE: per molti prodotti, privilegiare l’origine nazionale diventerà la via più semplice ed economica.” – dichiara Marco Bonavia, consigliere CONAF – “Limitando il ragionamento alla filiera del legno, è concreta l’ipotesi di un effetto positivo sulle economie delle aree interne, che potranno valorizzare una materia prima locale anziché tropicale, che con più facilità saprà dimostrare la gestione con criteri rispettosi sia dell’ambiente che delle molteplici funzioni del bosco.”
Un problema concreto
Secondo le stime della FAO, tra il 1990 e il 2020 sono scomparsi 420 milioni di ettari di foreste, una superficie più grande dell’UE, che rappresenta circa il 10% del totale delle foreste della Terra. Contemporaneamente, l’Europa è uno dei maggiori importatori di materie prime legate alla deforestazione, tra cui il 50% del caffè mondiale e il 60% di tutto il cacao: due prodotti che, da soli, sono stati responsabili di oltre il 25% della perdita di copertura arborea a livello mondiale nel periodo 2001-2015.
A ciò va aggiunto che, in base a recenti stime su immagini satellitari, quasi 4 milioni di ettari di foresta tropicale sono andati perduti dal 1993 per fare spazio alle piantagioni di gomma nel Sud-Est asiatico. Oggi le foreste colpite sono spesso frammentate e limitate sia nella loro capacità di immagazzinare carbonio e che nella capacità di ospitare popolazioni vitali di specie minacciate, come gli elefanti asiatici e le tigri di Sumatra.
In questo contesto, fa riflettere pensare che i consumi imputabili all’UE sono responsabili di circa il 10% delle perdite di foreste, con l’Italia quale è il secondo maggior consumatore in Europa di prodotti responsabili della distruzione di foreste (36mila ettari di foresta/anno), dietro la Germania con più di 43mila ettari abbattuti ogni anno.
Sulle spalle dell’EUTR
Da dieci anni in UE è in vigore il regolamento EUTR (European Union Timber Regulation), che già chiedeva agli operatori di mercato una maggiore consapevolezza sulla questione dei tagli forestali di natura illegale e un loro maggiore impegno nel controllo delle catene di approvvigionamento.
In due lustri, sono stati raggiunti dei risultati positivi, come una diminuzione delle importazioni nell’UE di legname illegale. Ora ci si attende un ulteriore salto qualitativo, con vincoli più stringenti e un perimetro di tutela dei diritti più ampio.
La vera sfida per rendere davvero efficace il nuovo regolamento sarà quella di evitare le criticità evidenziate dall’EUTR.
Secondo le valutazioni di ETIFOR, il testo mostra quadro normativo più chiaro su verifiche e controlli, introducendo livelli minimi per le ispezioni. Inoltre, il parlamento ha ridefinito gli spazi di autonomia dei singoli stati membri, per evitare situazioni di disparità all’interno dell’UE: è stato chiesto che le autorità competenti abbiano risorse sufficienti e che le sanzioni siano proporzionate al danno ambientale causato e al suo valore.
Tra i cambiamenti più innovativi, c’è il coinvolgimento diretto delle agenzie delle dogane degli stati membri, che potranno rilevare eventuali rischi e comunicarli prima che le merci entrino nell’Unione, fino alla possibilità di bloccare o confiscare i prodotti alle frontiere. Inoltre, un nuovo sistema digitale (il cosiddetto “registro”) andrà a semplificare la gestione dei dati (coordinate geografiche e paese di produzione per ciascun prodotto), l’accesso alle informazioni ufficiali, facilitando anche la cooperazione tra autorità doganali e altre istituzioni competenti.
Altri punti di vista
I Paesi produttori di olio di palma stanno cercando di reagire, con la Malesia che sta valutando potenziali restrizioni commerciali che rallenterebbero il flusso di prodotti verso l’Europa e rivedrebbero le importazioni dal blocco.
E voci di dissenso vengono dalle associazioni che rappresentano i piccoli agricoltori che coltivano la palma da olio, che rappresentano tra il 35% e il 40% della produzione globale di olio di palma. Per loro, la palma da olio rappresenta la fonte primaria di reddito in un’economia familiare.
Il nuovo regolamento, secondo queste associazioni, rischia di condurre all’esclusione dei piccoli agricoltori dal mercato dell’UE, con il conseguente reindirizzamento delle esportazioni verso Paesi con normative ambientali più deboli, spostando il problema in altre regioni.
“C’è il rischio che milioni di piccoli coltivatori di palma da olio vengano esclusi dalla catena di approvvigionamento dell’UE, limitando l’accesso al mercato solo all’olio di palma prodotto dai grandi operatori. Attualmente, i piccoli proprietari sono l’anello più debole della catena di approvvigionamento globale dell’olio di palma, eppure ci si aspetta che siano loro a sostenere gran parte dell’onere di dimostrare che la loro produzione non ha causato deforestazione. Non disponendo di risorse e competenze, devono già affrontare le sfide per conformarsi agli standard di sostenibilità esistenti. L’imposizione di nuovi requisiti di sostenibilità e tracciabilità aggraverebbe ulteriormente la loro esclusione dal mercato dell’UE.” – hanno dichiarato in un documento The Netherlands Oils and Fats Industry (MVO), the Council for Palm Oil Producing Countries (CPOPC) and Solidaridad.
La questione non è solo limitata all’azione di lobbying per evitare dei costi alla filiera. L’industria della palma da olio, nei Paesi produttori, svolge un ruolo fondamentale nel trasformare le condizioni di vita delle comunità rurali, alleviando la povertà grazie alle opportunità di lavoro e migliorando lo sviluppo sociale. In quanto tale, mantenere vitale l’industria della palma da olio può contribuire positivamente al raggiungimento del Green Deal dell’UE, nonché dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e dei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).
L’iter legislativo
Le tempistiche per l’entrata in vigore dell’EUDR sono ancora lunghe, si ipotizza che il percorso approvativo si completi per l’inizio del 2025. Dopo la decisione di formale adozione da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, infatti, dovranno passare altri 18 mesi.
Da quel momento in poi, il nuovo regolamento andrà a sostituire il vigente regolamento UE sul legno (EUTR).
“Sostenibilità, tutela della biodiversità, commercio equo e riduzione delle disparità sono stati temi discussi anche nel Congresso nazionale di Firenze, a ottobre. Alle imprese, infatti, è anche chiesto di verificare che la propria supply chain rispetti la legislazione del Paese di produzione anche in materia di diritti umani e di diritti delle popolazioni indigene.
L’introduzione di questo regolamento è certamente un segnale positivo, seppure si dovranno affrontare diverse criticità.” – Marco Bonavia, consigliere CONAF