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Come si è intrecciata la questione normativa con quella sociale e cosa abbiamo imparato nella gestione della malattia.
L’olivicoltura pugliese ha dato segni di una decisa ripresa produttiva nel 2019. Dalla stima Ismea dello scorso novembre, si registra un incremento del 164,9% rispetto al 2018 (193.650 tonnellate contro le 73.108 della campagna del 2018 1). I dati non valgono per il Salento dove si osservano perdite decisamente importanti: si calcola un calo del 90-95% perché risultano produttive solo le piante di Leccino, il 5% degli ulivi. La causa è nota (quasi scontata): Xylella fastidiosa.
La diffusione della fitopatia causata dal batterio Xylella f., secondo i dati comunicati durante la seconda Conferenza Europea sul patogeno (ottobre 2019, Ajaccio), ha danneggiato circa 6,5 milioni di piante per un totale di almeno 53.800 ettari di oliveti (elaborazione relativa al 2017). La superficie regionale investita a olivo è di 375 mila ettari, ossia il 25% del suolo agricolo. La delimitazione esatta della zona infetta è stata modificata l’ultima volta dalla decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) 927/2018 che definisce l’intera provincia di Lecce e di Brindisi, molti comuni in provincia di Taranto e il comune di Locorotondo (Bari)2 come aree dove il batterio non è più eradicabile.
La vicenda che ruota attorno all’emergenza Xylella f. appare come un susseguirsi di atti normativi, europei, nazionali e regionali, che dichiarano il progressivo aggravarsi della situazione, all’interno di un’inarrestabile diatriba scientifica, politica, sociologica e anche culturale.
3 fasi per gestire il rischio fitosanitario
L’esame del rischio fitosanitario è un procedimento che si rivela sempre più necessario all’interno dell’Unione Europea. La globalizzazione e l’intensificazione dei commerci internazionali hanno aumentato il rischio di ingresso e diffusione di organismi nocivi in Paesi dove prima non erano conosciuti. Spesso essi si adattano facilmente al nuovo habitat distruggendo la flora locale.
Nel momento in cui si registra la loro presenza, l’Unione Europea ha disposto delle procedure per garantirne il controllo, il contenimento e/o l’eradicazione (dir. (CE)2000/29, reg. (UE)2016/2031).
L’esame della situazione generata dalla presenza degli organismi nocivi per i vegetali e i loro prodotti si basa sul procedimento di valutazione del rischio fitosanitario che comprende tre fasi:
Il caso della diffusione della Xylella Fastidiosa è utile per comprendere questo procedimento. Le difficoltà presentatisi durante la gestione di questa fitopatia sono derivate per lo più da una sfiducia negli esperti scientifici e nelle autorità – europee, statali e regionali – causata da una comunicazione poco precisa, grossolana, scettica e intrisa da uno storytelling semplice e convincente.
Le misure imposte dall’Unione Europea sono state spesso ostacolate e l’espandersi della fitopatia ha costretto il loro irrigidimento (dec. es. (UE)2015/789).
Inizialmente le lacune scientifiche non hanno agevolato il controllo di Xylella fastidiosa e il susseguirsi di atti normativi è anche indice dell’aggiornamento continuo delle numerose ricerche.
Breve cronistoria degli interventi del legislatore
Le difficoltà che si sono frapposte in questi ormai 7 anni hanno inevitabilmente allontanato la possibilità di risoluzione definitiva del problema3. Il quadro normativo di riferimento è stata la direttiva (CE) 29/2000, oggi sostituita dal regolamento (UE) 2031/2016 (in vigore dal 14.12.2019).
Il 29 ottobre 2013 la Regione Puglia ha emanato il primo atto determinante le misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e la eradicazione del batterio da quarantena e ha suddiviso una porzione del territorio leccese in quattro zone, in base alla presenza dell’organismo nocivo.
A partire dal 2015, la decisione di esecuzione della Commissione Europea (UE) n.789/2015 (e s.m.i.)4 definisce ed aggiorna i limiti delle aree interessate dalla fitopatia.
Sono individuate una zona infetta (come sopra citato ex dec. es. (UE) n.927/2018) e una zona cuscinetto (larga da 1 a 5 km dal confine con quella infetta – art.4). All’interno delle zone delimitate, l’art.6, par.2 impone di svellere – dopo appropriati trattamenti fitosanitari, art.6, par.4 – non solo la pianta infetta ma anche tutte le piante che si trovano nei 100 m attorno ad essa e potenzialmente ospiti del batterio (indipendentemente dal loro stato di salute)5, notoriamente infette e che presentano sintomi della possibile infezione o sospette contagiate (salva l’eccezione per le piante ospiti di importante valore storico prevista al par.2bis). L’art.7 invece indica specifiche misure di contenimento ad hoc per la zona infetta, secondo le quali è possibile abbattere solo la pianta contagiata (previ idonei trattamenti fitosanitari -art.7, par.4), effettuando successivamente analisi sui vegetali ospiti nei 100 m circostanti. L’eradicazione avviene sulla base di monitoraggi annuali svolti almeno nei siti di produzione e di raccolta o spedizione di vegetali, in prossimità di piante dal valore sociale, culturale o scientifico e nei 20 km dal confine con la zona cuscinetto (art.7, par.7).
La ricostituzione economico-paesaggistica delle aree infette è incentivata grazie alla possibilità di reimpiantare olivi nei siti dov’è assicurata la protezione contro gli insetti vettori del batterio, nonché nelle zone in cui si attuano misure di contenimento, tranne nella fascia di 20 km a ridosso della zona cuscinetto (art.5)6 . Devono essere predilette varietà resistenti o tolleranti; attualmente sono concesse Leccino e FS17®, in attesa di risultati ulteriori da test in corso (compresa la tecnica del sovrainnesto per salvare gli alberi monumentali).
Le rigide disposizioni della decisione in questione hanno fatto discutere, divenendo oggetto di alcuni ricorsi amministrativi, uno dei quali giunto sino in Corte di Giustizia Europea. La sentenza tranchant del 9 giugno 2016 ha confermato l’idoneità delle misure di eradicazione, necessarie, appropriate e proporzionate per assicurare un elevato livello di protezione fitosanitaria sulla base dei dati scientifici noti7.
La condanna dell’Europa
Nonostante la loro applicazione a livello nazionale nel decreto MIPAAF del 13 febbraio 2018, n.4999, più conosciuto come Decreto Martina, declinate a livello regionale, secondo l’ultimo intervento legislativo, dalla determinazione della Giunta Regionale del 24 ottobre 2018, n.1890 e dalla determinazione del Dirigente Sezione Osservatorio Fitosanitario del 23 novembre 2018, n.727, l’Italia è stata condannata dai giudici di Lussemburgo il 5 settembre 2019 a causa dei ritardi nell’esecuzione di monitoraggi e operazioni di eradicazione nella zona di contenimento, favorendo così la diffusione della fitopatia8. La Corte di Giustizia ha basato il giudizio sui dati ottenuti dall’audit condotto tra maggio e giugno 2018 dalla Commissione9 secondo la quale solo il 10,7% delle oltre 3000 piante risultate positive nel 2017 erano state rimosse al momento dell’ispezione europea. Si segnalano anche i monitoraggi effettuati in periodi sbagliati, conclusi proprio nel momento in cui la sputacchina (Philaenus Spumarius, vettore principale della Xylella f.) inizia a volare sugli alberi, infettandoli. Lo stesso report sottolinea che più del 90% dei casi positivi individuati nella campagna del 2016 è stato rinvenuto in prossimità di piante infette rilevate nel corso del 2015 ed estirpate con gravi ritardi.
I punti deboli della gestione della malattia
La sentenza ha evidenziato i maggiori punti deboli della gestione della malattia. Il MIPAAF ha cercato di snellire e velocizzare le procedure di eradicazione degli olivi infetti attraverso l’emissione del Decreto Emergenze (D.L. 29 marzo 2019, n.27), convertito con L. n.44 del 21 maggio 2019, secondo la quale le misure emergenziali, compreso l’abbattimento, saranno effettuate in deroga a ogni disposizione vigente e ogni eventuale vincolo10. La norma vale anche per gli olivi monumentali, salva l’eccezione in cui, malgrado la loro prossimità ad una pianta malata e l’estirpazione necessaria di un dato areale, non risultino infetti11. Inoltre, le eradicazioni volontarie potranno essere condotte (nella zona infetta tranne nella zona di contenimento) per 7 anni dalla comunicazione alla Regione, in deroga ai divieti imposti dal decreto luogotenenziale n.475/1945, a ogni altro eventuale vincolo ed alla sussistenza di VAS e VIA12.
È stata attuata dunque una sorta di liberalizzazione delle operazioni di abbattimento ma, ci si deve assicurare che esse vengano effettuate “immediatamente” (ex art.6, par.2, dec. es. (UE) n.789/2015), non trasformando ancora una volta il ritardo in uno strumento utile al contagio.
Due problemi strutturali hanno favorito il diffondersi di Xylella f. e complicano le attività di controllo degli ispettori (senza contare quelli legati ai monitoraggi): l’abbandono degli oliveti e la frammentazione fondiaria. Si calcola che l’85% del totale della superficie agricola utile (SAU) della provincia di Lecce corrisponda ad aziende i cui terreni sono pari al massimo a due ettari. Molte proprietà sono a conduzione familiare, parte di residenze estive o appartengono a coltivatori anziani non più interessati alla coltivazione. Sono necessari quindi concreti programmi che incentivino e contribuiscano al recupero dei terreni attraverso forme di accorpamento fondiario, rilancio della filiera, eventuale riconversione della coltura e diversificazione dell’economia grazie ad attività (agro)turistiche13. In questo senso, il Protocollo di Intesa tra la Regione, il MIPAAF e il MiBACT14 semplifica il reimpianto nelle zone infette , svincolandolo dall’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza e delle Commissioni Paesaggistiche.
Il 6 marzo 2020, in rilevante ritardo, è stato finalmente firmato il decreto attuativo dell’art. 8 quater del D.L. n.27/2019, che istituisce un fondo di 300 mln di euro per la realizzazione del “Piano strategico per la rigenerazione olivicola della Puglia” per il rilancio delle zone infette15, che si affiancherà alle misure previste dal PSR 2014-2020.
La percezione del rischio
Queste strategie tuttavia saranno poco efficaci se non si interviene parallelamente anche sugli aspetti comunicativi e culturali. Sin dal 2013 la vicenda è stata oggetto di contrastanti interpretazioni, che hanno inevitabilmente mutato la percezione del rischio (ma anche del pericolo16) ed indebolito la fiducia nei confronti degli esperti (raggiungendo l’apice nel 2015 con il decreto di sequestro preventivo d’urgenza e la denuncia di 9 di essi, più il Commissario delegato Silletti, archiviato il 3 maggio 2019). Il valore, sia economico, sia culturale, ricoperto dall’olivo all’interno del tessuto sociale pugliese ha fatto sì che tutti si sentissero in dovere di manifestare il proprio pensiero, dando vita a numerosi movimenti e associazioni contrari alla gestione istituzionale della fitopatia17. I canali istituzionali non paiono dunque sufficienti ad arginare fake news, teorie complottiste e correnti alternative che hanno generato una sorta di cesura sociale ed incentivato il mancato rispetto delle misure.
Considerati gli ingenti danni che Xylella f. sta causando all’olivicoltura pugliese e italiana (un terzo delle olive in Italia è prodotto in Puglia), rinvii e mancanza di una linea comune sono ingiustificabili, a maggior ragione dopo 7 anni dall’insorgere dell’emergenza (oggi difficilmente ancora definibile tale). La sovrapposizione di più profili (economico, ambientale, fitosanitario, politico, giuridico, sociale) ha complicato la risoluzione della vicenda, tanto da rendere oggi ineredicabile il batterio e da costringere ad una faticosa convivenza.
Lo studio originale
La gestione del rischio fitosanitario nel diritto agroalimentare europeo ed italiano: il caso Xylella
Trento Law and Technology, Research Group – Student Paper n. 44