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Categorie: Attorno a noi |

Colte, preparate e sostenibili

Una fotografia delle donne in agricoltura e del contributo che potrebbero dare

Innanzitutto, partiamo dai numeri per capire di cosa si parla: il 42% dei 26,7 milioni di persone che lavorano regolarmente in agricoltura nell’Unione europea sono donne e il 30% delle aziende agricole dell’UE è gestito da una donna. In Italia siamo addirittura sopra la media europea (32%).
Una presenza corposa, addirittura superiore, se si volge l’attenzione verso chi ha compiuto studi superiori, come le dottoresse agronome e forestali: le donne laureate rappresentano una fetta rilevante, sono ancora molto presenti anche negli step successivi ma, con il crescere dei ruoli (ricercatrici, professoresse universitarie, ecc.), le percentuali si assottigliano.
La questione diventa allarmante se si sposta lo sguardo alle stanze della politica, dove si indirizza il futuro del settore primario, ma in cui la componente femminile è decisamente sottorappresentata.
Una questione al centro del dibattito dell’Ordine, a cui è stata dedicata una tavola rotonda specifica durante il Congresso nazionale di Firenze, invitando alla riflessione stakeholder e analisti.

Al contrario della politica, il mercato si è presto accorto che questa disparità di genere è sempre meno tollerabile. Ne è un esempio l’azienda produttrice di fertilizzanti Yara che, dopo aver rilevato che solo il 14% dei suoi 800 agronomi erano donne, ha lanciato il programma “Woman in Agronomy” per affrontare lo squilibrio di genere nel settore, in particolare utilizzando il mentoring.
Un’azione che per un’azienda chimica che propone fertilizzanti e prodotti per l’agricoltura ha un rapido tornaconto e una sfumatura di pinkwashing: le donne in agricoltura hanno ruoli meno visibili, ma sono molto più attente alla sostenibilità e sono le attrici della transizione verde.

Studiose, scienziate, ma poi?
Se ci si concentra sulla presenza di donne con un titolo di studio superiore nel campo delle scienze agrarie, la maggior parte degli Stati membri dell’UE-27 e dei Paesi associati ha registrato un aumento della percentuale di donne ricercatrici nel 2018, rispetto al 2010.
Secondo il rapporto She Figures 2021 (con dati 2018), le donne dottorande in agricoltura, silvicoltura, pesca e veterinaria rappresentano il 56% di tutti gli studenti. Maggioranza assoluta, con identica percentuale, che si riscontra anche in Italia.
Si intravede anche un miglioramento nella percentuale di donne tra i ricercatori nel settore di R&S: nel 2010 rappresentavano il 38%, percentuale cresciuta fino al 44,5% nella rilevazione del 2018.
Infine, osservando la distribuzione delle donne ricercatrici negli studi sull’istruzione superiore (HES) è evidente che nella maggior parte degli Stati membri dell’UE-27, le donne hanno più probabilità di lavorare come ricercatrici nelle scienze sociali e nelle scienze mediche e sanitarie. A queste due voci – attese – si aggiunge però il settore delle scienze agrarie, in cui lavora una percentuale maggiore di ricercatrici rispetto ai colleghi maschi, in quasi tutti i Paesi membri UE.


Il valore produttivo dell’istruzione

L’importanza dell’istruzione e della capacità di trasferire innovazioni e analisi “in campo” è un dato acquisito da tempo nella letteratura scientifica.
Il settore agricolo ottiene un valore aggiunto quando si verificano gli effetti di due fenomeni, principalmente: l'”effetto lavoratore” e l'”effetto trasferimento”.
L’effetto lavoratore accade quando un agricoltore istruito, a parità di input, riesce a produrre un output maggiore poiché capace di sfruttare meglio le risorse a disposizione.
Con l'”effetto trasferimento” si identifica quando le persone istruite decidono di trasferirsi in campagna per svolgere le loro attività professionali.
Ciò suggerisce che l’istruzione è un fattore cruciale per promuovere la crescita nel settore agricolo.


La transizione verde parla con voce femminile

Le donne in agricoltura tendono a impegnarsi maggiormente per la sostenibilità rispetto ai maschi, ma sono sottorappresentate quando si tratta di definire la politica agricola dell’UE, il che solleva interrogativi più ampi sulla capacità del settore agricolo di realizzare una transizione verde.

C’è sempre più letteratura che stabilisce il legame tra genere e sostenibilità, soprattutto per quanto riguarda le pratiche agricole sostenibili” – ha dichiarato Faustine Bas-Defossez, direttore dell’impatto esterno dell’Istituto per le Politiche Ambientali Europee (IEEP) – un think tank – a una tavola rotonda al Future of Food and Farming Summit di POLITICO – “Le ricerche dimostrano che l’agricoltura convenzionale è considerata maschile e caratterizzata da disuguaglianze di genere in termini di salari, accesso alle opportunità, tecnologie e ai terreni. Alle donne sono assegnati tradizionalmente i compiti amministrativi, alle vendite dirette o alle attività di diversificazione, il che rende il loro lavoro ‘invisibile’.”

Un effetto piuttosto noto, considerando che il proprietario di un’azienda agricola è l’unica persona menzionata nei documenti bancari e ai fini delle sovvenzioni e dei diritti accumulati ed è anche l’unica persona a rappresentare un’azienda agricola all’interno di associazioni e gruppi.

Questo porta le donne agricoltrici a essere più coinvolte in approcci alternativi ed ecologici, poiché nell’agricoltura sostenibile si intravede un modo per acquisire potere, come un mezzo di emancipazione. Ed è anche vista come un modo per sfidare la tradizionale divisione di genere del lavoro agricolo.” – Faustine Bas-Defossez, IEEP


La politica agricola dell’UE è dominata dagli uomini

Durante la riforma della PAC del 2013 non c’era nessun relatore donna e solo il 25% dei relatori ombra erano donne, ha osservato l’IEEP; mentre durante la riforma della PAC del 2021 c’era solo un relatore donna e il 33% dei relatori ombra erano donne.

Considerando che quando, in una posizione di potere, le donne tendono a prendere decisioni più rispettose dell’ambiente, la domanda è: ci sarebbe una differenza nell’ambizione ambientale della Politica Agricola Comune, ad esempio, se gli organi decisionali fossero un po’ più equilibrati dal punto di vista del genere?” – si chiede Bas-Defossez.

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