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PREMESSA
La gestione boschiva nell’Appennino modenese (comuni di Frassinoro e Montefiorino) è stata oggetto di una tesi di laurea presso il dipartimento di Scienze della Vita, Agraria, Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie e degli Alimenti, Unimore, discussa il 17 luglio 2019 relatrice la Prof.ssa Cristina Bignami, primo correlatore: Dott. Pietro Natale Capitani (già Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Modena), secondo correlatore: Dott. Claudio Cavazza, della Regione Emilia Romagna, laureando: Cesare Magnavacca.
INTRODUZIONE
È ampiamente condivisa l’idea che l’agricoltura collinare e montana abbia perseguito nel passato l’obiettivo di destinare alle colture agricole i terreni migliori, relegando i boschi alle aree più impervie; così il bosco, che fino ai primi del ‘900 era un elemento basilare nella economia agricola, ha perso sempre più importanza. Due esempi su tutti:
I dati raccolti ai fini della tesi, grazie alla collaborazione della Regione Emilia Romagna- Servizio Aree protette, Foreste e Sviluppo della Montagna e del sub-ambito montano dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico, sono relativi alle richieste di autorizzazione al taglio presentate nel periodo 2008-2019; la loro interpretazione porta a concludere che, tuttavia, in certi ambiti montani, il taglio a ceduo è ancora attivo e che è sviluppata la coltura del castagno, soprattutto di qualità.
ASPETTI GEOGRAFICI, CLIMATICI GEOLOGICI E PEDOLOGICI
Le caratteristiche dei comuni presi in considerazione sono le seguenti.
Il comune di Montefiorino ha una estensione di 45,35 km2, presenta una escursione altimetrica di 886 m, s.l.m., fra una quota minima di 324 m e una massima di 1210 m, con il paese a circa 797 m.
Il comune di Frassinoro ha una estensione di 95,93 km2, presenta una escursione altimetrica di 1206 m, s.l.m., estendendosi fra una quota minima di 502 m e massima di 1708 m, con il paese a circa 1.131 m[2].
Entrambi i comuni sono situati nella valle del Dragone, che scorre per oltre 30 chilometri lungo la dorsale appenninica fino a raggiungere il Dolo; il Dragone prende origine dai numerosi torrenti e corsi d’acqua che scendono dal crinale in prossimità del Passo delle Radici che segna il confine tra l’Emilia e la Toscana.
Il clima è continentale per la temperatura con inverni freddi ed estati fresche. Le piogge hanno una distribuzione di tipo mediterraneo con precipitazioni più intense in primavera e autunno.
I terreni sono prevalentemente argillo-marnosi nelle zone più basse e arenaceo-marnosi in quelle più a monte; essi presentano in generale condizioni di instabilità dei versanti e un’accentuata suscettibilità all’erosione superficiale.
I suoli variano da profondi a superficiali, a tessitura media, calcarei, moderatamente alcalini. Per quanto riguarda lo scheletro possono variare da scarsamente a molto ciottolosi negli orizzonti profondi.
Afferenti ai comuni considerati vi sono alcune zone particolari dal punto di vista ambientale: tre siti di Natura 2000, che rappresentano aree protette con gestione forestale normata secondo un particolare articolo del Regolamento Forestale regionale n.3 del 1° agosto 2018[3] (che nel seguito chiameremo nuova normativa per distinguerla dalle “Prescrizione di massima e di Polizia Forestale”[4], in vigore nel 2008 e che chiameremo nel seguito vecchia normativa).
Natura 2000[5] è un sistema organizzato in rete di aree (siti e zone) destinate alla conservazione della biodiversità. Questa rete è presente su tutto il territorio dell’Unione Europea ed è rivolta alla tutela di ambienti quali foreste, zone umide, ambienti rocciosi e delle specie animali e vegetali in essi viventi.
La Regione Emilia Romagna si occupa della gestione complessiva del sistema territoriale delle aree protette e dei 158 siti della rete Natura 2000, che ricoprono una superfice complessiva di circa 270.000 ettari. Provvede ad esse per conto del Ministero per l’Ambiente e della Commissione Europea.
METODOLOGIA E RACCOLTA DATI
Per la raccolta dati è stata svolta un’analisi di archivio, con l’esame delle richieste di taglio depositate presso il comune di Montefiorino per entrambi i comuni. Le “richieste di utilizzazione” del bosco ceduo sono presenti in formato cartaceo, dal 2008 al 2015, in formato digitale dal 2016 al 2019.
Nel comune di Frassinoro è stata effettuata un’ulteriore analisi per le zone SIC e ZPS.
Nei dati raccolti si è deciso di semplificare la specie arborea prevalente della superficie destinata all’esbosco, secondo la seguente classificazione: Faggio, Castagno, Quercia, Abete (comprendente abete bianco e abete rosso), misto latifoglie[6].
Quest’ultimo è caratterizzato da una molteplicità di specie che condividono la stessa area boschiva e diverse a seconda della fascia altimetrica.
Il misto latifoglie a Montefiorino è costituito da: quercia, castagno, faggio, ciliegio selvatico, pioppo, robinia mentre quello a Frassinoro è costituito da: faggio, frassino, quercia, acero, olmo e ciliegio selvatico.
ANALISI DATI
Le richieste di autorizzazione di cui si è tenuto conto sono state quelle complete in ogni loro voce significativa per la ricerca (quindi per esempio superficie interessata, specie arborea, età dell’ultimo taglio,…); si sono quindi esaminate 620 richieste di taglio per il Comune di Montefiorino, e 975 richieste per il Comune di Frassinoro (comprendenti 119 domande nelle aree protette).
Dal grafico di Fig.1 si evince che le zone protette di Natura 2000, per le quali la nuova normativa prevede un articolo a parte3, pur sottoposte a vincoli maggiori quali il divieto di taglio di piante vive con diametro superiore a 1 m e l’aumento della turnazione dei boschi di faggio e di castagno puri, non limitano le risorse forestali. Le numerose domande, soprattutto fatte da ditte forestali mostrano che anche la selvicoltura di quelle zone può essere sviluppata.
L’istogramma di Fig.2 indica la superficie totale a taglio nei due comuni nel periodo considerato. Si può osservare una tendenza alla decrescita più accentuata nel comune di Montefiorino, il cui territorio presenta nel complesso una minore vocazione forestale rispetto al territorio di Frassinoro.
Le coppie di diagrammi a torta di Fig.3 e 4 e Fig.5 e Fig.6 riportano numero e percentuale dei richiedenti autorizzazione per tipologia (privato/ditta forestale) e per uso dichiarato (domestico, commerciale, domestico/commerciale).
Come si vede c’è un’ampia sovrapposizione del richiedente privato con l’uso domestico perché l’uso della legna da ardere come combustibile per il riscaldamento è ancora attuale.
Si vede inoltre che il mercato del legname è più fiorente a Frassinoro confermando quanto precedentemente affermato a proposito di vocazione forestale dei territori dei due comuni.
Dal grafico di Fig.7 che riporta il numero di domande versus la superfice di taglio si ricava che in entrambi i comuni il massimo numero di domande si ha per superficie fra 1 e 2 ha. La nuova normativa prevede l’esenzione da autorizzazione ad autorizzazione per i tagli ad uso non commerciale su superficie minore di 1500 m2, quindi la coda estrema di questo istogramma è dovuta a dichiarazione antecedenti l’agosto 2018.
I grafici di Fig.8 e Fig.9 riportano la variazione nel tempo per le diverse specie arboree delle superfici boschive per le quali è stata chiesta autorizzazione al taglio nei due comuni.
Il modello mostra un andamento pseudo periodico per le varie specie, con una tendenza netta alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino.
Per quasi tutte le specie esaminate singolarmente si osserva una dispersione dei dati che non consente di evidenziare significative tendenze nelle variazioni delle superfici a taglio, nei dodici anni presi in esame.
Fanno eccezione la tendenza alla decrescita per il misto latifoglie a Montefiorino e le oscillazioni attorno a un valore costante per il faggio a Frassinoro (Fig. 11), ciò indica che sono più utilizzate le varietà di legname con un maggior valore commerciale e contenuto energetico per unità di peso.
Premesso che sia la vecchia che la nuova normativa incoraggiavano l’estensione e il recupero dei castagneti da frutto, il grafico di Fig. 12 illustra le tipologie di lavorazione a Montefiorino, dal 2016 al 2019 poiché nelle precedenti domande di taglio non era specificata le tipologie di intervento. Da questo grafico si deduce che c’è stato, nei primi due anni, un incremento della superficie del castagneto da frutto, essendo gli interventi di ripulitura indicatori di un’attività di gestione finalizzata al ripristino della produzione di castagne. Negli anni 2018 e 2019 invece non ci sono state domande di ripulitura, ma solo per ceduo matricinato.
Nel comune di Montefiorino la castanicoltura ha avuto un calo produttivo più evidente rispetto a Frassinoro poiché le varietà coltivate erano principalmente di castagne destinate alla produzione di farina: queste cultivar sono state via via abbandonate a causa della non economicità delle operazioni colturali e dell’isolamento di alcuni castagneti dalla rete viaria, oltre che dal calo di consumo della farina di castagne, prodotto la cui richiesta è in ripresa solo negli anni più recenti. La riconversione dei castagneti è un investimento che pochi operatori sono disposti a fare, a causa dall’entità economica dell’investimento e del periodo di ritorno.
Si sono quindi trasformati castagneti, già destinati a produzione di castagne da farina, in ceduo per ricavarne un profitto. Se la coltivazione dei castagneti fosse stata di pregio, come quella dei marroni, probabilmente l’abbandono di alcune zone sarebbe stato meno accentuato. Il ceduo derivante dai castagneti abbandonati riesce comunque a spuntare un buon prezzo nel mercato, grazie alle caratteristiche del legname: il legno è infatti richiesto in parte per la paleria, in parte per le costruzioni, piuttosto che come legna da ardere.
Non è stato possibile fare un grafico analogo per il comune di Frassinoro perché non sono registrate richieste di taglio negli ultimi anni; nella fascia bassa del suddetto comune sono presenti castagneti da frutto, ma sono per la gran parte coltivati, oppure non sono qualificabili come “abbandonati da molto tempo”: né con la vecchia, né con la nuova normativa gli interventi manutentivi sui castagneti devono essere dichiarati. Se ne deduce che a Frassinoro, principalmente nella frazione Fontanaluccia, in val Dolo, è rimasta una locale filiera di produttori e commercianti dei frutti e che questo commercio, basato su produzioni di buon pregio, consente un reddito sostenibile alle parti.
I grafici di Fig.13 e Fig.14 sono box plot che illustrano l’età medie di taglio nel primo e nell’ultimo biennio di rilevamento nel Comune di Frassinoro per faggio, quercia e misto latifoglie.
Il grafico a baffi del faggio nel 2008/2009 indica una età minima di taglio di 10 anni, il primo quartile è a 30 anni, cioè un 25% dei tagli è effettuato fra i 10 e 30 anni; la mediana è 40 anni e il terzo quartile a 50 anni; quindi complessivamente il 50 % dei tagli è compreso fra i 30 e i 50 anni; un’ulteriore 25% dei tagli ha età fino a 80 anni. Entrambi i valori estremi erano fuori dalla vecchia normativa sull’età di taglio di un ceduo semplice.
Se si guarda i box plot degli ultimi due anni invece si vede come l’età minima sia di 30 anni, che coincide con il primo quartile, cioè un 25% dei boschi è tagliato a 30 anni; la mediana e il terzo quartile coincidono nei 40 anni quindi un 50% dei tagli avviene fra 30 e 40 anni, mentre un ulteriore 25% dei boschi presenta un’età età di taglio attorno ai 50 anni. Quindi si osserva un maggior rispetto dell’età minima di taglio del ceduo semplice e la volontà di evitare che il bosco possa ritenersi ceduo invecchiato, che potrebbe essere riconvertito in ceduo semplice ma previa autorizzazione (non bastando la comunicazione).
Stessa osservazione vale per la quercia e il misto latifoglie, dove però i punti singoli indicano casi sporadici di tagli effettuati in età estreme.
CONCLUSIONI
L’abbandono per lungo tempo del regime a ceduo non danneggia di per sé il bosco, non ne provoca la scomparsa e può essere utile per ripristinare la naturalità di alcuni ecosistemi di interesse scientifico, ma ne altera la tipologia colturale portando il ceduo a trasformarsi in una struttura forestale meno interessante dal punto di vista antropico; non solo, lasciare a se stessi i processi di “rinaturalizzazione” di questi boschi può costituire un vantaggio dal punto di vista naturalistico, ma in taluni casi si possono innescare processi di degradazione del suolo, specialmente in quelle zone con elevato rischio di fenomeni franosi.
Infine due ultime osservazioni.
Oltre agli interventi degli enti pubblici, la Regione Emilia Romagna promuove la formazione di Consorzi Forestali, costituiti da privati, per la gestione e la conservazione del bosco nell’Appennino Modenese; questi nuovi Consorzi vanno ad affiancarsi ad altre forme di governo radicate nel territorio come gli usi civici e le proprietà collettive (lotti comunali e beni frazionali nel comune di Frassinoro). Sono nuove forme di associazione di privati che possono essere finanziati, almeno in parte, dai PSR (Piano di Sviluppo Rurale) specifici per le zone montane.
La tecnica della cippatura, oggi utilizzata principalmente dalle ditte forestali per lo smaltimento in situ dei residui di taglio, potrebbe invece alimentare una nuova filiera della bioenergia montana della quale si intravvedono i primi esempi.
Bibliografia
Sitografia
[1] Cfr. Bagnaresi 1987.
[2] www.comuni-italiani.it/.
[3] Regolamento regionale n.3 del 1° agosto 2018 (Titolo IX, art 64).
[4] L.R. 4 settembre 1981, n. 30; R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267; R.D.L. 16 maggio 1926, n. 1126.
[5] //ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/parchi-natura2000/rete-natura-2000/strumenti-di-gestione/misure-specifiche-di-conservazione-piani-di-gestione/misure-specifiche
[6] Alessandrini – Bignami – Corticelli – D’Antuono – De Polzer – Ubaldi 1983.