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Di Renato Ferretti
Dottore Agronomo – Responsabile Dipartimento Paesaggio, Pianificazione e Progettazione del Territorio e del Verde del CONAF
Un approccio fortemente permeato dalle conoscenze agronomiche e forestali può consentire di contrastare l’errata pericolosità attribuita agli alberi in città.
In primo luogo perché “sono esseri viventi e non sono eterni”. In seconda istanza è evidente che, in seguito ai sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, gli alberi sono esposti a rotture di branche, rami o addirittura allo stroncamento del fusto e infine al ribaltamento dell’intero albero compreso l’apparato radicale.
Se analizziamo i motivi che precostituiscono le condizioni perché un albero vada incontro a tali eventi, ci accorgiamo di quanto il ruolo del dottore agronomo e del dottore forestale, proprio per le specifiche competenze in materia di agronomica, pedologica, climatologica, di arboricoltura e selvicoltura, sia fondamentale per minimizzare questi episodi.
L’albero non è killer
Infatti, gli alberi caduti, interi od in parte, negli ultimi anni nelle città provocando oltreché danni materiali anche vittime con grande scalpore mediatico (l’albero killer), quasi sempre sono conseguenti ad errati comportamenti dell’uomo, per incapacità tecnico-professionale di chi è chiamato ad operare sugli stessi e per l’applicazione di luoghi comuni palesemente errati.
L’elemento che determina la caduta degli alberi è spesso rintracciabile:
La condanna della capitozzatura
La potatura indiscriminata della chioma, chiamata anche capitozzatura, oltre a ridurre il valore estetico dell’albero a causa dello sfiguramento della forma tipica della specie di appartenenza, determina diverse problematiche di tipo fitosanitario.
In primis, la superficie di taglio dei rami spesso è molto ampia e di conseguenza la rimarginazione delle lesioni avviene lentamente e con difficoltà, lasciando i tessuti esposti all’aggressione degli agenti patogeni che potrebbero compromettere irreversibilmente la vita dell’albero.
In secondo luogo, la corteccia viene improvvisamente esposta ai raggi solari, con un eccessivo riscaldamento dei vasi floematici più superficiali e del tessuto cambiale con conseguenze negative sull’accrescimento dell’albero.
C’è da considerare anche che l’operazione di asportazione indiscriminata della quasi totalità della chioma innesca reazioni che possono provocare un processo di decadimento dell’albero a volte inarrestabile.
Parlando dei rami, in particolare quelli che si originano in prossimità della superficie di taglio, hanno un’attaccatura più debole di quella dei rami naturali, poiché derivano da gemme avventizie.
Con uno sguardo più ampio, i numerosi rami che si sviluppano in prossimità del taglio sono in competizione fra loro, crescono perciò molto in lunghezza senza formare ramificazioni secondarie, conferendo alla nuova chioma una conformazione più disordinata e meno sana.
Queste operazioni si vedono spesso perché non vengono effettuate periodiche azioni di ripulitura e diradamento della vegetazione con tagli di modeste dimensioni e che hanno l’obiettivo di mantenere la chioma in equilibrio e non il suo drastico ridimensionamento spesso a causa anche di errori progettuali.
Uno sguardo d’insieme
Per questo una buona progettazione del verde deve assolutamente avere contezza del contesto territoriale ed ambientale, conoscere le caratteristiche del terreno ed eventualmente apportare i necessari miglioramenti e correttivi previsti dalla tecnica agronomica per creare le migliori condizioni per un buon attecchimento delle piante ed un ottimo sviluppo dell’apparato radicale.
Non si mette la pianta in un buco
Troppo spesso nell’impianto degli alberi (erroneamente si parla di piantumazione proprio come se si trattasse semplicemente di mettere la pianta in un buco) si vede fare una buca in un terreno di cantiere.
Spesso è una buca piccola, che non consente agli alberi di crescere. Ed è fatta senza considerare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo (spesso di risulta), carente di sostanza organica in cui gli alberi stentano a crescere.
Un altro errore che viene compiuto è il non considerare lo spazio di cui ha bisogno la pianta per crescere, sia in termini di chioma che di apparato radicale: quando vediamo le pavimentazioni stradali o i marciapiedi che arrivano a 10-20 cm dal fusto o addirittura lo circoscrivono in toto è evidente che lo stesso non potrà svilupparsi in maniera adeguata per sostenere la parte epigea (ossia aerea) dell’albero.
Perché serve un progetto
La soluzione, come abbiamo visto, passa attraverso la conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche delle piante. Serve quindi, una reale e professionale progettazione agronomica dell’impianto delle alberate lungo i viali o nei parchi che tenga conto delle esigenze pedo-climatiche delle specie che saranno messe a dimora. Una progettazione che consideri l’intero ciclo di vita, lo sviluppo fino alla maturità, in modo da rendere il luogo d’impianto idoneo alla crescita di alberi sani e robusti.
Il progetto dovrà anche essere corredato da un programma di manutenzione (ossia di cure colturali) che preveda gli interventi necessari annualmente e alla fine anche la sostituzione preventiva al termine del ciclo di vita. Ciò vale sia per i parchi, per i boschi urbani e periurbani che per i viali alberati, perché se la questione della sostituzione anima spesso aspri dibattiti, la realtà dei fatti è che anche gli alberi, come ogni essere vivente, giunge a fine vita.
Migliorare le condizioni delle città
Non possiamo pensare a piante imbalsamate che restano come e dove vogliamo. Dobbiamo invece pensare a organismi viventi che producono, durante il loro ciclo di vita, servizi eco-sistemici importanti per la qualità della vita nelle città.
Una coerente politica del verde consente un miglioramento delle condizioni paesaggistiche delle diverse aree e un miglioramento delle condizioni ecologiche con il contenimento delle emissioni inquinanti.
In particolare, l’abbattimento della CO2, infatti si stima che ogni albero nel proprio ciclo di vita possa stoccare circa 7,5 quintali di anidride carbonica (calcolando una vita media di 50 anni ed una capacità di assorbimento di 15 kg/anno).
Ben oltre il 2026
Per passare dalle parole ai fatti, dagli annunci roboanti alla messa a dimora delle piante occorre un grande sforzo produttivo e un altrettanto grande sforzo progettuale e realizzativo. Soprattutto occorre una visione politica strategica che vada oltre l’orizzonte temporale delle scadenze elettorali e traguardi con programmi e risorse adeguate almeno un arco decennale.
Le risorse della Next Generation EU sono l’occasione per fare questo progetto a medio termine, che deve andare ben oltre il 2026. E in questo nuovo modo d’agire, Comuni e comunità locali devono diventare gli attori principali, come evidenziamo da tempo e abbiamo ribadito nel recente Congresso dell’Ordine tenutosi a Firenze dal 19 al 21 ottobre.